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nuova comincia a cantare per le vergini Fonte: Syrian in Hermog I 61.14 Robe (cf Davies 1991 a , p 69).

Metro: alcmanio + hemiepes + trimetro giambico catalettico3.

Altre figure retoriche attive: figure etimologiche (in polummele.j ... me,loj e in avoide. ... avei,dhn), epiteto doppio.

Questo frammento proviene dal primo libro di partenî dell'edizione alessandrina di Alcmane4.

Secondo Calame 1983, p. 349, si tratta di un incipit epicletico con cui l'io poetico inviterebbe le Muse a cantare direttamente per bocca delle coreute. Come in questi versi, così anche nei frr. 27 e 28 PMGF Alcmane ricorre all'invocazione diretta della Mw/sa, figlia di Zeus e dalla bella voce (cf. kallio,pa in fr. 27 PMGF)5. Secondo Calame 1983, p. 393, anche il P.Oxy. 2387 (fr. 3, col. I PMGF,

1 Cf. Lausberg pp. 318-319.

2 Calame 1983, pp. 49, 350-351 legge aivena,oide, poiché nella lingua greca non è attestato l'uso di avverbo accordato con un sostantivo (come sarebbe in aive.n avoide,). La formazione dell'hapax aivena,oide, aggettivo composto da aive,n e avoido,j, sarebbe invece giustificato da altri modelli aggettivali, come aive,nupnoj.

3 Cf. Gentili-Catenacci 2007, p. 241.

4 Cf. Page 19834, p. 34, Campbell 1982, p. 215.

v. 1) riporterebbe un'invocazione alle Muse, chiamate vOlumpia,dej, epiteto usato sia da Omero sia da Esiodo per queste divinità (Il. II, v. 491, Th. v. 25), poiché abitano il monte Olimpo (Hom. Il. II, v. 484). L'invocazione iniziale alla Musa, insieme al verbo a;rcein, ricondurrebbe ad una funzione proemiale di questi versi, a cui sarebbe seguita la vera e propria oi;mh. A prescindere da chi lo intonasse - il poeta (o il corifeo), o ancora il coro -, questo incipit ricorda che il delicato momento iniziale di ogni performance, quello in cui la memoria riveste un ruolo fondamentale nel suggerire il ritmo e le trame dei versi, è intimamente legato alle stesse figlie di Mnhmosu,nh1, o ad ogni modo ad

una divinità che tutto conosce2.

L'accumulazione degli epiteti polummelh,j e avoido,j definisce il ruolo teogonico della figlia di Mnemosyne3: le sue melodie suonano penetranti (ligu,j)4, ma anche varie (polu-meloj)5 a coloro che

le ascoltano; ella è un'eterna (aive,n) cantatrice, l' avoido,j per eccellenza6. In questi versi la

combinazione fra anafora (Mw/sa ... Mw/sa), e i richiami etimologici polummelh,j e me,loj da una parte7, e avoido,j e avei,dein dall'altra, creano un ritmo che con il piacere della ripetizione restituisce

all'uditorio l'essenza delle Muse, dee del me,loj, della te,ryij e del mimnh,skein, sempre pronte ad ispirare un canto nuovo e dolce8. Questa struttura compositiva a ripetizione – quasi, diremmo, "a

eco"-, tradisce a nostro avviso il processo di composizione orale dei canti di Alcmane, affidati soltanto in un secondo momento al supporto scritto9: «l'eco è qualcosa che l'orecchio del cantore e

quello dell'uditorio sono addestrati ad attendersi. La sua utilità mnemonica favorisce il ricorso all'anticipazione. Della seconda ricorrenza possiamo dire che essa riecheggia la prima, o, della prima, che essa annuncia la seconda»10.

Infine, l'espressione me,loj avei,dein costituisce un buon esempio di come ai poeti arcaici, ed al loro uditorio, non ostasse la ridondanza fonica e semantica del tessuto verbale, sebbene la ripetizione possa apparire alla sensibilità moderna un appesantimento pleonastico e quasi fastidioso del testo. È facile trovare nei lirici arcaici, oltre che in Omero e in Esiodo, espressioni come quella adottata da Alcmane: u[mnon avei,dein (Hes. Op., v. 662), u`mnei/n me,loj (Alcm. fr. 3 col. I PMGF, v. 5), damw,mata ))) u`mnei/n Fru,gion me,loj

evxeuro,nta

(Stesich. fr. 212 PMGF), a;eidon me,loj a;gnñÎon (Sapph. fr.

1 Questo fr. di Alcmane è ricordato da Aloni 1992, p. 117 (14a PMGF = fr. 4 Calame), nella sua trattazione dei versi arcaici con funzione proemiale.

2 Cf. Alcm. fr. 29 PMGF, in cui l'"io poetico", nella fase iniziale di un'ode (anche se non proprio al primo verso) esprime la volontà di cantare cominciando da Zeus.

3 Contrariamente a quanto si evince dai frr. 27 e 28 PMGF, Diodoro Siculo IV, 7, 1 ricorda che secondo il poeta Alcmane le Muse nacquero dall'unione fra Uranio e Gea.

4 Aggettivo riferito alla voce delle Muse in Alcm. 30 PMGF, in Stesich. frr. 240, 278 PMGF, in Pi. frr. 32, 52 Maehl., oltre che in Hom. Od. XXIV, v. 62; h.Hom. XIV, v. 2. Cf. Calame 1983, p. 350.

5 La pluralità di suoni o di canti è un valore, sia positivo che negativo, ricorrente nella formazione lessicale della cultura greca arcaica. Si vedano altri esempî: poluhce,a fwnh,n (Hom. Od. XIX, v. 521), dh/]rin polu,umnon (Ibyc. fr. 282 PMGF, v. 6), th|/ polukro,th| | su.n Gastrodw,rw| (Anacr. fr. 427 PMG = 48 Gentili, vv. 2-3), polu,umnoj (Anacr. fr. 446 PMG = 165 Gentili), avhdo,nej polukw,tiloi (Simon. fr. 586 PMG), polu,cordoj auvlo,j (fr. adesp. 947b PMG, da molti attribuito a Simonide).

6 Questo epiteto, qui attribuito alla Musa, dà forza, nella sua forma aggettivale al grado comparativo, all' adynaton costruito in Alcm. fr. 1 PMGF, vv. 96-98, in cui Agesicora è ritenuta inferiore Muse, ovvero «non più melodiosa delle Sirenidi» (ta/n Shrhn[i,]dwn | avoidote,ra me.n ouvci,). Cf. commento al fr., p. 1 sgg. Anche Euripide (in Rh., v. 386) adotta l'espressione avoido.j Mou/sa. Teocrito (XII, v. 7) considera l'usignolo avoidota,th, mentre Callimaco (Del., v. 252) attribuisce l'epiteto avoido,j al cigno.

7 Secondo Calame 1983, p. 351, in questi versi il significato di me,loj rientrerebbe nella definizione platonica di unità di parola, musica e ritmo nell'esecuzione corale (Pl. R. 398d), che la stessa Musa presiederebbe.

8 Cf. Lanata 1963, pp. 3-8. Cf. anche p. XXX sgg. Per il valore del sintagma me,loj neocmo,n, cf. Calame 1983, p. 351. 9 Cf. Lomiento 2001, pp. 324-325 sulle dinamiche della composizione e della trasmissione della poesia arcaica e

classica in generale, per la quale è possibile pensare ad una fissazione per iscritto soltanto alla fine della fase elaborativa e creativa, come canovaccio a supporto mnemonico. Per le dinamiche della esecuzione e trasmissione, in particolare, dei testi di Alcmane, vd. ibid. pp. 332-336.

44 V., v. 26)1. La ripetizione e la ridondanza, anche a livello verbale, sono elementi fondamentali di

una letteratura orale, e non soltanto garantiscono la conservazione e la trasmissione del testo, ma aderiscono anche ad una visione estetica che coniuga il nuovo con il noto.

ANTITESI

L'antitesi, meglio conosciuta nell'antichità col nome di antitheton, è l'accostamento contrastivo di due elementi, o di due gruppi di elementi, all'interno della stessa frase o dello stesso periodo2. Per il

principio oppositivo che la caratterizza, essa ricorda l'ossimoro, ma mentre quest'ultimo riguarda l'opposizione di due o poche parole in ambito frasale, l'antitesi permette di contrapporre due idee in maniera più articolata e a livello macrosintattico. Questa figura retorica può far leva sul significato metaforico delle res che, nella loro contrapposizione particolare, rimandano ad antitesi più generali e dal valore culturale perspicuo all'uditorio. In chiave sonoro-musicale, l'antitesi permette al poeta arcaico di fare riferimento, attraverso l'evocazione di termini appartenenti alla sfera sonora, a binomî tanto noti quanto antitetici, quali ad esempio l'eleganza ionica nel parlare e nel cantare, contrapposta agli strepiti del fare barbarico, le gioie della vita simboleggiate dalla presenza di suoni armoniosi e di lieti canti, in contrapposizione alla tristezza della morte, caratterizzata, secondo l'immaginario greco, da suoni lugubri o dal silenzio dell'oblio.

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