• Non ci sono risultati.

non più, vergini dal suono di miele, dalle sacre voci, possono portarmi le ginocchia:

Fonte: Antig. Mir. 23 (27).

1 Il composto neo,ktitoj ha il significato letterale di "fondato di recente". Il sintagma su.n euvqumi,a| neokti,tw| è tradotto da Maehler 1997, p. 19 «in frischgeschaffener Freude» e da Sevieri 2010, p. 53 «con gioia inattesa».

2 Questo tipo di espressione potrebbe essere accostata a B. Dyth. XXV (Meleagro?), v. 28: e;kla#gxen aivqh,r, con integrazione di Snell.

3 Per un breve studio di questo termine, specificamente connesso alla sfera del peana, cf. Maehler 1997, p. 209. 4 Calame 1977a, p. 151 ricorda i contesti rituali in cui si inseriva l' ovlolugh,, che poteva fungere da richiamo-

invocazione della divinità per ottenere la sua protezione, ovvero per ringraziarla della sua benevolenza. 5 Cf. Lausberg p. 341 sgg.

6 Per le differenti categorie di epiteto, definito come «ciò che viene detto insieme a parole proprie», vd. Thphr. in P.Hamb. 128 = Appendix 9, col. II rr. 14-16, II, p. 614 Fortenbaugh. Cf. il commento a questo testo in Guidorizzi- Beta 2000, pp. 166-167.

Metro: esametri olodattilici.

Genere: la composizione in esametri dattilici porterebbe a vedere in questi versi un prooimion citarodico, preludio ad un'esecuzione corale (partenio)1.

I due versi costituiscono l'incipit del celeberrimo "frammento del cerilo", in cui il poeta esprimerebbe il desiderio di volare sulla superficie del mare in compagnia delle alcioni2. Qualunque

sia la chiave interpretativa di questo frammento, rimane indubbia l'attenzione che Alcmane accorda all'aspetto canoro, oltre che a quello orchestico, delle vergini che costituiscono il suo coro.

I due composti aggettivali meli,ghruj e i`ero,fwnoj descrivono due importanti caratteristiche delle coreute: la dolcezza e la sacralità delle loro voci. Non è, a nostro avviso, un caso che l'aggettivo sostanziale preceda quello morale: la dolcezza timbrica delle coreute, infatti, è la forma attraverso cui l'orecchio umano viene introdotto alla purezza del testo ed al suo dialogo diretto con il divino. Il senso di sacralità è anche legato a quello di immortalità, poiché grazie al canto sacro il poeta può superare le fatiche della vecchiaia e trascendere l'idea stessa della morte. In questo ordine di idee va inquadrata, a nostro avviso, la metafora del cerilo e delle alcioni. Non è possibile definire con certezza quali connotazioni vi siano nel desiderio della persona loquens (il poeta o il/la corhgo,j) di divenire «un cerilo che sul fiore dell'onda voli insieme alle alcioni, sacro uccello colore del mare, dal cuore impassibile» (vv. 2-4)3:

ba,le dh. ba,lh khru,loj ei;hn( o[j t v evpi. ku,matoj a;nqoj a[m v avlkuo,nessi poth,tai nhdee.j h=tor e;cwn( a`lipo,rfuroj i`aro.j o;rnij)

Pur ricusando una facile interpretazione anacronistica, è possibile leggere in questi versi metaforici una proiezione del desiderio umano di volersi identificare con un uccello simbolo di leggerezza e di sacralità. Questo tipo di espressione poetica, a cavallo fra l'artificio retorico della metafora ed il desiderio onirico dell'uomo di non soffrire, conosce nella letteratura arcaica e classica un grande successo. Così Gentili-Catenacci 2007, p. 248 commentano l'immagine:

Quando un Greco diceva «vorrei essere un uccello», la frase aveva un senso ben diverso da quello che ha per noi. Voleva dire che era al colmo dell'infelicità e voleva divenire un essere irragionevole, per non soffrire. Un Greco non invidiava gli uccelli dell'aria: non pensava che un animale potesse essere più felice d'un uomo. Ma Alcmane qui supera il modo comune dei Greci di considerare la vita: precorre il modo di sentire moderno.

Insieme al desiderio di non soffrire vi è, nell'anelito del poeta ad una impossibile metamorfosi ornitologica, anche una forte tensione verso il sacro, garanzia, in qualche modo, di vita eterna. I concetti di non-sofferenza (contrapposto alla vecchiaia), di vicinanza al divino (contrapposto alla vita ordinaria) e di eternità (contrapposto alla natura cadùca dell'essere umano) risiedevano nell'idea che l'immaginario collettivo greco aveva di alcuni animali, specialmente se dotati di ali, come le

1 Cf. Degani-Burzacchini 20052, p. 281; Calame 1983, p. 472; Aloni 1992, p. 118.

2 Per le varie interpretazioni di questa similitudine, spesso influenzate dall'introduzione di Antigono di Caristo al frammento, cf. Calame 1983, pp. 472-473.

3 Sull'associazione fiore-onda, Gentili-Catenacci 2007, p. 249 avanzano l'ipotesi che vi sia all'origine il colore luminoso dell'acqua marina, in cui poteva crearsi l'immagine di un fiore. Traduciamo la lezione dei codici nhlee,j "dal cuore fermo", che molti critici sogliono correggere in nhdee,j (vd. Davies 1991a, p. 76) o in avdee,j (vd. Gentili-

Catenacci 2007, p. 249). Per il mantenimento della lezione tràdita, cf. Calame 1983, p. 478. La critica è unanime nell'accettare la correzione i`aro,j (Hecker) in luogo del tràdito ei;aroj, per motivi metrici e dialettologici. Cf., fra tutti, Calame ibid., p. 479 e Gentili-Catenacci ibid., p. 249.

api1, le cicale2, o le diverse razze di uccelli, soprattutto in Alcmane3. Questi animali sono al centro

dell'attenzione dei poeti, affascinati non soltanto dalla loro capacità, impossibile all'uomo, di volare, ma anche dal loro canto. Questi animali canori e alati godono di una certa familiarità con le Muse e con il divino, e garantiscono l'eternità attraverso il loro canto4.

Da questa humus culturale nascono i versi di Alcmane. È importante qui ricordare il topos del poeta invecchiato, giacché il desiderio di divenire "un cerilo che vola insieme alle alcioni" è dettato, come ci assicura anche Antigono di Caristo che riporta il frammento, dalla contingente situazione del poeta: egli, invecchiato, non può più avere parte attiva ai movimenti orchestici e all'intonazione dei proprî versi. La vecchiaia, in cui si attestano i segni visivi del decadimento dal fisico5, è per il poeta

arcaico un momento molto difficile, poiché non soltanto i movimenti orchestici, ma anche l'attività canora non possono più essere quelli di un tempo. Il riferimento alle ginocchia che più non reggono esplicita l'impossibilità fisica di accompagnare le evoluzioni del coro6. L'imbarazzo di non riuscire

più a intonare i versi con la giustezza di un tempo, insieme alla triste perdita di brillantezza e di potenza canora, e di elasticità nei movimenti di danza, sono stati fino ad oggi elementi trascurati dai commentatori di questo frammento. Eppure, lo stesso Antigono introduce il frammento alcmaneo evocando sia l'elemento vocale sia quello orchestico (Mir. 23 (27) Giannini, p. 44):

tw/n de. avlkuo,nwn oi` a;rsenej khru,loi kalou/ntai) o[tan ou=n u`po. tou/ gh,rwj avsqenh,swsin kai. mhke,ti du,nwntai pe,tesqai( fe,rousin auvtou.j ai` qh,leiai evpi. tw/n pterw/n labou/sai) kai. e;sti to. u`po. tou/ vAlkma/noj lego,menon tou,tw| sunw|keiwme,non\ fhsi.n ga.r avsqenh.j w;n dia. to. gh/raj kai. toi/j coroi/j ouv duna,menoj sumperife,resqai ouvde. th|/ tw/n parqe,nwn ovrch,sei\

i maschi degli alcioni sono chiamati cerili. Quando sono indeboliti dalla vecchiaia e non riescono più a volare, si dice che le femmine li portino sulle loro ali. E a ciò bene si accorda quanto dice Alcmane. Dice infatti che, debole per la vecchiaia, e non potendo avere dimestichezza con i cori e con la danza delle fanciulle: [segue Alcm. fr. 26 PMGF]7

Per quanto l'interpretazione di Antigono sia stata più volta messa in discussione8, essa pare a noi

senz'altro valida e coerente con il frammento di Alcmane. Il paradossografo precisa che il vecchio poeta non può più partecipare facilmente ai cori e alla danza, il che indica – è bene ribadirlo - una

1 Fra i molti esempî, si vedano h.Merc., v. 552 sgg., Pi. P. IV, v. 60 sgg., P. X, v. 54; Ar. Ec., v. 974. Cf. anche Callim.

H. II, vv. 110-112 per la purezza sacrale delle api.

2 Cf. pp. 184, 187-188 per il famoso mito in Platone. Una buon esempio della sintesi dei tre concetti è il Carmen

Anacreonteum 34, soprattutto i vv. 12-18.

3 Un bellissimo esempio della complementarietà di questi temi, con un richiamo simbolico al cigno, sono anche i vv. 691-700 dell'Eracle euripideo.

4 Il concetto delle ali come "mezzo di evasione" dalla vecchiaia è presente, senza però alcun riferimento preciso ad animali, anche in Ar. Lys., v. 666. Cf. anche le cicale descritte dal Socrate del Fedro platonico (259a-d).

5 Cf. commento a Sapph. fr. 58 V., v. 12, p. 57 sgg. 6 Cf. fra tutti Sapph. fr. 58 V., v. 15 (= v. 5 Bz.).

7 Il significato letterale del verbo sumperife,resqai è "ruotare insieme". Questo primo significato ha indotto Giannini 1965, p. 45 a tradurre con il corrispettivo verbo latino circumago. Secondo questa lettura, Antigono farebbe riferimento ad un verbo tecnico della danza, ovvero al roteare degli schemi orchestici "insieme ai cori e alle danze". Quest'ultima espressione ci sembra, però, molto pleonastica: perché Antigono sottolineerebbe l'impossibilità del poeta di "ruotare insieme ai cori e alle danze"? Inoltre, perife,resqai = "ruotare insieme" è attestato specificatamente in contesti astronomici, e mai in riferimento alle danze, né tantomeno ai cori (cf. LSJ, s.v.). Preferiamo dunque intendere il verbo in un senso più largo ("avere relazioni con", "avere dimestichezza con"). Antigono avrebbe evocato i coroi, e la o;rchsij non come una pleonastica endiadi, ma procendendo per gradi dal generale (coro,j = musica + danza) al particolare (o;rchsij = gli schemi orchestici). Il verbo sumperife,resqai, inoltre, regge più facilmente entrambi i dativi se inteso nel suo senso metaforico. Cf. Dorandi, 1999, p. 40, che traduce con "participer", anche se da esso fa dipendere l'improbabile endiadi «aux dances et aux bals des jeunes

filles».

8 Cf. ad esempio Gentili-Catenacci 2007, p. 248. La stessa immagine delle alcioni che trasportano in ali il cerilo divenuto vecchio è in Suid. s.v. Khru,loj, n° 1549, III, p. 112 Adler.

impossibilità non solo nei movimenti orchestici, ma anche nell'intonare i canti. Che la vecchiaia comportasse – come ancora avviene ai nostri giorni1 - un decadimento o, nel migliore dei casi, un

attenuamento della voce, può essere dimostrato anche dal mito di Titono narrato in h.Ven., vv. 218- 238: l'Aurora, innamoratasi del mortale Titono, simile agli dèi per bellezza (v. 218), chiese e ottenne da Zeus che egli divenisse immortale (vv. 220-222), ma dimenticò di chiedere per lui anche la giovinezza, tenendo così lontana la rovinosa vecchiaia (v. 224). Finché Titono fu giovane, egli dimorò con la dea, presso le correnti dell'Oceano (vv. 226-227), ma quando la canizie cominciò a diffondersi sui suoi capelli e sul suo mento, a quel punto Aurora lo abbandonò, pur continuando a nutrirlo di grano e di ambrosia, e a donargli belle vesti (vv. 230-232). Il poeta dell'Inno ad Afrodite ricorda il mito di Titono alludendo all'indebolimento che l'illimitata vecchiaia apportò alla sua voce (vv. 233-238):

avll v o[te dh. pa,mpan stugero.n kata. gh/raj e;peigen ouvde, ti kinh/sai mele,wn du,nat v ouvd v avnaei/rai( h[de de, oi` kata. qumo.n avri,sth fai,neto boulh,\ evn qala,mw| kate,qhke( qu,raj d v evpe,qhke faeina,j) tou/ d v h;toi fwnh. r`ei/ a;spetoj( ouvd v e;ti ki/kuj e;sq v oi[h pa,roj e;sken evni. gnamptoi/si me,lessin)

ma quando lo schiacciò completamente l'odiosa vecchiaia e non poté muovere né sollevare le membra,

questa decisione a lei apparve nel cuore:

lo depose nel talamo, e vi appose le porte splendendi. Senza fine scorre la voce di costui, e il vigore non è più quello che prima era solito esservi nelle agili membra.

La flebile voce che in questi versi si associa a Titono è soltanto l'esempio estremizzato di un effetto dell'invecchiamento che i Greci, ed in particolare i poeti, dovettero accusare con grande sofferenza2.

Alla luce di queste considerazioni, è possibile tornare al fr. 26 PMGF di Alcmane e notare il valore pregnante, lontana dalla semplice funzione di orpello retorico, dell'accumulazione dei due epiteti musicali doppî, associati alle coreute-alcioni. Come si è visto, il loro significato richiama il potere della poesia eternatrice, il canto sacro dei cori e degli uccelli, il desiderio di travalicare i confini fisici dell'essere umano attraverso la sacralità e l'eternità del canto. Il primo epiteto, meli,ghruj in ionico-attico, costituisce una sinestesia formalizzatasi, probabilmente, molto presto nella lingua greca. L'accostamento del miele (me,li) e della della voce (gh/ruj) sintetizza efficacemente il senso di una bellezza canora dolce come l'alimento più dolce che i Greci potessero conoscere e assaporare3.

1 Molti elementi esterni contribuirono al logoramento della voce di Maria Callas, la divina: il dimagrimento repentino, la mole di ripetizioni sulla scena, i turbamenti della vita personale. A questi, tuttavia, è necessario aggiungere anche l'invecchiamento fisiologico della voce, che fu immediatamente avvertito da un pubblico affezionato, a cui per altro era già possibile, e frequente, riascoltare il repertorio che la cantante ebbe modo di eseguire nell'arco di più di due decennî.

2 Cf. Douglas Olson 2012, p. 252: «perhaps his [of Tithonus] garrulity is merely further evidence of his ever-more

advanced age». Lo stesso studioso instaura en passant un confronto fra lo scorrere senza fine (a;spetoj) delle parole

di Titono - dietro cui egli intravede un rimprovero continuo ad Aurora per la sua dimenticanza – e h.Ap., v. 360: qespesi,h d v evnoph. ge,net v a;spetoj, dove si richiama l'idea dell'infinito riecheggiare del sacro grido emesso dalla dracena uccisa da Apollo.

3 La dolcezza può interessare sia le parole (contenuto), sia la voce (forma). Cf., fra i molti esempî, Hom. Od. XVIII, vv. 282-283: qe,lge de. qumo.n | meilici,oij evpe,essi (detto di Penelope con riferimento ai suoi discrorsi ingannevoli detti ai proci); Simon. fr. 595 PMG, v. 3: meliade,a ga/run. Per uno studio sul rapporto fra il miele e la persuasione, vd. il commento di Pucci 2007, pp. 106-107 ai vv. 83-84 della Teogonia di Esiodo. La radice *qelk- esprime l'azione del persuadere mediante la dolcezza della voce. Si veda, ad esempio, B. XV, vv. 48-49: Mene,laoj ga,rui? Qelxiepei/ | fqe,gxat v( euvpe,ploisi koinw,saj Ca,rissin, in cui sono riassunte la dolcezza e la persuasività con cui Menelao, grazie anche all'assistenza delle Cariti, tenta di convincere i Troiani ad aprire una trattativa per evitare la guerra. Si vedano i commenti a questo passo in Maehler 1997, pp. 143-144 (con altri riferimenti alla radice * qelk-),

Nell'Iliade Nestore è dotato di qualità sonore molto importanti per il suo ruolo di oratore. La sua voce è penetrante e, allo stesso tempo, scorre più dolce del miele (Hom. Il. I, vv. 247-249):

toi/si de. Ne,stwr h`dueph.j avno,rouse( ligu.j Puli,wn avgorhth,j( tou/ kai. avpo. glw,sshj me,litoj gluki,wn r`e,en auvdh,\

In Esiodo le Muse versano dolce rugiada (Th. v. 83: glukerh.n ... eve,rshn)1 sulla lingua del loro re

prediletto, dalla cui bocca scorrono parole dolci come il miele (v. 84: mei,lica)2. Riprendendo questo

concetto a distanza di pochi versi, Esiodo sostiene che la voce di colui che le Muse amano scorre dolce dalla sua bocca (Th., vv. 96-97)3:

o` d v o;lbioj( o[ntina Mou/sai fi,lwntai\ glukerh, oi` avpo. sto,matoj r`e,ei auvdh,)

Nella sua formazione originaria, meli,ghruj è l'unione fra i sensi dell'udito e del gusto. Questo è anche l'aggettivo con cui le Sirene definiscono la loro voce, rivolgendosi ad Ulisse (meli,ghrun ... o;pa in Hom. Od. XII, v. 187)4. Molte sono, inoltre, le occorrenze di questo composto negli Inni

omerici e in Pindaro5. Quest'ultimo, nel fr. 152 Maehl. (melissoteu,ktwn khri,wn evma. glukerw,teroj

ovmfa,) considera la sua voce più dolce dei favi lavorati dalle api, alludendo con una complessa iperbole alla superiorità del suo canto6. Da Sapph. frr. 71 V., v. 6 (mellico,fwn[oj) e 185 V.

(meli,fwnoj) emerge che anche Saffo usò associare la sensazione gustativa del miele alla soavità timbrica della voce, soprattutto femminile7. In altri casi, e in maniera meno enfatica, l'aggettivo h`du,j

sostituisce il termine me,li nel significare la dolcezza del canto: si pensi, fra tutti, al sintagma pa,rqenon avdu,fwnon del fr. 153 V. di Saffo8, variante delle parsenikai. meliga,ruej di Alcmane, e

all'epiteto che Anacreonte associa alla rondine (fr. 394a PMG): h`dumele.j cari,essa celidoi/9

Ricordando le virtù del miele, l'alimento più dolce noto ai Greci, e per questo ritenuto divino, ma anche sostanza che, diluita con latte, poteva facilmente diventare fluido viscoso, potremmo non soltanto spiegare l'origine dell'associazione gusto-uditiva della dolcezza del canto, ma anche l'idea tattile-uditiva, nonché visiva, dello spargere, versare o far scorrere il canto come se fosse miele. In

e Sevieri 2010, pp. 77-78. Non è da escludere che in sintagmi come avmbrosi,a molph, (Hes. Th., v. 69) o avmbro,sia me,lh di B. XIX, v. 2, oltre al significato più ovvio di "immortale" (a;m- bro,sioj), vi fosse anche un richiamo fonetico all'aggettivo femminile sostantivato ambrosia, dolcissimo nutrimento degli dèi.

1 La nozione gustativa associata alla rugiada non deve sorprendere. Il termine eve,rsh indica, infatti, ogni liquido distillato dal cielo (Pucci 2007, p. 107). West 1966, p. 183 ricorda come secondo gli antichi il miele fosse depositato sotto forma di rugiada o provenisse dalla rugiada attraverso le api.

2 Cf. lo studio di questo aggettivo, associato dai poeti lirici alla voce, cf. Pucci ibid. p. 107.

3 Pucci ibid., p. 79 confronta fra loro i vv. 39, 84, 97 della Teogonia, nei quali la voce "scorre" sempre dolce, facendo pensare al lento fluire del miele. Cf. anche Hom. Il. I, v. 249, in cui l'espressione del fluire come il miele definisce la qualità della voce, oltre che la sua capacità oratoria.

4 Cf. fr. 595 PMG, v. 3, in cui Simonide usa il sintagma simile meliade,a ga/run. Per le analogie fra le Sirene e le Muse in Alcmane, cf. pp. 51 n° 3, 139.

5 Pi. I. II, v. 3, O. XI, v. 4, P. III, v. 64. Cf. h.Ap., v. 519 (riferito a un canto), h.Pan., v. 18 (riferito al canto di un uccello).

6 Questa immagine fu poi spiegata da Pausania (IX, 23, 2) con l'immagine delle api che avrebbero depositato miele sulle labbra del poeta.

7 Cf. anche Pi. I. II, v. 7: melifqo,ggou poti. Teryico,raj; I. VI, v. 9: melifqo,ggoij avoidai/j, O. VI, v. 21: meli,fqoggoi ... Mou/sai. La sensazione della dolcezza definisce anche il suono di strumenti come l' auvlo,j e la lu,ra. Cf. B. II, v. 12: glukei/an auvlw/n kanaca,n; Pi. P. X, v. 39: lura/n te boai. kanacai, t v auvlw/n done,ontai.

8 Cf. anche Sapph. fr. 31 V., vv. 3-4 (a=du fwnei,saj) e Theoc. I, v. 65 (a`de,a fwna,). 9 Vd. commento a questo fr., p. 71 sgg.

quest'ultimo caso il verbo greco usato è ce,w. Il primo esempio di combinazione sinestetica fra il tatto, la vista e l'udito nella letteratura greca è probabilmente in Hom. Il. II, v. 41:

e;greto d v evx u[pnou( qei,h de, min avmfe,cut v ovmfh,\

si svegliò dal sonno, e lo avvolgeva ancora la voce del dio;

Agamennone, dopo aver ricevuto la visita di ;Oneiroj (Il. II, vv. 23-34), che in sogno gli chiede di ascoltarlo (v. 26: nu/n d v evme,qen xu,nej) perché riceva le istruzioni per conquistare Troia, si sveglia quasi abbracciato (vd. avmfice,w) dall'eco di Sogno, che continua a spandersi attorno all'eroe per ricordargli gli ordini ricevuti dagli dèi. Più celebre esempio di connubio fra la sensazione tattile- visiva del versare e quella uditiva dell'intonare la voce è la similitudine omerica dell'usignolo che cantando, versa la sua voce dai molti echi (Hom. Od. XIX, v. 521): ce,ei poluhce,a fwnh,n1. Anche

Bacchilide, nell'Epinicio V a Ierone, definendosi "illustre servitore di Urania dalle auree bende" (vv. 13-14), esprime il desiderio di lodare il tiranno di Siracusa "versando la voce dal petto" (vv. 14-16)2:

evqe,lei Îde.#

ga/run evk sthqe,wn ce,wn

aivnei/n `Ie,rwna)

Il secondo composto aggettivale adottato da Alcmane, i`ero,fwnoj, completa la descrizione della voce delle coreute-alcioni, già definita sul piano formale dall'epiteto meli,ghruj, e sottolinea la «sacertà del canto o la santità della voce, piuttosto che la sua forza»3. Molti poeti greci richiamano

nei loro versi l'intimo legame che vincola la musica alla voce, primo strumento musicale conosciuto dall'uomo4. Anche la tragedia di V secolo, spettacolo intimamente legato alla vita politica cultuale

greca, esprime questo concetto con grande chiarezza. In particolare, ai vv. 694-697 delle Supplici, Eschilo mette in bocca al coro una sintesi dell'intimo rapporto che lega sacralità, musica e voce:

eu;fhmon d’ evpi. bwmoi/j mou/san qei,at’ avoidoi/\ a`gnw/n t’ evk stoma,twn fere,s-

qw fh,ma filofo,rmigx)

In questi versi, infatti, si invitano gli aedi a cantare inni di buon augurio sugli altari, a mo' di sacrificio, in modo che da pure bocche esca la loro voce ben accordata con la fo,rmigx5. Nel giro di

quattro versi, attorno all’idea di gioia e di buon augurio sulla città, Eschilo esprime con grande efficacia l'idea secondo cui chi canta – in una tragedia così come in un partenio – ha un ruolo sacrale importante, e fa della sua voce un vero e proprio strumento sacerdotale6, tanto che Herington

(1985, p. 5), nel suo importante saggio sulla poesia greca ed il suo rapporto con le feste religiose, sosteniene che ovunque vi fossero templi, in Grecia, la poesia veniva eseguita come un sacrificio. Nei versi di Alcmane, l'aggettivo i`ero,fwnoj non è l'unico elemento che richiama l'idea di sacralità delle voci, e implicitamente delle coreute e della poesia stessa. Già al quarto verso dello stesso

1 Un uso simile del verbo ce,w è in ps.-Hes. Sc., v. 396 (ce,ei auvdh,n), riferito al canto estivo della cicala.

2 Ovvero "versare un canto dal cuore", secondo il valore più letterale dei termini, ormai formalizzatisi al tempo di

Outline

Documenti correlati