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dell'usignolo di Ceo dalla lingua di miele 3

1 Le lepa,dej, insieme ad altri tipi di conchiglie, potevano essere riuniti in collane e formare amuleti. È noto alla cultura popolare il potere apotropaico delle tartarughe.

2 Vd. supra, p. 113 n° 4.

3 Maehler 1982, II, pp. 60, 62 intende ca,rin non semplicemente come "grazia", ma come "canto di lode" (Loblied) del poeta offerto in dono a Ierone, e traduce (id. I, p. 67) «die Freundesgabe». Cf. anche Maehler 2004, pp. 98-99: «the gift of the Kean nightingale». Similmente, Sevieri 2007, p. 49 traduce: «il dono gradito». Gentili-Catenacci 2007, p. 386 si attengono invece ad un significato più letterale: «la grazia del canto», spiegando a p. 357 che «la parola ca,rij connota qui la qualità melodiosa del canto, la sua grazia e la sua bellezza».

Fonte: P.Lond. 733.

Metro: kat v evno,plion-epitriti1.

Altre figure retoriche attive: epiteto doppio.

La complessità e le dimensioni dell'Epinicio III suggerirebbero una sua esecuzione a Siracusa o a Catania (rifondata da Ierone nel 476-475 a.C.)2, verisimilmente nell'ambito di un corteo celebrativo,

presso un tempio, in una piazza, davanti o dentro al palazzo dello stesso tiranno3. L'ode contiene

riflessioni generali sul valore della poesia. Un poeta, il suo canto e l'oggetto stesso della sua opera continuano ad esistere anche dopo la morte grazie al potere, non solo metaforico ma anche fisico, estetico e morale, della riesecuzione presso i posteri. L'ode trionfale con cui Bacchilide celebra Ierone per la sua prestigiosissima vittoria con la quadriga ad Olimpia (468 a.C.)4, ha come duplice

scopo quello di eternare l'impresa del tiranno di Siracusa, insieme alla sua immagine, e di far risuonare in future re-performance la gloria del "poeta di Ceo". Al concetto di fama e di gloria si contrappone quello del silenzio, che, per una società basata sulla trasmissione orale del sapere, è sinonimo non semplicemente di morte fisica, ma addirittura di oblio e di cancellazione della propria esistenza dalla storia. Il silenzio, dal punto di vista acustico, è l'habitus dell'oblio, che dall'occhio mentale greco - e del resto anche dall'occhio mentale di noi moderni - è visualizzato con tonalità fosche, come il nero e il grigio. Nell'ode III, Bacchilide ricorda, alludendo a Ierone (v. 10 sgg.), come «tre volte beato» sia quell'uomo che ricevendo da Zeus il dono di un'estesissima signoria, «sa non celare una turrita ricchezza col buio dal nero manto» (vv. 13-14):

oi=de purgwqe,nta plou/ton mh. melam& fare,i? kru,ptein sko,tw|)

Il binomio silenzio-oblio fa da contraltare al binomio canto-gloria. A questa polarizzazione fa riferimento Bacchilide nei citati vv. 94-96, e anche Pindaro vi ricorre frequentemente. Questi, infatti, in P. IX, v. 92, asserisce di aver fuggito con la sua opera poetica la "silenziosa impotenza" (sigalo.n avmacani,an e;rgw| fugw,n), che è «la mancanza di discorsi di lode provocata dal silenzio a cui l'oscurità condanna l'uomo»5. Ancora più chiaramente, nella Nemea IX, a Cromio di Etna

vincitore con il carro, il poeta tebano ricorda (vv. 6-7):

e;sti de, tij lo,goj avnqrw,pwn( tetelesme,non evslo,n mh. camai. siga|/ kalu,yai\ qespesi,a d v evpe,wn kau,caj avoida. pro,sforoj)

vi è un detto fra gli uomini, che una buona opera portata a termine non venga interrata nel silenzio; ma un sacro canto di versi di lode è opportuno.

Una buona opera, qual è una vittoria agonistica, ha dunque bisogno di un poeta per trovare risonanza nella memoria dei posteri. La chiusa dell'epinicio bacchilideo offre, parallelamente all'importantissimo concetto di immortalità nella poesia, anche una metaforica sfragi,j del poeta, che si definisce "usignolo di Ceo". La figura dell'usignolo nella letteratura greca arcaica è sempre

1 Cf. schema metrico dell'epodo in Maehler 2003, p. 8; Gentili-Catenacci 2007, p. 348; Sevieri 2007, p. 41.

2 Cf. RE VIII, s.v. Hieron, p. 1498. In questa città Ierone muore, nel 467-466 a.C., ad un anno dalla vittoria celebrata dall'epinicio bacchilideo.

3 Per una descrizione generale di questo epinicio, cf. Maehler, 1982, II, pp. 32-40; id. 2004, pp. 79-86; Gentili- Catenacci 2007, p. 273; Sevieri 2007, pp. 137-139.

4 Cf. Schol. ad Pi. O. I, I, p. 15 Drachmann. 5 Giannini 20125, p. 613.

legata al canto. Nella prima attestazione in Omero, questo uccello è ricordato per il suo verso melodioso, oltre che per il suo legame con la primavera, di cui è uno dei nunzî. Esso è anche ricordato in connessione con il mito di Procne, che spiegherebbe il tono lamentoso del suo canto con la tristezza di una madre che piange la morte del proprio figlio. Riteniamo utile riportare l'intero passo omerico con la similitudine fra Penelope e l'usignolo, per meglio intendere il valore della metafora bacchilidea (Hom. Od. XIX, vv. 518-524):

w`j d v o[te Pandare,ou kou,rh( clwrhi>j avhdw,n( kalo.n avei,dh|sin e;aroj ne,on i`stame,noio(

dendre,wn evn peta,loisi kaqezome,nh pukinoi/sin( h[ te qama. trwpw/sa ce,ei poluhce,a fwnh,n(

pai/d v ovlofurome,nh ;Itulon fi,lon( o[n pote calkw|/ ktei/ne di v avfradi,aj( kou/ron Zh,qoio a;naktoj\ w]j kai. evmoi. di,ca qumo.j ovrw,retai e;nqa kai. e;nqa come quando la figlia di Pandareo, la verde avhdw,n1,

canta con grazia, mentre giunge di nuovo la primavera, posatasi sulle fitte foglie degli alberi,

e con frequenti gorgheggi versa una voce dai molti echi, piangendo il proprio figlio Iti, che un tempo col bronzo uccise per insana pazzia, figlio di Zeto signore;

così anche il mio cuore è mosso qua e là, in maniera discorde

Con questa celebre similitudine Penelope mette in rilievo la sua sofferenza ed il suo dissidio interiore, fra il resistere o il desistere di fronte alle richieste dei pretendenti. La figura della moglie di Ulisse è molto coerente con quella dell'usignolo-Procne, e la similitudine è del tutto appropriata, come sottolinea Russo 1985, p. 253:

Ella assomiglia all'usignolo per la frequenza e l'intensità del suo lamento (cfr. pukinai, e a`dino,n, v. 516, con qama,, v. 521). (...) La scelta di questa similitudine da parte di Penelope per esprimere il suo stato d'animo è, inoltre, resa appropriata dal fatto che anche lei teme di provocare la morte di suo figlio, se continuerà, rifiutando le nozze, ad esasperare i Proci e a spingerli a disperate trame contro Telemaco. Penelope e Procne hanno molti punti in comune: entrambe sono figure femminili, madri con un figlio in pericolo, o già morto, ed entrambe trovano sfogo al loro dolore nella sfera acustica, Penelope con gemiti e singhiozzi (cf. v. 513: te,rpom v ovdurome,nh goo,wsa), l'usignolo-Procne attraverso un canto bello e una voce risonante (vv. 519-521), ma il cui tono risultava malinconico alle orecchie dei Greci. La prima apparizione dell'usignolo nella letteratura greca può essere interpretata come la registrazione di una figura ormai stabilmente presente nell'immaginario collettivo, tanto da essere usata come termine di paragone. La avhdw,n, un tempo Procne, appare fin dall'inizio intimamente legata alla sfera femminile, alla primavera e al dolce canto, ancor oggi proverbiale. L'usignolo è presente anche in Esiodo, nella celeberrima favola dell'usignolo e lo sparviero (Op. vv. 202-212):

Nu/n d v ai=non basileu/si evre,w frone,ousi kai. auvtoi/j\ w-d v i;rhx prose,eipen avhdo,na poikilo,deiron

u[yi ma,l v evn nefe,essi fe,rwn ovnu,cessi memarpw,j\ h` d v evleo.n gnamptoi/si peparme,nh avmf v ovnu,cessi mu,reto\ th.n o[ g v evpikrate,wj pro.j mu/qon e;eipen\ « daimoni,h( ti, le,lhkaj* e;cei nu, se pollo.n avrei,wn\ th|/ d v ei=j( h|- s v a;n evgw, per a;gw kai. avoido.n evou/san\

1 Essendo molto difficile rendere nella traduzione italiana il genere femminile di avhdw,n, preferiamo mantenere il termine greco, sia nei versi omerici sia in quelli esiodei.

dei/pnon d v( ai; k v evqe,lw( poih,somai hve. meqh,sw) ;Afrwn d v( o[j k v evqe,lh| pro.j krei,ssonaj avntiferi,zein\ ni,khj te ste,retai pro,j t v ai;scesin a;lgea pa,scei ») ]Wj e;fat v wvkupe,thj i;rhx( tanusi,pteroj o;rnij)

Ora narrerò una favola per i signori che sono anche saggi. Uno sparviero parlò così ad una avhdw,n dal collo variopinto

portandola in alto, fra le nubi, dopo averla ghermita con gli artigli; quella, trafitta tutt'attorno dagli artigli ricurvi, pietosamente piangeva; e a lei, con superiorità, quello rivolse la parola: «Disgraziata, che cosa ti strilli? Ti tiene ora uno molto più forte; andrai lì dove io ti conduco, anche se sei una cantatrice;

farò di te un pasto, se lo desidero, o ti lascerò andare. Stolto colui che vuole mettersi contro i più forti! È senza vittoria, e oltre all'onta soffre dolori».

Così parlò lo sparviero dal rapido volo, uccello dalle ampie ali.

Come è tipico di una favola, i due animali vengono umanizzati, ma allo stesso tempo mantenendo quelle caratteristiche che concordemente i Greci riconoscevano loro: l' i;rhx, con i suoi artigli aguzzi e la sua forza prorompente, è l'uccello rapace, e bene simboleggia l'arroganza del più forte; la avhdw,n, uccello notevolmente più piccolo, è apprezzato per la bellezza del suo piumaggio (cf. poikilo,deiroj) e per il suo canto (cf. avoido,j), che può diventare suono stridulo in situazioni estreme (v. 207)1, e rappresenta la categoria di coloro che soccombono per inferiorià di mezzi di fronte ai

soprusi dei potenti. All'inferiorità della avhdw,n, soprattutto dal punto di vista fisico, deve aver contribuito anche il genere femminile dell'uccello nella lingua greca, e più particolarmente nei versi di Esiodo. L'interpretazione della favola non trova il consenso unanime della critica, e l'identificazione del poeta Esiodo con la avhdw,n non è l'unica soluzione esegetica possibile (cf. infra)2. Tuttavia, come nel passo omerico, risulta evidente la caratterizzazione sonora, e più

precisamente canora (avoido,j), dell'usignolo, pur nell'ambito moralistico di una favola. L'usignolo è molto presente anche nei lirici arcaici: un commento papiraceo attesta la sua presenza in senso sonoro in Alcmane (fr. 10 PMGF, r. 6: a;kousa tan avhdÎon), Saffo e Simonide riconfermano il suo ruolo di nunzio di primavera (Sapph. fr. 136 V.: h=roj a;ggeloj ivmero,fwnoj avh,dwn e Simon. fr. 586 PMG: eu=t v avhdo,nej polukw,tiloi | clwrau,cenej eivarinai,)3, mentre nell'Inno ad Apollo di Alceo gli

usignoli, insieme alle rondini ed alle cicale, cantavano in onore del dio (fr. 307c V.: a;|dousi me.n avhdo,nej auvtw|/).

La metafora di Bacchilide si inscrive dunque nel solco della tradizione letteraria arcaica, che vede nell'usignolo un animale mitologico, canoro e primaverile. Solo in seguito ad un processo di formalizzazione, e attraverso la continua esaltazione della bellezza del suo canto, si può immaginare la costituzione della metafora del poeta-usignolo, che sembra essere abbozzata già nei citati versi di Esiodo. Parallelamente, si può immaginare che anche gli elementi del mito di Procne e della primavera continuino ad essere impliciti nell'immagine e nel suono di questo uccello, e ad essere esaltati qualora il contesto lo richieda4. Nella avhdw,n di Bacchilide non vi è alcuna allusione al mito

di Procne, non certo per un problema di incompatibilità di generi (fra il femminile avhdw,n ed il poeta Bacchilide), ma perché il riferimento ad un canto luttuoso, quale sarebbe quello dell' avhdw,n - Procne, male si accorderebbe con il carattere dell'epinicio, che invece deve avere toni di gioia e che

1 Un simile effetto sonoro è richiamato da Bacchilide in V, vv. 22-23, in cui gli uccelli prede dell'aquila sono impauriti ed ligu,fqoggoi fo,bw|.

2 Cf. Ercolani 2010, pp. 204-206.

3 Per ulteriori approfondimenti sul valore sonoro dell'usignolo, vd. commento a Simon. fr. 586, p. 74 sgg. Altri riferimenti a questo uccello in Maehler 2004, p. 100.

4 Il lamento dell'usignolo-Procne per il figlio riscontra successo, ad esempio, nella tragedia e nella commedia di V secolo. Cf. A. A., vv. 1142-1145; S. El., vv. 147-149; E. fr. 773 Kannicht, vv. 23-26; Ar. Av., vv. 209-214.

mira alla lode e all'esaltazione dell'impresa del laudando. È inoltre evidente che il poeta di Ceo non fa riferimento né all'animale primaverile, né al bel piumaggio dell' avhdw,n, né al suo dolce suono. Questi elementi, che l'uditorio facilmente potrebbe ricreare attraverso l'occhio e l'orecchio mentali, lasciano il posto ad un ruolo più stilizzato dell'usignolo, quello dell' avhdw,n - avoido,j, associazione mentale che, suggerita anche da una evidente analogia fonetica, è quasi certamente il frutto di un duplice passaggio metaforico: avhdw,n = canto = poesia. La metafora dell'"usignolo di Ceo", in definitiva, fa leva su una letterarizzazione dell' avhdw,n, sovrapposto facilmente al poeta in virtù della sua cristalizzazione come animale canoro. Dal confronto con la tradizione e con le occorrenze dell'usignolo nella letteratura anteriore a Bacchilide, emerge così un dato indiscutibile: nella metafora di questo epinicio, l' avhdw,n è spogliato di ogni riferimento alla primavera ed al mito di Procne, e conserva soltanto le caratteristiche della chiara fama del suo canto e, più implicitamente, del suo rapporto con l'immortalità e con il divino (cf. il menzionato Inno ad Apollo di Alceo)1.

Queste constatazioni sono in accordo con il contesto storico-artistico, la metà del V secolo, in cui alcuni elementi della tradizione poetica compaiono ormai cristallizzati in topoi letterarî. Si potrebbe pensare che il primo ad aver usato la metafora "poeta = usignolo" sia stato Esiodo nei versi su riportati delle Opere e i giorni2. Tuttavia, pur riconoscendo all'usignolo della favola un ruolo

"umano"3, l'identità Esiodo = avhdw,n non è del tutto certa e, anche ammettendola, il contesto

suggerirebbe non una sovrapposizione fra il ruolo del poeta Esiodo e quello della avhdw,n cantatrice, ma un parallelismo etico-sociologico fra due esseri, Esiodo e l' avhdw,n, che soccombono alla legge del più forte. Per quanto ci consente di affermare la nostra conoscenza della lirica greca arcaica, possiamo individuare in Bacchilide il primo poeta ad aver usato chiaramente l'usignolo come metafora di sé stesso in senso strettamente poetico-musicale. Egli accosta alla sua funzione di poeta, cantore della gloria di Ierone e della sua propria fama, l'immagine dell'usignolo, simbolo del canto, arricchendolo con l'epiteto doppio meli,glwssoj4, che nel V secolo doveva aver perso la sua

pregnanza espressiva originaria, e valendo più semplicemente come complemento formale di una figura nota per le spiccate capacità canore. La figura con cui Bacchilide chiude l'ode a Ierone rappresenta una tappa importante del processo semantico che porta l'usignolo ad essere ricordato dapprima per le sue caratteristiche fisiche (visive e acustiche), per la sua presenza in contesto primaverile, e parallelamente come il rappresentate zoomorfico di un mito malinconico quanto il suo canto, e solo più tardi, e in seguito ad una sua letterarizzazione, come metafora perspicua per la figura del poeta5. Quest'ultima tappa evolutiva, che come si è visto è presente in maniera embrionale

in Esiodo, è visibile soltanto a partire dalla sphragis di Bacchilide. Allargando le nostre considerazioni sull'immaginario collettivo greco, è possibile ravvisare un cambiamento nella percezione ideale dell' avhdw,n, dalla similitudine omerica (Penelope - avhdw,n), ricca di connotazioni mitologiche (Procne), temporali (la primavera), e canore, alla metafora bacchilidea (Poeta - avhdw,n), che fa leva su un valore simbolico dell'usignolo, considerato come cantore a prescindere dal contesto in cui lo si ode e dal tono reale dei suoi gorgheggi. È interessante, infine, accostare la metafora dell'usignolo con altre due simili figurae in Bacchilide, il quale usa per sé stesso le metafore del gallo (IV, v. 8) e dell'ape (X, v. 10), puntando sulle connotazioni sonore di questi animali6.

1 Maehler 2004, p. 100 ricorda che l'usignolo-poeta ha "una lingua di miele" perché ispirato da Clio dispensatrice di dolcezza (v. 3: gluku,dwre Kleoi/).

2 Cf. Maehler 1982, II, pp. 62-63. 3 Cf. Nünlist 1998, p. 45.

4 Per uno studio sulla dolcezza del canto, cf. p. 49.

5 Cf., ad esempio nella letterarua ellenistica, AP VII, 44 (Ion?), v. 3 (riferito ad Euripide), e 414, v. 3 (riferito a Rintone, poeta di ilarotragedie).

B. Dyth. II (Text XVI Maehl.), vv. 1-12

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