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Camus e l’assurdo kafkiano Un altro grande “ricevente” dell’opera di Kafka

Sulle spalle del gigante: i “kafkiani” dopo Kafka

3.2. La “lunga ombra” di Franz Kafka

3.2.2. Camus e l’assurdo kafkiano Un altro grande “ricevente” dell’opera di Kafka

è, in quegli anni, anche Albert Camus (1913-1960): Sandbank teorizza in questo caso una affinità tra il suo celebre saggio Le Mythe de Sisyphe (Il mito di Sisifo, 1942) che, ironia della sorte, ha in appendice un saggio intitolato L'espoir et

l'Absurde dans l'œuvre de Franz Kafka (La speranza e l’assurdo nell’opera di Franz Kafka),27 e Der Proceß.

In realtà Sandbank ravvisa ulteriori affinità “kafkiane” anche in altre opere di Camus: il protagonista di Lo straniero (1942), Meursault, ha trent’anni come Josef K. ed è anche lui un impiegato insignificante. Tanto Meursault quanto Josef K. vengono arrestati e infine giustiziati (o quasi). Nella parte finale della loro vicenda incontrano un cappellano del carcere ed entrambi gli incontri, oltre a essere descritti

minuziosamente, hanno un’importanza cruciale, nell’economia dei due romanzi. Già Sartre, tuttavia, aveva sottolineato le grandi differenze tra il personaggio Camus e il personaggio Kafka, facendo notare che, se per Kafka la trascendenza è fonte di angoscia, per Camus l’immanenza è una fonte di esaltazione. In realtà, la nozione di immanenza per Camus è descritta nel suo saggio Il mito di Sisifo, in cui lo scrittore francese afferma che l’assurdo non è né nell’uomo né nel mondo, ma nella

compresenza del primo e del secondo, nel contrasto tra la mente che desidera e il mondo che delude. L’assurdo è quindi il carattere inconciliabile di due certezze: la fame di assoluto e di unità e l’impossibilità di ridurre il mondo a un principio razionale. Nel Mito di Sisifo, Camus non nomina mai Kafka, ma sul tema la sua visione è

chiara: scrive infatti nell’appendice dedicata allo scrittore boemo:

[…] quanto più veramente assurdo risulta Il Processo, tanto più commovente e ingiustificato appare il “salto” esaltato del Castello. Ma noi ritroviamo qui, allo stato puro, il paradosso del pensiero esistenzialista, quale lo esprime, per esempio, Kierkegaard: «Si deve colpire a morte la speranza terrestre, e solo

116 allora ci si salva con la speranza vera», pensiero che si può tradurre: «Bisogna

aver scritto Il Processo per porre mano al Castello […] l’opera assurda in sé stessa può condurre all’infedeltà, che voglio evitare. L’opera, che era soltanto una ripetizione senza valore di una condizione sterile, una perspicace

esaltazione del perituro, diventa qui una culla di illusioni, spiega, dà forma alla speranza […] Kafka nega al suo dio la grandezza morale, l’evidenza, la bontà, la coerenza, ma solo per gettarsi più facilmente nelle sue braccia. L’Assurdo è riconosciuto, accettato, l’uomo vi si rassegna e, da quel momento, sappiamo che non è più l’assurdo.28

Per Camus, l’ossessione di Kafka per la trascendenza è ridotta a un’illusione: Der

Proceß pone un problema, lo descrive, pur senza trarre conclusioni e formula una

“diagnosi”, mentre Das Schloß risolve, spiega e cerca di immaginare una “cura”. Il Castello è per Kafka, a dire di Camus, una “ricerca della consolazione”.

Tuttavia la relazione tra “assurdo” ed “esistenziale” può essere anche rovesciata: si pensi, per esempio, al Sisifo di Camus e al Prometeo del brevissimo frammento kafkiano Prometheus:

Von Prometheus berichten vier Sagen:

Nach der ersten wurde er, weil er die Götter an die Menschen verraten hatte, am Kaukasus festgeschmiedet, und die Götter schickten Adler, die von seiner immer wachsenden Leber fraßen.

Nach der zweiten drückte sich Prometheus im Schmerz vor den zuhackenden Schnäbeln immer tiefer in den Felsen, bis er mit ihm eins wurde.

Nach der dritten wurde in den Jahrtausenden sein Verrat vergessen, die Götter vergaßen, die Adler, er selbst.

Nach der vierten wurde man des grundlos Gewordenen müde. Die Götter wurden müde, die Adler wurden müde, die Wunde schloß sich müde.

117 Blieb das unerklärliche Felsgebirge. – Die Sage versucht das Unerklärliche zu

erklären. Da sie aus einem Wahrheitsgrund kommt, muß sie wieder im Unerklärlichen enden.

Di Prometeo riferiscono quattro leggende. Secondo la prima, poiché aveva tradito gli dèi per gli uomini, fu incatenato al Caucaso, gli dèi mandavano aquile a

divorargli il fegato che sempre nuovamente ricresceva.

Secondo la seconda, Prometeo per il dolore dei colpi di becco si addossò sempre più alla roccia fino a diventare una sola cosa con essa.

Secondo la terza, nei millenni il suo tradimento fu dimenticato, dimenticarono gli dèi, le aquile, lui stesso.

Secondo la quarta, ci si stancò di lui che non aveva più ragione di essere. Gli dèi si stancarono, le aquile si stancarono, la ferita, stanca, si chiuse.

Restò l’inspiegabile montagna rocciosa. – La leggenda tenta di spiegare l’inspiegabile. Dal momento che proviene da un fondo di verità, deve finire di nuovo nell’inspiegabile.29

In questo caso, la prospettiva sembra rovesciarsi: il Prometeo kafkiano affronta la realtà crudele della colpa e della sconfitta, mentre il Sisifo di Camus afferra l’illusione della rivolta e della lucidità. Tanto Prometeo quanto Sisifo hanno rubato i segreti degli dèi, per svelarli agli uomini: per questo vengono puniti. Ma il crimine dell’eroe, in Kafka, scivola sempre più verso l’irrilevanza, verso l’assurdo: quel che resta è

«l’inspiegabile montagna rocciosa», e si stancano tutti. Sisifo, intanto, continua a reagire con sdegno e lucidità. La tenacia di Sisifo rappresenta l’esatto contrario dell’inspiegabile montagna rocciosa di Kafka.

29 FRANZ KAFKA, Nachgelassene Schriften und Fragmente, Fischer, Frankfurt am Main 2002, pp. 69-70 (traduzione

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