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che rechiamo un aratroa Orthria

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;

1 Guidorizzi-Beta 2000, pp. 16-17.

2 Demetrio (Eloc. 99-101), pur non considerando la avllhgori,a come sch/ma, si sofferma sull'aspetto "ideologico" di un messaggio allegorico, che per la sua ambiguità bene si adatta, ad esempio, ai contesti misterici. Cf. Marini 2007, pp. 212-213.

3 Cf. Arist. Rh. III, 1407a. 4 Vd. pp. XXXVI-XXXVIII.

5 L'iniziale maiuscola del termine Pelha,dej (Page, Davies) dipende dall'interpretazione in chiave astronomica del passo. Discostandocene, consideriamo il termine con iniziale minuscola (pelha,dej = colombe) come in Gentili 1976, p. 61 e in Calame 1983, p. 30. In una posizione di compromesso, Neri 2011, p. 96 edita Peleia,dej traducendo "Colombe" (p. 98), ma intendendole come Pleiadi, «le sette figlie di Atlante e Pleione, tramutate prima in colombe e poi in stelle da Zeus per salvarle da Orione, cf. schol. Hes. Op. v. 382, schol. Arat. v. 254 sgg.» (p. 270). Dal punto di vista vocalico, gli editori esitano fra Peleia,dej (forma tràdita) e Pelha,dej. Entrambe le forme possono trovarsi in Alcmane. Cf., su questo argomento, Pavese 1992, pp. 71-72. Pur accogliendo il testo di Davies 1991a, p. 26,

intendiamo i termini ovrqri,ai e sh,rion con le lettere maiuscole, concordemente con la nostra interpretazione. Cf., per le medesime scelte testuali, Calame 1983, p. 30, che diverge leggermente da Page e da Davies anche in altri punti (cf., e.g., av«hrome,nai). Per una diversa interpretazione di ovrqriai, come nominativo plurale o;rqiai, il cui significato potrebbe anche essere "acute, che si elevano", vd. Cataudella 1972, pp. 37-38.

6 Traduciamo l'aggettivo dimostrativo tai, come riferimento deittico alle metaforiche "colombe", ovvero Agido e Agesicora. Diversamente, Pavese 1992, pp. 74-75 intende tai, nella sua funzione di articolo, considerando

Fonte: P.Louvr. E 3320.

Metro: dimetri trocaici (vv. 60 e 61) + tetrametro dattilico o alcmanio (v. 62) + decasillabo alcaico (v. 63)1.

È questo uno dei passi più controversi e filologicamente più discussi di tutto il Partenio del Louvre. Secondo illustri studiosi (da Gentili 1976, p. 63 a G. Ferrari 2008, p. 87) in questi versi in particolare risiederebbe la chiave interpretativa di tutta l'ode. Dal punto di vista esegetico, i termini pelha,dej, ovrqriai e faroj2, così come il verbo ma,comai, danno adito a molteplici e concatenati

problemi di comprensione del testo. Il confronto con gli scolî A (in margine allo stesso P.Louvr. E 3320) e B (P.Oxy. 2389) può suggerire alcune ipotesi dal punto di vista testuale, senza tuttavia dare soluzioni esegetiche certe. L'autore del primo commentario riporta, almeno riguardo al passo in analisi, l'interpretazione dell'alessandrino Sosifane, che secondo alcuni studiosi merita grande considerazione in virtù della sua auctoritas3. In margine al v. 61, con particolare riferimento al

termine faroj, il papiro riporta il seguente commento (Schol. A in marginibus P.Louvr. scripta, r. 61 sub col., ad vv. 60seqq. spectantia, Davies 1991a, p. 31):

Swsifa,nhj a;rotron) o[ti th.n vAgidw. kai. `Aghsico,ran peristerai/j eivka,zousin Sosifane (interpreta) aratro. Poiché paragonano Agido e Agesicora a colombe

Se le due parti di questo scolio derivano dal medesimo autore, Sosifane starebbe chiosando il termine faroj, intendendo fa,roj = aratro, ed allo stesso tempo chiarirebbe che le coreute paragonano in questi versi Agido e Agesicora a delle colombe4. L'aratro, inteso come metafora per

la stagione dell'aratura (autunno), potrebbe essere un riferimento puntuale al periodo stagionale nel quale si svolge il partenio5. Immaginare in questo contesto un aratro non è del tutto impossibile: le

fanciulle potrebbero portare in offerta alla dea Orthria il modellino di un aratro6, e l'intero rito

iniziatico femminile si inserirebbe in un contesto cosmologico-agricolo. Altri studiosi hanno voluto dare all'intero partenio un'interpretazione in chiave astronomica7, intendendo pelha,dej non colombe

ma Pleiadi, sulla base dell'affinità fonetica fra i termini pelha,dej e Pleia,dej8. Secondo questa

Peleia,dej nome proprio delle due ragazze (etnico o gentilizio). Page e Davies editano fa/roj, così come Calame 1983, p. 30, che intende fa/roj = velo (p. 333), e Neri 2011, che legge fa/roj e intende «manto» (p. 96).

1 Cf. schema in Gentili-Lomiento 2003, pp. 160-161. Per lo schema e il commento metrico al partenio, cf. Pavese 1992, pp. 5-7.

2 Gli ultimi due termini sono riportati senza accentuazione. Dalla loro interpretazione semantica e grammaticale deriva la scelta degli accenti. Vd. infra.

3 Sugli scolî al Partenio di Alcmane, cf. Cataudella 1972, pp. 21-41.

4 Sull'identificazione di Agido e Agesicora con le pelha,dej pressoché tutta la critica è concorde. 5 Cf. Gentili 1976, pp. 61, 63.

6 Considerata la situazione temporale in cui viene eseguito il rito in cui il coro canta il partenio, è probabile che il termine ovrqri,a (letteralmente "mattutina") designi una dea del mattino, forse Orthria-Aotis (Afrodite). Cf. Gentili 1976, pp. 64-65, Neri 2011, p. 98. Per una diversa interpretazione di ovrqriai come nominativo plurale (= "acute, che si elevano"oppure "diritte, in ordine diritto"), vd. Cataudella 1972, pp. 37-39.

7 Cf. lo studio di G. Ferrari 2008. Un ulteriore rimando al campo astronomico può essere letto nei vv. 39-43 dello stesso partenio, in cui il coro "canta la luce di Agido", la quale è paragonata al sole che essa stessa invoca a comparire. Vd. commento ad Alcm. fr. 1 PMGF, vv. 39-40, p. 174 sgg.

8 L'affinità fonetica con Pleia,dej avrebbe indotto Sosifane a intendere il paragone fra le colombe e le due fanciulle in senso astronomico (cf. Cataudella 1972, p. 27 sgg.). Secondo questa lettura, il coro chiamerebbe Agido e Agesicora pelha,dej, alludendo con questo nome al significato di "Pleiadi", e faroj vorrebbe dire "aratro", simbolo della stagione dell'aratura. Questa interpretazione si basa anche sul confronto con Hes. Op., vv. 614-617, in cui si ricorda di dare inizio all'aratura quando le Pleiadi tramontano. Tuttavia, questo stesso passo esiodeo, ad un'attenta analisi,

interpretazione, Agido e Agesicora verrebbero dal coro elogiate e paragonate alle Pleiadi. L'interpretazione astronomica del Partenio del Louvre presenta non poche difficoltà. La prima incongruenza è insita nel commento di Sosifane. Mentre la sua spiegazione semantica di faroj = aratro è certa, e confermata anche da una glossa apposta nel papiro (sup.voc. faroj: aroto), la sua interpretazione del passo è del tutto ignota: non è dato sapere quale valore egli desse al termine aratro, se metaforico o letterale, e non è possibile dedurre dalla sua breve chiosa un'eventuale interpretazione in senso astronomico. D'altra parte, lo scoliaste del papiro, che di Sosifane conosceva quasi certamente l'interpretazione generale del passo, fa seguire alla sua chiosa - non si sa se continuando a riportare l'esegesi di Sosifane o distaccandosene – l'esplicita spiegazione del paragone fra Agido e Agesicora e le colombe. L'interpretazione astronomica si fonda anche sulla supposta identità pelha,dej = Pleiadi, lettura che appare inadeguata per diverse ragioni, di ordine puramente astronomico, e di tipo stilistico-formale, tenuto anche in considerazione il contesto del passo. Le Pleiadi erano le sette figlie di Atlante e di Pleione. Mentre fuggivano dal terribile cacciatore Orione, furono trasformate in stelle da Zeus1, e segnavano con il loro sorgere l'inizio

della stagione della mietitura, e con il loro tramontare quello dell'aratura2. Anche considerando la

glossa fa,roj = a;rotron un valido indizio dell'interpretazione in senso astronomico da parte di Sosifane, sembra difficile che questi possa aver sostenuto un'associazione incongruente proprio dal punto di vista astronomico: se le Pleiadi sono evocate nel loro sorgere nella sfera celeste (cf. avuhrome,nai), il che avviene all'inizio della stagione estiva, quale sarebbe in questo contesto la funzione dell'aratro, che invece simboleggia la stagione autunnale3? Appare più logico intendere

faroj con il significato di "aratro", secondo lo scolio di Sosifane, interpretarlo in senso metaforico (la stagione dell'aratura = l'autunno) e dare al termine pelha,dej il significato esplicitato dal medesimo commento, ovvero di colombe (peristerai,), evitando così improbabili congetture a cui costringe il ricorso alle Pleiadi. Inoltre, dal punto di vista etimologico il termine "Pleiadi" è legato al verbo ple,w = "navigare", in quanto la loro ascesa sanciva anticamente anche l'inizio della stagione propizia alla navigazione. Questo ammasso stellare sorge nella volta celeste notturna in primavera (mese di maggio) e tramonta in autunno (mese di ottobre). L'astro Sirio (citato al v. 62), che è il corpo celeste più luminoso della volta dopo il sole, la luna e Venere, comincia ad essere avvistato (levata eliaca) nelle ore mattutine del periodo estivo più caldo (fra luglio e agosto), ma la costellazione a cui appartiene, quella del Cane Maggiore, è visibile nella volta celeste notturna soltanto fra i mesi di dicembre e di aprile. Se i riferimenti astronomici suggeriti nel partenio fossero seguiti alla lettera, ci troveremmo dinnanzi a una associazione improbabile di due corpi celesti, le Pleiadi e Sirio, che in realtà sono presenti in momenti diversi nella volta celeste notturna, e che sorgono e tramontano in tempi differenti dell'anno. Il problema astronomico, stricto sensu, riguarda dunque l'impossibile sincronia, nell'atto del sorgere (cf. vv. 62-63: a[te Sh,rion | a;stron avuhrome,nai), di Pleiadi e Sirio in un medesimo cielo notturno4. Se anche la lettura astronomica fosse

intesa in senso più largo, a prescindere da ogni riferimento specifico e contestuale alla volta celeste, a mo' di confronto poetico e ad sensum fra due elementi astronomici, resterebbe un problema

smentisce la tesi "astronomica", proprio perché nei versi di Alcmane le Pelha,dej, ammettendo che si tratti delle Pleiadi, sono dette sorgere e non tramontare. Se un preciso riferimento astronomico-agronomico dovesse esserci, l'oggetto che converrebbe all'occasione sarebbe una falce e non un aratro. Lo stesso Esiodo (Op., vv. 571-573) ricorda infatti che quando la lumaca (fere,oikoj) si arrampica sulle piante – ovvero, all'incirca, a metà maggio (cf. Colonna 19832, p. 283 n° 44) - fuggendo le Pleiadi, è giunto il tempo di affilare le falci (v. 573: a[rpaj te

carasse,menai) per la mietitura.

1 Su questo mito, e sull'origine della sovrapposizione, probabilmente avvenuta in un secondo momento e per assonanza, fra le Plhi?a,dej e le peleia,dej (= pelha,dej), cf. Gantz 1993, pp. 212-218.

2 Cf. Hes. Op., vv. 383-386.

3 Per la trattazione di questa incongruenza, cf. anche Cataudella 1972, p. 36.

4 Diversamente, Neri 2011, p. 270 interpreta il passo come una metaforica «sfida contro le stelle» lanciata dalle coreute alla coppia Agido-Agesicora, con il fine di elogiarle.

evidente di ordine logico1: intendendo nel testo di Alcmane Pelha,dej = Pleiadi, già metafora per

Agido e Agesicora, come sarebbe possibile ammettere il loro paragone con un altro corpo celeste? Se si assume che il coro sta qui accostando Agido ed Agesicora alle Pleiadi, quale senso avrebbe il paragonare le due metaforiche stelle all'astro Sirio? Una così ardita mise en abîme (metafora astronomica all'interno di un paragone astronomico) sarebbe particolarmente insolita per la cultura greca arcaica, e troppo complessa per una performance orale-aurale2. Fra le molte metafore di

carattere astronomico nella lirica greca arcaica e tardo-arcaica, si veda a mo' di esempio quella, molto semplice e per questo perspicua, usata da Bacchilide per esaltare lo splendore di Automede di Fliunte, vincitore nel pentatlo a Nemea, in Ep. IX, vv. 27-29:

pentae,qloisin ga.r evne,prepen w`j nel pentatlo infatti si distinse, come a;strwn diakri,nei fa,h supera le luci degli astri

nukto.j dicomhni,doÎj# euvfeggh.j sela,na\ in una notte di plenilunio la rilucente luna3;

Tornando ai versi di Alcmane, crediamo che non si possa facilmente accogliere il caso più unico che raro di doppia figura retorica astronomica. Pavese 1992, p. 73 sottolinea con acume:

Le Peleiades non possono essere il gruppo delle Pleiadi: poiché la similitudine dev'essere tra termini analoghi di specie diverse, non ha molto senso dire in un paragone che una stella (il gruppo delle Pleiadi) si levi come un'altra stella (Sirio)4.

Inoltre, sembra difficile spiegare la presenza del verbo ma,comai in un'ottica astronomica. Quale sarebbe il senso di un combattimento fra le Pleiadi Agido-Agesicora e le fanciulle del coro? Una interpretazione alternativa dei versi in analisi, e desumibile anche dalla nostra traduzione, è la seguente: le coreute stanno paragonando Agido e Agesicora a delle colombe (pelha,dej = peristerai,), esaltando la loro bellezza fisica e soprattutto canora (cf. infra)5, e instaurando un

parallelismo fra la loro luminosità e quella della stella Sirio6. Il rito, officiato per Agido, ha come

dea protettrice Orthria – il cui nome potrebbe richiamare l'uscita dalla notte (ovrqri,a = mattutina) - a cui le coreute portano in dono un aratro (fa,roj). Quest'ultimo oggetto – nelle dimensioni reali o di modellino – rappresenta la stagione dell'aratura, l'autunno, e più metaforicamente l'entrata della fanciulla Agido nel suo tempo preparatorio alla "semina" e alla "fruttificazione". Secondo questa lettura, il coro e Agido-Agesicora eseguirebbero un "combattimento" canoro (cf. ma,comai), che esalta la superiorità della coppia sacra sulle coreute anche dal punto di vista sonoro (cf. infra). L'intero passo si presenta come una allegoria, ovvero come una metafora continuata che ha come centro focale l'accostamento di Agido-Agesicora a delle colombe. L'interpretazione pelha,dej = colombe è da preferire alla lettura pelha,dej = Pleiadi, poiché questa è anche l'interpretazione dello scolio antico (cf. supra). All'orecchio di un Greco il termine pe,leia poteva essere inteso nell'uno o nell'altro dei due significati, e la distinzione avveniva semplicemente in base al contesto (cf. l'italiano "gallinelle")7. Tuttavia, come si è evidenziato, lo studio approfondito del contesto fa

1 A questo problema si aggiungerebbe, poi, il significato del termine faroj (aratro o velo), la cui interpretazione controversa complicherebbe l'intrìco degli elementi astronomici che alcuni studiosi vogliono fare accordare fra loro. 2 Tale figura retorica per così dire "al quadrato" sarebbe più familiare ad una book-culture che ad una cultura orale

quale quella greca arcaica.

3 Per uno studio di questa figura cf. Maehler 1982, II, pp. 156-157, che fa specifico riferimento a Sapph. fr. 96 V., vv. 6-9, in cui non soltanto l'avvicendarsi del sole e della luna, ma anche la superiorità di quest'ultima sulle stelle sono fenomeni descritti con chiarezza, e usati dalla poetessa come metafore subito intuibili e perspicue.

4 Pavese 1992, p. 73. Questa "motivazione logico-formale" dissuade dalla spiegazione in senso astronomico che sembrerebbe proporre lo Scolio B, fr. 6 col. II, rr. 12-18.

5 Agido e Agesicora vengono più volte lodate e paragonate per la loro bellezza fisica e sonora a cavalli (dallo zoccolo fragoroso, v. 48, ibeno e colasseo, v. 59), o ad uccelli (la civetta, v. 87, il cigno, v. 101).

6 La luminosità e la bellezza sono intimamente legate. Cf. p. 176.

propendere per il significato di "colombe", ed esclude un improbabile e concettoso ricorso alle Pleiadi1. La metafora delle colombe nel Partenio del Louvre risulta funzionale all'esaltazione

cultuale e soprattutto musico-corale della coppia Agido-Agesicora. È necessario, a questo punto, ricordare quali erano le diverse connotazioni che un Greco arcaico poteva associare a una colomba, e se un riferimento al suo aspetto sonoro può essere confermato da altri passi. Per designare questo uccello, i Greci usavano i termini peleia,j (o pe,leia) o peristera,2. Ateneo (IX, 394d) ricorda che i

Dori denominavano peleia,dej una particolare razza di colombe3, che solitamente venivano

designate con il termine peristerai,. È possibile affermare, con Pavese 1992, p. 72, che «al di là della differenza di specie, pe,leia è parola poetica mentre peristera, è piuttosto prosastica». Presso i Greci, le colombe avevano un valore sacrale molto importante. È nota la loro presenza in particolare nella sfera cultuale di Afrodite. La loro evocazione, e forse la presenza di alcuni esemplari di colombe al rito, sarebbe dunque pienamente giustificata dal contesto erotico del partenio4. Da

un'analisi delle fonti omeriche si desume che la colomba attirava l'attenzione dei Greci per la sua forma elegante, oltre che per il suo carattere timoroso: la coppa d'oro dalla quale beve Nestore, definita bellissima, «era adorna di borchie dorate, aveva quattro anse, e attorno a ciascuna di esse si pascevano duplici colombe d'oro (doiai. de. peleia,dej ))) cru,seiai), ed aveva due sostegni» (Hom. Il. XI, vv. 632-635); in una irridente scena di "lite familiare", fuggendo da Era che ha preso a picchiarla e a rimproverarla, Artemide si divincola «come una colomba (pe,leia) che vola via dal falco verso una cava roccia, sua tana; non era destino che fosse presa» (Il. XXI, vv. 493-495); sorte più infelice ha invece la colomba (pe,leian) che, catturata dal falcone volato alla destra di Telemaco, viene spennata dal suo predatore (Od. XV, vv. 525-528); in una prova di destrezza nell'arco, Achille lega ad una corda sottile una trepida colomba (trh,rwna pe,leian) perché chi la colga in pieno porti a casa il premio di dieci bipenni, e chi invece prenda la corda, mancando l'uccello, riporti un premio inferiore di dieci accette (Il. XXIII, vv. 850-858); subito dopo aver oltrepassato le Sirene, ad Ulisse ed ai suoi compagni si presenteranno, secondo le parole di Circe, due possibili rotte da seguire, la prima delle quali è ostacolata dalle cosiddette rupi "erranti", attraverso cui non passano indenni neanche le timorose colombe (pe,leiai trh,rwnej) «che portano l'ambrosia al padre Zeus» (Od. XII, vv. 61-63). Questi passi esprimono implicitamente le idee che i Greci arcaici associavano all'animale colomba. Essa è simbolo di bellezza formale, tanto da essere inserita come elemento iconografico nella coppa di Nestore, ed è ritenuta preda non soltanto di uccelli rapaci, ma anche di uomini, come dimostra l'episodio della gara nell'arco. Tale ruolo di "preda" le avrà anche affibbiato l'epiteto di trh,rwn5. Dal punto di vista mitologico, infine, la colomba è legata a Zeus, a cui

la volta celeste notturna (vv. 11-16): «sette case nel tacito borgo, | sette Pleiadi un poco più su. | Case nere: bianche gallinelle! | Case sparse: Sirio, Algol, Arturo! | Una stella od un gruppo di stelle | per ogni uomo o per ogni tribù». 1 Calame 1977b, pp. 74-77 vede riuniti nella metafora delle colombe l'elemento astronomico, insieme a quello

antropologico del mito delle Pleiadi, e il riferimento alle colombe con l'insieme delle sue denotazioni (ma non quella sonoro-musicale).

2 Il termine peristera, non è attestato in Omero né nella lirica arcaica, ma lo si registra a partire dal V secolo, come in Hdt. I, 138, 2; Ar. Av., v. 302; Xen. An. 1, 4, 9. Cf. anche S. fr. 866 Radt, e la chiosa in Hsch. s.v. Pe,leiai\ peristerai,) kai. ai` evn Îe#Dwdw,nh| qespi,zousai ma,nteij, n° 1306, III, p. 63 Hansen. Per una trattazione completa di questo uccello, vd. Thompson 1936, pp. 225-230.

3 Probabilmente dal colore nero, secondo Artist. HA (544b) ed Hsch. s.v. Pe,leiai.

4 Cf. Gentili 1976, p. 63, che inoltre intende fa,roj = aratro, simbolo della fecondità procreativa, offerta votiva di vincolo coniugale (omoerotico). Tsantsanoglou 2012, p. 63 sgg. sostiene l'interpretazione di pelha,dej = colombe, ricordando che questo era anche il parere di Wilamowitz 1897, p. 256 e corroborandola con l'analisi dello scolio B, fr. 6, col. II, ma attribuendo a questo termine un valore di diminutivo-vezzeggiativo (in virtù della terminazione in -a,j -a,doj in particolare per nomi di animali), a ma,contai un valore assoluto (con una competizione interna fra Agido e Agesicora, e non fra queste ed il coro) ed intepretando a-min come dativo etico. Secondo Tsantsanoglou si dovrebbe dunque intendere: «i nostri piccioncini combattono» per chi delle due debba essere considerata la più bella.

5 Cf. le trh,rwnej pe,leiai in Hom. Il. V, v. 778 (in paragone con le dèe Era e Atena in battaglia) e XXII, v. 140 (in cui la colomba, in una similitudine, è inseguita ed afferrata da un falco).

porterebbe in nutrimento l'ambrosia. Il riferimento odissiaco sembra essere quello più importante ai fini dell'individuazione del valore sonoro della colomba, a cui farebbe riferimento la metafora del Partenio del Louvre. Nella predizione di Circe a Ulisse, l'evocazione delle Sirene è seguita a breve distanza dalla descrizione delle "Rupi erranti" e delle colombe. Non è assurdo pensare che, poste a così poca distanza l'una dall'altra, in uno dei passi omerici più famosi, queste due figure si siano influenzate a livello dell'immaginario collettivo greco. Le Sirene, il cui elemento precipuo in Omero è la voce ammaliante (Od. XII, vv. 37-54), potrebbero aver implicitamente esaltato il valore sonoro delle colombe, il cui verso è di per sé dolce e suadente; le colombe potrebbero invece aver fatto prevalere la loro forma elegante, influenzando la stessa iconografia della Sirena. Si vedano a questo proposito i numerosi esempî di iconografia vascolare e di coroplastica che mostrano questo "matrimonio imaginifico" fra la Sirena e la colomba, ed in particolare la lucerna di VI-V secolo proveniente dal Museo Archeologico Regionale di Gela (TAVOLA 3)1. L'atteggiamento di Zeus nei

confronti delle colombe palesa un suo rapporto preferenziale con questi animali. In Hom. Od. XII vv. 64-65, infatti, il poeta ricorda che alcune colombe muoiono nell'attraversamento delle "rupi erranti", schiantandosi contro la superficie levigata degli scoglî mobili, e che il padre degli dèi provvede a ripristinare il numero mandandone altre sulla terra2. Per gettare luce sul legame sacrale

che legava Zeus alle colombe, e insieme sull'importanza che questi uccelli, con il loro verso, ebbero nella Grecia arcaica, è utile ricordare il passo in cui Erodoto spiega le dinamiche della fondazione dei due santuarî di Zeus a Dodona e in Libia. In II, 54 lo storico greco riporta la spiegazione che i sacerdoti egizî davano alla duplice nascita del culto oracolare di Zeus in Grecia e in Libia: i Fenici

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