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Das Schloß: il labirinto Il terzo romanzo di Kafka ha una genesi più oscura

“Universo Kafka”

2.6 Le colonne del tempio kafkiano: Das Urteil, Der Proceß e Das Schloß.

2.6.3. Das Schloß: il labirinto Il terzo romanzo di Kafka ha una genesi più oscura

rispetto agli altri: la produzione letteraria dello scrittore si interrompe per alcuni anni, dopo la diagnosi di tubercolosi, nell’estate del 1917. Un momento di relativa prolificità creativa si ha solo nell’autunno del 1920, in cui Kafka scrive alcuni racconti brevi (tra cui Das Stadtwappen) ma, per contro, le condizioni psicologiche e fisiche dello scrittore peggiorano, anche per la separazione da Milena Jesenská. Nei diari si hanno molte annotazioni che sottolineano la solitudine e la percezione

dell’approssimarsi della morte. Possiamo dire con certezza che il 27 gennaio 1922

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Kafka ha ripreso a scrivere: il nuovo manoscritto resta senza titolo ma, nelle

conversazioni, lui continua a definirlo «il Castello», Das Schloß. Il lavoro di stesura vero e proprio si colloca tra il mese di gennaio e il mese di settembre del 1922, con diverse brevi interruzioni. Mentre nasce Das Schloß, Kafka scrive anche i racconti

Erstes Leid (Primo dolore, febbraio 1922), Ein Hungerkünstler (Un digiunatore, 23

maggio 1922) e quello che Brod intitolerà Forschungen eines Hundes (Indagini di un

cane, luglio 1922). Il 1 luglio 1922 a Kafka viene concesso il pensionamento per

motivi di salute e si ritira nella residenza estiva della sorella Ottla, dove termina la stesura degli ultimi capitoli. L’11 settembre 1922, però, deve comunicare a Max Brod la forzata interruzione del lavoro e la sua totale incertezza sull’eventuale finale della storia: i capitoli sono compiuti in sé, ma non possono essere integrati in un progetto più grande. Una delle influenze filosofico-letterarie più importanti sulla scrittura di Das

Schloß sembra essere la lettura di Schopenhauer tra il 1917 e il 1918, anni in cui

nasce il progetto del terzo romanzo.

Lo studio dei manoscritti ha addirittura rivelato che, nelle prime 42 pagine, la

narrazione sarebbe in prima persona e che Kafka sarebbe passato alla terza solo a partire dal terzo capitolo. Anche in questo caso l’organizzazione dei capitoli da parte di Max Brod è stata rivista e corretta dai recenti studi: l’analisi dei manoscritti indica infatti che l’autore aveva in mente diversi sviluppi della storia ma non era riuscito a prendere una decisione definitiva. Proprio il manoscritto di Das Schloß viene inviato da Kafka a Milena Jesenská, che a sua volta lo consegnerà a Brod.

Come per tutte le altre opere, anche Das Schloß viene inizialmente interpretato come uno specchio delle vicende biografiche dell’autore, in special modo del suo

isolamento personale. Il 24 gennaio 1922, Kafka scrive nel diario:

Die Entwicklung war einfach. Als ich noch zufrieden war, wollte ich unzufrieden sein und stieß mich mit allen Mitteln der Zeit und der Tradition, die mir

zugänglich waren, in die Unzufriedenheit, nun wollte ich zurückkehren können. Ich war also immer unzufrieden, auch mit meiner Zufriedenheit.

L’evoluzione è stata semplice. Quando ero ancora contento volevo essere malcontento e, con tutti i mezzi del tempo e della tradizione che mi erano

74 accessibili, mi buttavo nel malcontento e ora volevo poter ritornare indietro.

Dunque ero sempre malcontento anche della mia contentezza. 66

L’appunto nel diario di Kafka assomiglia ci riporta a un passo del romanzo, in cui, mentre si trova insieme a Frieda, K. ha

Das Gefühl […], er verirre sich oder er sei soweit in der Fremde, wie vor ihm noch kein Mensch, eine Fremde, in der selbst die Luft keine Bestandteil der Heimatluft habe, in der man vor Fremdheit ersticken müsse und in deren

unsinnigen Verlockungen man doch nichts tun könne als weiter gehn, weiter sich verirren.

L’impressione costante di smarrirsi, o di essersi tanto addentrato in un paese straniero come nessun uomo prima di lui aveva mai osato, in una terra ignota dove l’aria stessa non aveva nessuno degli elementi dell’aria nativa, dove pareva di soffocare tanto ci si sentiva estranei, e tuttavia non si poteva far altro in mezzo a quegli insani allettamenti che inoltrarsi ancora, continuare a smarrirsi.67

Das Schloß ha avuto anche una lunga storia di interpretazioni in chiave teologico-

religiosa, il cui esponente principale è, come sempre, Max Brod il quale, nella postfazione all’edizione tascabile Fischer del 1968, scrive che, nel castello a cui K. cerca in tutti i modi di avvicinarsi, risiede:

genau das, was die Theologen “Gnade” nennen, die göttliche Lenkung menschlichen Schicksals (des Dorfes), die Wirksamkeit der Zufälle,

geheimnisvolle Beschlüsse, Begabungen und Schädigungen, das Unverdiente und Unerwerbliche […] im Prozeß und im Schloß [sind] die beiden

Erscheinungsformen der Gottheit (im Sinne der Kabbala) – Gericht und Gnade –

66 KAFKA, Tagebücher, cit., p. 411, traduzione italiana di Ervino Pocar in: -, Diari, op. cit., p. 597.

67 FRANZ KAFKA, Das Schloß, Fischer, Frankfurt am Main 1993, p. 43 seg., traduzione italiana di Ervino Pocar in: -, I

75 dargestellt […] [Er sucht] die rechte Lebensmöglichkeit […] in einer alles Falsche und Halbe, alles Lügenhafte ausschliessenden Weise.

Esattamente ciò che i teologi chiamano “misericordia”, il controllo divino sul destino umano (del villaggio), l’effetto delle coincidenze, le decisioni misteriose, i talenti e i difetti, l’immeritato e l’irraggiungibile […] nel Processo e nel Castello [sono] rappresentate le due manifestazioni della divinità (nel senso della cabala) – tribunale e misericordia – […] [Lui cerca] la giusta possibilità di esistenza […] in un modo che escluda tutto ciò che è falso e a metà, e tutto ciò che è

menzogna.68

Se Der Proceß rappresentava il confronto con il giudizio divino, Das Schloß illustra la ricerca, da parte di Kafka, della misericordia, nelle infinite difficoltà e nel caos della realtà quotidiana, costituita dal mondo che circonda il Castello.

Un altro tentativo di interpretazione dell’opera passa attraverso l’allegoria: tale approccio si oppone drasticamente al modello di lettura propagandato da Brod, ritenuto troppo religiosamente “positivo”. Per questi modelli interpretativi, il Castello rappresenta l’inferno, o comunque una sorta di “limbo” sospeso tra il bene e il male. Alcuni interpreti sostengono inoltre che nel romanzo di Kafka non vi sia alcuna tematizzazione del trascendente.

Tra le altre letture di Das Schloß possiamo elencare quella che vede il romanzo come rappresentazione dell’immagine dell’inconscio o della coscienza dell’ebreo che si ritrova in mezzo ai non ebrei. Non mancano inoltre le letture sociologiche, con Adorno che vede nell’apparato del Castello un’anticipazione delle gerarchie nazifasciste. Dopo la Seconda guerra mondiale si afferma inoltre un filone di

interpretazione di stampo esistenzialista (com’era accaduto anche per il Processo): il suo esponente di punta è stavolta Jean-Paul Sartre, che vede in Das Schloß lo scontro tra volontà individuale e assurdità del mondo. A partire dagli anni Cinquanta, il romanzo appare sempre più come un “sistema letterario di codici da decifrare” e, in questo caso, spesso i messaggi indirizzati dal Castello a K. vengono messi in

relazione con il messaggero che non riesce a raggiungere il suo destinatario in Die

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kaiserliche Botschaft. Un ulteriore tentativo di lettura lega invece Das Schloß agli

aforismi scritti a Zürau, con la lotta dell’individuo tra due pulsioni contrastanti: una è la ricerca della verità, il tentativo di spiegare l’inspiegabile; l’altra è il desiderio

ardente di integrarsi con i suoi simili. Nel terzo Oktavheft, Kafka descrive così la sua situazione nel 1917:

Wir sind, mit dem irdisch befleckten Auge gesehn, in der Situation von

Eisenbahnreisenden, die in einem langen Tunnel verunglückt sind und zwar an einer Stelle wo man das Licht des Anfangs nicht mehr sieht, das Licht des Endes aber nur so winzig, daß der Blick es immerfort suchen muß und immerfort verliert wobei Anfang und Ende nicht einmal sicher sind. Rings um uns aber haben wir in der Verwirrung der Sinne oder in der Höchstempfindlichkeit der Sinne lauter Ungeheuer und ein je nach der Laune und Verwundung des Einzelnen

entzückendes oder ermüdendes kaleidoskopisches Spiel. Was soll ich tun? oder: Wozu soll ich es tun? sind keine Fragen dieser Gegenden.

Noi, visti coi nostri occhi macchiati di terra, ci troviamo nella situazione di un gruppo di viaggiatori ferroviari che hanno subito un sinistro in un tunnel, e precisamente in un punto da dove non si vede più la luce dell'ingresso, e quanto a quella dell'uscita, appare così minuscola che lo sguardo deve cercarla

continuamente e continuamente la perde, e intanto non si è nemmeno sicuri se si tratti del principio o della fine del tunnel. Intorno a noi, intanto, nello

sconvolgimento dei nostri sensi o nella loro ipersensibilità, c'è una moltitudine di mostri e una specie di giuoco caleidoscopico affascinante o affaticante, secondo l'umore e le ferite del singolo. Che cosa devo fare? oppure: Perché devo farlo? non sono domande che si rivolgono là dentro. 69

L’immagine del treno che ha un guasto nel tunnel fa il pari con quella del Castello e di tutto ciò che lo circonda. L’unica soluzione è cercare, come fa K. per l’intero romanzo.

69 FRANZ KAFKA, Hochzeitsvorbereitungen auf dem Lande. Und andere Prosa aus dem Nachlaß, Fischer, Frankfurt

am Main 1993, p. 54. (traduzione italiana di Anita Rho e Italo Alighiero Chiusano in: -, Lettera al padre. Gli otto

quaderni in ottavo. Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via, Mondadori, Milano 1988, p.

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