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“Universo Kafka”

2.9. Kafka dopo il

Nella seconda metà degli anni Venti, tutti i critici cominciano a domandarsi se le opere di Kafka debbano essere interpretate come testi simbolici, allegorici o

parabolici. Il primo a discutere un elemento kafkiano che non fosse religioso (come in Brod) è Siegfried Kracauer (1889-1966), che nel 1926 sottolinea gli elementi

fiabeschi in Das Schloß.88

Nel 1937 Max Brod dà alle stampe una biografia di Kafka in cui si amplifica ulteriormente l’aspetto ebraico e religioso. Nel 1929, però, Walter Muschg (1898- 1965) pubblica un saggio intitolato Über Franz Kafka in cui definisce Der Proceß come una satira sul sistema della giustizia e Das Schloß un grido di aiuto di fronte

87 FRANZ BLEI, Das große Bestiarium der modernen Literatur, Rowohlt, Berlin 1922, p. 42. “La Kafka (gioco di

parole basato sul fatto che “kavka” significa “taccola”, in lingua ceca) è un topo difficilissimo da vedere, magnifico e di colore azzurro come la luna, che non mangia carne, ma si nutre di erbe amare. Il suo sguardo affascina, perché ha occhi come quelli dell’uomo” (mia traduzione).

88 SIEGFRIED KRACAUER, «Das Schloß»: Zu Franz Kafkas Nachlaß-Roman, in “Frankfurter Zeitung“, 28 novembre

88

allo strapotere della burocrazia.89 A questo punto si moltiplicano le letture di Kafka in

chiave freudiana: il saggio di Muschg segna proprio l’inizio delle letture psicologiche e psicanalitiche.

Nel 1934, il giornalista, critico cinematografico e sceneggiatore Willy Haas (peraltro fondatore ed editore della rivista “Die literarische Welt”), in un discorso alla radio di Berlino in occasione del decimo anniversario della morte dello scrittore, riconosce la pena metafisica di Der Proceß e interpreta il Castello come il luogo della

Misericordia, tuttavia ne parla in riferimento alla filosofia di Kierkegaard, e non più in senso religioso. Al contrario sottolinea lo scetticismo di Kafka da questo punto di vista, facendo risalire i motivi kafkiani a un mondo prebiblico. La religiosità è

importante per Kafka, ma non certo l’Ebraismo.90

A questa riflessione si ricollegherà la lettura di Kafka da parte di Walter Benjamin (1892-1940), che vede nell’opera dello scrittore praghese un mondo premoderno, e addirittura preistorico. I due testi di riferimento per quanto concerne la riflessione di Benjamin su Kafka sono la lezione radiofonica Franz Kafka: Beim Bau der

chinesischen Mauer del 1931 e soprattutto il saggio Franz Kafka: Zur zehnten

Wiederkehr seines Todestages del 1934.91 Entrambi i contributi di Benjamin avranno

risonanza soltanto dopo la Seconda guerra mondiale, ma influenzeranno

profondamente le “traiettorie” della critica. Secondo Benjamin, Kafka è un “costruttore di labirinti”, dal momento che ostacola in continuazione l’interpretazione dei suoi testi. Rinnega inoltre la concezione propagandata da Brod. Benjamin nega la possibilità di interpretare i testi di Kafka tanto in chiave teologica quanto sotto l’aspetto

psicanalitico: uno degli elementi più interessanti della sua opera sta nel ricorrere a un passato mitico, preistorico, e nell’introduzione del Gestus: per Kafka ci sono cose che non si possono cogliere con la lingua ma occorre un gesto, incomprensibile ai

personaggi e anche all’autore stesso.

89 WALTER MUSCHG, Über Franz Kafka (1929), in “Pamphlet” (1968), pp. 101-107, citato in: BEICKEN, Franz Kafka,

op. cit., pp. 27-28.

90 WILLY HAAS, Über Franz Kafka, in: -, Gestalten der Zeit, Kiepenheuer, Berlin 1930, p. 212.

91 WALTER BENJAMIN, Franz Kafka: Beim Bau der chinesischen Mauer, in: -, Gesammelte Schriften, Band II,

Suhrkamp, Frankfurt am Main 1972, pp. 676-682; -, Franz Kafka, in: -, Gesammelte Schriften, Band I, pp. 409- 437.

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Dalla riflessione benjaminiana deriveranno tante altre teorie di lettura dei testi kafkiani, tra cui quelle di Theodor W. Adorno (1903-1969), Gilles Deleuze (1925-

1995) e Jacques Derrida (1930-2004).92

Con la traduzione delle opere di Kafka in inglese, tra la metà degli anni Trenta e nei primi anni Quaranta, la critica anglofona, soprattutto quella statunitense (in cui l’immagine di Kafka come autore ebreo era molto forte), rimane fedele

all’interpretazione di Brod, ma si assiste di nuovo a una graduale diversificazione, com’era avvenuto in Europa. Se all’inizio si dà grande peso alle perdute origini ebraiche e al teatro yiddish, altri critici, tra cui Gershom Scholem (1897-1982), mettono in evidenza l’interesse di Kafka nei confronti del misticismo ebraico, della Torah e del Talmud.93 Un altro filone porta al tema dell’antisemitismo nell’opera di

Kafka, soprattutto sulla base del concetto di Volk ebraico e sulle differenze tra ebrei orientali ed ebrei occidentali. Per tutto il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, la lettura prevalente è ancora quella del Kafka scrittore ebreo.

Una prima, piccola svolta avviene nel 1955, quando uno dei traduttori dei racconti di Kafka, Clement Greenberg (1909-1994), pubblica un saggio intitolato The

Jewishness of Franz Kafka in cui mette in discussione la pratica di dover a tutti i costi

associare l’opera di Kafka al suo background religioso. A dire di Greenberg, i testi di Kafka «escludono i problemi morali e le scelte morali».94 In quell’ambito nasce una

disputa con il critico britannico di Cambridge Frank Raymond Leavis (1895-1978), che legge l’opera kafkiana come un’opera intrisa di principi morali, che ha sempre qualcosa da insegnare.

Parallelamente alle riflessioni nel mondo anglofono, Kafka anima il dibattito letterario anche in Francia, soprattutto grazie ai due più importanti esponenti

dell’Esistenzialismo: Albert Camus (1913-1960) e Jean-Paul Sartre (1905-1980). La concezione dell’opera del praghese da parte dei due autori francesi non può essere più differente dalle precedenti: per Camus e Sartre, Kafka dipinge l’assurdità del nostro mondo, la morte di Dio, il vuoto esistenziale.

92 A tal proposito si veda DETLEF KREMER, Kafka, die Erotik des Schreibens, Athenäum, Frankfurt am Main 1989, p.

340.

93 DAVID BIALE, A Letter from Gershom Scholem to Zalman Schocken, 1937, in: -, Gershom Scholem: Kabbalah and

Counter History, Harvard University Press, Cambridge MA 1979, p. 32.

94 CLEMENT GREENBERG, citato in JEAN-MICHEL RABATÉ, Universalism and its Limits – the Reasons of the Absurd in: -,

90

È proprio dopo la Seconda guerra mondiale che Kafka diventa un autore conosciuto in tutto il mondo: tra i maggiori artefici del suo successo ci sono gli intellettuali che hanno abbandonato la Germania e, più in generale, l’Europa sottomessa da Hitler, intellettuali che avevano conosciuto Kafka prima del conflitto, o negli anni Trenta e Quaranta. L’immagine ricorrente è cambiata: ora Franz Kafka è il tipico autore modernista.

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