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I “kafkiani” d’Italia A fornire un interessante e nuovo contributo alla (scarsa)

Sulle spalle del gigante: i “kafkiani” dopo Kafka

3.2. La “lunga ombra” di Franz Kafka

3.2.8. I “kafkiani” d’Italia A fornire un interessante e nuovo contributo alla (scarsa)

ricerca sulla ricezione di Kafka in Italia è sicuramente Saskia Elizabeth Ziolkowski,

visiting assistant professor presso il dipartimento di Studi Romanistici della Duke

University, che sta per dare alle stampe un saggio intitolato Kafka’s Italian Progeny. In particolare, molto utile per la mia ricerca è stato il breve saggio intitolato Kafka and

Italy: A New Perspective on the Italian Literary Landscape, in cui tratteggia le

influenze dell’autore boemo sulla produzione letteraria italiana del Novecento.60

Va premesso che, diversamente da quanto accaduto con la ricezione di Kafka negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia, per l’Italia la ricerca è ancora abbastanza indietro, nonostante negli ultimi anni vi siano stati importanti segnali di ripresa. Uno dei primi “promotori” dell’opera di Kafka in Italia è stato senza alcun dubbio il triestino Roberto Bazlen (1902-1965), da cui, come vedremo arriverà il primo riferimento non tedesco a Kafka.61 Vivendo a Trieste, città ponte nel rapporto tra Austria-Ungheria e

Italia, addirittura nel 1919 Bazlen raccomanda la lettura dell’autore praghese a

chiunque voglia migliorare la propria conoscenza della lingua tedesca62 e, nel 1924,

scrive all’amico Eugenio Montale (Bazlen intratteneva rapporti d’amicizia con tutti i più grandi esponenti della scena letteraria italiana del primo Novecento, tra questi Elsa Morante, Alberto Moravia, Sandro Penna, Elio Vittorini, Aldo Palazzeschi, Pier Paolo Pasolini, Umberto Saba, Italo Svevo e Natalia Ginzburg), sottolineando il fatto

59 KAREN AN-HWEI LEE, Kafka Erases His Father with Moonlight, in: “Guernica: A Magazine of Art & Politics”, 17

novembre 2014, https://www.guernicamag.com/kafka-erases-his-father-with-moonlight/

60 SASKIA ZIOLKOWSKI, Kafka and Italy: A New Perspective on the Italian Literary Landscape, in: RUTH GROSS,STANLEY

CORNGOLD (a cura di), Franz Kafka for the Twenty-First Century, Camden House, Rochester NY 2011, pp. 237- 249.

61 LAVINIA MAZZUCCHETTI, Il Novecento in Germania, Mondadori, Milano 1959, p. 188.

62 A tal proposito si veda il volume di MANUELA LA FERLA, Diritto al silenzio: vita e scritti di Roberto Bazlen,

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che a parlare delle opere di Kafka siano soltanto due articoli, entrambi scritti dall’amico Max Brod.

L’Italia, per la ricezione kafkiana, è un Paese importante anche perché nel 1933, anno in cui alcune delle opere dell’autore boemo venivano date alle fiamme nelle

Bücherverbrennungen naziste, Frassinelli traduce Der Proceß, addirittura due anni in

anticipo rispetto alla prima traduzione inglese del romanzo. Nel 1947 Alberto Spaini, nella sua introduzione alla traduzione di Der Verschollene,63 sottolinea da una parte

l’influenza di Kafka, dall’altra fa notare che la grande fonte di ispirazione costituita dallo scrittore praghese ha reso quest’ultimo popolarissimo, in Italia.

Saskia Elizabeth Ziolkowski legge in quest’ultima annotazione di Spaini un riferimento a Dino Buzzati (1906-1972) e al suo contrastato rapporto (in senso letterario) con Franz Kafka. Moltissimi critici italiani avevano ravvisato una palese affinità tra le opere di Kafka e al romanzo di Buzzati Il deserto dei Tartari,64 al che

Buzzati si era affrettato ad affermare che aveva letto le opere del boemo soltanto all’inizio degli anni Quaranta, mentre il suo romanzo era stato scritto alla fine degli anni Trenta, per essere pubblicato nel 1940. L’aneddoto non è tanto importante in sé, essendo pressoché impossibile sapere con certezza in quali anni Buzzati abbia letto Kafka, tuttavia la sua “ansia di smarcarsi” dall’ispirazione del boemo per paura di essere meno “buzzatiano” e più “kafkiano” indica quanto potesse essere sentita, nell’ambito letterario italiano, la presenza del praghese.

Abbandonando il tema “spinoso” del rapporto tra Buzzati e Kafka, in seguito le influenze divengono spesso molto più esplicite: è il caso di Cesare Pavese e Italo Calvino, che riconoscono Franz Kafka come una figura affascinante e molto influente sulla loro scrittura, oltre che uno dei loro autori preferiti. Eugenio Montale gli dedica addirittura una poesia, intitolata Verboten:

Dicono che nella grammatica di Kafka manca il futuro. Questa la scoperta

di chi serbò l'incognito e con buone ragioni. Certo costui teme le conseguenze

63 FRANZ KAFKA, America, Mondadori, Milano 1947, traduzione italiana di Anita Rho. 64 DINO BUZZATI, Il deserto dei Tartari, Mondadori, Milano 2001.

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del suo colpo di genio. E Kafka stesso, la sinistra cornacchia, andrebbe al rogo nell'effigie e nelle opere, d'altronde largamente invendute.65

Tommaso Landolfi (1908-1979), nel 1942, scrive un racconto intitolato Il babbo di

Kafka, in cui il narratore e il suo amico Kafka devono fare i conti con un gigantesco

ragno che ha la faccia del padre di Kafka.66 Qualche decennio dopo, anche Claudio

Magris (1939), nella sua raccolta intitolata Danubio del 198667, inserisce molti

riferimenti a Kafka, intitolando un capitolo Kierling, Hauptstrasse 187, in cui alterna riflessioni sull’autore alle sue impressioni visitando il luogo in cui lo scrittore morì nel 1924.

Un discorso a parte merita Primo Levi (1919-1987) che, pur non figurando tra gli autori direttamente influenzati da Kafka, nel 1983 viene chiamato da Giulio Einaudi a tradurre in italiano Der Proceß, in anni in cui Kafka viene visto come l’autore che aveva “profetizzato la Shoah”, ma anche perché in quegli anni, grazie anche alle interpretazioni di Ritchie Robertson, l’opera del praghese veniva dipinta come una delle migliori rappresentazioni dell’istituzionalizzazione dell’autorità e della violenza di ogni tipo. Nella nota alla traduzione, Primo Levi scrive: «Dunque è così, è questo il destino umano, si può essere perseguiti e puniti per una colpa non commessa,

ignota, che “il tribunale” non ci rivelerà mai». Sembrerebbe un’osservazione naturale, parlando del Processo, ma scritta da un sopravvissuto all’Olocausto queste parole assumono connotazioni molto differenti.

Altre tre opere del Novecento italiano vengono accostate da Ziolkowski a Kafka: si

tratta dei romanzi Menzogna e sortilegio di Elsa Morante (1912-1985)68, pubblicato

nel 1948, e Il figlio di due madri di Massimo Bontempelli (1878-1960)69, pubblicato

65 EUGENIO MONTALE, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1990, p. 485.

66 TOMMASO LANDOLFI, Le più belle pagine, Rizzoli, Milano 1989, pp. 229-231. L’edizione originale del racconto

venne pubblicata da Vallecchi nella raccolta La spada, del 1942.

67 CLAUDIO MAGRIS, Danubio, Garzanti, Milano 1990.

68 ELSA MORANTE, Menzogna e sortilegio [1948], Einaudi, Torino 1994.

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nel 1929. In questi ultimi due casi, il “kafkiano” si rivela soprattutto nell’illustrazione dei rapporti familiari e del grande potere psicologico dell’“istituzione” famiglia. Nella sua attenta analisi, Ziolkowski cita anche la grandissima affinità che lega il racconto di Italo Svevo Argo e il suo padrone, pubblicato per la prima volta in rivista nel 1934 e in volume nel 1949, e il racconto di Kafka Ein Bericht für eine Akademie, del 1919. In quest’ultimo il protagonista è una scimmia, Rotpeter, che impara a comportarsi come un essere umano e fa una relazione sul processo della sua “trasformazione” in uomo. La somiglianza dei due racconti ha suscitato poca

attenzione: in Argo e il suo padrone, un uomo tenta di insegnare la lingua italiana al suo cane Argo, dopo aver letto che in Germania esiste un cane in grado di parlare. Il racconto è diviso in due parti: nella prima il padrone racconta il processo con cui ha imparato a comprendere il linguaggio di Argo, la seconda è composta dai monologhi di Argo stesso, tradotti dal padrone. Nonostante la differenza tra i due testi (in Kafka è l’animale a imparare la lingua umana, in Svevo accade il contrario), entrambi i racconti sono imperniati sulla difficoltà di comunicare. Entrambi i racconti dipingono il processo di imparare a comunicare con gli esseri umani come un processo brutale. È chiaro che Argo e Rotpeter non sono i primi “animali” parlanti della storia della

letteratura, tuttavia a legarle è ancora una volta il carattere “realistico”: dietro la loro capacità di comunicare non c’è la stregoneria (come nel Dialogo dei cani di

Cervantes), non ci sono esperimenti scientifici (come in Cuore di cane di Bulgakov) e non ci sono circostanze misteriose (come in Nachricht von einem gebildeten jungen

Mann di E.T.A. Hoffmann). Il motivo della necessità di comunicazione è dato

dall’isolamento in cui sono costretti il padrone di Argo, esiliato su una montagna e schernito dalla piccola comunità di residenti del posto, e Rotpeter.

In realtà, il discorso è un po’ più complicato: la moglie di Svevo ha dichiarato che Kafka è stato “l’ultimo amore letterario” del marito.70 Tuttavia molti affermano che

Italo Svevo abbia letto Kafka solo nel 1927, un anno prima della sua morte. Per contro, chi ha confrontato nel dettaglio le opere dei due grandi scrittori tende ad anticipare notevolmente il “contatto letterario” tra i due, anche in virtù di affinità

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sorprendenti tra Das Urteil (pubblicato nel 1913) e il capitolo della Coscienza di Zeno (pubblicato nel 1923) dal titolo La morte di mio padre.71

Mentre molti studi hanno preso in esame l’influenza dell’Italia sull’opera di Kafka, sono pochissimi quelli che cercano di comprendere quale sia stato l’«effetto Kafka» sulla letteratura italiana, anche in virtù di questo rapporto storico complicato tra gli autori italiani del Novecento e la figura dello scrittore praghese.

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