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Gridò un tempo il gallo dolceparola di Urania signora della fo,rmigx.

Ma ora con prontezza d'animo

ha sparso nuovi canti.

Fonte: P.Lond. 733.

Metro: metri eolici. In particolare, v. 7: gliconeo; v. 8: baccheo + ipponatteo acefalo = dimetro coriambico (con sequenza iniziale ∪– – ∪)2 + baccheo, ovvero dimetro polischematico + baccheo (o giambo catalettico)3; v. 9: dimetro coriambico ovvero dimetro polischematico4; v. 10: ipponatteo. Altre figure retoriche attive: metafore, accumulazione.

L'Epinicio IV fu composto per la vittoria pitica con il carro da parte di Ierone di Siracusa (470 a.C.)5. Le ridotte dimensioni suggerirebbero, secondo alcuni studiosi, che si tratta di un'ode

cosiddetta auvqigenh,j6, ovvero eseguita sul luogo stesso della vittoria, Delfi, e subito dopo il successo

agonistico7. Nei versi su riportati, che leggiamo secondo le proposte integrative di Maehler 1982, II,

pp. 70-71, Bacchilide ricorda di avere già celebrato il tiranno in altra occasione (cf. B. V, per la vittoria olimpica di Ierone nel 476 a.C.)8. Dal punto di vista formale, egli arricchisce questi versi di

1 L'integrazione e;ñÎlake d vÐ di Snell è considerata probabile da Maehler 1982, II, p. 71, e preferibile a e;Îklage d v# per ragioni papirologiche. Per le integrazioni ai vv. 9-10, vd. Maehler 1982, II, pp. 70-71, secondo cui in quest'ode vi sarebbe un'opposizione cronologica fra il tempo in cui, precedentemente, il poeta-gallo cantò la lode a Ierone, e l'occasione attuale della lode per la sua vittoria pitica, tessuta con prontezza d'animo e con canti nuovi, secondo l'integrazione nu/n ne,o#uj (accettata da Sevieri 2007, p. 50), o delicati, secondo un'altra proposta integrativa dello stesso Maehler (ibid.): Îau=q v a`bro#u.j. Le integrazioni proposte da Maehler, che tuttavia edita mantenendo le lacune al testo (id. 2003, p. 14) sono qui accolte, come anche in Campbell 20062, p. 136. Cf., su questo argomento, anche

Maehler 2004, pp. 103-104.

2 Cf. Maehler 1982, I, p. 22 (per il dimetro coriambico) e 2003, p. 13 (schema metrico). Il verso 8 può anche essere considerato endecasillabo saffico cosiddetto "pindarico". Cf., per lo schema, Gentili-Lomiento 2003, p. 150. 3 Cf. schema Gentili-Lomiento 2003, p. 160, seguito da Sevieri 2007, p. 51.

4 Vd. le rispettive interpretazioni supra in Maehler e in Gentili-Lomiento e Sevieri.

5 Per la datazione, cf. Schol. ad Pi. P. I, II, p. 5 Drachmann. Per una descrizione generale dell'epinicio, cf. Maehler 1982, II, pp. 67-68 , id. 2004, pp. 100-102. Sevieri 2007, pp. 153-156.

6 Per la cosiddetta ode auvqigenh,j, cf. p. XLIV. Secondo gli stessi studiosi, la Pitica I di Pindaro, sarebbe invece l'ode epinicia eseguita al ritorno in patria (scil. a Etna) del laudandus Cf. Maehler 1982, II, p. 64, id. 2004, p. 100, Sevieri 2007, p. 153.

7 Cf. Gentili-Catenacci 2007, p. 273. L'epinicio di Bacchilide sembra essere stato un omaggio spontaneo del poeta, e non un'opera su committenza (cf. v. 9: e`kÎo,n#ti no,w|, che potrebbe anche tradursi "volentieri"). Per la medesima occasione il poeta di Ceo inviò a Ierone anche un encomio (fr. 20C Maehl.) da cantarsi in contesto simposiale. Cf. Catenacci-Di Marzio 2004, p. 72. Diversa l'interpretazione di Sevieri 2007, p. 159, per la quale e`kÎo,n#ti no,w| = «con animo lieto» sarebbe una formula convenzionale con cui il poeta esprimerebbe il suo ruolo di "ospite" del generoso signore.

un accumulo di termini sonoro-musicali, al centro del quale emerge la bella metafora del gallo. Il primo accorgimento retorico, l'accumulatio, ribadisce attraverso le scelte lessicali l'importanza del contesto sonoro in cui il poeta pensò l'esecuzione della sua lode a Ierone.

Accogliendo l'integrazione di Snell (e;ñÎlake d v#), si apprezza nel testo un accostamento antinomico fra il verbo la,skw e l'epiteto doppio h`dueph,j: il primo designa un genere di suoni sgraziati e disarmonici, come quelli emessi, ad esempio, dall'usignolo sofferente in preda alle grinfie dello sparviero della favola esiodea (Op., v. 207: ti. le,lhkaj*)1; il secondo invece esprime la dolcezza

delle parole in versi pronunciati dal "gallo di Urania", e contemporaneamente suggerisce una "umanizzazione" del gallo. La presenza dell'attributo h`dueph,j chiarisce che il "gallo di Urania" è metafora per il poeta. Questo composto aggettivale, infatti, esprime nella letteratura arcaica e classica la dolcezza di una voce intelligibile all'orecchio umano. Nelle sue prime attestazioni nella poesia greca, h`dueph,j è associato alle parole pronunciate da uomini o da entità divine: in Hom. Il. I, v. 248 esso è attribuito a Nestore, l'abile oratore acheo, dalla cui bocca la voce «scorre più dolce del miele» (v. 249)2; Esiodo (Th., v. 965) definisce h`due,peiai le Muse Olimpie, invitate ad elencare nel

canto le dee immortali che unendosi a uomini generarono «figli simili agli dei» (vv. 966-968). Lo stesso aggettivo è attribuito alla voce di Zeus ( =W Dio.j a`duepe.j fa,ti) nell'Epido Re di Sofocle, v. 151. Applicato al gallo, in iperbato e forse con un effetto di enallage3, l'epiteto h`dueph,j precisa

dunque l'intelligibilità umana del canto che questo animale - fuor di metafora il poeta - è capace di intonare4. L'Inno omerico XXI, ad Apollo, mette a confronto il ruolo di cantore rivestito

parallelamente dal cigno e dal poeta. Per entrambi il poeta omerico adotta il verbo avei,dw. Tuttavia, distinguendoli, egli sottolinea le caratteristiche proprie solo al poeta attraverso l'uso dei termini umani avoido,j ed h`dueph,j (vv. 1-5):

Foi/be( se. me.n kai. ku,knoj u`po. pteru,gwn li,g v avei,dei o;cqh| evpiqrw|,skwn potamo.n pa,ra dinh,enta

Phneio,n\ se. d v avoido.j e;cwn fo,rmigga li,geian h`dueph.j prw/to,n te kai. u[staton aive.n avei,dei) kai. su. me.n ou[tw cai/re( a;nax\ i[lamai de, s v avoidh|/5)

Oltre all'aspetto sonoro del "gallo di Urania", Bacchilide evoca il valore musicale connesso con la Musa attraverso l'epiteto avnaxifo,rmigx6. Questo composto associa alla fo,rmigx l'idea della

"signoria" che la Musa esercita sul canto accompagnato dal cordofono, e più in generale su qualsiasi altro canto, come quello composto per Ierone, che più verisimilmente sarà stato accompagnato da

1 Cf. pp. 118-119. Chantraine s.v. La,skw, p. 597, ricorda che sia all'aoristo e;lakon, da cui si è formato il presente la,skw, sia al perfetto le,lhka questo verbo designa in origine l'azione del gridare e conseguentemente dell'emettere rumori («crier, faire du bruit»). Si vedano i molti esempî in Omero: Il. XIII, v. 616 (ossa che scricchiolano: la,ke d v ovste,a), XIV, v. 25 (armi indistruttibili che risuonano: la,ke ))) calko.n avteirh,j), XX, v. 277 (scudo che risuona sotto i colpi di una lancia: la,ke d v avspi,j), XXII, v. 141 (falco che grida nel cacciare una colomba: ovxu. lelhkw,j), Od. XII, v. 85 (l'orrido grido di Scilla: Sku,llh ))) deino.n lelakui/a). Si veda anche h.Merc., v. 146, riferito all'abbaiare di cani (oude. ki,nej lela,konto). Il significato "parlare" per il presente e l'aoristo è attestato a partire dalla tragedia e dalla commedia di V secolo.

2 Cf. p. 49.

3 Le occorrenze di h`dueph,j dimostrano che questo termine si adatta in generale alle divinità, e in particolare alle Muse. Cf. anche Hes., Th., v. 1021 (Catalogi initium). La presenza, ai vv. 7-8, così ravvicinata di due epiteti sonoro- musicali, della Musa Urania e del gallo, potrebbe aver indotto, nella sequenza sonora del verso, ad un felice scambio di epiteti ad sensum: a`dueph.j Ouvrani,a da una parte; avnaxifo,rmigx avle,ktwr dall'altra.

4 Cf. B. XIII, v. 230, in cui il poeta attribuisce ai canti (avoidai,) l'epiteto teryieph,j, composto di conio bacchilideo, secondo Maehler 1982, II, p. 292.

5 Cf. traduzione di questi versi a p. 172.

6 Per la lacuna papiracea Maas propose l'integrazione avÎnaxifo,r#miggoj, il solo epiteto composto di -fo,rmigx che potesse essere compatibile con lo schema metrico di questi versi. Cf. Maehler 1982, II, p. 72, il quale richiama a confronto l'incipit di Pi. O. II ( vAnaxifo,rmiggej u[mnoi) e sottolinea come i composti avnaxi- siano in Bacchilide degli a`pax eivrhme,na, possibilmente di sua invenzione. Cf. l'aggettivo avnaxi,molpoj, altro epiteto di Urania in B. VI, v. 10.

lire e auvloi, insieme1. Al termine dell'accumulazione di termini sonoro-musicali (vv. 7-8),

Bacchilide adotta per sé stesso la metafora del "gallo di Urania"2, facendo riferimento, secondo

Sevieri 2007, p. 158, all'elevarsi del suo canto fino al cielo:

Mediante l'immagine del "gallo di Urania" il poeta designa la propria funzione di "araldo" della gloria del laudando, ispirato dalla Musa che «governa la cetra» (questo il senso specifico dell'epiteto avnaxifo,rmigx, peraltro integrato, che ricorre altrimenti solo nell'incipit dell'Olimpica II di Pindaro per Terone di Agrigento, del 476 a.C.); la scelta specifica di Urania come Musa di riferimento vuole probabilmente indicare la capacità del canto di "salire fino al cielo" (ouvrano,j), là dove regna Zeus (cfr. Esiodo, Teogonia, 71).

Dal punto di vista della disposizione lessicale nel verso, la dolcezza e l'intelligibilità umana del canto (h`dueph,j), e poi il riferimento alla sfera sacrale della Musa Urania (avnaxifo,rmiggoj Ouvrani,aj), anticipano nella sequenza verbale la menzione del gallo-poeta. Questa metafora richiama le figurae bacchilidee dell'usignolo-poeta, dell'aquila-poeta e dell'ape-poeta rispettivamente in III, vv. 97-983,

in V, v. 19, e in X, v. 10 (cf. infra).

Il gallo, animale di origine orientale importato in Europa in epoca relativamente recente4, è noto fin

dalle prime attestazioni letterarie per la sua attività canora alle prime luci dell'alba. Come anche la cultura popolare odierna ricorda, esso dà il segno sonoro dell'inizio del giorno, e contemporaneamente della fine della notte5. Si ricordi, a questo proposito, la seguente quartina

teognidea (Thgn. vv. 861-864):

Oi[ me fi,loi prodidou/si kai. ouvk evqe,lousi, ti dou/nai avndrw/n fainome,nwn\ avll v evgw. auvtoma,th

e`speri,h t v e;xeimi kai. ovrqri,h au=qij e;seimi( h=moj avlektruo,nwn fqo,ggoj evgeirome,nwn)

I miei cari mi tradiscono e non vogliono darmi nulla (per la dote) quando si presentano uomini; ma io di mia iniziativa

esco di sera e all'alba ritorno,

quando v'è il suono dei galli che si svegliano6.

Molte favole di Esopo richiamano il gallo con esplicito riferimento al suo suono-grido7. Nella

favola 16 Hausr. (I, II e III), ad esempio, un gatto accusa con malizia il gallo di disturbare il sonno

1 Cf. p. XLII.

2 L'dentità gallo = poeta è chiarita anche dai frammenti fiorentini (PSI XII, 127 8A) che furono integrati nel 1938 (da M. Norsa) al P.Lond. 733. Cf. Norsa in Ann. Sc. Norm. Pisa 10, 1941, pp. 155-163, Maehler 1982, II, p. 71, id. 2004, pp. 102-103. Per le ipotesi di lettura di questa metafora, proposte prima della pubblicazione dei frammenti fiorentini, cf. Catenacci-Di Marzio 2004, p. 72.

3 Cf. commento a p. 116 sgg.

4 Le testimonianze archeologiche e letterarie suggerirebbero una prima attestazione di questo animale in Asia Minore e in Grecia continentale a partire dal VII-VI secolo a.C. Cf. Keller 1913, p. 132, Geoffrey Arnott 2007, p. 10. 5 Questo ruolo favorì l'inserimento del gallo nella simbologia misterica e dei culti di resurrezione. Per una trattazione

di questo argomento, cf. Thompson 1936, pp. 40-41.

6 Per una interpretazione di questa quartina, cf. F. Ferrari 1989, pp. 216-217.

7 Dal punto di vista dell'estetica sonora, quello del gallo è per l'orecchio greco arcaico, e - a prescindere dalla formalizzazione delle lingue moderne - anche per il nostro orecchio, non un canto ma un grido. Non a caso, il primo ad adottare il verbo a|;dw per il gallo è, prima di Platone (Smp. 223c), Aristofane, al v. 100 delle Vespe, rappresentate nel 423-422 a.C. Teocrito (XVIII, v. 56) si riferisce quasi certamente al gallo, chiamandolo pra/toj avoido,j, immagine che capovolge la metafora bacchilidea, mentre nell'idillio XXIV, v. 64 si ricorda la fine della notte in concomitanza con il terzo cantare "di uccelli" (ovvero dei galli): o;rnicej tri,ton a;rti to.n e;scaton o;rqron a;eidon. Cf. Ev. Matt. 26, 34-35: e;fh auvtw|/ o` vIhsou/j\ avmh.n le,gw soi tri.j evn tau,th| th|/ nukti. pri.n avle,ktora fwnh/sai tri.j avparnh,sh| me. Per la presenza del verbo a|;dw nella favola 268 Haus. (II), vd. infra.

degli uomini con il suo grido1. Il verbo usato, alla forma del participio perfetto (kekragw,j), è in

questo caso kra,zw, che esprime sempre suoni sgraziati, come quelli di animali non armoniosi (e.g. le rane, in Ar. Ra., v. 258), o ancora le grida umane (cf., e.g., A. Pr., v. 743, riferito al lamento di Io; S., Aj., v. 1236, riferito in senso spregiativo alle parole di Teucro)2. Nella favola 55 Hausr. (I e III) il

suono del gallo è espresso con il termine specifico avlektorofwni,a, che definisce il verso di questo animale non da un punto di vista estetico, ma secondo l'intelligibilità del suo segno sonoro, riconosciuto non come semplice yo,foj, ma come fwnh,. Questa "valorizzazione" del suono del gallo è tuttavia relativa al contesto favolistico. Nella finzione letteraria di questo genere, infatti, il termine fwnh, può facilmente applicarsi ad animali che agiscono e parlano come esseri umani. Nella favola 268 Hausr. (II), per dare un esempio, non sorprende che la volpe, volendo far scendere dall'albero un gallo, cerchi di convincerlo con una proposta di "collaborazione canora":

(II, 9-11) «avgaqo.n o;rneon ei= kai. crhsto.n toi/j avnqrw,poij) kata,bhqi de,( o[pwj a;|swmen ta.j nukterina.j wv|da.j kai. suneufranqw/men avmfo,teroi».

«Sei un uccello buono e utile agli uomini. Scendi giù, perché possiamo intonare i canti notturni ed entrambi possiamo gioire insieme».

La sopravvalutazione sonora del gallo è evidente anche nelle due versioni della favola 84 Haurs. Qui Esopo racconta che un giorno un leone si avvicinò ad un asino per farne la sua preda. Un gallo, che si trovava nella stessa fattoria in cui viveva anche l'asino, cominciò a gridare e ad emettere il suo tipico suono che impaurì il leone, mettendolo in fuga. Nella versione I (collectio augustana) questo suono è descritto con il termine yo,foj "rumore", anche se nell'inciso si ricorda, cambiando radice semantica, il detto secondo cui «i leoni sono spaventati dalle fwnai, dei galli»:

(I, 3-5) para. de. to.n yo,fon tou/ avlektruo,noj fqegxame,nou katapth,xaj & fasi ga.r tou.j le,ontaj ptu,resqai pro.j ta.j tw/n avlektruo,nwn fwna,j & eivj fugh.n evtra,ph)

Nella versione III (collectio accursiana)3, invece, il testo è stato uniformato alla radice fwn-, e sul

piano linguistico il verso del gallo è espresso unicamente dall'idea di fwnh,4:

(III, 1-3) le,ontoj de. evpelqo,ntoj tw|/ o;nw| o` avlektruw.n evfw,nhse) kai. o` me.n le,wn & fasi. ga.r tou/ton th.n tou/ avlektruo,noj fwnh.n fobei/sqai & e;fugen)

Anche nella Batrachomyomachia si fa esplicito riferimento al gallo come simbolo sonoro del mattino5. Atena, rivolgendosi al padre Zeus, spiega al v. 177 sgg. i motivi del suo risentimento nei

confronti sia dei topi, sia delle rane. Queste ultime, continua la dea, non la lasciarono dormire al suo ritorno dalla guerra, ma al contrario le impedirono di chiudere occhio per tutta la notte fino al "grido del gallo" (Batr., vv. 191-192):

evgw. d v a;u?pnoj katekei,mhn\ th.n kefalh.n avlgou/san( e[wj evbo,hsen avle,ktwr)

ma io giacqui a letto insonne; col mal di testa, finché non gridò il gallo.

1 Cf. anche Aesop. 124 Hausr. (I) e (III), in cui non si fa esplicito riferimento al suono-grido del gallo, ma più genericamente alla sua azione di svegliare gli uomini.

2 Cf. l'uso dello stesso verbo per il verso del gallo in 268 Hausr. (II): o` avle,ktwr ... evkekra,gei.

3 Per la descrizione delle due collectiones, sulle quali si impone l'autorità dell'augustana, cf. Hausrath 1957, p. Vsqq. 4 È da sottolineare il medesimo processo di uniformazione fra le due versioni II e III della favola 268 Hausr. 5 Secondo Fusillo 1988, p. 39, l'esplicito riferimento al gallo rappresenta, insieme a molti altri, un elemento "non

Essendo le datazioni del Corpus fabularum aesopicarum e della Batrachomyomachia del tutto incerte, possiamo affermare che la prima attestazione letteraria sicura del gallo, nonché il primo segno evidente del riconoscimento della sua funzione sonora nella cultura greca, è rappresentata dai citati versi di Teognide.

Al di là del suo ruolo di "sveglia naturale", il gallo rappresentò per i Greci anche un simbolo del corteggiamento omoerotico e pederastico, come risulta evidente dal confronto con l'iconografia vascolare dei secoli VI-V1. Per tale motivo, è probabile che il contemporaneo Teognide conoscesse

questo animale anche come simbolo erotico. È ad ogni modo significativa l'assenza totale dalla poesia omerica ed esiodea dell'avlektruw,n o avle,ktwr, a tal punto che viene messa in dubbio la sua stessa presenza nella cultura omerica e durante il periodo di composizione dei poemi. Le più antiche testimonianze iconografiche in nostro possesso corroborano questa ipotesi: il gallo è presente in alcuni vasi di produzione corinzia (protocorinzia), databili alla seconda metà del VII sec. a.C.2, e

compare nell'iconografia monetale soltanto dagli inizî del V secolo, in particolare nelle monete della città asiatica di Dàrdano (Asia Minore) e a Imera di Sicilia3. Prima del VII secolo a.C., dunque, la

conoscenza del gallo presso i Greci non sembra essere certa.

La prima testimonianza letteraria, come si è detto, è quella di Teognide, mentre il primo lirico che ricordi il gallo, con riferimento al suo canto, potrebbe essere stato Simonide nel fr. 583 PMG:

i`mero,fwn v avle,ktwr

L'epiteto i`mero,fwnoj – o la varia lectio del cod. B h`mero,fwnoj (con il significato del tutto pertinente di diei nuntius)4 - ci fa certi che fin dalle più antiche testimonianze letterarie, il gallo era

ricordato insieme alla sua peculiare caratterizzazione sonora. Dalla fonte (Ath., (om. E) IX, 374d)

non ci è possibile, purtroppo, chiarire il contesto originario del frammento simonideo5. Tuttavia,

Maehler 1982, II, pp. 71-72, ammette la possibilità che Simonide avesse menzionato "un gallo dalla voce amabile" facendo riferimento a sé stesso6. Se così fosse, la metafora di Bacchilide sarebbe

un'eco letteraria ammiccante al linguaggio dello zio materno. Se invece restiamo ai dati certi in nostro possesso, dobbiamo riconoscere in Bacchilide il probabile prw/toj eu`reth,j di questa figura7.

Come si è detto, dal confronto con altre odi, si evince una sua propensione a questo tipo di

1 Questo ruolo del gallo potrebbe essere stato suggerito dalla sua attività di noto corteggiatore. Cf. A. A., v. 1671 (avle,ktwr w[ste qhlei,aj pe,laj). Per l'immagine del gallo come dono simbolico di un rapporto omoerotico o pederastico, si veda come esempio l'esterno della kylix a figure rosse del pittore Macron (480 a.C. ca.), proveniente da Vulci e in mostra al Louvre (Galerie Campana, salle 39, n.i. G142).

2 Si vedano, come esempî, l'alabastron corinzio, risalente al 625-600 a.C. ca. (Galerie Campana, salle 45, n.i. E 491) e la coeva olpe corinzia (Galerie Campana, salle 45, n.i. E 434) al Louvre. Cf. EAA, vol. III, s.v. Galli (Pittore dei), pp. 763-764.

3 Cf. Thompson 1936, pp. 34 (immagine di moneta di Imera), 35, 43-44, in cui lo studioso ricorda che l'Olimpica XII di Pindaro, al cui v. 14 è menzionato un gallo, era indirizzata ad Ergotele, cittadino di Imera. Si veda, a questo proposito Catenacci 2013, pp. 586-588.

4 Cf. app. crit. in Page 19834, p. 300, e più recentemente Poltera 2008, pp. 233, 531.

5 L'intero passo in cui viene inserita la citazione del frammento simonideo (Ath. IX, 373a - 374d) è dedicato alla distinzione lessicale fra galli e galline, che al tempo della narrazione dei Deipnosofisti sembra essere stata molto diversa da quella antica.

6 Cf. Poltera 2008, pp. 530-531.

7 Sul piano iconografico, invece, l'associazione poeta-gallo sembra essere stata più precoce. Un kyathos del Getty Museum (77.AE.102, 78.AE.5) riporta infatti, sulla sua superficie esterna, da un lato un personaggio che la mitra (e non un «copricapo con cresta di gallo» come asseriscono Catenacci-Di Marzio 2004, p. 74), il chitone, i calzarî e la ba,rbitoj riconducono all' a`bro,thj asiatica ed insieme ad un contesto simposiale (kwmasth,jo sumpo,thj), dall'altro un bellissimo gallo definito nei più minuziosi dettaglî. Il pezzo è stato studiato nei suoi riferimenti culturali, iconografici e letterarî da Kurtz-Boardman 1986, 35-70, che hanno anche avanzato l'ipotesi, del tutto verisimile, di identificare questo personaggio con il poeta Anacreonte. Se così fosse, questo vaso datato all'ultimo decennio del VI sec. a.C., potrebbe essere la prima associazione nella cultura greca fra un poeta ed il gallo a noi nota.

metafora: in III, vv. 97-98 egli sovrappone a sé stesso l'immagine dell'usignolo; in V, vv. 19-20 si dice «aquila messaggera di Zeus» (aiveto.j euvrua,naktoj a;ggeloj | Zhno,j); in X, v. 10, invece, si attribuisce il titolo di «ape isolana dal suono penetrante» (nñasiw/tin evni,khsen ligu,fqoggon me,lissan). Fra queste quattro immagini, la sola metafora poeta-aquila, nonostante l'uso dell'apposizione a;ggeloj, sembra essere non incentrata su un valore preminentemente sonoro-canoro dell'animale, bensì sul suo significato visivo di leggero e sicuro dominatore dell'aria (vv. 16-30)1.

Confrontando le altre tre metafore, poeta-gallo, poeta-usignolo, e poeta-ape, è facile invece notare che i tre animali usati in senso traslato sono accompagnati da tre diversi epiteti che ne sottolineano, pur nella loro diversità, la medesima funzione di esseri sonori, e più specificatamente canori, con un forte richiamo alla funzione del poeta, intimamente legato alla cifra sonoro-musicale della performance epinicia. Si veda la seguente tabella riassuntiva:

III, vv. 97-98 (468 a.C.) IV, vv. 7-8 (470 a.C.) X, v. 10 (?)2

kai. meliglw,ssou tij u`mnh,sei ca,rin

Khi,aj avhdo,noj) eñ;Îlake d v # a`dueph.j avÎna- xifo,r#miggoj OuvrÎan#i,ñaj avle,ktwr

nñasiw/tin evki,nhsen ligu,fqoggon me,lissan(

Come risulta evidente da questo schematico confronto, la dimensione sonora dell'usignolo, del gallo e dell'ape viene legata a diversi aspetti della percezione uditiva. Si richiamano così la letteraria "lingua di miele" del primo (meli,glwssoj), la dolcezza di umane parole del secondo (cf. supra) e il penetrante suono tipico della terza (ligu,fqoggoj). I richiami dell'usignolo e dell'ape sono inoltre intrecciati con il riferimento all'isola di Ceo, patria di Bacchilide (cf. rispettivamente Khi,aj e nñasiw/tin). Quella del gallo è, per la sua rarità, la metafora che suscita più interesse. Mentre infatti l'usignolo e le api, sulla scorta delle loro numerose apparizioni che ne hanno fatto veri e proprî topoi letterarî, sono riconosciuti come animali notoriamente legati all'universo del poeta3, il gallo

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