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1 Cf. Calame 1983, p. 305.

2 Per le connessioni fra la divinità e l'oro della sua chioma, cf. p. 69 n° 1.

3 Cf. Calame 1977a, pp.102-107 per i riferimenti ad Apollo e alla lira, legati al processo di avvio della musica e della

danza. L'epiteto filo,molpoj si trovava, quasi certamente riferito alla Musa, anche nei versi iniziali di una delle due

Palinodie di Stesicoro, stando a Cameleonte, secondo cui l'altra iniziava con l'invocazione «vergine dalle ali

dorate» (fr. 193 PMGF, vv. 9-11): rispettivamente deu/r v au=&|te qea. filo,molpe e cruso,ptere parqe,ne. Per lo studio di questo frammento, cf. De Martino-Vox 1996, I, pp. 250-253. Cf. anche filo,molpoj in Pi. N. VII, v. 9 (riferito a città).

4 Anche prima che l'editio princeps del Papiro di Colonia venisse alla luce, si erano espressi forti dubbî sull'appartenenza dei vv. 1-10 del fr. 58 V. alla stessa ode a cui appartengono i vv. 11-26. Cf. Gallavotti 19623, vol.

I, pp. 112-113, Di Benedetto 1985, p. 147. Pur mantenendo nel titolo di questa scheda la numerazione dell'edizione Voigt, nel corso della nostra analisi consideriamo il v. 11 Voigt (= v. 9 del P.Colon. 21351, fr. 1) il v. 1 del componimento, come nel testo proposto da Burzacchini 2007, p. 98, sulla scorta di Di Benedetto 2004, pp. 5-6. Si veda (infra) il testo ottenuto dalla sovrapposizione fra il testo in Voigt 1971, p. 77 e quelli in Gronewald-Daniel 2004a, pp. 4-5 (vv. 11-22 V. = vv. 9-20 G.-D) e in Gronewald-Daniel 2004b, p. 2 (in cui gli editori si avvalgono

anche del P.Colon. 21376, fr. 2 per integrare i vv. 16-20 = 18-22 Voigt). I vv. 23-26 dell'edizione Voigt (< P.Oxy. 1787, frr. 1 e 2, Clearch. fr. 41 Wehrli = Ath. XV, 687b, cod. A) non compaiono nei nuovi papiri di Saffo. La loro appartenenza all'ode, con collocazione dopo i vv. 11-22 V. = 9-20 G.-D., non è del tutto certa. Negli ultimi anni, tuttavia, si attesta una tendenza della critica ad inserire questi quattro versi alla fine dell'ode. Cf. Livrea 2007, p. 68 sgg., Burzacchini 2007, p. 102 sgg., e da ultimo Tsantsanoglou 2009, pp. 6-7. Fra gli oppositori di questa interpretazione, si ricordino Di Benedetto 2004, pp. 5-6 (et alibi), Bettarini 2005, p. 33, e West 2005, p. 7. Si veda una sintesi di queste ultime posizioni in Burzacchini ibid., pp. 106-107.

l'amante del canto, penetrante ce,luj

Fonte: P.Oxy. XV 1787, fr. 1; P.Col. 21351, fr.1.

Metro: tetrametro ionico a maiore1.

Grazie al confronto con il P.Colon. 21351 (frr. 1 e 2) + 21376, l'ode 58 V. può essere letta con maggiore chiarezza. In particolare, è oggi possibile cogliere più chiaramente il senso di un'ode di grande importanza, anche per il suo confronto con altri frammenti saffici e per i suoi riferimenti ad altri poeti arcaici. Nei versi riportati, Saffo, legata alle Muse da un rapporto sacrale molto forte, descrive il suo decadimento fisico e la vecchiaia nella sua complessa sintomatologia. Il tema della vecchiaia è tanto presente, da aver indotto gli studiosi italiani a dare al componimento il titolo di "carme della vecchiaia"2. Inoltre, se si accettano i vv. 23-26 del fr. 58 V. come explicit3, l'intera ode

può essere letta anche come una riaffermazione dell'amore della poetessa per la luce, metafora della vita e, più in generale, dell'eternità del mondo Apollineo, in cui le Muse e la poesia sono elementi fondamentali. Grazie al valore della sua poesia e all'intimità con le dee, infatti, Saffo proclamerebbe nei versi finali il suo destino di eternità, in una dimensione di splendore e di bellezza ultraterrena (v. 26).

Poiché questo frammento ha destato, soprattutto dopo l'editio princeps dei Papiri di Colonia (Gronewald-Daniel 2004a,b), numerosissimi interventi per quanto concerne il testo e l'esegesi del

nuovo fr. 58 V., sembra utile presentare qui di seguito l'intera ode (16 versi) alla luce delle integrazioni papiracee, considerando pertinenti i quattro versi finali (23-26 dell'edizione Voigt) di cui si è detto, e accogliendo interpretazioni testuali desunte dai contributi dei molti studiosi che si sono occupati del componimento:

1 [X – ∪ ∪ Moi,san iv]oñkÎo,#lñ⸥pwn ka,la dw/ra( pai/d⸤ej⸥(

[X – ∪ ∪ – ta.]nñ⸥fila,oidon ligu,ran ⸤celu,nnan⸥Å

[X – ∪ ∪ – – ] pñotñ v Îe;#oñ⸥nta ⸤cro,⸥a gh/ra⸤j⸥ h;dh

[X – ∪ ∪ leu/kai d v evg#e,no⸥nto tri,cej evg melai,n⸤an⸥(

5 ba,ruj de, mV ov Îq#u/moñjñ pepo,ht⸥ai( g⸤o,na⸥d v ouv ⸤fe,roisi⸥(

ta. dh, pota lai,yhñr v e;on o;rc⸥hsq v i;sa nebri,oisin(

Étau/Ëta stenaci,zw qame,wj( av⸥lla. ti, kem poei,hn*

avgh,raon a;nqrwpon e;ont v⸥ ouv du,naton ge,n⸤esqai⸥)

kai. gña,r pñÎo#tñañ Ti,qwnon e;fanto⸥ brodo,pacu⸤n Au;wn⸥

10 e;rwi dñ ñ ññ ñ ñ ¿ ñÀ eivsa,nbamen v eivj e;s⸥cata ga/j f⸤e,roisaÎn

e;ontañ Îk#a,ñlñoñn kai. ne,on( avll v au;t⸥on u;mwj e;m⸤aryeÎ

cro,nwi po,ñlñiñoñgñ gh/raj e;cñÎo#nñtñ v avqan⸥a,tan ⸤a;koitin⸥)

[ ]iñme,nan nomi,sdei

[ ]aij ovpa,sdoi

15 ⸤e;gw de. fi,lhmm v avbrosu,nan(⸥Îi;ste de.] tou/to kai, moi

to. la,⸤mpron e;rwj aveli,w kai. to. ka,⸥lon le,⸤l⸥ogce)

1 ...delle Muse] dal seno di viola i bei doni, o fanciulle4,

1 L'intero verso suole essere interpretato dai moderni come ipponatteo acefalo con doppia espansione coriambica. Cf. Gronewald-Daniel 2004a, p. 1. West 2005, p. 2 interpreta come agesicoreo con doppia espansione coriambica.

L'analisi che qui si offre, si attiene alla teoria antica sui metri.

2 Cf., ad esempio, Di Benedetto 2006, p. 5. West 2005, p. 3, che adotta anche scelte testuali differenti, lo intitola "The

Tithonus poem".

3 Vd. p. 57 n° 4, ed in particolare i contributi di Livrea e di Burzacchini (2007).

4 L'integrazione Moi,san è condivisa da tutti i critici. Cf. app. crit. in Livrea 2007, p. 73. L'interpretazione femminile di pai/dej, inteso come vocativo e non come nominativo, è ritenuta probabile per il contesto: Saffo rivolgerebbe un'esortazione alle sue fanciulle, per poi evocare i sintomi del proprio decadimento senile.

...] l'amante del canto1, penetrante, ce,luj2.

...] la pelle che era un tempo ..., già la vecchiaia ...bianchi sono diventati i capelli da neri (che erano), 5 e greve mi si è fatto il cuore, e le ginocchia non reggono,

esse che erano un tempo agili nella danza come giovani cerbiatte, queste cose lamento spesso gemendo3, ma cosa potrei fare?

Non è possibile che un uomo sia senza vecchiaia.

E infatti narravano che un tempo Aurora dalle braccia di rosa ... Titono 10 per amore ... fece imbarcare conducendolo ai confini della terra4

lui che era bello e giovane, ma nondimeno lo raggiunse

con il tempo la grigia vecchiaia, lui che aveva una sposa immortale. ...considera ...possa concedere 15 ma io amo l'eleganza, ...questo lo sapete5, e a me

l'amore per il sole ha dato in sorte lo splendore e la bellezza6.

Questi versi sono senza dubbio dominati da un sentimento di mestizia e dalla consapevolezza dell'ineluttabile vecchiaia, che porta la poetessa a ricordare il mito di Titono, il vecchio immortale simbolo del decadimento irreversibile, al quale non può porre rimedio neanche la morte. Così Gentili 2006, pp. 158-159 commenta:

Con serenità e distacco Saffo contempla il fuggire della vita e il decadimento fisico della vecchiaia: la sua pelle è rugosa, i capelli sono bianchi, le ginocchia più non la reggono, "che cosa dovrei fare" dice a se stessa; anche Titono, amato dall'aurora, poté ottenere una vita immortale ma non l'eterna giovinezza. Lo sguardo al passato si colora appena di una nota nostalgica. (...) La vecchiaia, pur nel suo aspetto deforme, non è una sciagura senza rimedio, una condizione penosa, una totale rinuncia a tutto quello che nella giovinezza si è amato e desiderato, ma una ineluttabile vicenda del tempo biologico che non ha spento l'essenza della realtà da lei costruita nella cerchia della amiche.

Saffo ricorre ai topoi della cultura greca arcaica per spiegare l'infelicità della vecchiaia. Conformemente agli altri frammenti, in cui la poetessa riserva un'attenzione particolare alla percezione visiva della bellezza7, i segni della vecchiaia qui evocati (vv. 3-6) sono tutti visibili o

1 Per la ricostruzione dell'articolo, cf. già Gronewald-Daniel 2004a p. 7. Con «amante del canto» traduciamo l'epiteto

doppio fila,oidoj = fi,loj + avoidh, come in Theoc. XXVIII, v. 23 e in AP IX, 372, v. 4 (riferito alla cicala). Meno probabile, a nostro avviso, l'interpretazione fi,loj + avoido,j («amante del cantore»).

2 Preferiamo mantenere il nome in greco, non potendo valutare con certezza se il significato pendesse più verso la ce,luj–lira (metafora congelata) o verso la ce,luj-carapace (metafora rifunzionalizzata). In ogni caso, il riferimento allo strumento musicale è accertato dal contesto e dagli epiteti.

3 Gronewald-Daniel 2004a, p. 8 propongono l'integrazione Étau/Ëta, intendendolo con valore di congiunzione

conclusiva «deshalb». Il contenuto dei versi precedenti, tuttavia, porterebbe a ritenere tau/ta nel suo valore di pronome, che in questo caso riassumerebbe tutti i sintomi della vecchiaia, e costituirebbe allo stesso tempo l'oggetto del verbo stenaci,zw, usato in senso transitivo anche in Hom. Od. I, v. 243.

4 Per il medesimo senso causativo con cui interpretiamo eivsanabai,nw, cf. Livrea 2007, p. 74: «per amore imbarcò Titono».

5 L'integrazione É i;ste de. Ë è di Di Benedetto 1985, p. 154 e id. 2006, p. 5.

6 L'interpretazione di quest'ultimo verso è molto dibattuta, anche dal punto di vista testuale. Una proposta del tutto differente dalla nostra, che riprende la traduzione di Perrotta 1935, p. 36 (e quelle molto simili in Di Benedetto 1985 p. 155, Gentili 2006, p. 145, n° 26 e di Livrea 2007, p. 74), è quella di West 2005, pp. 8-9, che riprendendo la lettura di Schadewaldt, legge to. lampro.n ;Erwj twveli,w (= to. aveli,w), legando il genitivo aveli,w non a ;Erwj, considerato dallo studioso come personificazione del dio, ma a to. lampro.n. Il significato sarebbe: «a me Eros ha concesso lo splendore del sole e la bellezza».

7 Cf., fra gli altri, il fr. 16 V., in cui i varî esempî di ka,lliston sono rappresentati da modelli visivi. Anche Mimnermo (fr. 1 W.2, v. 1), in un contesto in cui teme la vecchiaia come ostacolo al piacere di vivere, ricorda Afrodite

associandola all'oro, metallo inossidabile, e quindi sempre luminoso: ti,j de. bi,oj( ti, de. terpno.n a;ter cruse,hj vAfrodi,thj*

immaginabili attraverso l'occhio mentale: la pelle con le sue rughe, la perdita di brillantezza e di colore dei capelli che incanutiscono1, le ginocchia infiacchite o indurite, che non permettono più di

danzare, né tantomeno di incedere con grazia (la stessa a`brosu,nh evocata al v. 15)2.

In contrasto con la situazione attuale di Saffo, le gradazioni tonali più accese assumono ai suoi occhi un senso del tutto particolare: le Muse "seno di viola" appaiono come modello di eterna giovinezza, sia nel senso tattile che visivo; il nero, opposto al biancore dei capelli ([leu/kai])3, è

ormai solo un piacevole ricordo della sua passata giovinezza (v. 4); all'Aurora che eternamente manterrà le sue "braccia di rosa", da intendere sia in senso tattile che in senso visivo4, si

contrappone il grigiore (v. 12: po,ñlñiñoñgñ) della vecchiaia che attanaglia Titono; la luminosità del sole, infine, è vista come un metaforico anelito di vita5, in contrasto con le tenebre della morte e

dell'oblio, a cui la stessa Saffo allude nel noto tetrastico in cui condanna colei che accusa di «non aver parte delle rose della Pieria», e a cui predice che vagherà «invisibile volando fra i morti oscuri» (fr. 55 V., vv. 2-4):

ouv ga.r pede,ch|j bro,dwn tw.n evk Pieri,aj( avll v avfa,nhj kavn vAi,da do,mw| foita,sh|j ped v avmau,rwn neku,wn evkpepotame,na)

Insieme all'elemento coloristico e, più ingenerale, al ricordo degli aspetti visivi della bellezza giovanile ormai svanita, Saffo fa riferimento, in tutto quello che di intelligibile ci resta dell'"ode della vecchiaia", a due elementi sonoro-musicali: la ce,luj (v. 2), compagna delle feste e dei banchetti, amante del canto e caratterizzata da un suono chiaro e penetrante (liguro,j), ed il verbo stenaci,zw (v. 7), con cui la poetessa esprime i gemiti ed il lamento di dolore per i tristi sintomi della vecchiaia che avanza. Il ruolo dei suoni e della voce, ad un'analisi più attenta, non sembra essere secondario. Il canto dolce degli aedi, insieme al nitido suono della lu,ra, infatti, sono elementi che rientrano nel novero dei ka,la dw/ra concessi dalle Muse al v. 16. Come visivamente le

tonalità brillanti di viola, nero, rosa e oro, associati rispettivamente alle Muse, ai giovani capelli, ad Aurora e al sole, si contrappongono al bianco ed al grigiore della vecchiaia, così anche in senso sonoro i toni chiari e nitidi delle Muse7, della lira e del canto (cf. fila,oidoj) fanno da contraltare a

gemiti gravi e a suoni meno intensi e dal tono cupo e lagrimevole8. Si richiami, a questo proposito,

1 Cf. Anacr. fr. 358 PMG = 13 Gentili, vv. 6-7, in cui potrebbe esservi un'allusione ai peli pubici, invece che ai capelli del poeta. Cf. per questa interpretazione Gentili 2006, p. 166. Per il biancore dei capelli in Anacreonte, cf. anche il fr. 420 PMG = 77 Gentili.

2 Cf. commento ad Alcm. fr. 26 PMGF, vv. 1-2, p. 45 sgg. L'associazione a`brosu,nh-Muse-vecchiaia suggerisce a Livrea 2007, pp. 77-78 un confronto fra i versi di Saffo e i versi del terzo meliambo di Cercida (fr. 3 Livrea). 3 Cf. S. Ant., vv. 1092-1093: evx o[tou leukh.n evgw. | th,nd v evk melai,nhj avmfiba,llomai tri,ca.

4 Cf. Archil. 188 W2., v. 1: ouvke,q v o`mw/j qa,lleij a`palo.n cro,a.

5 Cf. la spiegazione della metafora della luce del sole come amore per la vita nella stessa citazione del v. 26 V. (= 16 Bz.) in Ath. XV, 687b(cod. A) = Clearch. fr. 41 Wehrli: fanero.n poiou/sa (scil. Sapfw,) pa/sin w`j h` tou/ zh/n evpiqumi,a to. lampro.n kai. to. kalo.n ei;cen auvth|/.

6 I mei,lica dw/ra di Mimn. fr. 1 W.2, v. 3 sono invece concessi da Afrodite, e rimandano unicamente alla sfera erotica,

come anche in Sapph. fr. 1 V., v. 22, e in B. XVII, v. 10 (Ku,pridoj Îa`#gnña. dw/ra). Su questo argomento, vd. Degani- Burzacchini 20052, p. 97. La presenza della vecchiaia e dei suoi sintomi visivi, si attestano anche in altre elegie di

Mimnermo: cf. frr. 2 (dove la similitudine uomini-foglie poggia sul potere immaginativo dell'occhio mentale), 3 (in cui , ai vv. 7-8, la stessa vecchiaia «rende irriconoscibile l'uomo, e sconvolge, versandosi attorno, gli occhi e la mente»), 5 W2.

7 Per la nitidezza della voce delle Muse, cf. Alcm. frr. 28, 30 PMGF. Si veda l'analisi di quest'ultimo a p. 136 sgg. 8 Livrea 2007, p. 72 sgg. integra la lacuna del verso 1 suggerendo l'interessante, ma certo del tutto ipotetico,

confronto metaforico fra Saffo e la cicala, additando il tertium comparationis nell'«effusione canora» che caratterizza la vecchiaia di entrambe le figure, Saffo e la cicala. Secondo Ferecide di Atene (V sec. a.C.), inoltre, Titono si sarebbe trasformato in cicala (IV, fr. 140 Jacoby). Lo Schol. Vet. A ad Hom. Il. III, v. 151 (I, p. 385 Erbse) attribuisce l'invenzione di questa metamorfosi a Ellanico di Lesbo (V sec. a.C.). Tuttavia, questa versione del mito, di cui non si ha alcun accenno nella letteratura arcaica, potrebbe essere nata in età classica dalla conflazione fra

il mito di Titono narrato ai vv. 218-238 dell'Inno omerico ad Afrodite: alla vivacità dei colori dell'Aurora (definita cruso,qronoj in vv. 218, 226) e del suo palazzo (cf. le porte «splendenti» al v. 236: qu,raj ))) faeina,j) si oppone il flebile suono della voce del vecchissimo Titono (vv. 237-238), la cui bellezza sempre più sbiadita, non a caso, viene rinchiusa da Aurora dietro le "porte splendenti" della stanza nuziale1.

Non è forse un caso che la stessa Saffo, in fr. 21 V., dopo aver evocato il decadimento della pelle descritto anche nel "carme della vecchiaia" (e con la stessa espressione ] cro,a gh/raj h;dh, in v. 6), esorti a cantare per sé e per le sue compagne, in onore di una fanciulla "dal seno di viola"(vv. 12-13 #⸤a;eison a;mmi | ta.n ivo,kolpon⸤ ⸥). Tale confronto è ricordato, fra altri, da Di Benedetto, che così commenta:

Per ciò che riguarda il confronto tra il fr. 21 e il fr. 58, lo Stiebitz ha notato che in tutti e due i frammenti si ha un'associazione tra il motivo del canto e quello della vecchiaia (è marginale il fatto che l'ordine dei due motivi sia invertito in fr. 21 rispetto a fr. 58). e in effetti sembra difficile pensare che questo sia il risultato di un gioco del caso (o dell'editore alessandrino dei carmi di Saffo). (...) In più, sembra a me che si possa individuare un nesso tra il tema della vecchiaia e quello del canto. Un indizio è fornito a questo proposito da Horat. Od. III 15, 13-15 (si tratta del carme rivolto alla vecchia Clori)

te lanae prope nobilem

tonsae Luceriam, non citharae decent nec flos purpureae rosae.

"Il sonar la cetra e il coronarsi di rose convengono a giovani" osserva il Pasquali a proposito di questo passo. E su questa linea si può capire che sia nel fr. 21 che nel 58 Saffo associ l'invito al canto che ella rivolge a una giovane (nel fr. 21) o alle giovani (nel fr. 58) con considerazioni relative alla sua vecchiaia2.

Da queste considerazioni emerge più chiaramente il valore del duplice accostamento di epiteti doppî riferiti alla ce,luj al v. 2:

[X – ∪ ∪ – ta.]nñ⸥fila,oidon ligu,ran ⸤celu,nnan⸥Å

La ce,luj è definita «amante del canto» e «penetrante»: il primo epiteto rimanda al contesto ed alla sua funzione di accompagnatrice del canto; il secondo, invece, definisce il valore più propriamente sonoro di questo cordofono3. I ka,la d/w/ra che le Muse concedono ai mortali, soprattutto nella loro

giovinezza, non includono soltanto la bellezza ed il benessere fisico4, ma anche la freschezza e la

morbidezza della pelle, il vigore e il connesso successo atletico5, la fluidità dei movimenti

Hom. Il. III, vv. 150-153 (il paragone fra i vegliardi troiani e le cicale) e h.Ven., vv. 237-238 (il fluire interrotto della voce di Titono, murato da Aurora nella sua stanza nuziale). Platone (Phdr. 259b-d), nella sua versione del mito delle cicale, non fa alcun accenno all'invecchiamento, ma lega la metamorfosi degli uomini in cicale alla loro passione per il canto, che li fece morire d'inedia.

1 Cf. p. 48.

2 Di Benedetto 1985, p. 147, con le relative citazioni di F. Stiebitz, Zu Sappho 65 Diehl, in Philologische

Wochenschrift, 45/46, 1926, coll. 1259-1262, e di G. Pasquali, Orazio lirico, Firenze, 19662.

3 Una simile scelta lessicale è riscontrabile nell'incipit della Radina stesicorea, opera incentrata sull'amore di una giovane coppia: a;ge Mou/sa li,gei v a;rxon ktl) | ))) evrata|/ fqeggome,na lu,ra|) Cf. pp. 193-194.

4 Non va dimenticato che la giovinezza, soprattutto nell'antichità, è strettamente legata all'idea di fertilità (specialmente femminile), oltre che a quella della bellezza. Bacchilide III chiede a «Clio dai dolci doni» (v. 3 gluku,dwre Kleoi/) di celebrare col canto, insieme ai veloci destrieri di Ierone (v. 4), Demetra «Signora della Sicilia dagli eccellenti frutti», e Kore «dalla ghirlanda di viole» (vv. 1-2), alla quale, secondo Pi. N. I, v. 13 sgg., Zeus donò la stessa isola come possesso personale.

orchestici, insieme alla possibilità di godere attivamente della molph,1, unione di danza e di musica, e

la conseguente immortalità per mezzo della lode poetica2. Inoltre, la giovinezza è il periodo di

maggior splendore e di più matura dolcezza della voce, nella potenza espressiva come nella giustezza dell'intonazione, nella quale prestava il suo ausilio, immancabilmente, uno strumento musicale come la ce,luj. A questi doni si aggiunge, non secondariamente, quello dell'orecchio e della sensibilità uditiva, che nel fiore degli anni sono nel pieno della loro funzionalità. Il piacere del canto e delle danze, strettamente correlato con l'insieme di tutti i bei doni qui evocati, è diminuito – se non impedito - nella vecchiaia dall'indurimento dei muscoli e dalla perdita di vigore non soltanto nell'eseguire gli schemi orchestici, ma anche nell'intonare la voce e nel percepire con precisione le evoluzioni della linea melodica. Il piacere di ascoltare una bella voce, contrapposto a sensazioni sgradevoli di sordità o di acufene, è motivo presente in Saffo nel fr. 31 V: qui il tema centrale non è l'antitesi giovinezza-vecchiaia, ma l'invidia e la gelosia che la poetessa prova nei confronti di un uomo, per la sua vicinanza ad una fanciulla da lei amata. Mentre quest'uomo, ritenuto simile a un dio per la sua posizione privilegiata, da vicino ascolta le dolci parole della ragazza ed il suo ridere in modo seducente (vv. 3-4):

kai. pla,sion a=du fwnei,Ä saj uvpakou,ei

kai. gelai,saj ivme,roen(

dall'altra parte Saffo reagisce con una serie di manifestazioni psico-fisiche di gelosia, fra cui quella delle orecchie che rombano (vv. 11-12):

evpirro,& mbeisi d v a;kouai3

In Saffo, come in tutta la lirica arcaica, l'udito è strumento al servizio del piacere, oltre che mezzo di partecipazione alla vita sociale. Per una fanciulla del tiaso o per Saffo, l'ascolto è fondamentale non soltanto per poter assolvere il proprio incarico nell'ambito delle cerimonie religiose, ma anche per vivere pienamente il momento della performance, o anche per coltivare il desiderio di una persona amata (come nei versi del fr. 31 V.). La menzione della «ce,luj penetrante, amante del canto» è in questo modo funzionale alla celebrazione della giovinezza, anche per i suoi utili doni che

sicuro che il suo laudando, ancora in età matura – Ierone morirà dieci anni più tardi -, saprà apprezzare l' a;galma «dal dolce dono», ovvero il canto di lode che le Muse «coronate di viole» gli concedono per bocca del poeta (vv. 3- 4): gnw,sh| me.n Îiv#ostefa,nwñn | Moisa/n glukÎu,#dwron a;galñmña. Lo stesso Bacchilide loda la vittoria nella lotta a Pito

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