• Non ci sono risultati.

peana, invocando il lungisaettante dalla bella lira, e cantavano Ettore e Andromaca simili agli dèi 1

Fonte: P.Oxy. 1232, fr. 1, coll. II, III, e P.Oxy. 2076, col. II2.

Metro: serie di dattili preceduti da uno spondeo iniziale ad ogni verso3. Genere: ode corale per contesto nuziale4, forse un imeneo o un epitalamio5. Altre figure retoriche attive: sinestesia (i;ka#ne d v evj añi;ñqñÎera| a;cw qespesi,a⸤ ñ).

L'enumerazione di termini musicali sembra funzionale alla performance di quest'ode, che sarebbe stata eseguita durante le celebrazioni di un vero matrimonio. Come sostiene Page 1955, p. 70 sgg., tutti gli elementi formali (i.e. il ritmo dattilico) e contenutistici (le rievocazione delle nozze di Ettore e Andromaca) suggerirebbero un contesto performativo di tipo nuziale. La sposa, in questo caso, sarebbe stata una fanciulla della comunità saffica. Non si può dire con certezza in quale momento della cerimonia questi versi siano stati intonati6, se nell'intimità della casa della sposa,

durante la processione per le vie della città (imeneo) o ancora davanti alla stanza nuziale (epitalamio)7. Indipendentemente dal momento in cui l'esecuzione ebbe luogo, nella sua vivida

descrizione Saffo fa riferimento non soltanto ad un'occasione concreta, ma anche ad un pubblico reale8. Vi è un rapporto dialogico fra la realtà contingente della performance e la descrizione del

mito, che nobilita e riprende scene simili a quelle che i partecipanti alla cerimonia vedono e sentono durante l'esecuzione reale del rito. Si realizza in questo modo l'identificazione della cerimonia nuziale con il mito9, che porta ad una commistione di elementi omerici e contemporanei a Saffo nel

medesimo tessuto narrativo10. L'ode saffica, infatti, propone la scena mitica di Ettore e Andromaca,

figure centrali della cerimonia narrata, e modello metaforico diretto per la coppia nuziale reale. La sposa, ai vv. 5-7, è descritta, al suo arrivo per mare, in una dettagliata visualizzazione della sua bellezza e del suo prestigio. Ella è "vista" dagli astanti alla scena mitica come evlikw,pida ... a;bran vAndroma,can (vv. 5-7), e con lei riluce, secondo le parole dell'araldo Ideo, l'insieme dei suoi monili preziosi (vv. 8-10):

po,lla d v Îevli,#gmata cru,sia ka;mmata porfu,rÎa# katau<tÎme#na( poi,ñkñiñl v avqu,rmata(

1 Per la forma u;mnhn, terza persona plurale dell'imperfetto, cf. Page 1955, p. 67. 2 Vd. Voigt 1971, p. 66.

3 Per l'interpretazione in senso dattilico di questo frammento, cf. Korzeniewski 1968, p. 139. Campbell 1982, p. 274 e Voigt 1971 p. 66 descrivono lo schema metrico come gliconico, con espansione dattilica (Campbell). Page 1955, p. 66 ricorda come lo schema metrico di questi versi, nel rispetto dell'isosillabismo eolico, riprenda le caratteristiche dell'epos.

4 Cf. Campbell 1982, p. 274, il quale ricorda che, tuttavia, l'ipotesi di un contesto nuziale dell'esecuzione non è comprovata da altri elementi esterni al testo.

5 Il disteso andamento descrittivo ed il metro, tuttavia, potrebbero rimandare al genere della citarodia narrativa. Se ciò fosse vero, quest'ode testimonierebbe la pratica di un genere a cui Saffo non è solitamente associata. Cf. Michelazzo 2007, p. 131.

6 Cf. Page 1955, p. 73.

7 Cf. West 1992a, rispettivamente alle pp. 21 e 22.

8 Cf. Rösler 1975, p. 278.

9 Cf. Rösler ibid., p. 280, che porta a confronto, per il principio di identificazione fra realtà e mito, Sapph. fr. 141 V. 10 Page 1955, p. 71 n° 4 ricorda che in questi versi sono riuniti alcuni elementi in comune a Omero e a Saffo, ed alcuni

avrgu,rañ tñ v avna,ñr⸤i⸥qñma poth⸤ ,⸥r⸤ia kavle,faij⸥ ) molti bracciali aurei e vesti

purpuree fragranti1, monili variopinti,

e innumerevoli coppe d'argento e d'avorio.

È facile immaginare che questi elementi rimandassero ai monili ed ai colori – insieme agli odori - che i partecipanti alle reali nozze potevano ammirare nei doni che accompagnavano la sposa nella nuova casa. Il paragone con Ettore e Andromaca nobilita ed esalta non soltanto la coppia nuziale, ma anche i doni ricevuti. L'ode, più avanti, rende "visibili" anche la moltitutine di vergini, di donne (vv. 14-15) e di uomini celibi (vv. 17-18) che partecipano, nella finzione del mito, alla cerimonia. Gli sposi del piano narrativo vengono definiti i;#keloi qe,oiÎj al v. 21 (cf. v. 34). Secondo un ordine di tassonomia estetica, gli dèi hanno una bellezza inarrivabile, ma gli eroi sono simili agli dèi. La bellezza di Ettore e Andromaca, a sua volta, è termine di paragone per gli sposi per i quali è intonato il canto. Alla bellezza ideale degli dèi è simile quella degli eroi, modello per la bellezza reale degli sposi, che in virtù del paragone mitico appaiono ai partecipanti alla cerimonia ancora più belli e monumentali:

Bellezza divina (ideale) Bellezza eroica (immaginata) Bellezza umana (reale)

Gli dèi → Ettore e Andromaca → Gli sposi per cui Saffo compone l'ode

Una scena simile a quella descritta da Saffo è nei famosi versi della "città pacifica" forgiata da Efesto (Hom. Il. XVIII, v. 491 sgg.) sullo scudo di Achille, in cui le donne, stando davanti alle loro porte, ammirano il corteo di spose accompagnate dal canto di imeneo, e condotte in processione per la città (vv. 491-496):

vEn th|/ me,n r`a ga,moi t v e;san eivlapi,nai te( In una [delle due città] vi erano nozze e banchetti, nu,mfaj d v evk qala,mwn dai<dwn u[po lampomena,wn e spose dalle loro stanze a lume di torce

hvgi,neon avna. a;stu( polu.j d v u`me,naioj ovrw,rei\ conducevano per la città, e forte s'alzava l'imeneo; kou/roi d v ovrchsth/rej evdi,neon( evn d v a;ra toi/sin e giovani danzatori volteggiavano, e fra questi auvloi. fo,rmigge,j te boh.n e;con\ ai` de. gunai/kej auvloi, e fo,rmiggej risuonavano; e le donne i`sta,menai qau,mazon evpi. proqu,roisin e`ka,sth) in piedi, ciascuna alla sua porta, si stupivano. Così come nei versi omerici la descrizione consiste non soltanto di elementi visivi, ma anche di suoni e di emozioni immaginati, così anche in Saffo, all'enumerazione di elementi visivi ne segue una (vv. 24-27, 31-34) in cui i sentimenti di gioia e di festa vengono collegati ad un insieme di sensazioni sonore. Ai suoni descritti avrebbe corrisposto, verisimilmente, l'insieme dei canti e degli accompagnamenti strumentali presenti nello svolgimento del corteo nuziale. In questo modo, i suoni immaginati e quelli realmente percepiti avrebbero contribuito ad accrescere non soltanto il sentimento di solennità, ma anche il piacere e la gioia della stessa cerimonia. Dal punto di vista esecutivo, l'enumerazione di termini musicali è funzionale a ricreare nella mente del pubblico i suoni e le sensazioni immaginate per il matrimonio mitico, mentre si ascoltano i canti intonati della performance. Fra gli strumenti musicali, il primo ad essere evocato è l' auvlo,j, definito h`dumelh,j, un epiteto che esprime la dolcezza del suo canto2, insieme al suo importantissimo ruolo – nell'ambito di

una velata personificazione - di membro integrante della festa. All'elemento melodico strumentale si aggiunge quello ritmico dei kro,tala. Le vergini, accompagnate dagli strumenti, intonano un canto sacro (v. 26: a;eidon me,loj a;gnon) che dà i brividi a chi lo ascolta, anche per la grande forza di

1 Per una simile interpretazione del participio katau<tÎme#na, connesso con avutmh, ("soffio", "respiro", "odore"), cf. Aloni 1997, p. 81.

propagazione che doveva avere un nutrito coro di donne1. Il concerto di elementi canori e

strumentali genera la a;cw qespesi,a del v. 27, un risuonare che è allo stesso tempo ispirato dagli dèi, e a loro rivolto2. L'immagine di un'eco che si eleva come turbini di incenso verso il cielo (cf. v. 30) è

molto carica del senso di sacralità tipico di ogni cerimonia religiosa. L' "elevarsi di una voce al cielo" trova riscontro in alcuni passi omerici, fra i quali quello in cui Aiace, camminando sui ponti delle rapide navi, dà ordini agli Achei con il suo grido "terribile", mentre la sua voce sale al cielo (Hom. Il. XV, v. 685-688):

w]j Ai;aj evpi. polla. qoa,wn i;kria nhw/n foi,ta makra. biba,j( fwnh. de, oi` aivqe,r v i[kanen( aivei. de. smerdno.n boo,wn Danaoi/si ke,leue nhusi, te kai. klisi,h|sin avmune,men)

così Aiace, sui molti ponti delle rapide navi

si aggirava camminando a grandi passi, e la sua voce saliva al cielo, e sempre, gridando spaventosamente, ordinava ai Danai

di difendere le navi e le tende.

Il riferimento omerico più calzante con quello di Saffo è, tuttavia, la descrizione dei due eserciti, acheo e troiano, che gridando fanno risuonare un'eco che sale al cielo e fra i raggi di Zeus (Hom. Il. XIII, vv. 833-837):

]Wj a;ra fwnh,saj h`gh,sato\ toi. d v a[m v e[ponto hvch|/ qespesi,h|( evpi. d v i;ace lao.j o;pisqen)

vArgei/oi d v e`te,rwqen evpi,acon( ouvde. la,qonto avlkh/j( avll v e;menon Trw,wn evpio,ntaj avri,stouj) hvch. d v avmfote,rwn i[ket v aivqe,ra kai. Dio.j auvga,j)

Dopo aver così parlato, si pose al comando3; e gli altri lo seguirono

con un'eco prodigiosa4, e l'esercito gridava dietro.

Anche gli Argivi gridavano dall'altra parte, né tralasciavano

il vigore, ma attendevano che sopraggiungessero i migliori dei Troiani. E l'eco di entrambi giungeva all'etere e ai raggi di Zeus.

Nell'ultimo di questi versi, Omero associa alla sensazione sonora dell'eco dei due eserciti l'immagine dell'etere e dei raggi solari, presso cui dimora Zeus. Vi è un'associazione sinestetica fra la sensazione sonora dell'eco e quella visiva dei raggi solari, luogo fisico e visibile verso cui si innalzano le grida dei Greci e dei Troiani. Anche per i versi di Saffo è lecito parlare di sinestesia, in quanto un termine sonoro (la a;cw del v. 27) è detto giungere al cielo (i;kane d v evj ai;qera)5 così

come il grido degli eserciti descritto da Omero6. L'immagine usata nell'ode saffica trae forza anche

1 Così lo spiega Gentili 2006, p. 324: «un canto arcano quello delle vergini che con le loro voci acute sovrastano i suoni dell'aulo e il fragore dei crotali». In tutt'altro contesto, Bacchilide (XI, v. 56) definisce con l'aggettivo smerdale,oj (smerdale,an fwna.n i`ei/sai) il grido lanciato dalle vergini figlie di Preto, rese folli da Era per la loro empietà, e costrette a fuggire da Tirinto per ritirarsi nel vicino monte boscoso. Bisogna ricordare che le stesse fanciulle, dopo che il loro padre Preto ebbe sanato l'offesa di Era tramite la mediazione di Artemide, innalzarono un altare, fecero dei sacrificî e, soprattutto, istituirono cori di donne (B. XI, v. 112: kai. corou.j i[stan gunaikw/n). Per il contesto mitologico di questo passo, cf. Sevieri 2007, pp. 229-233.

2 Così come in Alc. fr. 130bV., v. 19. Cf. il relativo commento a p. 27 sgg.

3 Scil. Ettore. La medesima formula, da ]Wj a;ra a hvch|/ qespesi,h|, è ripetuta, sempre in riferimento a Ettore, in Hom. Il. XII, vv. 251-252.

4 In questo caso qespe,sioj esprime il senso della straordinaria potenza del grido – simile a quella di un dio -, piuttosto che la sua diretta connessione con il divino.

5 Cf. B. fr. 60 Maehl., vv. 30-31: ev#passu,terai d v ivañÎcai,# | ouvrano.n i-xonñ.

dalle caratteristiche esecutive della cerimonia, che verisimilmente corrispondono a quelle descritte per il matrimonio mitico di Ettore e Andromaca: ad essere sollecitata sarebbe non soltanto la vista (i monili, le vesti e gli stessi sposi) ma anche l'udito (l' auvlo,j e i kro,tala ai vv. 24-25) e l'olfatto (il participio katau<tÎme#na al v. 9, e il li,banoj al v. 30) di chi avrà preso parte alla cerimonia. Le sensazioni si intrecciano fra loro: il sacro canto intonato dalle vergini, accompagnato dalla melodia dell' auvlo,j e dal ritmo dei kro,tala, genera un'eco, divina per ispirazione e per devozione, che sale fino al cielo con volute simili a quelle dell'incenso consumato per la cerimonia1. L'"immersione

sensitiva" totale in cui si trovavano i partecipanti alla cerimonia reale, è così sublimata dall'evocazione sensoriale dei versi saffici, in cui le diverse sensazioni mentali create dalla poesia avrebbero trovato riscontro nelle sensazioni reali vissute dall'uditorio.

A distanza di pochi versi, la descrizione sonora del rito nuziale da parte di Saffo continua con l'evocazione del grido delle donne più mature (v. 31: gu,naikej d v evle,lusdon, simile all' ovlolugh. evniausi,a di Alc. fr. 130bV., v. 20)2 e con quella dell'acuto peana intonato all'unisono da tutti gli

uomini3. Questo canto è definito evph,ratoj, non già da un punto di vista estetico, ma secondo il

piacere e la gioia che caratterizzano il suo contesto esecutivo, quello delle nozze. Nel peana, gli uomini invocano Apollo con i suoi epiteti simbolici, richiamando le sue caratteristiche più importanti: e`khbo,loj e eu;luroj riassumono infatti la figura del dio solare, che in tempo di guerra usa l'arco e le corde per scagliare lontano le frecce, e in tempo di pace tocca le corde della lu,ra per accompagnare il suo dolce canto4. Gentili 2006, pp. 323-324 commenta:

La suggestività della scena che chiude il carme (vv. 21-34) risiede non soltanto nel senso di visibile splendore e nel tono di gioia festosa che circonda gli sposi, ma soprattutto nella piena solennità di una grande cerimonia presentata nei momenti essenziali della sua azione, dall'arrivo degli sposi sino all'inno ad Apollo e al canto in loro onore. Se, di là da ogni considerazione che riconduca il carme alla sua società e al suo tempo, si osserva il modo in cui il senso di questi versi è costruito, la scena appare strutturata in una serie graduale di elementi della sfera uditiva (vv. 24-27; 31-33) e olfattiva (v. 30) associati a parole della sfera del sacro. Commistione di suoni e di profumi efficacemente espressiva in quanto conferisce all'azione della cerimonia sacra il segno inconfondibile di un evento straordinario che innalza la vicenda reale al rango sovrumano di una mitica festa per sposi "simili a dei" (vv. 21; 34). Non solo "l'antico e il nuovo", cioè il linguaggio tradizionale e il taglio personale della scena, ma anche umano e divino si fondono in un'atmosfera di grandiosa solennità.

Il frammento saffico analizzato fa riferimento ad un contesto sonoro molto noto ai poeti arcaici e tardo-arcaici, e in cui i fanciulli e le fanciulle svolgevano, con le loro voci, un ruolo fondamentale nell'articolazione del culto reso agli dei. Alcuni versi di Bacchilide fanno riferimento ad un contesto assai simile. Nell'ode XVII, che potrebbe essere un peana o un ditirambo5, il poeta di Ceo narra

Hom. Il. II, v. 810 e VIII, v. 59 (polu.j d v ovrumagdo.j ovrw,rei); Simon. fr. 595 PMG (vd. il relativo commento a p. 78 sgg.); e S. OC, v. 1622 (ouvd v e;t v wvrw,rei boh,).

1 Cf. Ovid. Met. XV, v. 733-734: tura ...| ... sonant et odorant aera fumis.

2 La menzione dell' ovlolugh,, insieme alla presenza della mirra, della cassia e dell'incenso al v. 30 (⸤mu,rra ka|i. kasi,a li,b⸥ano,j t v ovnemei,cnuto), potrebbero rimandare ad un sacrificio rituale. Cf. Gentili 2006, p. 323, n° 30.

3 Per il contesto esecutivo del peana, intonato anche durante le processioni delle cerimonie nuziali, cf. West 1992a, p.

15.

4 Cf. h.Ap., v. 131, le prime parole dette da Apollo dopo la sua nascita: ei;h moi ki,qari,j te fi,lh kai. kampu,la to,xa. L'accostamento fra un cordofono come la fo,rmigx e l'arco sembra forte anche dal punto di vista visivo, di chi tiene l'uno o l'altro oggetto. Cf. a questo proposito Hom. Od. XXI, vv. 406-409, il noto paragone fra un uomo esperto di fo,rmigx e di avoidh,, che con facilità tende la corda attorno al bischero, e Odisseo che senza sforzo tende il grande arco.

5 Maehler 1997, pp. 167-168 (= 2004, pp. 172-173) sostiene che i riferimenti interni al componimento, ed in particolare i vv. 124-129, insieme all'invocazione finale ad Apollo (vv. 130-132), lasciano immaginare che il coro giunto da Ceo e istruito da Bacchilide per le feste Delie intonasse un peana, imitando l' ovlolugh, e il peana che a loro volta i giovani Ateniesi del mito narrato elevarono ad Apollo per ringraziarlo della fortunata impresa di Teseo (v. 76 sgg.). L'erronea attribuzione al genere ditirambografico sarebbe, secondo Maehler, da imputare al carattere

l'episodio mitico che vide fronteggiarsi Minosse e Teseo, e in cui i suoni di kou/roi, ko,rai e hvi<qeoi scandiscono i momenti salienti di inizio e di fine dell'impresa dell'eroe ateniese. La narrazione mitica si apre sulla scena della nave che trasporta Teseo e i "due volte sette" giovani ateniesi, destinati ad essere dati in pasto al Minotauro, verso l'isola di Creta (vv. 1-4). Minosse, che viaggia insieme a loro, "punto" dall'attrazione erotica per Eribea – il cui potrebbe essere legato etimologicamente alla radice di boh, / boa,w1 - osa accarezzarle le bianche guance (vv. 8-13). La

fanciulla lancia allora un grido per invocare il soccorso di Teseo (vv. 14-16):

bo,asñeñ, t v vEri,boia calko& e gridando Eribea chiamò qw,raÎka P#añndi,onoj il nipote di Pandione

e;kgÎo#nñon\ dalla corazza di bronzo;

Spronato dal grido della fanciulla, l'eroe esorta con coraggio e fermezza il re cretese a mettere a freno la sua arroganza, e minaccia di punirlo con la forza, nel caso egli volesse soggiogare contro il suo volere uno dei giovani della nave. Entrambi, ricorda l'eroe, hanno ascendenze divine: Minosse è figlio di Zeus, egli è figlio di Poseidone (vv. 20-46)2. Dal canto suo, Minosse, rafforzato da un

fulmine che egli stesso invoca per palesare la benevolenza di Zeus nei suoi confronti (vv. 52-71), lancia la sfida a Teseo: se davvero egli è figlio di Poseidone, dovrà riportare dagli abissi l'anello dorato che egli ha appena gettato in mare (vv. 60-63). La narrazione mitologica prosegue con la discesa, grazie all'aiuto dei delfini, di Teseo fra gli abissi, dove contemporaneamente alla riconquista dell'anello ha anche modo di ammirare il fulgore e la delicatezza delle Nereidi danzanti e di Anfitrite, la sposa del padre, che lo avvolge di un manto purpureo e gli cinge il capo di una ghirlanda, antico dono di Afrodite (vv. 93-116). L'eroe ateniese riemerge dalle acque con tutto lo splendore divino dei doni ricevuti, e con l'anello. La reazione incredula di «silenzioso stupore»3 di

Minosse (vv. 119-123) fa da contraltare all'esplosione sonora di gioia dei giovani ateniesi, che Bacchilide esprime con l'evocazione dettagliata di un peana preceduto dall' ovlolugh, (vv. 124-129):

avglao,Ä e le fanciulle

qronoi, te kou/rai su.n euvÄ dai ricami splendenti4

qumi,a| neokti,tw| con fresca letizia

prevalentemente narrativo dell'ode. Gli editori alessandrini potrebbero non essere stati concordi sulla classificazione di quest'ode, così come accadde per l'ode XXIII dello stesso Bacchilide, definita peana da Callimaco, ditirambo da Aristarco. Si veda, su quest'ultimo argomento, lo hypomnema all'ode XXIII nel P.Oxy. 2368, col. I, 9-13. Sevieri 2010, pp. 93-103, pur considerando i molti elementi che porterebbero a considerare l'ode XVII un peana, non trova motivi cogenti per rifiutare la classificazione offerta dalla tradizione antica, ovvero che si tratti di un ditirambo. A tal proposito, la studiosa ricorda che il mimetismo corale, addotto da quanti sostengono che il coro bacchilideo intoni un peana facendo eco al peana narrato del mito, «non richiede di necessità che si tratti dello stesso genere poetico per funzionare, come dimostra ad esempio il carme XVI, dove anzi si registra un caso del tutto analogo di polifonia lirica fra il canto evocato nei versi iniziali (un peana, appunto) e il ditirambo che in un certo senso lo contiene, dandogli vita nel momento in cui lo riproduce; una situazione simile caratterizza anche l'ode XX, che rievoca addirittura canti nuziali della tradizione spartana, evidentemente senza esserlo a sua volta».

1 Cf. Maehler 1997, p. 188 (= 2004, p. 179).

2 Teseo ha una doppia paternità, una divina (Poseidone) ed una umana (Egeo), poiché la madre Etra si unì nella stessa notte ad entrambi. Cf. Apollod. III, 15, 7.

3 Sevieri 2010, p. 127.

4 L'aggettivo avglao,qronoi – con la correzione Kenyon per il tràdito AGLOQRONOI – può valere "dal trono splendente" (avglao,j + qro,noj) o "dai ricami splendenti" (avglao,j + qro,non). Per quest'ultimo significato, con particolare riferimento al termine qro,non, si veda Hom. Il. XXII, v. 441, in cui Andromaca tesse una tela purpurea ricamandovi dei qro,na poiki,la. Dall'interpretazione di elementi contestuali allo stesso passo dipende anche quella del composto aggettivale. Gli studiosi che intendono kou/rai = Nereidi, infatti, preferiscono intendere avglao,qronoi = "dal trono splendente". Tuttavia, ci sembra difficile pensare che le Nereidi abbiano seguito Teseo fino alla sua riemersione a galla, e preferiamo, con Maehler 1997, p. 208 (= 2004, p. 188) e Sevieri 2010, p. 128, vedere nelle kou/rai menzionate le sette fanciulle ateniesi, a cui si associano i sette fanciulli nell'esecuzione del peana.

wvlo,luxanà e;Ä emisero una ovlolugh,1,

klagen de. po,ntoj2\ hvi<qeoi d v evggu,qen e rumoreggiò il mare; e accanto i giovani

ne,oi paia,nixan evrata|/ ovpi,) intonarono un peana con amabile voce. Al momento di silenziosa e angosciosa attesa di Teseo da parte dei quattordici fanciulli ateniesi, segue il grido forte e acuto delle fanciulle (ovlolugh,)3 prima, il segno sonoro del mare, chiara

manifestazione di benevolenza di Poseidone nei confronti di Teseo, e il peana intonato dai giovani hvi<qeoi, che in questo caso ha un ruolo celebrativo e di ringraziamento nei confronti del dio del mare,

Outline

Documenti correlati