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rendi gonfio il cuore, carapace marino Fonte: Ath III, 85f (cod A).

Metro: fra i versi completi, gliconeo (v. 1) e trimetro gliconico acataletto (ultimo verso)7.

1 Efestione (XII, 2, p. 38 Consbr.) riporta il primo verso del fr. 10 V., ricordando che esso è il verso iniziale del carme.

2 Cf. Gentili-Catenacci ibid, p. 195.

3 Cf. commento a Sapph. fr. 58 V., v. 12, p. 57 sgg.

4 Forse l'insieme di questi elementi Liberman 1999, p. 27 si chiede se non si debba pensare al lamento di un'eroina, come Cassandra.

5 Cf. Voigt 1971, p. 60

6 Poli,aj è correzione di Hoffman per il tràdito po,liaj (cod. A).

7 Per quest'ultimo, attestato in Alc. fr. 355 V., cf. lo schema in Gentili-Lomiento 2003, p. 163. Cf. l'analisi in De Martino-Vox 1996, III, p. 1277, secondo cui, in Alc. fr. 359 V., si avrebbe un gliconeo al v. 1 e un gliconeo +

Questi versi costituiscno l'incipit e l'explicit di un'ode alcaica simposiale. La traduzione qui proposta segue il testo stabilito da Voigt 1971, p. 323, con la sola eccezione di cau,nw|j (correzione di Lobel)1,

in luogo del tràdito cau,noij (cod. A.), che Voigt corregge in cau,nwj2. I problemi testuali legati a

questo frammento sono molti, e sull'interpretazione generale del carme la critica non è del tutto unanime. È necessario, a nostro avviso, partire dal contesto in cui Ateneo riporta il frammento. Nel terzo libro dei Deipnosofisti, si ricordano, in contesto gastronomico, le molte specie di molluschi commestibili (Ath. III, 85c). In questo contesto, grande importanza si accorda ai nomi ed alle peculiarità dei molluschi evocati. In III, 85e, poco prima della citazione del nostro frammento, si evoca la telli,nh (tellina), la cui carne è molto dolce e che i Romani chiamavano mitulus3. Si

aggiunge che Aristofane di Bisanzio ( vAristofa,nhj o` grammatiko,j), nella sua opera "Sulla spiacevole notizia" (Peri. th/j avcnume,nhj skuta,lhj)4, ritiene le lepa,dej (patelle) simili alle

cosiddette telli,nai5. Non è ozioso, a questo punto della trattazione, specificare che fra le patelle e le

telline, nell'antichità come oggi, vi è una forte somiglianza nel gusto della carne (si ricordi il contesto gastronomico di Ateneo), ma anche una sensibile differenza nella forma della loro conchiglia, in quanto la patella è un mollusco monovalva, commestibile, tipico del Mar Mediterraneo, dalla conchiglia conica e ovale, e che aderisce agli scoglî, mentre la tellina è un mollusco bivalve, commestibile, tipico del Mar Mediterraneo, dalla conchiglia oblunga, e che vive infossata nella sabbia6.

Il testo di Ateneo prosegue (III, 85f) con il riferimento a Callia di Mitilene, il quale nella sua opera Sulla patella in Alceo (peri. th/j par v vAlkai,w| lepa,doj) attribuisce al poeta lesbio l'ode della quale riporta l'inizio e la fine. L'ultimo verso, in particolare, è citato da Ateneo come di seguito:

evk de. pai,dwn cau,noij fre,naj a` qalassi,a lepa,j7)

Alla citazione segue una nota molto importante:

o` d v vAristofa,nhj gra,fei avnti. tou/ lepa.j ce,luj( kai, fhsin ouvk eu= Dikai,arcon evkdexa,menon le,gein ta.j lepa,daj\ ta. paida,ria de. h`ni,k v a'n eivj to. sto,ma la,bwsin( auvlei/n evn tau,taij kai. pai,zein( kaqa,per kai. par v u`mi/n ta. spermolo,ga tw/n paidari,wn tai/j kaloume,naij telli,naij( w`j kai. Sw,patro,j fhsin o` fluakogra,foj evn tw|/ evpigrafome,nw| dra,mati Euvbouloqeombro,tw|\

avll v i;sce\ telli,nhj ga.r evxai,fnhj me, tij avkoa.j melw|do.j h=coj eivj evma.j e;bh8

Aristofane scrive ce,luj invece di lepa,j9, e dice che Dicearco parla delle lepa,dej interpretando non

digiambo al v. 4.

1 La forma –wij per la seconda persona singolare del verbo cauno,w è, nel dialetto eolico, una forma accettata per analogia con le forme in –aw e in -ew. Si vedano a riguardo Gallavotti 1962, pp. 154-155, e Gentili-Catenacci 2007, pp. 400-401. Nella nostra traduzione intendiamo, con Gallavotti ibid., p. 114, la tmesi del verbo evkcauno,w "rendere gonfio, rendere vano, far inorgoglire".

2 Anche Liberman 1999, p. 159 adotta l'emendamento cau,nwj, intendendolo – non v'è dubbio dalla traduzione – come seconda persona singolare del presente di evkcauno,w, con relativa tmesi.

3 Secondo Canfora 2001, vol. I, p. 237, non è chiaro a quale mollusco si debba far corrispondere la telli,nh =

mitulus.

4 Quest'opera consisterebbe in un commento ad un'espressione di Archiloco. Vd. fr. 185 W.2, v. 2.

5 Il termine telli,nh povrebbe essere di origine sicula (Wilamowitz 1900, p. 74).

6 Cf. Enciclopedia Treccani, s.v. Fra le fonti antiche, invece, la descrizione più dettagliata dei testacidi (ta. ovstrako,derma), divisi in mono,qura (monovalvi) e di,qura (bivalvi), è in Arist. PA 679b. Anche Eliano (NA VI, 55, 5- 6) ricorda che le lepa,dej si trovano attaccate agli scogli.

7 de. pai,dwn è correzione di Ahrens, in luogo del tràdito lepa,dwn (o di evklepa,dion: cod. A.). 8 Sopatro (IV-III sec. a.C.), fr. 7 Kassel-Austin, vol. I, p. 275.

bene1; i ragazzini, quando le portano alla bocca, le suonano a mo' di auvlo,j e si divertono, proprio

come anche da noi fanno quei birbanti di fanciulli con le cosiddette telline, secondo quanto dice anche Sopatro, l'autore di tragedie burlesche, nel dramma dal titolo Eubulouomodio:

ma fermati: infatti d'un tratto una qualche

eco armoniosa di tellina è giunta alle mie orecchie.

L'intero passo getta luce su due dati molto importanti: la correzione di Aristofane (ce,luj per lepa,j) ed il legame esistente fra i bambini, i suoni, le patelle e le telline. L'affermazione secondo cui Aristofane di Bisanzio facesse terminare l'ode con la menzione del carapace (ce,luj) invece che della patella (lepa,j), è all'origine della correzione degli editori moderni del frammento di Alceo2.

Sebbene il testo di Ateneo non sia del tutto perspicuo, possiamo tuttavia trarne elementi sicuri, e speculare su quelli incerti. I dati incontrovertibili che è possibile desumere dal testo sono due: Callia di Mitilene, di cui sappiamo solo che commentò Saffo e Alceo (Str. XIII, 2, 4), riporta il testo di Alceo terminante con il termine lepa,j; Aristofane di Bisanzio (III-II sec. a.C.), famoso per la sua edizione agli evnne,a lurikoi,, editò lo stesso testo, ma sostituendo lepa,j con ce,luj. A queste uniche certezze si aggiungono le molte incognite, che impediscono una piena e profonda comprensione dell'ode. Infatti, Dicearco di Messina (IV-III sec. a.C.)3, di scuola aristotelica, autore di un'opera su

Alceo4, conobbe questi versi, ma non è possibile dire se egli leggesse lepa,j, e per questa divergenza

testuale fosse contestato dal più tardo Aristofane, o se invece, pur leggendo ce,luj, discordasse dal filologo alessandrino per motivi legati unicamente all'esegesi. In questo secondo caso, si può immaginare che la frase «i ragazzini, quando le portano alla bocca, le suonano a mo' di auvlo,j e si divertono» sia da attribuire a Dicearco, il quale leggerebbe ce,luj come metafora per lepa,j, intendendo come tertium comparationis la capacità di entrambi di emettere un suono. A questo punto, però, bisognerebbe chiedersi quale differente interpretazione Aristofane desse alla ce,luj5. Se

la medesima frase «i ragazzini (...) si divertono» è invece attribuita ad Aristofane, che sosterrebbe l'accostamento di ce,luj e lepa,j in senso strumentale, spiegando che anche le patelle possono suonare, come dimostrano i bambini e come ricordano i versi di Sopatro, bisogna allora spiegare come Dicearco, diversamente da Aristofane, spiegasse l'associazione ce,luj-lepa,j (o, meglio, secondo il testo, l'associazione ce,luj-lepa,dej). Non è da escludere che la distanza esegetica fra Dicearco e Aristofane riguardasse la categoria strumentale nella quale collocare la lepa,j, se fra gli strumenti a fiato (Aristofane) o fra quelli a percussione (Dicearco, che avrebbe visto nelle lepa,dej un loro uso a guisa di nacchere)6. Infine, non è chiaro quale posizione nella tradizione occupi,

"accogliere" una varia lectio), preferiamo tradurre con il più generico "scrivere". Cf. Neri 1996, pp. 34-37.

1 È possibile interpretare diversamente l'espressione ouvk eu= Dikai,arcon evkdexa,menon le,gein: «accettando a torto, dice» (scil. «accettando a torto, dice lepa,dej»). È in realtà difficile capire cosa veramente sostenesse Dicearco, e quale distanza vi fosse fra la sua posizione e quella di Aristofane, il quale, in ogni caso, palesa una divergenza esegetica dal quella dello studioso di scuola aristotelica. Cf. Liberman 1999, p. 244. Si veda anche Porro 1994, pp. 7-88, la quale, trascurando il punto in alto dopo lepa,daj, attribuisce a Dicearco l'aneddoto dei bambini che si trastullano suonando dentro alle conchiglie. Questa interpretazione, proposta da Wilamowitz 1900, p. 75, è stata accolta anche da West 1990, p. 6.

2 L'oscillazione testuale fra lepa,j e ce,luj, fin dall'antichità, è motivata anche dal fatto che i termini sono equivalenti dal punto di vista metrico.

3 Cf. Wehrli, pp. 13 (fonti antiche), 43-44 (commento). 4 Cf. Wehrli, pp. 33-34.

5 Cf. West 1990, p. 6, Liberman 1999, p. 244. cf. anche Douglas Olson 2006, vol. I, p. 473. È più facile attribuire la frase «come anche da noi fanno quei birbanti di fanciulli con le cosiddette telline» e la citazione di Sopatro all'io narrante dei Deipnosofisti. Cf. a questo proposito Porro ibid., p. 9. Secondo Wilamowitz, ibid. p. 75, invece, tale frase andrebbe attribuita ad Aristofane, ma eluciderebbe l'interpretazione di Dicearco.

6 Per questa intepretazione, cf. Canfora 2001, vol. I, pp. 237-238. Neri 1996, pp. 50-51, propone una tesi alternativa: Dicearco avrebbe non soltanto letto lepa,j, ma anche interpretato male lepa,dej, intese nella loro funzione di kre,mbala (nacchere).

cronologicamente, il testo di Callia, nonostante Wilamowitz 1900, p. 75 lo collochi con certezza dopo Dicearco e Aristofane1.

Secondo quanto fin qui analizzato, appare chiaro che la querelle nata fin dall'antichità attorno a questo frammento - sia essa stata di natura testuale o esegetica –, ne rivela un elemento indiscutibile: il senso di un'ambiguità di fondo. La doppiezza semantica potrebbe essere all'origine delle varie tradizioni testuali ed esegetiche. Se ricollochiamo il frammento nel suo contesto, il simposio, in cui l'ambiguità è la cifra stilistica di testi politici, erotici, spesso carichi di verve ironica, possiamo proporre come utile chiave di lettura il valore metaforico. Il principio della metafora sembra infatti estendersi all'intera ode, che si presenta dunque nella forma di un'allegoria2.

L'insieme delle scelte lessicali, sia all'inizio sia alla fine del componimento, fanno intendere, infatti, un riferimento allegorico ad un elemento della sfera marina, a cui ci si rivolge, apostrofandolo con epiteti, alla seconda persona singolare. È necessario richiamare, oltre alle caratteristiche retoriche dell'ode, anche il suo contesto esecutivo, ovvero il simposio, evento plurisensoriale. Le discussioni politiche, i canti religiosi, i lazzi, la compagnia delle flautiste e il rito del vino, infatti, costituivano l'insieme delle attività simposiali, a cui non poteva mancare un elemento centrale: il cibo. La varietà e la qualità delle pietanze garantivano il piacere gastronomico dei convitati. La presenza di leccornie era complementare a quella di un buon vino. In questo quadro, che lo stesso Ateneo richiama prima di citare il frammento alcaico, possiamo immaginare che le lepa,dej fossero portate al cospetto dei convitati, servite su un bel piatto e pronte per essere gustate. Una scena simile potrebbe aver offerto al poeta la possibilità di intonare in onore di questo mollusco, con grande effetto ironico sui sumpo,tai, i versi in questione. Questa ipotesi è in pieno accordo con la chiave intepretativa con cui Wilamowitz (pp. 75-76) aprì nuove prospettive esegetiche sul frammento. Secondo l'illustre filologo tedesco, quest'ode sarebbe in realtà un gri/foj, un indovinello che il poeta avrebbe sottoposto ai convitati, animando il simposio e suscitando il piacere di trovarne la soluzione. La figlia della roccia e del bianco mare sarebbe, soluzione all'indovinello, la lepa,j. Questa interpretazione è sembrata molto utile per sciogliere uno dei principali nodi esegetici evocati: Aristofane preferirebbe ce,luj a lepa,j poiché, non comparendo mai la soluzione in un indovinello3, sarebbe impensabile che proprio alla fine dell'enigma Alceo ne desse la soluzione

(lepa,j)4. Il termine ce,luj, invece, non soltanto manterrebbe celata la soluzione – lasciando gli

ascoltatori nel dubbio fino alla fine -, ma darebbe anche un nobile e arguto indizio, suggerendo il valore strumentale della lepa,j attraverso l'apostrofe "carapace marino" (av qalassi,a ce,luj)5.

Secondo questa interpretazione, ce,luj sarebbe un illuminante suggerimento per lepa,j in quanto entrambi possono generare dei suoni. L'elemento del carapace costituirebbe così l'ultimo degli indizî dati per la soluzione del ritornello, e di cui possederemmo soltanto l'iniziale "prole della roccia e del bianco mare", e l'ambigua espressione evk de. pai,dwn cau,nw|j fre,naj. Trovandosi alla fine del gri/foj, si è supposto che il termine ce,luj rappresenti il punto climatico di una serie verbale con cui il poeta suggerirebbe la soluzione accennando al misterioso oggetto con associazioni sempre più argute. Per una serie ragioni, che ci riserviamo di trattare in altra sede, preferiamo

1 Per questo problema, cf. Porro 1994, pp. 10-11. Neri 1996, pp. 29-34 ritiene più plausibile una datazione alta di Callia, al V secolo a.C. Si avrebbe, secondo questa tesi, la seguente sequenza cronologica: Callia di Mitilene, Dicearco di Messina, Aristofane di Bisanzio.

2 L'inserimento di questo fr. nella sezione METAFORA, invece che in quella della ALLEGORIA, è dovuto al fatto che la figura retorica sonora, in questo caso, è una metafora, mentre l'allegoria ha carattere, tutt'al più, ittico- malacologico.

3 Cf. Liberman 1999, pp. 243-244.

4 La teoria del gri/foj risale a Wilamowitz 1900, p. 75. Secondo West 1990, p. 6 questi versi devono ritenersi appartenenti ad un indovinello, anche se non sappiamo quale fosse la soluzione per esso prospettata da Aristofane. Tale soluzione, secondo lo studioso oxoniense, si sarebbe ad ogni modo contrapposta a quella della lepa,j, proposta da Dicearco.

5 Si ricordi che la ce,luj con cui Hermes costruì la prima lu,ra proveniva da una tartaruga montana, e non marina. Cf.

leggere questi versi non come un gri/foj1, ma come un'arguta e complessa apostrofe metaforica

rivolta alla lepa,j, che con tutta verosimiglianza sarebbe comparsa nel simposio su una delle portate per i convitati, insieme ad altre varietà di frutti di mare2. L'interpretazione della "apostrofe

metaforica" e quella del gri/foj, ai fini dell'analisi retorico-stilistica, non comportano sostanziali differenze, in quanto anche l'indovinello usa, secondo Aristotele, lo stesso principio usato dalla metafora, di collegare elementi impossibili parlando di cose reali3.

Si considerino ora le connotazioni del termine lepa,j, ed in particolare il suo valore sonoro, confermato anche dalla citazione di Sopatro (cf. supra). Per quanto è possibile evincere da poco più di due versi, il riferimento all'aspetto sonoro di questo mollusco è presente soltanto alla fine dell'ode alcaica: agli ascoltatori della metafora (o del gri/foj) Alceo dapprima proporrebbe una visualizzazione della lepa,j, e in seguito, attraverso l'evocazione del carapace, farebbe allusione alle potenzialità sonore della sua conchiglia, strettamente legata ad un contesto ludico infantile. Spiegare come i bambini avrebbero potuto trarre un suono da una conchiglia monovalva come quella della lepa,j rientra di diritto fra i problemi esegetici di questo frammento. A questo proposito, Porro 1998, p. 9 sottolinea:

Un elemento in particolare si oppone sostanzialmente all'interpretazione dicearchea [i.e. quella secondo cui i bambini si trastullerebbero a "far suonare" le conchiglie, n.d.a.]: le lepa,dej, a differenza delle telline, sono univalve; è impossibile perciò che venissero usate per produrre un suono soffiandovi dentro.

Questa constatazione non tiene conto delle potenzialità di una conchiglia – per quanto monovalva – né, soprattutto, della grande inventiva che caratterizza i bambini, ai nostri tempi come nella Grecia arcaica. Nel commento che segue la citazione di Alceo – sia che lo si attribuisca ad Aristofane, sia che lo si intenda come intepretazione di Dicearco (vd. supra) - si accosta il gioco dei bambini di ricavare un suono dalle patelle, al gioco del tutto simile di ricavare un suono dalle telline. Forse influenzati da una scientificità imposta dall'alto a situazioni di vita quotidiana, che in realtà risultano molto più dinamiche ed imprevedibili, si ritiene improbabile che le patelle, in quanto monovalvi, potessero essere usate per emettere un suono. D'altra parte, per le telline, bivalvi, tale operazione è ritenuta certamente possibile. In realtà, come è noto a chiunque sia già andato in cerca di conchiglie sulla spiaggia – come i bambini – anche le telline, che nei libri di scienze sono bivalvi, si presentano quasi sempre con una sola valva, disperse sulla battigia. Se dunque era possibile far suonare le une, ciò era possibile anche con le altre. La similarità fra la lepa,j e la telli,nh, sottolineata dallo stesso Aristofane (in Ath. III, 85e, vd. supra) riguarda non soltanto la dolcezza delle loro carni (si ricordi il contesto gastronomico in cui vengono citati i versi di Alceo), ma anche la forma delle loro conchiglie, più piatte e piccole di altre specie, come ad esempio il murice (a forma di clava), la lumachina (a spirale), o quelle di dimensioni più imponenti e a torciglione (come per esempio la Charonia tritonis), usate dagli antichi a mo' di tromba4. Per capire come si potesse ricavare un

suono da queste conchiglie basterà leggere con più attenzione il testo di Ateneo, che riporta in senso

1 Cf. Neri 1996, p. 48, che ritiene sia più saggio abbandonare l'ipotesi dell'indovinello, e preferire l'ipotesi dell'invocazione ad uno strumento musicale.

2 Cf. lo stesso Ateneo, III, 85c. È anche possibile che, una volta mangiata, la lepa,j sia rimasta vuota a terra, insieme ad altre conchiglie, come ricorderebbe la "natura morta" di un mosaico, firmato da Heraklitos, ai Musei Vaticani. Cf. Canfora 2001, I, I inserto, n° 1.

3 Arist. Po. 1458a 26-30.

4 Cf., per quest'uso strumentale delle grosse conchiglie a spirale (designate per lo più con il termine ko,gcloj), cf. E.

IT v. 303, Theoc. XXII, v. 75. Si ricordi, come esempio per il mondo romano, anche il passo dell'Eneide (VI, v. 171)

in cui Miseno suona la concha di Trinone, e viene punito per la sua arroganza dalle stesse onde del mare: Sed tum,

forte cava dum personat aequora concha, | demens, et cantu vocat in certamina divos, | aemulus exceptum Triton, si credere dignum est, | inter saxa virum spumosa immerserat unda. Cf. l'interessante commento a questi versi, con

metaforico il verbo auvlei/n: il riferimento all' auvlo,j non è usato in modo generico, ma con competenza tecnica. Perché l' auvlo,j potesse suonare occorreva un'ancia (glw/ssa) e molto soffio. Sia per le patelle, sia per le telline, i bambini avrebbero adottato un sistema che imita, nel principio, quello dell' auvlo,j. Bisogna pensare ad un posizionamento particolare della valva alla base delle due dita (ad esempio tra l'indice e il medio), e ad un'azione vibrante delle labbra sollecitate da un soffio molto forte. In questo modo, le labbra fungerebbero da ancia naturale, e si otterrebbe un fischio forte, stridulo e, si deve immaginare, piuttosto fastidioso1: per tale motivo i fanciulli sarebbero

denomintati con il termine spregiativo spermolo,ga, e con senso antifrastico Sopatro avrebbe definito "melodioso" il risuonare di questo improvvisato strumento (melw|do.j h=coj)2. Come è facile

immaginare, ricavare un suono da questi tipi di conchiglie doveva essere molto difficile, e tale pratica, sebbene ludica, necessitava di esperienza, di dedizione, e di molto fiato. Questo gioco avrebbe procurato grande diletto ai bambini (pai,zein), e sarebbe stato grande motivo di orgoglio il riuscire nell'ardua impresa di far suonare le conchiglie. I partecipanti, alla fine del gioco, dovevano essere sfiancati dai molti tentativi, ed eventualmente inorgogliti dall'aver generato il ricercato suono. Questo duplice sentimento, di stanchezza e di orgoglio, è reso efficacemente dall'espressione evkcaunou/n fre,naj, il cui significato oscilla fra un senso più fisico (l'infiacchimento dei polmoni)3 e

uno più morale (l'inorgoglirsi del cuore)4.

Infine, appare utile ed illuminante approfondire l'accostamento metaforico fra la ce,luj e la lepa,j alla luce di un confronto fra i versi di Alceo e altri passi di autori greci, fra cui, soprattutto l'Inno omerico a Hermes. Le caratteristiche che accomunano la ce,luj e la lepa,j sono molte, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. La prima, e più evidente, è la forma concava. Sia la tartaruga, sia la patella, inoltre, venivano svuotate della carne che esse contenevano: le patelle, come si è visto, erano certamente usate in contesto gastronomico; della tartaruga, invece, possiamo solo immaginare che i Greci mangiassero le carni come si usava, fino a prima del rischio di estinzione, anche in Europa. Ad ogni modo, il carapace e la conchiglia, per varî motivi – la ce,luj soprattutto per l'accompagnamento musicale, la lepa,j soprattutto in senso gastronomico – sono elementi tipici del banchetto. Su questi elementi, si confrontino i versi di Alceo con le parole di saluto rivolte alla tartaruga da Hermes, e, per quanto riguarda ancora la patella, con la breve descrizione contenuta in una lettera di Sinesio di Cirene (370-413 d.C.) al fratello:

h.Merc., vv. 31-32:

cai/re( fuh.n evro,essa( coroitu,pe( daito.j e`tai,rh( Salve, tu che salti danzando, dalla forma graziosa,

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