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in una lagrimevole guerra, Fonte: P.Oxy 1790, fr 1.

Metro: paremiaci.

Gli eroi vennero a Troia per combattere una guerra lagrimevole (po,lemoj ))) dakruo,eij), per causa della bionda Elena (xanqh. `Ele,nh), ingaggiando una lotta che è oggetto di canto (dh/rij polu,umnoj), motivo di kle,oj per gli eroi e per gli stessi poeti1. Si presentano in questi versi tre topoi centrali

della cultura arcaica greca: la bellezza di Elena, la guerra lagrimevole combattuta per causa sua, e la gloria che derivò dal canto delle loro gesta. Questi tre temi sono funzionali all'economia di tutta l'ode, sia dal punto di vista argomentativo che contestuale. I temi epici, infatti, costituiscono la materia mitica del canto – una materia da Ibico rifiutata -, e suggeriscono un confronto diretto, e antitetico, con l' e;painoj erotico a Policrate2. È pertanto necessario approfondire i temi evocati in

questi versi.

La bellezza di Elena è strettamente legata alla sua immagine ed alla sua caratterizzazione fisica. Il suo ei=doj attrae i molti uomini che secondo la tradizione l'avrebbero desiderata e avuta come compagna o come moglie3. La vista, nel mito di Elena, è senz'altro il senso predominante, se non

esclusivo: è la bellezza fisica che ne fa una vera e propria "seconda Afrodite" della cultura antica4.

La sua bellezza è talmente imbarazzante da sconvolgere i vecchi del consiglio troiano, i quali, prima paragonati da Omero a delle cicale risonanti nella foresta (Il. III, v. 151), al vedere lo splendore di Elena cambiano radicamente il tono (e probabilmente il volume) dei loro discorsi, paragonandola con «parole alate»5 (ibid. v. 155) alle dee immortali (v. 158). Uno scolio al v. 1287 dell'Oreste

euripideo (I, p. 214 Schwartz = fr. 201 PMGF) riporta la notizia secondo cui Stesicoro, probabilmente nell' vIli,ou Pe,rsij, avrebbe messo in forte rilievo la bellezza conturbante di Elena: coloro che volevano lapidarla, dopo averne ammirato la o;yij, lasciarono cadere le pietre a terra. Un gesto simile sarebbe stato narrato anche da Ibico, che tanta importanza accorda alla potenza

1 Si pensi alla chiusa dello stesso componimento (vv. 46-48), in cui Ibico sembra legare il kle,oj immortale di Policrate alla propria poesia.

2 Cf. pp. XLI-XLII.

3 Per il valore fisico-visivo del termine ei==doj, soprattutto in Omero e in Erodoto, cf. Wilkinson 2013, p. 62. Cf. anche Hom. Od. IV, v. 14 (riferito alla figlia della stessa Elena): `Ermio,nhn( h] ei=doj e;ce crush/j vAfrodi,thj. Per una sintesi di tutti gli uomini a cui è legata Elena nel mito, fino alle sue nozze con Menelao ed al suo rapimento da parte di Paride, cf. Guidorizzi 2012, vol. II, pp. 597-599.

4 Cf. Guidorizzi, ibid., p. 795.

5 Paduano 2012, p. 81 traduce bene rendendo il cambiamento sonoro del consiglio dei vecchi troiani. Mentre prima essi sono definiti abili oratori «come cicale che nella foresta, | stando sugli alberi, emettono un canto acuto» (vv. 150-152), dopo aver visto Elena arrivare al bastione essi «si dissero a bassa voce l'uno con l'altro» (v. 155) che i Troiani e gli Achei non erano da biasimare, se avevano sofferto per una donna simile.

dell'eros1. Uno scolio all'Andromaca di Euripide2, infatti, descrive la scena di un ditirambo attribuito

al poeta di Reggio3: Elena, di fronte al marito che minaccia di ucciderla con una spada, trova rifugio

nel tempio di Afrodite, e da lì dialoga con Menelao. Questi, preso dall'eros (che la vista della moglie avrà suscitato), getta via la sua arma. Euripide4, seguito da Aristofane5, aggiunge a questa scena

l'elemento ancora più esplicito del seno nudo, che Elena mostra al marito per indurlo all'indulgenza, in questo caso attraverso un elemento visivo e non con la forza della persuasione.

In accordo con la visualizzazione della sua bellezza, ad Elena si attribuiscono epiteti che esaltano l'eleganza delle sue vesti (tanu,peploj in Hom. Od. IV, v. 305) e la bellezza dei suoi capelli (eu;komoj in Hom. Il. IX, v. 339; Hes. Op., v. 165 et alibi; kalli,komoj in Hom. Od. XV, v. 58)6. L'espressione

di Ibico «per la bellezza della bionda Elena» si inserisce, dal punto di vista formale e contenutistico7, nel solco della tradizione omerica e arcaica, in cui il biondo dei capelli è elemento

simbolico della bellezza e dello splendore di uomini, donne, eroi e dei8. Sembra che Saffo (fr. 23 V.,

v. 5) e Stesicoro (fr. S103 PMGF, v. 5) siano stati i primi ad avere attribuito l'epiteto xanqh, ad Elena, sottolineandone la vicinanza, nella bellezza fisica, agli dei9. Non a caso, al v. 9 della stessa ode,

proprio a chiusura della prima triade strofica, Ibico fa riferimento alla dea Afrodite nominandola con l'epiteto "divino" crusoe,qeira, dai capelli d'oro:

cru#soe,qeiran dÎi#a.ñ Ku,prida\

Questa iunctura potrebbe essersi caricata di un valore enfatico per contrapposizione al sintagma xanqa. `Ele,na, evocato pochi versi prima, all'inizio dell'epodo. Si può rilevare una vera e propria Ringkomposition formale e interna all'epodo: nella prima parte (vv. 5-7) si ricorda la bellezza suadente della bionda Elena, motivo della contesa "molto cantata" (dh/rij polu,umnoj) che significò sofferenze e lacrime per chi vi prese parte (po,lemoj dakruo,eij); nella seconda (vv. 8-9) si richiama la rovina (a;th, v. 8) che si abbatté sulla sventurata rocca di Pergamo a causa di Afrodite, "dagli aurei capelli". All'immagine della bionda, ma umana, Elena, si contrappone alla fine dell'epodo quella dell'aurea, e divina, Afrodite10, e alla bellezza aurea – e quindi immortale - di quest'ultima si

1 Cf. soprattutto il fr. 287 PMGF.

2 Schol. S ad E. Andr. v. 631, II, p. 293 Schwartz = fr. 296 PMGF.

3 Cf. Cingano 1992, pp. 215-219, che avvalora la notizia per cui Ibico avrebbe composto dei ditirambi, e dunque, inequivocabilmente, canti per esecuzioni corali.

4 Andromaca, vv. 628-629 (Peleo a Menelao): ouvk e;ktanej gunai/ka ceiri,an labw,n( | avll v( w`j evsei/dej

masto,n( evkbalw.n xi,foj | fi,lhm v evde,xw( ktl. L'elemento del seno nudo fu usato per la prima volta da Euripide, (cf., fra gli altri, Henderson 1987, p. 86 e Sommerstein ed. 2007, p. 163). Più incerto, riguardo l'origine di questo topos, Cingano ibid., p. 217, n° 92. L'icasticità della scena ispirò anche l'iconografia vascolare coeva ad Euripide. Cf. Kahil, 1955, pp. 90-91 e tav. 66, 1-3.

5 Lys., vv. 155-156 (Lampitò): o` gw/n Mene,laoj ta/j `Ele,naj ta. ma/la pa| | gumna/j para«idw.n evxe,bal v( oivw/( to. xi,foj)

Oltre a Ibico, Euripide e Aristofane, l'episodio fu trattato anche nella Piccola Iliade. Cf. fr. 19 EGF.

6 Per i molti altri riferimenti alla bellezza fisica di Elena, a cui si aggiungono gli epiteti leukw,lenoj "dalle bianche braccia" e kallipa,rh|oj "dalle belle guance", cf. Simonini 1979, p. 287. Sull'epiteto kalli,komoj, riferito dallo stesso Ibico alle Cariti (fr. 288 PMGF, v. 1), cf. pp. 38-39.

7 Per quanto riguarda l'aspetto formale dell'espressione, Maehler 1963, pp. 75-76 sottolinea la derivazione omerica, sebbene rifunzionalizzata in una nuova associazione, della preposizione peri, accordata in Ibico con un oggetto astratto.

8 Per i riferimenti a passi omerici e di lirica arcaica, cf. Wilkinson 2013, p. 62.

9 Cf. Simonini ibid., p. 287, che sottolinea lo stretto rapporto fra il termine xanqo,j e la sua connotazione divina. Il valore fisico della bellezza e della sensualità di Elena risulta evidente anche dall'atteggiamento di Paride, il quale, nonostante abbia appena sentito dure parole da parte di lei, preso dall'e;rwj che il suo corpo suscita, la invita a fare l'amore (Hom. Il. III, v. 438 sgg.). Il personaggio di Elena è menzionato in Ibico nella sua immagine più fascinosa. Da un'analisi dei frammenti superstiti, infatti, sembra che questo poeta abbia avuto una spiccata tendenza ad accentuare i tratti erotici del mito. Cf. Cavallini 1997, pp. 20-22. Cf. anche il commento a Ibyc. fr. S151 PMGF, vv. 10-13, p. 162 sgg.

contrappongono la caducità umana e la rovina di Troia da lei provocata (v. 8). Vi è dunque un'opposizione marcata, attraverso l'attento accostamento degli epiteti, fra la mortale Elena e l'immortale Afrodite sua alleata. Sebbene la prima sia la donna più bella, colei che la stessa Afrodite dice di avere amato (Hom Il. III, v. 415), la dea mantiene la sua posizione di superiorità. Questa distanza fra il divino ed il mortale è espressa dai capelli aurei di Afrodite, opposti ai capelli biondi di Elena1. Che la vista sia il senso preponderante legato alla figura di Elena risulta evidente anche

dalla punizione che lei, ormai assurta a divinità, inflisse a Stesicoro per averla calunniata: la cecità, l'impossibilità di vedere, che il poeta di Imera riacquistò (avnable,pein) soltanto dopo aver composto per lei la cosiddetta Palinodia (Pl. Phdr. 243a= Stesich. fr. 192 PMGF). Inoltre, risalirebbe allo stesso Stesicoro (cf. Pl. R. IX 586c)2 la versione del mito secondo cui non la vera Elena, ma un suo

ei;dwlon – una proiezione visiva della sua bellezza - seguì Paride fino a Troia3.

La colpa di aver scatenato una lagrimevole guerra fra Achei e Troiani ricade sulla figura di Elena fin dalle sue prime evocazioni nell'Iliade (II, v. 161; IX, v. 339; XIX, v. 325). Alle sofferenze di questa guerra non sono associate soltanto le lacrime (cf. dakruo,eij)4, ma anche il ricordo della

sensazione sonora dei gemiti che accompagnano lo stato d'animo della sofferenza. Nel secondo libro dell'Iliade, infatti, Nestore pronuncia un'allocuzione per esortare gli Achei a combattere e Agamennone a guidarli nelle dure battaglie. Ai vv. 354-356 egli soggiunge:

tw/ mh, tij pri.n evpeige,sqw oi=ko,nde ne,esqai( Perciò nessuno si affretti a tornare a casa, pri,n tina pa.r Trw,wn avlo,cw| katakoimhqh/nai( prima di aver passato la notte con una dei Troiani tei,sasqai d v `Ele,nhj o`rmh,mata, te stonaca,j te) e aver vendicato gli affanni e i gemiti per Elena5.

La gloria che deriva agli eroi dal canto è espressa dall'epiteto polu,umnoj. Wilkinson 2013, p. 60 sottolinea la forte contrapposizione dei due epiteti dakruo,eij e polu,umnoj, che polarizza i due aspetti della guerra: il dolore e la gloria. La scelta lessicale è in questo caso molto importante: il composto polu,umnoj è raramente attestato nella letteratura greca arcaica6, mentre l'aggettivo dakruo,eij è usato

con una certa frequenza da Omero7. Come sottolinea Hutchinson 2001, p. 239, nell'opposizione dei

due epiteti polu,umnoj e dakruo,eij, il primo ricorderebbe il premio della gloria al costo degli sforzi e

238.

1 Una simile contrapposizione è in Hes. Th., v. 947, fra Dioniso (crusoko,mhj) e Arianna (xanqh,). Cf. Wilkinson 2013, p. 60. Una contrapposizione "visiva" molto simile è anche nel Partenio del Louvre (Alcm. fr. 1 PMGF), in cui la chioma di Agesicora «fiorisce come l'oro puro», e il suo volto è detto essere d'argento (vv. 51-55). A lei è seconda "in bellezza" Agido (v. 58). Cf. anche pp. 4-5. Per quanto attiene alla figura di Elena, più in generale, si ricordi il suo stretto legame con la sfera divina. Secondo alcuni passi omerici, ella sarebbe stata addirittura uno strumento in mano alla divinità, non colpevole del suo operato. Su questa interpretazione "religiosa" della condotta di Elena, e per la stretta relazione fra quest'ultima e Afrodite, cf. Bona 1978, p. 77 sgg.

2 Cf. altre fonti in Davies 1991a, pp. 177-179. La parafrasi a Licofrone 822 (I, 71 Scheer = fr. 358 M.-W.) attribuiva

questo motivo a Esiodo.

3 Cf. fr. 193 PMGF, ritenuto di grande importanza, e commentato, da De Martino-Vox 1996, I, pp. 257-258. Per un confronto fra Stesicoro e l'Elena di Euripide, soprattutto per quanto riguarda gli elementi della Palinodia, in particolare quello dell' ei;dwlon, cf. Allan 2008, p. 18 sgg.

4 Wilkinson 2013, p. 63 riporta altri esempî in cui questo aggettivo è accostato alla guerra o alla battaglia.

5 Intendiamo il genitivo in senso oggettivo ("gli affanni e i gemiti che Elena ha causato"). Un'altra interpretazione possibile sarebbe: «gli affanni e i lamenti di Elena» ("che Elena ha provato"), con il genitivo inteso in senso soggettivo. Inoltre, secondo una interpretazione etimologica differente del termine o[rmhma, da o`rma,omai ("mettersi in moto", "partire") invece che da o`rmai,nw ("pensare", "agitarsi"), lo stesso verso potrebbe essere tradotto «e aver vendicato la partenza e i lamenti di Elena». L'esegesi da noi prospettata è quella più coerente con l'idea dominante nei due poemi omerici, secondo cui Elena è considerata responsabile di aver seguito Paride, e non vittima di quest'ultimo. Cf. Mirto 2012, pp. 781-782.

6 Per le altre attestazioni, oltre al TGL, si veda Wilkinson ibid. p. 59. Cf. in particolare polu,umnoj in h.Bacch., v. 7 (riferito a Dioniso), in Anacr. fr. 446 PMG = 165 Gentili (usato in senso negativo per una prostituta), e in Pi. N. II, v. 5 (riferito al «bosco di Zeus»).

7 Cf. Hom. Il. VI, v. 484 (dakruo,en gela,sasa detto di Andromaca), XVIII, v. 66 (riferito alle Nereidi che insieme a Teti piangono la morte di Achille), XXI, v. 496 (riferito ad Artemide, bistrattata da Era).

della sofferenza rappresentati dal secondo.

L'epiteto musicale polu,umnoj mette in risalto il valore più profondo della poesia, quello di eternare le gesta degli eroi con continue re-performances dell'epos. Ibico compone questi versi per il medesimo fine, anche se con un oggetto differente: quello di eternare le qualità e i meriti del committente della sua opera, insieme alla sua stessa attività poetica. La pluralità degli u[mnoi ricordata dall'epiteto polu,umnoj esprime non soltanto un concetto di quantità di canti – che faranno rivivere più volte, nel ricordo dei poeti1, la materia cantata -, ma anche la qualità della poesia, il suo

potere, la sua bellezza ed il suo prestigio, che renderanno eterni i contenuti. A quest'ultimo concetto è legato anche il significato del verbo u`mne,w, che al v. 12 dello stesso componimento è usato in riferimento alla possibilità di celebrare, da parte del poeta, personaggi epici quali Paride, Cassandra, i figli di Priamo, e tutti gli altri eroi. Questa materia di canto è tuttavia rifiutata, in forma di praeteritio, da Ibico2.

Sebbene entrambi i termini siano qui usati con il loro significato generico (di canto come celebrazione)3, tuttavia l'epiteto polu,umnoj ed il verbo u`mne,w potrebbero qui rappresentare anche un

riferimento al genere dello u[mnoj, che fin dal periodo arcaico era il canto intonato agli dèi (Pl. Lg. III, 700b). Il fatto che negli argomenti epici la presenza divina sia molto forte, infatti, potrebbe avere indotto il poeta ad associare la Guerra di Troia, ed i suoi personaggi principali, alla radice del canto (u`mn-) intonato agli dei, contrapponendo, attraverso un uso specifico del linguaggio musicale, il tema divino all'argomento della sua ode, che si presenta con le caratteristiche di un evgkw,mion a Policrate. In questo senso, infatti, Platone (R. X, 607a) distingue nettamente l' evgkw,mion dallo u[mnoj4.

Come si è già accennato, la molteplicità dei canti ed il successo degli argomenti cantati sono riassunti nella prima parte del composto aggettivale polu,-umnoj. Nel significato di polu,j, infatti, si concentrano molti aspetti della cultura orale, uno concatenato all'altro: la ripetitività dell'epos, legata alla memoria necessaria per "trovare" materie di canto; il riconoscimento dei temi e dei personaggi da parte di un attento uditorio; il prestigio e la fama che la poesia eternatrice assicura agli argomenti trattati5; la forza di diffusione dei versi, e la stessa forza fisica, di propagazione del

suono, che il canto esige. Per quest'ultimo elemento, e più in particolare per il significato di polu,j = "forte" in campo sonoro, si veda, fra i molti esempî6, il "forte" (polu,j) imeneo che si leva fra suoni

strumentali e danze di giovani, nella "città pacifica" cesellata da Efesto nello scudo di Achille (Hom. Il. XVIII, v. 493):

polu.j d v u`me,naioj ovrw,rei\

Nel prologo dei Sette a Tebe, Eschilo esalta il valore di "ripetitività" dell'aggettivo polu,j, legandolo alla sfera sonora ed, in particolare, allo u[mnoj. Nei primi versi della tragedia, infatti, Eteocle si rivolge ai cittadini di Tebe, preannunciando le vicende che seguiranno, con parole cariche di apprensione per la sua stessa persona (vv. 4-8):

eiv me.n ga.r eu= pra,xaimen( aivti,a qeou/\ qualora infatti agissimo bene, sarebbe responsabilità del dio; eiv d au=q v( o] mh. ge,noito( sumfora. tu,coi( se invece subito dovesse accadere sventura, non sia mai, vEteokle,hj a;n ei=j polu.j kata. pto,lin Eteocle solo molto sarebbe cantato per la città

u`mnoi/q v u`p v avstw/n froimi,oij polurro,qoij dai cittadini, con proemî molto risonanti

1 Per la distinzione fra memoria e ricordo, quest'ultimo più pertinente alla esecuzione ed alla trasmissione rapsodica, cf. Gentili 2006, p. 23.

2 Cf. commento a Ibyc. fr. S151 PMGF, vv. 10-13, p. 162 sgg. 3 Cf., e.g., Hes. Th., vv. 11, 33, 37.

4 Cf. Gentili 2006, p. 181. 5 Cf. Ibyc. fr. 303aPMGF.

6 Fra gli altri, Hom. Il. II, v. 810 (riferito al tumulto di fanti e cavalieri: polu.j d v ovrumagdo.j ovrw,rei), e Od. IX, v. 315 (riferito al fischio con cui Polifemo conduce al pascolo il suo gregge: pollh|/ de. r`oi,zw|).

oivmw,gmasin q v\ e lamenti;

In questo passo è da notare l'insistenza di Eschilo sull'idea di "ripetitività" dei canti (vd. polu.j kata. pto,lin, polurro,qoij) che i cittadini "molte volte" intonerebbero all'indirizzo del loro re, lamentando l'infausta sventura con proemî "molto risonanti", e individuando nel solo Eteocle (vd. ei=j)1 il

responsabile della sconfitta.

Si confronti, infine, l'aggettivo polu,umnoj con composti simili, quale ad esempio polummelh,j di Alcm. fr. 14a2, in cui la molteplicità dei me,lh, ed allo stesso tempo la loro importanza, richiamano il

ruolo attivo della Musa che canta rendendo eterni gli argomenti stessi del canto. Fra gli epiteti in cui polu,j è legato a varî tipi di suoni o rumori, vi sono, nella letteratura arcaico-classica, l'aggettivo poluhch,j, riferito allo "spandersi" della voce di Procne-usignolo (Hom. Od. XIX, v. 521: ce,ei poluhce,a fwnh,n) o alla «spiaggia che molto riecheggia l'onda marina» (Hom. Il. IV, v. 422: evn aivgialw|/ poluhce,i? ku/ma qala,sshj); polu,fhmoj, riferito sia alle voci di un'assemblea (Hom. Od. II, v. 150), sia al canto dell'aedo Femio (Hom. Od. XXII, v. 376)3; polukw,tiloj, attribuito agli usignoli

primaverili, e forse metaforicamente anche delle donne del coro4; polu,cordoj, riferito per metafora

all' auvlo,j5. Nel contesto ibiceo, il composto polu,umnoj può avere il valore passivo dell'"essere molto

cantato", poiché la Guerra di Troia è dai poeti immortalata nei molti u[mnoi, oppure attivo, dell'"ispirare molti canti", in quanto l'argomento dell'epos è oggetto di continue re-performance6. In

qualsiasi modo lo si intenda, l'epiteto doppio polu,umnoj rimanda alla forza eternatrice della poesia, che in una cultura orale è garanzia della fama presso i posteri, legando il poeta all'argomento della sua narrazione: nella chiusa di quest'ode (vv. 47-48), infatti, Ibico ricorda che il kle,oj di Policrate sarà legato, o secondo un'altra lettura, dipenderà, dallo stesso kle,oj del poeta e del suo canto7.

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