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d'un fiato una coppa di vino Fonte: Ath X, 446f – 447a.

Metro: ode in dimetri giambici con dattilo in terza sede al v. 33. Altre figure retoriche attive: epiteto, similitudine.

Come in altri suoi frammenti4, Anacreonte rivolge battute di scherno al suo uditorio, con riferimenti

molto precisi al contesto esecutivo, e dando consigli per uno svolgimento del simposio secondo i canoni della Trinkkultur greca. Il modello dominante, in questo ambiente, è l'eleganza ionica (a`brosu,nh), a cui si ispirano gli insegnamenti etici che Anacreonte propina ai suoi pai/dej nel simposio.

questa associazione metaforica, cf. Maehler 1982, II, p. 292.

1 Rh. III. 11, 1413a 21- 1413b2. Le iperboli sono analizzate anche da Quintiliano e dallo pseudo-Longino. Cf. Guidorizzi-Beta 2000, p. 158.

2 Cf. Arist. Rh. III, 1404b.

3 Cf. Gentili-Lomiento 2003, p. 134.

Anacreonte è il primo poeta del tardo arcaismo che abbia raggiunto, nel consapevole dominio dei suoi mezzi stilistici, una nuova espressione artistica attraverso la fusione delle nuove forme dionisiache di vita con l'ideale arcaico della charis e dell' a`bro,thj ionica. In questo senso intesa, la sua arte rappresenta nella storia della poesia greca della seconda metà del VI sec. il momento di transizione da forme più rigide a forme più ricche di movimento e rilievo. In essa si scorgono i primi riflessi della nuova esperienza culturale ateniese della giovane tragedia1.

Nel nostro frammento il poeta mette in rilievo la figura di Gastrodora, quasi certamente una etèra, e i suoni sgraditi che la caratterizzano. Questa fanciulla costituisce un esempio negativo da non seguire, non soltanto per la disarmonia del suo contributo sonoro al simposio, ma anche perché ella contravviene alla norma del "bere sorseggiando", tracannando vino come fanno i Barbari. In Anacr. fr. 356b PMG = 33 Gentili vv. 7-11, con cui è possibile confrontare questi versi, il poeta invita i commensali a godere del simposio centellinando il vino, e intonando kaloi. u[mnoi (fr. 356bPMG, vv. 4-5 = 33 Gentili vv. 10-11). A questo modello, proprio della cultura ionica, Anacreonte oppone la maniera scitica: un uso smoderato del vino, da cui derivano sguaiati strepiti e urla come di guerra (pata,gw| te kavlalhtw|/, ibid. PMG, v. 2 = Gentili, v. 8)2. Dalla maniera di consumare vino dei

convitati dipende la situazione sonora del simposio, poiché soltanto assumendo lentamente l'alcool, è possibile intonare lucidamente i canti. L'uso barbaro di tracannare, invece, induce ad uno stato di eccitazione e di confusione tale da generare nient'altro che rumore. Nel fr. 427 PMG = 48 Gentili, Anacreonte esorta una misteriosa fanciulla a non bere (cf. v. 4)3 insieme a Gastrodora, ingollando la

bevanda "d'un fiato" (cf. katacu,dhn) ed emettendo rumori sgradevoli simili a quelli del mare (cf. vv. 1-2). L'eleganza, in contesto simposiale, consta di un insieme di atteggiamenti e di abitudini che interessano diverse aree sensoriali: la miscela del vino richiama il gusto; il modo di bere richiede una percezione gusto-olfattiva e uditiva; le pose da assumere sono viste dai commensali; la musica e i suoni che lo accompagnano sono udite4. Il valore plurisensoriale fa del banchetto un evento

estetico-sensoriale completo.

Paragonando i suoni da evitare a quelli del mare, Anacreonte suscita con una similitudine iperbolica il riso del suo pubblico. L'evocazione dell'onda marina e del suo mugghio esagera, infatti, le caratteristiche sonore di chiunque, come forse Gastrodora, dandosi all'uso smoderato della bevanda di Bacco5, non sia più in grado di emettere suoni composti, ma emetta invece dei rumori sgradevoli,

così come quello delle onde. A prescindere dal suo valore iperbolico, la similitudine mette in evidenza le connotazioni negative che il mare ed il suo suono assumevano nell'immaginario greco. Fra i molti passi che confermano questa idea, vi è Hom. Il. XIV, vv. 392-395:

evklu,sqh de. qa,lassa poti. klisi,aj te ne,aj te vArgei,wn\ oi` de. xu,nisan mega,lw| avlalhtw|/) ou;te qala,sshj ku/ma to,son boa,a| poti. ce,rson( ponto,qen ovrnu,menon pnoih|/ Bore,w avlegeinh|/\ Il mare si agitò contro le tende e le navi

degli Argivi; e vennero allo scontro con grande strepito di guerra. Non grida così l'onda del mare verso la spiaggia,

1 Gentili 1958, p. XXIV.

2 Cf. il relativo commento a p. 19 sgg.

3 Il riferimento ad una fanciulla, e non ad un fanciullo, è reso evidente dal participio pi,nousa. 4 Per questi elementi del simposio, cf. Rossi 1988, p. 238.

5 Al verbo u`popi,nw del fr. 356bPMG = 33 Gentili si contrappone l'espressione katacu,dhn pi,nein th.n evpi,stion del fr. 427 PMG = 48 Gentili. Per quanto riguarda il senso del verbo la,skw, secondo Campbell 1982, p. 318, Anacreone starebbe esortando qui una fanciulla a non "chiacchierare" come le onde del mare. Non è invece chiaro, a causa della frammentarietà del testo papiraceo, il senso dell'espressione mequ,wn avei,shj («ubriaco canterai») in Alc. fr. 58 V., v. 12. Altra analogia fra Anacreonte e Alceo, per quanto concerne le modalità di bere il vino, sussiste fra il v. 20 di Alc. fr. 58 V., e Anacr. fr. 356a PMG = 33 Gentili, vv. 2-3. Tale analogia è sottolineata da Voigt 1971, p. 201. Per alcune proposte esegetiche del fr. 58 V. di Alceo, vd. Liberman 1999, p. 42.

sollevandosi dal profondo sotto il doloroso soffio di Borea;

In questi versi, il grido unito di combattenti greci e troiani genera un rombo che Omero paragona, per iperbole1, al forte risuonare dell'onda marina sulla costa, quando essa è sospinta dal forte vento

Borea. Dall'accostamento fra il suono del mare in tempesta, e l'insieme delle grida di molti guerrieri, si deduce che, dal punto di vista estetico, il primo come il secondo erano considerati dai Greci suoni sgradevoli a udirsi, nonché segno acustico di grande pericolo. Altri passi della poesia arcaica ricordano il suono del mare come temibile e sgradevole rimbombo. Due esempî molto interessanti provengono dai frammenti di Simonide. Nel primo (533 PMG) il mare - o meglio, presumibilmente, l'onda del mare - è detta "rimbombare":

evbo,mbhsen qala,ssaj

Per considerare il valore del verbo bombe,w, è utile ricordare che Omero lo usa per designare rumori come quello di un elmo (Il. XV, v. 530), di un vaso (Od. XVIII, v. 397) o di sassi (id. VIII, v. 190)2.

In un altro frammento, Simonide impiega ovrumagdo,j per il suono del mare agitato (571 PMG)3:

i;scei de, me porfure,aj a`lo.j avmfitarassome,naj ovrumagdo,j

Questo termine esprime, in Omero e in Esiodo, l'idea di tumulto, il suono indistinto di una massa di uomini e di animali (Hom. Il. XVII, v. 741, ps.-Hes. Sc., v. 401) oppure il suono dell'acqua di fiume (Hom. Il. XXI, v. 256)4. In tutti questi casi, del mare non si ode un suono gradevole, ma piuttosto un

fragore di flutti o un rombo di onde che si infrangono sulla costa5.

Alla luce di questi approfondimenti, appare chiaramente il valore iperbolico dell'accostamento fra i suoni sgradevoli che la fanciulla potrebbe produrre e il fragore dell'onda marina. Nella sua esortazione, Anacreonte adotta il verbo lala,zw, che Chantraine inserisce fra i verbi originariamemte onomatopeici che esprimono un rumore non articolato6. Esichio (s.v. Lala,ze, n° 232, II, p. 569

Latte) lo chiosa come sinonimo del verbo boa,w = gridare. Come l'onda marina mugghia sgradevolmente, così anche la fanciulla del frammento sa gridare suoni scomposti che mal si addicono all'eleganza ionica del simposio. Il mare, con la sua immensa potenza sonora, è il termine di confronto per una voce umana che, per quanto molesta, non potrebbe mai competere con il

1 All'iperbole secondo cui il frastuono dei combattenti è superiore a quello dell'onda marina (Hom. Il. XIV, vv. 392- 395), se ne aggiungono altre due. Il frastuono dello scontro è più potente del fragore di un incendio (ibid., vv. 396- 397) e del sibilo di un forte vento fra gli alberi (ibid., vv. 398-399).

2 Si veda l'uso dello stesso verbo anche in Pl. Criti. 54d, R. 564d, Ar. Pl., v. 538, Theoc. III, v. 13, Luc. DMeretr. 9, 2, Nonn. D. I, 301.

3 Nello stesso Simonide usa per il vento il termine fqo,ggoj, che sembra indicare qualità foniche più evolute di quelle del mare. Nel famoso "lamento di Danae" (543 PMG), neanche il suono del vento (vv. 15-16 ouvd v avne,mou Õ fqo,ggon) riesce a svegliare Perseo, cullato dalla madre, mentre l'acqua lambisce la sua chioma (vv. 12-15). Degani- Burzacchini 20052, p. 327 traducono il sintagma avne,mou fqo,ggon con «la voce del vento». Cf. E. IA, vv. 9-10:

fqo,ggoj ).. qala,sshj, forse con valore enfatico.

4 Anche Dionigi Periegeta 83 adotta questo termine per designare il mugghiare del mare. Per l'analisi di Simon. fr. 571 PMG, si veda anche Poltera 2008, p. 542, che porta a confronto Hom. Il XVI, v. 391: evj d v a[la porfure,hn mega,la stena,cousi r`e,ousai | ktl.

5 Cf. Poltera 2008, p. 542. Janni 1997, p. 155 tratteggia le sensazioni che, più in generale, l'idea del mare poteva suscitare negli antichi: un senso di dolcezza e di amenità, o paura e terrore, ma anche un sentimento di diffidenza per la imprevedibilità delle onde. Cf. Artem. Onir. III, 16, in cui il mare è definito con l'appellativo di "etèra". Diversa da quella dei Greci era la percezione del mare presso i Latini, in cui le artificiose iperboli tradiscono la maggiore "estraneità" nei confronti del mare, rispetto alla cultura insulare greca (Janni, ibid. p. 156-157). Che il suono del mare, con tutte le sue connotazioni, sia diverso da quello, ad esempio, dell'acqua canalizzata nelle campagne, sembra evidente dal confronto con Hom. Il. XXI, v. 257 sgg., in cui per l'acqua che scorre è adottato il verbo kelaru,zw. Cf., a questo proposito, Plu. Quaest. conv. 747d.

mugghio delle onde. Con questa iperbole Anacreonte insegna alla fanciulla ad evitare atteggiamenti sconvenienti al simposio. Anche l'epiteto polu,krotoj, e lo stesso nome Gastrodora - forse nome parlante che evocherebbe i borborigmi del suo stomaco1 – richiamano i pericoli rappresentati da una

presenza sgradevole sul piano sonoro al simposio: la voce di Gastrodora è da accostare più al rumore rotto delle nacchere che alla dolcezza e alla fluidità dei canti e delle conversazioni mondane2.

La sensibilità e l'immaginario condivisi dal poeta e dal suo uditorio rendono possibile il ricorso ad un tessuto retorico di grande vividezza e chiarezza. Il linguaggio figurato di questi versi, che combina un epiteto con una similitudine dal valore iperbolico, è il riflesso non soltanto della grande capacità compositiva di Anacreonte, ma anche della coesione della sua e`tairei,a sul piano linguistico e retorico – oltre che su quello politico - come ricorda Nannini 1988, p. 8:

Le immagini in questa poesia tendono a ripetersi nel tempo a connotare situazioni simili, secondo le regole di un linguaggio esoterico, volutamente, e talora necessariamente, oscuro per i non iniziati. Si pensi ad esempio all'allegoria («metafora continuata», per gli antichi) della "nave città".

Non è possibile stabilire quanto "nuovo" fosse, per l'uditorio di Anacreonte, l'esagerato accostamento fra una voce umana e il rumore del mare. Tuttavia, l'esempio omerico citato, in cui tale accostamento è applicato non ad una sola voce femminile, ma al rombo di intere schiere di eroi in combattimento, potrebbe suggerire una rielaborazione da parte di Anacreonte della solenne figura di Omero. Il pubblico del simposio, cogliendo il rimando epico, apprezzerebbe la variatio del poeta, e la vividezza di un confronto – quello fra una fanciulla e il mare in termini sonori - che in virtù della sua esagerazione riesce pregnante e suscita il riso.

Infine, all'esortazione di Anacreonte, che propone un esempio negativo da evitare, potrebbe contrapporsi, a distanza di qualche secolo, il modello proposto dal poeta comico Alessi (IV sec. a.C.) in fr. 9 K.-A., vv. 8-10:

tou/q v evsq v( o`ra/|j( `Ellhniko.j po,toj( metri,oisi crwme,nouj pothri,oij

lalei/n ti kai. lhrei/n pro.j au`tou.j h`de,wj\

vedi, questo è bere alla greca: usando coppe medie

discutere e scambiarsi dolcemente qualche chiacchiera.

METAFORA

Nella sua definizione divenuta paradigmatica, Aristotele (Po. 1457b8-10) conferisce alla metafora un significato più ampio di quello con cui la si intende oggi. Secondo il filosofo greco, infatti, la metafora, «è l'imposizione di una parola estranea, o da un genere a specie, o da specie a genere, o da specie a specie o per analogia»3, ma fra queste quattro tipologie, solo le ultime due – e più in

particolare l'ultima, quella per analogia - sembrano poter rientrare a pieno titolo nella moderna

1 Secondo altri, il nome Gastrodora evocherebbe la sua voracità. Cf. Lambin 2002, p. 95, n° 12.

2 La stessa Gastrodora potrebbe essere una suonatrice di nacchere (kro,tala), come le ragazze evocate da Melagro e da Macedonio in AP V, 175 (Mel.), v. 8, e V, 271 (Maced.), v. 2.

3 Lanza 200417, p. 191, il quale per altro traduce metafora, con «traslato», evitando il termine "metafora", dotato oggi

di un significato più specifico di quello conferitogli da Aristotele. Per uno studio sulla metafora, con particolare attenzione alle fonti antiche, e per un commento al famoso testo aristotelico, si veda Guidorizzi-Beta 2000, rispettivamente pp. 11-36 e 129-133.

definizione di metafora1. Secondo Aristotele, «la metafora ha un valore anche teoretico, in quanto

allena la mente a cogliere le analogie (...); in qualche modo, la metafora è più vicina alla filosofia»2.

Le metafore relative al mondo dei suoni e della musica sono, nella lirica greca arcaica, molte e varie, talune semplici talaltre molto complesse. Non è raro che le metafore sonoro-musicali si intreccino, in Pindaro e in Bacchilide, con metafore afferenti ad altre aree semantiche, come quelle del viaggio, per mare o per terra, della guerra (e.g. il motivo dell'arco), o dei giochi panellenici (e.g. il motivo musico-floreale delle "corone di inni").

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