Fonte: P.Louvr. E 3320.
Metro: dimetri trocaici catalettici o lecizî (vv. 96, 98 con sinecfonesi di siai,) ed enoplio (v. 97)3.
Con molta probabilità, a
`
de, designa Agesicora, che il coro paragonerebbe, nei versi precedenti (vv. 92-95), ad un cavallo di volata e ad un nocchiero4, con un riferimento extra-linguistico visivo (la1 Anche in questo verso Hutchinson 2001 legge diversamente la lacuna del papiro, secondo l'integrazione di Von der Mühll: avoidote,ra me.[n auvda,]. Se accettiamo questa versione, «ma il canto delle Sirene è più armonioso, poiché esse sono dee» (traduzione nostra), non vi troviamo più un adynaton ma, eventualmente, una perissologia. L'integrazione di Weil (ouvci,) è criticata da Pavese 1992, p. 92, poiché questa forma di negazione non sarebbe attestata nella lirica arcaica, mentre nella dizione epica si trova soltanto nella formula hve. kai. ouvki,. Più probabile, secondo lo stesso studioso, la negazione ouvde,n (Page), o meglio ou;ti o ou;toi.
2 La quasi totalità dei traduttori (West, Gentili, Calame, G. Ferrari) intende Shrhni,dej = Sirene. Diversamente Neri 2011, p. 98.
3 Cf. schema in Gentili-Lomiento 2003, p. 160. Per lo schema e il commento metrico a tutto il partenio, cf. Pavese 1992, pp. 5-7.
4 Per la legittimità di questa interpretazione, vd. Calame 1983, p. 346. Campbell 1982, pp. 211-212 discute il passo, ricordando anche l'esegesi secondo cui a` de, farebbe riferimento all'insieme delle coreute, e non ad Agesicora.
bellezza del cavallo)1 e uno morale (la capacità di condurre un coro, come si conduce una nave).
Secondo l'integrazione m[e.n ouvci, (Weil) accolta a testo da Davies 1991a (p. 27), il coro in questi
versi starebbe esprimendo l'impossibilità (iperbole negativa = adynaton) che la voce di Agesicora possa superare quella delle Sirene, ovvero delle Muse2. La Musa, che lo stesso Alcmane chiama
avoido,j (cf. fr. 14a PMGF) ha una voce inarrivabile, la più melodiosa in assoluto. Sottolineare la loro divinità sarebbe pleonastico se la costruzione non mirasse a valorizzare la voce di Agesicora, che soltanto le Muse possono superare con la loro armonia3. È utile qui richiamare il v. 485 del proemio
del Catalogo delle Navi (Il. II, vv. 484-492), in cui Omero chiede alle Muse di narrare quali furono i condottieri e i signori dei Danai, in virtù del fatto che esse sono sempre presenti e tutto sanno: u
`
mei/j ga.r qeai, evste: «voi infatti siete dee» in contrapposizione ai poeti che odono soltanto la fama, senza veramente conoscere (v. 486: h`
mei/j de. kle,oj oi=on avkou,omen ouvde, ti i;dmen). Anche in questi famosi versi omerici l'adynaton riveste un ruolo importante: per il poeta del catalogo non sarebbe possibile elencare la moltitudine di coloro che andarono a combattere sotto le mura di Ilio neanche se si avessero dieci lingue, dieci bocche, una voce instancabile e un cuore forte come il bronzo (vv. 489- 490: ouvd v ei; moi de,ka me.n glw/ssaià de,ka de. sto,mat v ei=en( Õ fwnh. d v a;rrhktojà ca,lkeon de, moi h=tor evnei,h). Soltanto le Muse possono ricordare tutto ciò (v. 490-491). Uno schema mentale simile accomuna i due passi – quello dell'Iliade e quello del Partenio del Louvre – che possono essere riassunti in termini di logica formale come segue:Hom. Il. II, vv. 488-493: ~ ◊ A, ~ B & B → ~ ◊ A, ◊ C, ◊ D
Alcm. fr. 1 PMGF, vv. 96-99: ~ ◊ A, ◊ C , ◊ D4
Mentre in Omero la contrapposizione Muse/poeti ruota attorno al criterio della conoscenza - fra ciò che le Muse sanno per averlo visto e quello che i poeti hanno solo sentito dire -, in Alcmane la differenza fra le Muse e Agesicora consiste nella qualità della voce, fra coloro che hanno una voce divina, e per questo inarrivabile, le Muse, e colei che non può raggiungere questo grado di bellezza perché mortale, Agesicora. Con un pregnante emistichio Omero ricorda a questo proposito come ogni confronto fra uomini e dèi sia vano, poiché gli dèi sono più forti degli uomini (Il. XXI, v. 264):
qeoi. de, te fe,rteroi avndrw/n)
Ancora Omero riporta con grande emozione il motivo per cui il tracio Tamiri, per aver peccato di arroganza nei confronti delle Muse, fu da loro punito con la grave pena del silenzio, della dimenticanza e dell'impossibilità di cantare (Il. II, vv. 594-600):
kai. Dw,rion( e;nqa, te Mou/sai
avnto,menai Qa,murin to.n Qrh,i?ka pau/san avoidh/j Oivcali,hqen ivo,nta par v Euvru,tou Oivcalih/oj\ steu/to ga.r euvco,menoj nikhse,men( ei; per a;n auvtai. Mou/sai avei,doien( kou/rai Dio.j aivgio,coio\
ai` de. colwsa,menai phro.n qe,san( auvta.r avoidh.n qespesi,hn avfe,lonto kai. evkle,laqon kiqaristu,n\
1 Ai vv. 57-59 del Partenio del Louvre il coro si esprime in termini ippici: «Agesicora è questa. Dietro, Agido, seconda per bellezza, correrà quale cavallo colassio con l'ibeno» (trad. Neri 2011 p. 98). Cfr Gentili 1976, p. 60. 2 Per l'identità Shrhni,dej = Seirh/nej, epiteto che Alcmane attribuisce alla Mou/sa anche nel fr. 30 PMGF, vd. West
1967, pp. 1-15, supportato da Calame 1983, p. 346, G. Ferrari 2008, p. 7. Cf. commento ad Alcm. fr. 30 PMGF, p. 136 sgg.
3 L'imitazione del canto delle Sirene da parte di coreute è forse uno schema già topico in Pindaro ( fr. 94BMaehl., vv. 11-15). Cf. Del Grande 1957, p. 90. Pavese 1992, pp. 92-93, considerando che Agesicora non prende parte attiva all'esecuzione del partenio, ritiene che il confronto riguardi il coro e le Muse, e non Agesicora e le Muse.
4 Vd. lo schema esplicativo della TAVOLA 2, per il quale ci si è avvalsi del prezioso aiuto del Prof. Mario Alai dell'Università di Urbino, che si tiene a ringraziare.
e Dorio, e lì le Muse
avendo incontrato il trace Tamiri, posero fine al suo canto a lui che veniva da Ecalia, dalle case dell'eucalio Eurito;
vantandosi assicurava che avrebbe vinto (nel canto), fossero state le stesse Muse a cantare, le figlie dell'egioco Zeus.
E quelle adiratesi lo fecero mutilo, e il canto
divino gli tolsero e gli fecero dimenticare l'arte della cetra1.
Questo confronto permette di gettare luce su un principio molto importante della cultura greca arcaica: è possibile paragonare un mortale o un eroe a un dio, per la sua bellezza fisica e per la sua forza, qualità "visive"; non è possibile, ma al contrario è dissacrante, paragonare la voce umana a quella di un dio. Molti sono infatti gli esempî di accostamento fra un mortale e gli dei, limitatamente però alla bellezza e alla prestanza fisica. Eurialo (Hom. Il. II, v. 565) è denominato ivso,qeoj fw,j certamente nel fisico; la stessa espressione definisce la bellezza di Telemaco, in una scena di risveglio e di vestizione (Hom., Od. XX, v. 124); Nestore sembra a Telemaco un «immortale a guardarlo» (Od. III, v. 246: avqa,natoj ))) eivsora,asqai) così come gli Itacesi guardano a Eurimaco come a un dio (Od. XV, v. 520: to.n ))) i=sa qew|/ ))) eivsoro,wsi)2. Emblematica è la
descrizione di Arete, la moglie di Alcinoo, a cui il popolo dei Feaci «guarda come a un dio, e la saluta con parole (mu/qoj), quando ella passa per la città» (Hom. Od. VII, vv. 71-72):
kai. law/n( oi[ mi,n r`a qeo.n w]j eivsoro,wntej deide,catai mu,qoisin( o[te stei,ch|s v avna. a;stu)
E gli stessi abitanti di Scheria ascoltano Alcinoo «come un dio», con un accostamento che interessa non la voce, ma la sua autorità sui Feaci (Hom. Od. VII, v. 11):
Faih,kessin a;nasse( qeou/ d v w]j dh/moj a;kouen\
A ribadire questo concetto è anche Femio, l'aedo che canta per gli dèi e per gli uomini (Hom. Od. XXII, v. 346), che nello scongiurare Odisseo di non ucciderlo, elèva al signore di Itaca una captatio benevolentiae in cui, fra l'altro, aggiunge (Hom. Od. XXII, vv. 348-349):
e;oika de, toi paraei,dein e sembro cantare vicino a te
w[j te qew|/\ come vicino a un dio;
in cui il paragone è certamente visivo, e non legato al verbo avei,dw3. Se, dunque, un mortale può
essere paragonato, per iperbole, a un dio nell'aspetto, nella prestanza, nell'autorevolezza, e più in generale nell'immagine che egli mostra di sé a chi lo vede (cf. anche Sapph. frr. 31 V., v. 1; 44 V., v. 21), un siffatto parallelismo sul piano sonoro-musicale è inconcepibile nella letteratura arcaica. A dimostrare questo principio sono gli stessi versi del Partenio del Louvre. Ai vv. 50-58, infatti, il coro celebra lo splendore e la bellezza fisica di Agesicora, su cui proietta l'immagine visiva dei capelli d'oro e del volto d'argento, stilemi tipici della bellezza divina:
1 Il riferimento mitologico di Tamiri è inserito, a mo' di excursus, in un passo dedicato al regno di Nestore, che giunse a Troia con un contingente di novanta navi (v. 602). All'interno del regno di Nestore, la Messenia, va inserita la città di Dorio, teatro dell'evento mitico, e le altre località precedentemente evocate (v. 594). Cf. il commento al passo di Mirto 2012, p. 790.
2 Anche l'Aurora, in h.Ven., v. 218 sgg., rapisce Titono dopo essersi innamorato di lui, che era simile agli dèi (v. 219: evpiei,kelon avqana,toisi). L'evoluzione stessa del mito, con il disinnamoramento di Aurora per Titono all'apparire dei suoi primi capelli bianchi (v. 228 sgg.) ci fa certi che il suo essere simile agli dèi fosse legato precipuamente legato alle sue caratteristiche fisiche.
3 Per l'analisi della costruzione grammaticale di questo verso, e per le sue diverse interpretazioni, cf. Fernández- Galiano-Heubeck 1986, p. 257.
h= ouvc o`rh|/j* o` me.n ke,lhj forse non vedi? Da una parte il cavallo da corsa vEnetiko,j\ a` de. cai,ta Enetico; dall'altra la chioma
ta/j evma/j avneyia/j di mia cugina
`Aghsico,raj evpanqei/ Agesicora fiorisce
cruso.j Îw`#j avkh,ratoj\ come oro puro;
to, t v avrgu,rion pro,swpon( e l'argenteo volto,
diafa,dan ti, toi le,gwÈ apertamente devo rivelarlo?
`Aghsico,ra me.n au[ta\ Ella è Agesicora;
a` de. deute,ra ped v vAgidw. to. «ei/doj mentre seconda a lei è Agido in bellezza
ktl) etc.
Nell'immagine di Agesicora, la cui chioma "fiorisce come oro puro" ed il cui volto è "d'argento", è facile scorgere un riferimento alla ivsoqei<a in senso fisico, della corega1. Ibico (fr. S151 PMGF, v. 9)
attribuisce ad Afrodite la caratteristica della "preziosità visiva", soprattutto dei suoi capelli, con l'epiteto crusoe,qeira:
cru#soe,qeiran dÎi#a.ñ Ku,prida\
riservando, con un evidente criterio tassonomico di bellezza, ad Elena l'epiteto di xanqh, (v. 5)2.
Agesicora è esaltata dal coro per la sua superiorità estetica di fronte a tutte le altre fanciulle del coro, Agido compresa. Per la corega si usano paragoni molto forti, che ne esaltano la bellezza fisica e quella canora. In questo contesto, accostamenti visivi fra Agesicora e la bellezza divina sono possibili, e molto carichi di enfasi. Ciò che invece il coro non può esprimere è un parallelismo fra la voce della corega a quella delle Sirene. La constatazione secondo cui ella non è più melodiosa delle Sirene (vv. 96-97: a` de. ta/n Shrhn[i,]dwn Õ avoidote,ra me.n ouvci,,) poiché queste sono dee (v. 98: siai. ga,r) sottolinea l'impossibilità che si paragoni, in senso sonoro-corale, la prima alle seconde, per non incorrere nella blasfemia. Nonostante ella sembri poter cantare da sola in luogo di molte (vv. 98- 99)3, e superi tutte nella dolcezza del canto – tanto da essere paragonata al cigno che risuona sui
flutti dello Xanto –, essendo mortale, Agesicora non può, per motivi anche religiosi, essere accostata alle Sirene-Muse. È possibile pensare che questo tabù fosse legato ad una pratica apotropaica e che ciò esorcizzasse eventuali cambiamenti ed inflessioni della voce. Certamente, come mostra il mito di Tamiri, nessun mortale può accostare la propria voce a quella degli dèi. Quest'ordine di idee richiama il fr. 156 V., in cui Saffo elogia un personaggio di sesso femminile, probabilmente una fanciulla, usando per lei il topos dell'iperbole4. La poetessa, infatti, potrebbe aver
1 L'espressione metaforica "fiorire come oro puro" è certamente legata alla luminosità che accomuna i fiori e l'oro (per la luminosità di quest'ultimo, cf. B. III, v. 17), nonché alla preziosità di entrambi. Per l'uso metaforico del verbo evpanqe,w, cf. Calame 1983, p. 329. Secondo Silk 1974, p. 136-137 n° 8, il termine cai,ta, che in greco può designare sia la chioma umana sia il crine di cavallo, darebbe continuità al paragone equino iniziato a partire dal v. 46 del partenio. L'esaltazione della bellezza femminile attraverso la sua chioma è ripresa al v. 70, in cui si evocano – senza aggiungere alcun epiteto - i capelli di Nannò. Per l'importanza dei capelli femminili nei versi di Alcmane, cf. fr. 3 col I PMGF, v. 9 ed il commento in Calame 1983 (= fr. 26 Calame), p. 401. Cf. Anche lo studio dell'epiteto evrasiplo,kamoj e simili in Wilkinson 2013, p. 277.
2 Riferimenti bibliografici importanti su questo tema in Calame ibid., pp. 401-402. Cf. anche commento a Ibyc. fr. S151 PMGF, vv. 5-7, p. 67 sgg. Non è difficile scorgere anche nel mito di Aurora e Titono dell'Inno omerico ad
Afrodite (cf. supra, p. 3 n° 2) una gerarchia estetica fra l'immutabile brillantezza dell'oro, a cui la dea è associata
con l'epiteto cruso,qronoj (vv. 218, 226), e lo sfiorimento della bellezza e del colore di Titono nel suo perenne invecchiare.
3 Per la difficile interpretazione di questi due versi, molto lacunosi, cf. Calame 1983, p. 347. Nella prospettiva in cui si esaltasse Agesicora e la potenza della sua voce, paragonata a quella di dieci fanciulle, si potrebbe richiamare a supporto Hom. Il. V, vv. 784-786, in cui la dea Era grida (h;u?se) prendendo le sembianze del magnanimo Stentore dalla voce di bronzo (v. 785: Ste,ntori eivsame,nh megalh,tori calkeofw,nw|), che parlava come "altri cinquanta" uomini (v. 786: o]j to,son auvdh,sasc v o[son a;lloi penth,konta).
esaltato la sua bellezza sonora, attraverso l'esaltazione iperbolica della sua voce elogiata come «molto più dolce di quella della phkti,j»1, e la sua bellezza fisica, attraverso l'iperbole «più aurea
dell'oro»:
po,lu pa,ktidoj avdumeleste,ra )))) cru,sw crusote,ra ))))
Demetrio Falereo cita il frammento (Eloc. 162) come esempio di iperbole2, mentre Gregorio di
Corinto (In Hermog. Meth. 13)3 ne fa menzione, insieme ad altre iuncturae simili, frequenti nella
poesia erotica (di Anacreonte e di Saffo)4: ga,laktoj leukote,ra( u[datoj a`palwte,ra( phkti,dwn
evmmeleste,ra( i[ppou gaurote,ra( r`o,dwn a`brote,ra( i`mati,ou e`anou/ malakwte,ra( crusou/ timiwte,ra. Fra questi accostamenti iperbolici prevalgono i sensi del tatto e della vista, tranne per la iunctura phkti,dwn evmmeleste,ra. Come si è detto fin qui, era possibile nel periodo arcaico paragonare, esagerando la bellezza fisica a quella divina; per quanto riguarda la voce e il canto, invece, una legge non scritta vietava accostamenti con gli dèi, e ci si limitava, al massimo, a stabilire un confronto con uno strumento, per quanto nobile e melodioso, come la phkti,j5. Nell'accostare una
voce umana ad una divina, invece, Alcmane provvede a sottolineare l'inferiorità della prima sulla seconda. Da qui l'adynaton del Partenio del Louvre. Si ricordi, a questo proposito, lo spessore morale che caratterizzò la figura di Alcmane6.
Alla luce di questo studio sull'adynaton, infine, si potrebbe anche supporre che il poeta operante a Sparta riconfermi attraverso questo sch/ma il valore del precetto delfico mhde.n a;gan. Le concezioni etiche ravvisate nel Partenio sono apparse affini in molti punti a quelle che comunemente si ritengono nutrite dello spirito di Delfi. Si richiami a questo proposito l'analisi di Janni 1965, vol. I, pp. 90-91:
Alcmane sembra dunque essere stato un autentico portavoce dello spirito delfico, anche in un aspetto che non è tra i più appariscenti e che ha, al contrario, attratto ben poco l'attenzione degli studiosi della poesia arcaica. Intendo l'estensione del principio del mhde.n a;gan alle manifestazioni apparentemente più insignificanti della vita quotidiana e agli atti culturali; (...) la cronologia non si oppone a riconoscere in Alcmane un poeta operante già sotto l'influenza della religiosità che da Delfi diffondeva un complesso di dottrine morali fortemente coerenti, e che già mirava all'egemonia sugli spiriti, ben presto unita a un determinante peso politico. La nostra opinione è oggi ancora quella del Wilamowitz, quando riteneva che massime e culto di Apollo Pizio fossero già diggusi nel VII secolo. (...) Molti aspetti della poesia di Alcmane debbono considerarsi, accanto ai numerosi indizi storici, come un segno dei rapporti fra Delfi e Sparta già nel VII secolo.
Un esempio evidente di questa influenza delfica potrebbe essere, a nostro avviso, anche l'impossibilità, manifestata nell'adynaton, che voci umane, per quanto belle e superiori ad altre, vengano messe sullo stesso piano di quelle divine delle Muse-Sirene. La bellezza, e più in particolare la bellezza canora, diviene in questo modo un registro sacrale nel quale il poeta iscrive la sua concezione del mortale e del divino.
paragoni usati da Saffo, attesta che il topos qui trattato era riferito ad una fanciulla: r`o,dwn d v a`bro,thti paraba,llousa [i.e. Sapfw,] ta.j numfeuome,naj parqe,nouj kai. to. fqe,gma phkti,doj evmmele,steron poiou/sa)
1 Per gli elementi di dolcezza e di eleganza di cui questo strumento è simbolo, cf. pp. 193-194.
2 L'iperbole "più aurea dell'oro" è ricordata anche in Eloc. 127. Demetrio esalta il frammento saffico, ritenendo la poetessa un esempio di stile attraente ed elegante. Cf. Marini 2007, pp. 225, 239.
3 = Rh.Gr. VII, 1236, 10 sgg. Walz.
4 Cf. l'apparato a questo frammento nell'edizione Voigt 1971, p. 143.
5 Un confronto diretto fra una voce umana e quella degli dèi è tuttavia possibile. In Hom. Od. IX, v. 4, ad esempio, Ulisse definisce Demodoco «simile agli dèi nella voce» (qeoi/s v evnali,gkioj auvdh,n). L'arditezza di questa definizione è tuttavia da mettere in relazione con la diretta ispirazione divina di cui il poeta necessita per la performance. 6 A questo proposito, cf. quanto osserva Janni 1965, vol. I, p. 64.
ALLEGORIA
L'allegoria è una metafora continuata, «un'estensione del procedimento metaforico ad una più ampia sfera di pensiero»1. L'identificazione di questa figura retorica non risale all'antichità2. Dal punto di
vista della trattatistica aristotelica, infatti, l'allegoria non potrebbe costituire una categoria retorica a sé, ma rientrerebbe piuttosto nella denominazione di eivkw,n, metafora estesa e che necessita di una spiegazione3. Secondo un'ottica moderna, tuttavia, l'allegoria si distingue dalla similitudine per il
suo carattere più criptico, poiché essa affida ad un testo un significato riposto e allusivo, del tutto differente dal contenuto logico delle parole. L'interpretazione in senso allegorico, e più specificamente nel senso di un'allegoria sonoro-musicale, di un passo quale Alcm. fr. 1 PMGF, vv. 60-63, è in accordo con la nostra interpretazione generale del Partenio del Louvre, come risulta anche dalle diverse schede analitiche ad esso dedicate in questo lavoro4.