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Le traduzioni italiane di Die Verwandlung

4.2. Benvenuto, Herr Kafka

Se c’è una città chiave, in Italia, per la ricezione dell’opera di Franz Kafka, questa è Trieste: la città della Venezia Giulia, infatti, fino al 1918 è la più italiana delle città austro-ungariche, una città in cui “ribolle” il fermento dei movimenti irredentisti (che chiedevano l’annessione della città al Regno d’Italia), e che fa da crocevia per gli scambi culturali tra l’area germanofona e quella italofona. Dopo il 1918 (o più precisamente dopo il 1920, con il Trattato di Rapallo), Trieste diviene la più mitteleuropea delle città italiane.

I cinque nomi a cui dobbiamo i primi “contatti” dell’Italia con l’opera di Franz Kafka sono infatti quelli di tre triestini, un goriziano, una milanese e un fiorentino: Roberto Bazlen, detto “Bobi” (1902-1965), Silvio Benco (1874-1949), Giuseppe Menasse (1905-?), Enrico Rocca (1895-1944), Lavinia Mazzucchetti (1889-1965) e Renato Poggioli (1907-1963).

4.2.1. Il geniale Bobi (1920-1924). Roberto “Bobi” Bazlen nasce a Trieste da padre

tedesco (che morirà poco dopo la sua nascita) e da madre triestina ed ebrea. Frequenta il Real-Gymnasium, la scuola di lingua tedesca. Fin da giovanissimo frequenta gli ambienti letterari della città e conosce esponenti molto importanti della cultura triestina, tra cui Silvio Benco, Umberto Saba (1883-1957), Italo Svevo (1861- 1928) e Giani Stuparich (1891-1961). Grazie proprio all’amicizia con Saba, veniamo a scoprire un aspetto importante, nell’ambito del nostro discorso. Bazlen ha più o meno diciotto anni (quindi parliamo del periodo compreso tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti):

195 […] l’amicizia fra Bazlen e Saba nasce dal fatto che Bazlen, benché adolescente, e imbottito di letture, aggiornatissimo rispetto alla Trieste di quegli anni, al punto di consigliare a chi studia il tedesco di impratichirsi leggendo Kafka. Saba non perde certo l’occasione di portarselo a casa e di chiedergli qualche consiglio.13

Stiamo parlando più o meno del periodo in cui Trieste diviene una città italiana, un periodo in cui Franz Kafka è ancora in vita. Ma non basta: Roberto Bazlen è un uomo a cui piace spostarsi e, negli anni tra il 1923 e il 1925, è a Genova, dove fa la

conoscenza di Eugenio Montale (1896-1981), che in seguito ricorderà così Bobi Bazlen:

Quando venne a trovarmi, nell’inverno ’23-’24, mandatomi non so da chi, egli fu per me una finestra spalancata su un mondo nuovo. Ci vedevamo ogni giorno [...]. Mi parlò di Svevo, facendomi poi pervenire i tre romanzi dell’autore stesso; mi fece conoscere molte pagine di Kafka, di Musil (il teatro) e di Altenberg.14

Il 4 luglio 1926, inoltre, Bazlen scrive a Montale chiedendogli una lettera di presentazione per un amico:

Un mio amico, milionario, soldato a Torino, comprensivo e complesso, avendo

urgente bisogno di soldi, mi chiede “qualche lettera di presentazione per qualche

persona che direttamente o indirettamente possa affidargli del lavoro di

traduzione, riduzione o altro lavoro manuale di letteratura”. Sa bene il tedesco, scrive un italiano purissimo. Mandami una lettera per la casa editrice del “Baretti”, ev. per altre. Si chiama Giuseppe Menasse.15

Il riferimento chiaro è alla casa editrice “Le Edizioni del Baretti”, erede della rivista “Il Baretti”, fondata da Piero Gobetti, dopo la diffida da parte della questura di Torino

13 STELIO MATTIONI, Storia di Umberto Saba, Camunia, Milano 1980, p. 82, citato in: VALERIA RIBOLI, Roberto Bazlen

editore nascosto, Fondazione Adriano Olivetti, Roma 2013, p. 13.

14 ITALO SVEVO,EUGENIO MONTALE, Lettere / Con gli scritti di Montale su Svevo, De Donato, Bari 1966, p. 146, citato

in: RIBOLI, Roberto Bazlen editore nascosto, op. cit., p. 18.

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che le impediva la continuazione di qualsiasi attività editoriale. Piero Gobetti era morto qualche mese prima, a febbraio, a causa di un fisico fiaccato dalle violenze subìte dagli squadristi fascisti.

Roberto Bazlen continuerà a lavorare per tutta la vita collaborando con le case editrici italiane, sempre pronto a suggerire titoli e autori. Giani Stuparich, illustre autore triestino, afferma addirittura che «certamente Kafka fu una scoperta di Bobi per l’Italia».16 La sua più lunga collaborazione è quella con Einaudi, dal 1951 al 1962,

anno in cui, insieme a Luciano Foà e Roberto Olivetti, fonda la casa editrice Adelphi, di cui “forgia” il catalogo in base ai suoi variegatissimi interessi letterari ed editoriali. Muore improvvisamente nel luglio del 1965.

4.2.2. Lavinia, la “leonessa” (1927). Lavinia Mazzucchetti nasce a Milano il 6 luglio

1889, la madre Adele Colombini è redattrice e direttrice di periodici Sonzogno, il padre Augusto lavora come critico teatrale per il quotidiano “Il Secolo”, sempre di Sonzogno, poi passa al “Piccolo” di Trieste. In famiglia Lavinia respira da sempre idee repubblicane. A sedici anni traduce alcuni romanzi di Balzac e Adolphe di Benjamin Constant, traduzione che verrà pubblicata solo nel 1917. Nel 1911 si laurea presso la Regia Accademia Scientifico-Letteraria (che in seguito diventerà Università) con una tesi intitolata Schiller in Italia: pur laureandosi con un professore di letteratura italiana, viene seguita da Sigismondo Friedmann (1852-1917), primo docente a ricoprire una cattedra di letteratura tedesca in Italia.

Negli anni Dieci frequenta diversi corsi estivi presso l’Università di Friburgo e ottiene l’abilitazione all’insegnamento della lingua e della letteratura tedesca nelle scuole secondarie. Nel 1913 inizia anche la sua carriera da giornalista, prima con il quotidiano “Il Secolo”, poi con il mensile “Il Secolo XX”. Inoltre vince una borsa di studio che le permette di seguire un corso di perfezionamento in letterature moderne alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Il 1914 e il 1915 sono anni difficili: prima muore il padre Augusto poi, in guerra, il fidanzato Hans Schulz. Nella seconda metà degli anni Dieci continua a insegnare e viene chiamata a sostituire il docente di lingua tedesca Friedmann, ottenendo la libera docenza nel 1917. Attorno

16 GIANI STUPARICH, Trieste nei miei ricordi, Garzanti, Milano 1948, p. 18, citato in: RIBOLI, Roberto Bazlen editore

197

al 1919 ottiene una docenza di ruolo in quello che sarà il liceo “Manzoni” di Milano, nel 1920 tiene un corso all’Università Bocconi. È questo il periodo in cui comincerà a scrivere recensioni di letteratura tedesca per la rivista stampata da Treves “I libri del giorno”, una collaborazione che continuerà fino alla chiusura del periodico, nel 1929, e che farà di lei la più importante “informatrice” delle questioni di germanistica in Italia. Nei primi anni Venti, sempre per Treves, traduce i tre volumi di Pensieri e

ricordi di Otto von Bismarck e collabora con la rivista “Il Convegno”, di cui parleremo

più avanti.

Dal 1924 al 1926 è docente di letteratura tedesca presso l’Università di Genova e, nel 1925, è firmataria del “Manifesto degli intellettuali antifascisti” promosso da Benedetto Croce. Nel 1926 torna a insegnare all’Università di Milano e pubblica la raccolta di saggi Il nuovo secolo della poesia tedesca.17 Dal 1927 comincia la

collaborazione con Mondadori traducendo Guglielmo II di Emil Ludwig.

Nel 1929 a Lavinia Mazzucchetti viene negata la possibilità di continuare a insegnare all’università, adducendo pretesti economici: in realtà la studiosa si rifiuterà sempre di prendere la tessera del partito fascista. Continua però la sua preziosa opera di

mediazione culturale creando e dirigendo la collana “Narratori nordici” per Sperling & Kupfer, all’interno della quale traduce Cane e padrone e Disordine e dolore precoce

di Thomas Mann.18

Tornando alla collaborazione di Lavinia Mazzucchetti con il periodico Treves “I libri del giorno”, nel numero di gennaio 1927 della rivista viene pubblicato un brevissimo saggio scritto dalla germanista l’anno precedente, intitolato Franz Kafka e il

novecentismo, che costituisce il primo tentativo di parlare di Kafka ai lettori italiani:

Per ora in Germania invece che di novecentisti si parla di solito di “moderni”, di “giovani” e di “giovanissimi”. Questo non di rado confonde le idee, giacché vi sono molti novecentisti autentici, artisti cioè che nulla hanno in comune con la conquista e la tradizione dell’Ottocento, o almeno della seconda metà

dell’Ottocento, i quali presentano non solo una fede di nascita, ma anche una matricola di leva anteriore al primo gennaio 1900. Essere novecentisti vuol dire, in Germania, avere gli “occhi nuovi” di fronte alla realtà, avere un nuovo senso

17 LAVINIA MAZZUCCHETTI, Il nuovo secolo della poesia tedesca, Zanichelli, Bologna 1926.

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