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si levò allora a smuovere le foglie, tale che avrebbe impedito, spandendosi, alla voce dolce come miele

di aderire a orecchie di mortali.

Fonte: Plu. Quaest. conv. VIII, 3, 4 (722c), IV 270 Hub.

Metro: dattilico, secondo la disposizione dei cola in Page 19834, p. 303. La scansione colometrica

di questo frammento è tuttavia incerta1.

Genere: lirica corale (encomio, peana, epinicio)2. Altre figure retoriche attive: sinestesia.

Questi versi rimandano a una disquisizione, all'interno dell'ottavo libro delle Quaestiones Convivales (VIII, 3), su quale sia il mezzo di propagazione del suono, se il vuoto (to. keno,n) o l'aria (o` avh,r), partendo dalla domanda: perché di notte i suoni sono percepiti più distintamente? Nello sviluppo della sua tesi, il personaggio Ammonio sostiene, opponendosi a Boeto, che sia l'aria e non il vuoto a permettere ai suoni di propagarsi. Ne è prova il fatto che l'aria, a seconda del suo stato di moto o di quiete, permette una propagazione più o meno facilitata del suono. Un tempo calmo e sereno di bonaccia è il contesto propizio ad una buona sonorità (nhnemi,a ga.r hvcw/dej kai. galh,nh VIII, 3, 4) mentre in un ambiente ventoso i suoni si propagano con difficoltà. Secondo i versi di Simonide, in particolare, il vento impedirebbe ad una voce di giungere alle orecchie dell'ascoltatore3. Nonostante la scientificità del contesto in cui è citato, questo frammento

testimonia, insieme ad altri, un interesse molto accentuato di Simonide per il suono del vento, a cui è implicitamente legato anche quello del mare. Non a caso, l'epiteto eivnosi,fulloj, composto di e;nosij (scuotimento) + fu,llon (foglia), qui con il significato di "scuotitore di foglie", è attribuito da Omero a monti di piccole isole, come il Nerito di Itaca, o in ogni caso molto vicini al mare4.

1 Per l'interpretazione dattilica di questi versi, cf. anche Korzeniewski 1968, p. 81. Gentili-Catenacci 2007, p. 289 propongono una disposizione colometrica, e una conseguente interpretazione metrica, differente da quella di Page, mantenendo inoltre la lezione tràdita katekw,lue (corretta da Page in k v avpekw,lue), e ritenendo necessario correggere il tràdito skidname,na con kidname,nan (Schneidewin). La correzione kidname,na, accolta da Page, è di Wyttembach. Lomiento 2014, p. 434 offre una interpretazione colometrica di poco differente da quella di Gentili- Catenacci, ravvisando, fra l'altro, un enjambement lessicale fra il v. 1 e il v. 2 (avh,|ta), e un enjambement infrasintagmatico di tipo soggetto/verbo (a[tij / katekw,lue) fra il v. 2 e il v. 3.

2 Poltera 2008, p. 108 classifica questo frammento (n° 17bnella sua edizione) fra gli epinicî.

3 Fra i confronti più interessanti a questo diniego della percezione sonora figurano i vv. 18-20 del fr. orph. 168. Cf. Poltera 2008, p. 109.

4 In tutti questi casi, l'epiteto assume il significato di "luogo in cui le foglie sono scosse", evidentemente dal vento. Vd. ThLG s.v. vEnosi,fulloj ed i seguenti passi omerici: Il. II, v. 632 e Od. IX, v. 22 in riferimento al Nerito; Il. II, v. 757, Od. XI, v. 316, in riferimento al Pelio, monte tessalo vicinissimo al mare (vd. Talbert 2000, p. 55, E2). Cf. Hom. Il. XIV, vv. 398-399, in cui si ricorda il sibilo fra le alte querce per opera del vento, che più di ogni altro elemento «risuona infuriando con forza»: ou;t v a;nemoj to,sson ge peri. drusi.n u`yiko,moisi Õ hvpu,ei( o[j te ma,lista me,ga bre,metai calepai,nwn. In Ar. Th., vv. 997-998 "risuonano" (bre,montai), insieme alle valli petrose, i monti coperti di nere foglie: mela,mfulla, t v o;rh.

Essendo nato in una piccola isola come Ceo, e avendo molto viaggiato, è certo che Simonide fece più volte l'esperienza dell'ascoltare direttamente i suoni del vento e del mare1. Non è chiaro quale

fosse il contesto originario di questi versi. Poltera 2008, pp. 108, 311-312, sostiene che essi siano da associare al fr. 508 PMG, in cui lo stesso Simonide fa riferimento ai "giorni degli alcioni". Questi uccelli, il cui rapporto con il mare è ricordato anche in Alcm. fr. 26 PMGF attraverso la metafora del cerilo (v. 3: o[j t v evpi. ku,matoj a;nqoj a[m v avlkuo,nessi poth,tai)2, usavano partorire nel periodo

prossimo al solstizio d'inverno, e in tale momento Zeus placava i venti addolcendo per quattordici giorni i rigori della stagione invernale. Per tal motivo, si usava chiamare sacro e "allevatore di piccoli" questo breve periodo dell'anno (fr. 508 PMG, vv. 3-7):

laqa,nemon de, min w[ran kale,ousin evpicqo,nioi i`era.n paidotro,fon poiki,laj avlkuo,noj)

Ci sono buoni motivi, anche metrici3, per accostare i due frammenti simonidei 595 e 508 PMG. Il

tema centrale del fr. 595 PMG è la percezione acustica del vento, e la forza sonora di questo elemento naturale, capace di coprire ogni altro suono con il suo rombo. È lecito considerare il suono del vento e la voce evocata da Simonide come elementi a lui ben noti perché familiari. Come si è ricordato, il poeta nacque in una piccola isola e viaggiò molto per mare. Egli, inoltre compose canti per giovani cori: i suoni del vento, del mare e della voce umana devono dunque averlo accompagnato per tutta la vita.

Un dato che traspare dall'analisi dei frammenti arcaici, è che sia il vento sia il mare emettono suoni che all'orecchio greco suonano come confusi e non armoniosi. Due esempî molto interessanti sul rombo del mare provengono dai frammenti dello stesso Simonide. Nel primo (fr. 533 PMG) presumibilmente l'onda del mare è detta "rimbombare":

evbo,mbhsen qala,ssaj

Nel secondo, il suono del mare agitato è rappresentato dal termine ovrumagdo,j (fr. 571 PMG): i;scei de, me porfure,aj a`lo.j avmfitarassome,naj ovrumagdo,j

I termini bombe,w e ovrumagdo,j esprimono il senso di suoni disarmonici e minacciosi, connotando quindi il mare e la sua espressione sonora in senso negativo4. Che il mare non emetta un suono

gradevole, ma piuttosto un fragore di flutti o un rombo di onde è desumibile anche dal consiglio che Anacreonte dà ad una donna del simposio, di «non mugghiare» come il mare, così come fa invece la «rumorosa Gastrodora» bevendo vino a garganella (fr. 427 PMG = 48 Gentili)5. Fra il mare e l'uomo

non vi è, nell'antichità, quel senso di profonda simpatia inaugurato soltanto a partire dall'arte e dalla letteratura romantica: si ricordi, ad esempio, il sentimento negativo che lega, secondo il coro, Filottete alla sua infelice vita sull'isola di Lemno, dove l'eroe passa la sua esistenza a udire in solitudine e con sofferenza il triste rimestio dei flutti (S. Ph., vv. 687-690bis)6.

1 Per una riflessione su come i Greci immaginavano e sentivano il mare ed il vento, associandoli ad un linguaggio antropomorfico per la loro familiarità con l'esperienza umana, si veda l'interessante contributo di Janni 1997, in particolare a p. 154 sgg. Secondo questo studio, il mare sembra avere avuto per gli antichi due aspetti polarizzati, enucleati rispettivamente nella dolcezza della bonaccia e nell'ostilità della tempesta (p. 155).

2 Per lo studio dei primi due versi di questo frammento, cf. p. 45 sgg. 3 Vd. Poltera 2008, pp. 108, 312-314.

4 Anche Minosse, nel lanciare la sfida a Teseo in B. XVII, vv. 76-80, lo invita a tuffarsi nel mare "dal cupo fragore" (vv. 76-77: ba&|ru,bromon pe,lagoj), sottolineando con questa espressione la temibilità del mare.

5 Per una breve analisi di Simon. frr. 533 e 571 PMG e dei versi di Anacreonte, cf. p. 100 sgg.

Anche per quanto riguarda il vento, la cultura greca arcaica, e più in particolare Omero, associano il levarsi del vento ad un sentimento di sofferenza per l'uomo. La dea Era è detta suscitare i soffi dei "dolorosi" venti sul mare in Il. XIV, v. 254:

o;rsas v avrgale,wn avne,mwn evpi. po,nton avh,taj

Sia il mare sia la terraferma sono sconvolti dal pernicioso arrivo dei venti. Così, quando Agamennone si leva di fronte ai capi achei per persuaderli ad abbandonare Troia dopo una estenuante guerra di già nove anni, l'assemblea è sconvolta (lett. "smossa") come è sconvolto il mare Icario quando vi si abbattono Euro e Noto, piombando dalle nuvole, o come quando Zefiro giunge a turbare la messe, piegandone le spighe, dopo essere precitipato con violenza (Il. II, vv. 144-149):

kinh,qh d v avgorh. fh. ku,mata makra. qala,sshj( po,ntou vIkari,oio( ta. me,n t v Eu=ro,j te No,toj te w;ror v evpai<xaj patro.j Dio.j evk nefela,wn)

w`j d v o[te kinh,sh| Ze,furoj baqu. lh,i?on evlqw,n( la,broj evpaigi,zwn( evpi, t v hvmu,ei avstacu,essin

L'azione del vento sul mare è ricordata anche da Simonide, che in fr. 600 PMG suggerisce l'immagine dell'increspamento del mare dovuto alla forza dei venti:

evj a[la sti,zousa pnoia,1

Il vento è considerato dai Greci una forza sconvolgente della natura. Sul piano sonoro, la sua caratteristica precipua è di generare un suono forte e penetrante, soprattutto quando soffia con gran forza, e spinge, ad esempio, le navi di Ulisse a gran velocità sulle rotte pescose (Hom. Od. III, vv. 176-177):

w=rto d v evpi. ligu.j ou=roj avh,menai\ ai` de. ma,l v w=ka ivcquo,enta ke,leuqa die,dramon

Nell'Iliade, il temibile vento è ricordato in un contesto di linguaggio figurato, dotato di una voce che fa risuonare la vela della nave in tempesta. Nel canto XV, infatti, Omero paragona Ettore ed il suo piombare sulla mischia (v. 624) ad un'ondata violenta che, «nutrita dal vento» (vv. 624-625) si abbatte su una nave a tal punto che questa scompare sotto la schiuma, mentre il soffio temibile del vento fa rumoreggiare la vela, facendo tremare i marinai dal cuore atterrito (vv. 625-628):

h` de, te pa/sa a;cnh| u`pekru,fqh( avne,moio de. deino.j avh,thj

i`sti,w| evmbre,metai( trome,ousi de, te fre,na nau/tai deidio,tej\

Il vento ed il suo suono minaccioso sono presenti nel simonideo Lamento di Danae (Simon. fr. 543

soltanto la sua grotta e i prati, ma anche l'"energico frastuono del mare": ktu,poj a;rshn po,ntou (S. Ph. vv. 1455). Cf. Del Corno 1997, pp. 100-101. L'attività fonica del mare fa pendant, nella cultura greca arcaica, con la sua capacità di ascolto e quasi di intendimento. A supporto di questa tesi, si vedano i vv. 126-129 di B. XVII, in cui il mare risuona a sostegno di cori umani (vd. pp. 44-45),e un passo dell'orazione XLVII di Imerio (117, p. 194-195 Colonna = 535 PMG), in cui si ricorda l' wv|dh, con cui Simonide sapeva rendere il mare benevolo. Su quest'ultimo argomento, cf. p. 126.

1 Il significato letterale del verbo sti,zw è «marcare, segnare, tatuare». Vd. LSJ s.v. Sti,zw. Gentili-Catenacci 2007, p. 290 traducono (accettando la correzione di Bergk, ei=s$i% in luogo del tràdito evj) «verrà la brezza a tatuare il mare». Un analogo uso metaforico del verbo, sottolineano, è in Ar. V., v. 1296: stizo,menoj bakthri,a|.

PMG). L'alto valore poetico di quest'ode, come ricordano Gentili-Catenacci 2007, pp. 290-291, è dato anche da un linguaggio fortemente evocatore di immagini e di suoni:

È questo un raro esempio nella storia della lirica greca di poesia degli stati d'animo; è rappresentata attraverso potenti contrasti di situazioni la disperazione e la tenerezza di una madre, la serena innocenza di un bimbo e la crudeltà della natura. Al linguaggio narrativo-lirico si sostituisce, in una scarna essenzialità espressiva che poco o nulla concede alla ornamentalità della lirica corale, un linguaggio figurativo-emozionale. Le gradazioni dei sentimenti s'intensificano nel dato visivo o nel dato ritmico qui eccezionale e geniale1.

Con questo "linguaggio figurativo-emozionale", il poeta fa leva sull'orecchio mentale, oltre che sull'occhio mentale, del suo uditorio. Fin dall'inizio, infatti, quella che Simonide pone davanti agli occhi attraverso l' evna,rgeia della sua poesia è la scena vista dal di dentro della cassa di legno2,

dall'eccelsa fattura (vv. 1-2), in cui Danae e Perseo sono rinchiusi. Il vento ed il mare sono evocati nel loro abbattersi sulla cassa lignea, infondendo timore nel cuore della madre in lacrime (vv. 3-5):

a;nemo,j te † mhn † pne,wn kinhqei/sa, te li,mna dei,mati e;reipenÃ

Il mare, incombendo minaccioso, passa vicino ai capelli del fanciullo ignaro del pericolo, mentre il vento continua a soffiare diffondendo il suo minaccioso fqo,ggoj (vv. 13-16):

a;cnan d v u[perqe tea/n koma/n baqei/an pario,ntoj

ku,matoj ouvk avle,geijà ouvd v avne,mou fqo,ggon3

Alla descrizione sonora del vento e del mare, che marcano la loro presenza con un temibile fragore, si oppone l'atteggiamento del fanciullo Perseo. Questi dorme (vv. 8-9: su. d v avwtei/j ... | ... know,sseij), e attraverso il suo stato di quiete è possibile percepire il silenzio di un bambino addormentatosi fra le braccia materne. Mentre gli elementi fanno sentire la loro minacciosa presenza, il piccolo Perseo sembra protetto dal silenzio della sua innocenza. Danae, da parte sua, è descritta come affascinata da questo sonno-silenzio, e confidando in questa situazione, canta (vv. 18-22)4:

eiv de, toi deino.n to, ge deino.n h=nà se per te fosse terribile ciò che è terribile

kai, ken evmw/n r`hma,twn anche alle mie parole

lepto.n u`pei/cej ou=aj) debolmente presteresti ascolto. ke,lomai d v( eu=de bre,foj( Dormi bambino, ti dico,

1 Hutchinson 2001, p. 306 descrive il passo nelle sue linee generali, sottolineandone l'intensità emotiva e la plasticità del linguaggio, che ci permette di vedere la scena (e.g.: il buio artificiale, l'acqua che lambisce i due protagonisti) sotto diverse angolature: da vicino (in senso sentimentale), ma anche da lontano (nella comprensione generale della scena).

2 Questo aspetto non sfuggì all'autore del Sublime (cf. 15, 7 = fr. 557 PMG). Vedi a questo proposito anche Gentili 2006, p. 90.

3 Dei problemi filologici di questi versi discutono, fra gli altri, Gentili-Catenacci 2007, pp. 292-293 e Poltera 2008, pp. 219-221, 503-504, propendendo per scelte testuali differenti da quelle da noi riportate, che si rifanno all'edizione di Page 19834, pp. 284-285. Per il valore di fqo,ggoj, che caratterizza il vento come elemento ostile, cf.

Hutchinson 2001, p. 315.

4 Hutchinson ibid. p. 307 definisce "straziante" (poignant) il rivolgersi di Danae al bambino dormiente, che costituisce il "l'oggetto" a cui la madre può rivelare i suoi sentimenti. Lo stesso studioso oxoniense fa riferimento (fornendone la bibliografia) ad alcuni vasi attici che permettono al lettore di questi versi di vedere ciò che la poesia permette di visualizzare.

eu`de,tw de. po,ntoj( eu`de,tw d v a;metron kako,n\ e dorma il mare, e dorma la smisurata sventura1;

In questi ultimi imperativi, che Danae pronuncia all'indirizzo del mare e della smisurata sventura, è lecito scorgere un suo metaforico desiderio che anche il mare ed i mali "tacciano nel sonno", così come nel sonno tace il neonato2.

Quanto fin qui esposto getta nuova luce sul valore che il vento ed il mare, in opposizione a suoni umani quali una gh/ruj, potrebbero aver assunto in Simon. fr. 595 PMG. Il vento che impedirebbe alla meliadh.j ga/ruj di aderire alle orecchie (di un eventuale ascoltatore) non si oppone alla voce soltanto dal punto di vista meramente acustico, ma anche sul piano estetico e concettuale. L'epiteto doppio melihdh,j pone l'accento sulla dolcezza della voce gh/ruj: l'associazione "voce di miele" (suono + gusto) costituisce una sinestesia già formalizzatasi al tempo di Simonide3. Tuttavia, la

rarità del sintagma meliadh.j ga/ruj, un unicum nella letteratura greca4, potrebbe aver rivitalizzato il

valore originario dell'epiteto, ed esaltato, allo stesso tempo, il valore estetico della gh/ruj.

Nella scena descritta da Simonide è sottolineata l'assenza del vento. Sul piano sonoro e concettuale, il tacere di un suono sgradevole alle orecchie (quello dell' avh,th) favorisce, dunque, il diffondersi di una dolce voce, la cui fonte rimane a noi misteriosa. Non è da escludere, inoltre, che in questo frammento, insieme alla dolcezza, Simonide facesse riferimento anche all'aspetto sacrale del canto: la sacralità e la dolcezza-bellezza, infatti, sono gli elementi fondamentali che descrivono il valore culturale della musica in Grecia, sacra e positiva allo stesso tempo. Alcuni confronti potrebbero suggerire la presenza dell'elemento sacrale anche nell'ode da cui è tratto Simon. fr. 595 PMG. Esiodo, in Th., vv. 96-97, ricorda che la voce di colui che le Muse amano scorre sempre dolce dalla sua bocca (v. 97: glukerh, oi` avpo. sto,matoj r`e,ei auvdh,). Lo stesso Simonide, nei citati versi dei "giorni degli alcioni" (Simon. fr. 508 PMG), ricorda lo stretto legame fra gli uccelli, animali canori per eccellenza, ed il momento sacro dell'anno a cui essi sono legati. Ancora più chiaramente, Eschilo, in Supp., vv. 694-697, mette in bocca al coro un'idea di kalokavgaqi,a musicale, per la quale si invitano gli aedi a cantare inni di buon augurio sugli altari, a mo' di sacrificio, cosicché da bocche pure si intoni una voce ben accordata con la fo,rmigx5: ad una bellezza-dolcezza della voce, dunque,

deve sempre corrispondere una sacralità ed una valentia etica del cantore.

Alla luce di questi confronti, sembra legittimo pensare che i due frr. simonidei, 508 e 595 PMG, appartenessero se non alla medesima ode, quanto meno ad un contesto comune. I riferimenti agli alcioni e alla voce che il vento avrebbe potuto annullare, infatti, potrebbero essere coerenti con uno stesso argomento compositivo. Simonide, in particolare, potrebbe aver instaurato un parallelismo fra gli uccelli sacri e il loro bel verso da una parte, e la sacralità e la dolcezza delle voci di un coro dall'altra. Il confronto flagrante con Alcm. fr. 26 PMGF, in cui alcioni e cerilo (uccelli della stessa specie) si confondono con i ruoli del coro e del poeta, definiti rispettivamente meliga,ruej i`aro,fwnoi (v. 1) e a`lipo,rfuroj i`aro.j o;rnij (v. 4), potrebbe corroborare questa ipotesi interpretativa.

Un ultimo riferimento va fatto al possibile valore sinestetico dell'associazione meliade,a ga/run Õ avrarei/n avkoai/si, come è stato suggerito da Gentili-Catenacci 2007, p. 289:

Il senso tattile della voce, che sembra intuire il movimento e la concretezza delle onde sonore, è forse uno degli esempi più illustrativi della poetica figurativa di Simonide (...), della sua icasticità di rappresentazione che mira a oggettivare ogni dato sensibile.

In sede di commento, i due studiosi precisano anche che il significato dell'infinito aoristo2 avrarei/n è

«"fissarsi", meglio "aderire" con valore intransitivo come in Od. IV, v. 777 o] (mu/qoj) dh. kai. pa/sin

1 L'uso di un linguaggio semplice al v. 21, suggerisce a Hutchinson 2001, p. 307 il riferimento ad una ninna nanna. 2 Similmente, Gentili-Catenacci 2007, p. 294 vi vedono il senso «che tutto abbia fine».

3 Cf. p. 49.

4 Vd. Gentili-Catenacci 2007, p. 290. 5 Cf. l'analisi di questi versi a p. 50.

evni. fresi.n h;raren h[min». Questa ipotesi interpretativa, condivisa da altri studiosi1, non è l'unica

possibile. Altri, come Poltera 2008, p.110, traducono dando il senso di «giungere alle orecchie». Il verbo avrari,skw, il cui presente si è formato dal tema dell'aoristo h;raron2, porta in origine un

significato concreto, di connessione, di legame o di fisica aderenza ad una superficie. Corradicali di questo verbo, infatti, sono termini quali a[rma (connessione fra gli animali da traino ed il veicolo), a`rmo,j (giunzione, gancio), a;rqmo,j (connessione fra uomini, amicizia), o a`rmoni,a (connessione e adattamento fra membri, suoni, leggi)3. Omero, fra i molti esempî, adotta il verbo avrari,skw per

descrivere l'aderenza dell'elmo che Ettore strappa dalle tempie del magnanimo Anfimaco (Il. XIII, vv. 188-189: [Ektwr d v o`rmh,qh ko,ruqa krota,foij avrarui/an | krato.j avfarpa,xai megalh,toroj vAmfimacoio\), così come l'aderenza alle tempie dell'elmo che Efesto forgia per Achille (Il. XVIII, v. 611) o quella fra gli scudi dei Mirmidoni che, in risposta all'allocuzione stringata di Achille, si rinserrano con coraggio come fossero fitte pietre di un muro (Il. XVI, vv. 212-215)4. A questi

esempî vanno aggiunti i casi in cui lo stesso verbo sembra avere assunto un significato metaforico, passando dal senso di "aderire" a quello di "adattarsi", fino a quello, per estensione, di "essere gradito", soprattutto in espressioni in cui l'azione del verbo si rivolge al qumo,j (Hom. Il. I, v. 136 a;rsantej kata. qumo,nà in riferimento al dono che gli Achei potrebbe fare ad Agamennone in cambio di Criseide) o alla frh,n (vd. supra, Hom. Od. IV, v. 777, citato da Gentili-Catenacci). Quella del frammento simonideo, ad ogni modo, è l'unica attestazione del verbo "aderire" in cui il soggetto sia un termine sonoro (ga/ruj) e in cui l'azione sia diretta su una parte del corpo più connessa con l'udito (cf. avkoai/si) che con il tatto. Questa espressione rara potrebbe tradire un ricercato valore enfatico con cui Simonide avrà voluto sollecitare l'immaginazione plurisensoriale dell'uditorio5. Di fatti, il

collegamento fra la voce e la sua azione "tattile" sull'orecchio – o meglio sulle orecchie - degli ascoltatori sarebbe suggerito anche dal contesto scientifico e, in particolare, fisico acustico, che riprende il frammento simonideo citandolo (vd. supra). L'associazione fra gusto, udito (meliadh,,j ga/ruj) e tatto (avrari,skw) evoca il senso fisico e dilettevole della voce, che non soltanto suscita una sensazione di dolcezza, ma agisce anche tangibilmente sull'orecchio dell'ascoltatore6.

Infine, si portino a confronto i versi di Simonide con quelli della Teogonia, in cui Esiodo avvia la sua poesia nel segno delle Muse. Queste cantano dilettando la grande mente di Zeus (v. 37), "trovando" con la loro voce argomenti da tutto ciò che è, che fu e che sarà (v. 38). La loro voce, infaticabile, scorre dolce dalle loro bocche e le stanze di Zeus altitonante "sorridono" al diffondersi della loro voce di giglio (Th. vv. 39-42):

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