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terpnota,twn mele,wn o` kallibo,aj polu,cordoj auvlo,jÈ

mi fermate (la voce?), forse, dacché ha cominciato

piacevolissimi canti

l' auvlo,j dalla bella voce, dalle molte corde?

Fonte: Aristid. or. XXVIII, 66, II 163 Keil.

Metro: kat v evno,plion-epitriti2. Genere: ditirambo (?).

Altre figure retoriche attive: epiteti doppî.

Questo frammento, composto in un dorico poetico, è ritenuto adespota da Page 19834, p. 510, anche

se un'attribuzione simonidea sarebbe suggerita dalla fonte Elio Aristide, che lo riconduce ad un avnh,r tij Simwni,deioj3. Chiunque sia l'autore di questo frammento, la composizione semantica di questi

versi rivela non soltanto una grande attenzione per il canto e per l'accompagnamento auletico, ma anche una grande fantasia e varietà nella scelta verbale. In particolare, la successione dei termini terpnota,twn mele,wn o` kallibo,aj polu,cordoj auvlo,j rappresenta un intreccio di elementi canori e strumentali diversi, che insieme rimandano al concetto di interdipendenza fra la musica-poesia antica e la te,ryij4. La presenza, inoltre, di due neologismi (kallibo,aj e polu,cordoj) e

1 Questa suggestiva interrelazione fra le Muse e gli uccelli riguardo al processo ispirativo può essere un tema diffuso anche a livello iconografico. Una lekythos delle Staatliche Antikensammlungen di Monaco (del 440 a.C. ca., n.i. 80), infatti, riporta un'immagine molto interessante in questo senso: una donna, seduta, suona la fo,rmigx, mentre un'altra è stante dinanzi a lei. Fra i due personaggi, in basso al centro, vi è un uccellino (forse un usignolo) al quale le due donne sembrano rivolgere la loro attenzione. Un'iscrizione sul vaso chiarisce che la scena è ambientata sul monte Elicona, e induce a ritenere che le due donne siano, secondo le intenzioni del pittore, due Muse. Analoga immagine, in cui insieme ad un uccello è rappresentato il dio Apollo con in mano una lu,ra, è in una kylix al Museo Archeologico di Delfi (n.i. 8140), risalente al 480-470 a.C. Su questi vasi, cf. anche Bundrick 2005, pp. 16, 26-27. 2 Poltera 2008, p. 193 adotta una disposizione colometrica diversa da quella di Page.

3 Cf. Poltera ibid., pp. 424-425, secondo cui il frammento è da attribuire senza dubbio a Simonide. 4 Cf. Lanata 1963, p. 8.

dell'accumulatio di termini specificatamente musicali1, non lascia dubbî sul potere enfatico e sulla

relativa combinazione di molteplici sensazioni che questi versi destarono nell'uditorio.

Il centro logico attorno a cui ruota il tessuto poetico è l' auvlo,j, strumento di primaria importanza nell'esecuzione del ditirambo, insieme all'armonia frigia2. In questo genere poetico Simonide ebbe

come insegnante Laso di Ermione (vd. Ar. V., v. 1410), famoso per aver dato più valore all'accompagnamento strumentale che alla voce, facendo leva sulle grandi potenzialità esecutive dell' auvlo,j, anche maggiori rispetto a quelle degli strumenti a corda, soprattutto a partire dalla fine del VI sec. a.C3. La centralità dell' auvlo,j potrebbe suggerire la contestualizzazione del frammento

nel genere ditirambografico4. È facile immaginare il famoso aerofono dare l'avvio, in questi versi,

alla melodia e al canto dell'"io poetico". Quest'ultimo, una volta sentito l'invito del dolcissimo strumento, chiede – forse alle Muse - di non voler più arrestare il flusso della sua voce5. Lo stato

euforico di chi canta accompagnato dall' auvlo,j quasi senza riuscire a fermarsi, sembra contrapporsi nella cultura greca arcaica alla situazione più composta di chi invece si accompagna ad un cordofono, come Achille che in Hom. Il. IX, vv. 186-191 canta accompagnandosi alla fo,rmigx (v. 186: fre,na terpo,menon fo,rmiggi ligei,h|). In questi versi, infatti, l'eroe greco diletta il suo qumo,j cantando le glorie degli eroi, mentre Patroclo, che gli siede accanto, sta in silenzio (v. 190: siwph|/) aspettando che l'amico finisca il suo canto (v. 191: o`po,te lh,xeien avei,dwn). L'esecuzione aulodica a cui allude il nostro frammento, sembra fare riferimento ad un contesto fonico del tutto differente da quello della scena iliadica: un ambiente estatico in cui il canto si esprime quasi come una forza inarrestabile, probabilmente nell'armonia frigia, legata al ditirambo e all' auvloj fin dai tempi del mitico Olimpo6. Forse anche a causa di questi effetti estatici, l’ auvlo,j trovò resistenze ad emergere

nella cultura arcaica ellenica. La sua presenza nella letteratura greca e nelle rappresentazioni vascolari si attesta non prima della seconda metà del VII secolo a.C. Barker 2002, p. 15 sostiene che «il silenzio quasi totale di Omero riguardo agli auvloi, dimostra che essi giocavano una piccola parte nel mondo musicale conosciuto dalla tradizione epica»7. Nella pratica musicale antica, si conferì ai

cordofoni il ruolo di accompagnare i momenti di festa e della vita quotidiana delle aristocrazie. A differenza degli aerofoni, gli strumenti apollinei avevano lo statuto di “strumenti nobili” ed erano il supporto di cui aedi e rapsodi si servivano per riecheggiare le gesta eroiche. Non a caso, la diffusione popolare dell’ auvlo,j, e la sua importazione dall’Oriente, contribuirono a relegare gli stessi auleti nelle fasce basse della società arcaica e classica: le auvlhtri,dej, ad esempio, prestavano la loro musica e la loro compagnia ai simposî, cui i soli uomini liberi avevano accesso. Alcibiade guardava con disprezzo all’uso di questo strumento e si rifiutava di suonarlo (Plu. Alc. 2, 5-7; Gell. Att. 15, 17); Platone lo giudicava inadatto allo Stato ideale (R. III 399d-e); Aristotele sosteneva che fosse meglio lasciare questa occupazione a professionisti (Pol. 1341a-b). Tuttavia, scrive Barker ibid. p. 14, «la musica degli auloi fu enormemente popolare, fortemente radicata nel tessuto culturale ricco e celebrata da tutti i poeti con eloquente ammirazione». Fu così che uno strumento declassato già dalla sua prima apparizione nella Grecia continentale, divenne ben presto un elemento immancabile nelle adunanze comunitarie e nelle manifestazioni religiose delle eterìe arcaiche e, più tardi, del teatro di Dioniso ad Atene. L’ auvlo,j, infine, è l’unico strumento insieme alla lira che, secondo gli aristotelici (ps.-Arist. Pr. XIX, 9), sarebbe adatto ad accompagnare la voce

1 Cf. Poltera ibid., p. 428.

2 Per il rapporto fra ditirambo e l'armonia frigia, cf. Pickard-Cambridge 19622, pp. 31, 47, 53.

3 Cf. Pickard-Cambridge ibid., p. 24, e Barker 2002, pp. 55-56.

4 Cf. Poltera 2008, pp. 425-426. Pickard-Cambridge ibid., p. 15 definiscono Simonide il più famoso ditirambografo antico.

5 Per le parole che il testo lascia immaginare – le Muse come soggetto e la voce come oggetto del verbo katapau,ete, cf. ibid. p. 428.

6 Per la problematica distinzione fra l'armonia frigia auletica e quella aulodica, vd. commento a Stesich. fr. 212 PMGF, p. 33 sgg.

umana, aiutando il cantante ad intonare bene la melodia, e a volte anche correggendolo1.

Le caratteristiche tecniche e le sue connotazioni culturali fecero dell' auvlo,j uno strumento fondamentale della cultura greca e, nel frammento attribuito a Simonide, l'elemento trascinatore di tutta la musica, nonostante questi versi siano stati composti verisimilimente in un momento storico in cui la parola ed il canto prevalevano ancora sull'accompagnamento musicale. La ricchezza semantica dei due epiteti, kallibo,aj e polu,cordoj, esalta la bellezza del suono dell' auvlo,j e contribuisce a porlo in netto rilievo rispetto agli stessi "piacevolissimi canti" che esso intona. Il primo epiteto, kallibo,aj, definisce lo strumento dal punto di vista estetico definendo bella la sua voce = boh,, termine che designa la forza di grida umane composte (soprattutto in contesto bellico)2

ma anche l'insieme sonoro emesso da strumenti eterogenei quali auvloi,, lu,rai e sa,lpiggej3. Il

secondo composto, polu,cordoj, definisce con il prefisso polu- il valore della varietà che il flauto, più di qualsiasi altro strumento, poteva assicurare all'esecuzione, non essendo l'aerofono vincolato ad una accordatura pre-impostata, come invece avveniva negli strumenti a corda. Se si attribuisce questo frammento a Simonide, collocandolo nel periodo della sua maturità, quindi nel V secolo, l'aggettivo polu,cordoj testimonierebbe un cambiamento culturale di grandissimo rilievo. È infatti nel corso del V secolo che la tecnologia organologica fece dell' auvlo,j lo strumento più versatile e adattabile non soltanto ad ogni diversa accordatura (a`rmoni,a) ma anche a tutti i generi (ge,nh) del sistema musicale greco (diatonico, cromatico, enarmonico)4. L'epiteto polu,cordoj, di prima istanza,

potrebbe aver assunto il suo significato più generico, come suggerisce Gentili 2006, p. 50:

Le parole polyphonía o polychordía riguardavano la molteplicità e la varietà dei suoni di un'aria musicale o di uno strumento. L'accompagnamento strumentale seguiva fedelmente lo sviluppo della linea del canto.

Ma a questo significato si aggiunge, grazie alla successione dei termini polu,cordoj auvlo,j nella catena verbale, l'originalità e l'enfasi poetica di questa associazione. L'ossimoro "auvlo,j dalle molte corde", infatti, risveglia il significato letterale dell'epiteto, suggerendo all'uditorio, attraverso il significato paradossale dell'accostamento, un icastico riferimento alle novità tecniche dei nuovi auvloi,, in grado di cambiare a`rmoni,a e ge,noj nel corso della stessa esecuzione, come se avessero a disposizione "molte corde" (polu + cordh,). Sul piano culturale, in questo caso, il poeta esalta le doti dell' auvlo,j nobilitandolo con un aggettivo afferente alla sfera della lu,ra. Assecondando la forza immaginativa del sintagma, si potrebbe parlare di una "sunauli,a semantica" creata a parole. Inoltre, l'ossimoro polu,cordoj auvlo,j suona alle orecchie dell'uditorio come espressione paradossale, e per questo di grande effetto5, perché accosta due elementi oppositivi sia dal punto di vista organologico

(cordofono - aerofono) sia sotto il piano cultuale (apollineo - dionisiaco).

Il riferimento contingente alle novità tecniche dell' auvlo,j spiegherebbe anche la centralità, in questi

1 Cf. West 1992a, p. 39.

2 Vd. ad esempio Hom. Il. II, v. 408. Diversamente, in B. XVII, v. 14, Eribea, una delle sette fanciulle ateniesi destinate, insieme ad altrettanti fanciulli, ad essere sacrificate al Minotauro, viene accarezzata da Minosse e, per sollecitare l'intervento di Teseo, lancia un grido. Si noti, in questo caso, il gioco paretimologico fra il nome della fanciulla e l'azione del suo gridare: bo,asñeñ, t v vEri,boia, «quasi che la giovane esaurisse la sua funzione narrativa nel grido che sollecita l'intervento di Teso» (Sevieri 2010, p. 114). Simile attrazione semantica è attestata in B. XIII, vv. 102-103: euveide,oj t v vEriboi,aj | pai/d v u`pe,rqumon boa,Îsw.

3 Vd. soprattutto Hom. Il. XVIII, v. 495, Pi. O. III, v. 8, P. X, v. 39.

4 Cf. le applicazioni dell' auvlo,j in contesto tragico, cf. Perì tragoidías, 100, in cui l'autore, evocando le tre categorie di auleti, gli specialisti del genere cromatico, quelli dell'enarmonico e quelli del "diatonico teso", non intende dire che le rappresentazioni tragiche fossero accompagnate da più di un auleta: ciò sarebbe del tutto improbabile, dal momento che le testimonianze antiche concordano nel parlare di un solo auleta. L'ignoto autore del trattato fa invece riferimento al sistema di perfezionamento tecnico dell' auvlo,j, promosso da Pronomo di Tebe. Cf. Perusino 1993, pp. 89-90. Per la tecnica esecutiva degli auvloi,, più in generale, cf. West 1992a, pp. 94-95.

versi, di uno strumento che, poco attestato nei poemi omerici e in Esiodo, si afferma nella poesia di Alcmane e di Stesicoro, e con più peso nella cultura simposiale (Anacreonte), fino a divenire centrale nella tragedia e nel ditirambo di V secolo. Il rapporto privilegiato che lega Simonide al ditirambo (vd. Pickard-Cambridge, supra, p. 140 n° 3), e al suo strumento principale, corrobora l'ipotesi secondo cui questi versi siano stati composti dal poeta di Ceo1. L'espressione adottata nel

nostro frammento, infine, sembra riecheggiare nelle Trachinie di Sofocle, che, seppur di datazione incerta, sono da considerare fra le prime tragedie composte e messe in scena da Sofocle, verosimilmente fra il 457 ed il 430 a.C2. Se si attribuisce il frammento a Simonide, dunque, la

tragedia sofoclea sarebbe stata eseguita non più di mezzo secolo dopo la sua morte, ed una sua rievocazione letteraria con variatio da parte di Sofocle sarebbe del tutto plausibile. Ai vv. 640-643, infatti, il coro delle donne di Trachis invita tutti gli abitanti a gioire per il ritorno di Eracle, con grande effetto di ironia tragica. Il bel suono dell' auvlo,j «si leverà per la gioia di tutti echeggiando un forte suono non ostile, ma come suono di lira dal canto divino»:

o` kallibo,aj tac v u`mi/n auvlo.j ouvk avnarsi,an

avcw/n kanaca.n evpa,neisin( avlla. qei,aj avnti,luron mou,saj)

Evidente è qui il richiamo al fr. 947b PMG – e, se la paternità fosse confermata, a Simonide -, non soltanto per l'uso del composto kallibo,aj, ma anche per la centralità dello strumento auvlo,j, la cui presenza è evocata specificatamente in contesto positivo (l' auvlo,j di feste e banchetti, e non l' auvlo,j di battaglie e qrh/noi), e che viene accostato alla lu,ra, con effetto ossimorico sui piani semantico, fonico e cultuale3.

B. Dyth. IV (Text XVIII Maehl.), vv. 3-4

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