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Il binomio ascrittivo oggettivo dell’«interesse o vantaggio» nel dibattito dottrinale

LA TENSIONE EVOLUTIVA DEL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE ALLA LUCE DELLA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA DA DELITTO COLPOSO D’EVENTO

2. Il contributo della scienza giuridica

2.1. Il binomio ascrittivo oggettivo dell’«interesse o vantaggio» nel dibattito dottrinale

Come risaputo, con riferimento all’interpretazione del binomio ascrittivo oggettivo nel tempo si sono consolidati fondamentalmente due orientamenti ermeneutici: la tesi monistico-riduttiva, centrata sulla rilevanza sistematica del criterio dell’interesse, con conseguente sottovalutazione del criterio del vantaggio; la tesi dualistico-disgiuntiva che punta invece sull’equiparazione dei due canoni in parola20.

Nel dibattito dottrinale tendenzialmente prevale la convinzione che l’unico criterio ascrittivo rilevante sia costituito dall’interesse dell’ente, atteso che i due termini interesse e vantaggio si dovrebbero intendere come «un’endiadi che addita un criterio unitario, riconducibile ad un ―interesse‖ in senso obiettivo»21.

20 Cfr. G. Amarelli, I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo ed i reati in materia di sicurezza sul lavoro, cit., p. 4 ss.

21 Cfr. D. Pulitanò, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, cit., p. 425, il quale sul

punto precisa ulteriormente: «non necessariamente un interesse in concreto soddisfatto, sì invece un interesse dell’ente (o, che è lo stesso, un possibile vantaggio) riconoscibilmente connesso alla condotta dell’autore del reato. Il collegamento del reato con l’ente non è rimesso (e non sarebbe ragionevole rimetterlo) alle soggettive intenzioni o rappresentazioni dell’agente, ma poggia su dati obiettivi».

Nello stesso senso cfr. altresì N. Selvaggi, L’interesse dell’ente collettivo, Jovene, Napoli, 2006, p. 112, il quale ritiene che dal binomio ascrittivo in oggetto emerga un significato unitario, polarizzato sul concetto

In questa prospettiva il vantaggio si risolve in un mero pleonasmo, il quale, privato di un'autonoma valenza denotativa che possa distinguerlo dall’interesse, può assumere una rilevanza solo di carattere probatorio ai fini della dimostrazione della sussistenza dell’interesse dell’ente: esso costituisce dunque «una sorta di variabile casuale, che potrà anche darsi concretamente, senza che, per ciò solo, si debba ipotizzare una responsabilità da reato della societas»22, nel senso che non si può dedurre automaticamente l’esistenza di un interesse ex ante dell’ente nell’ipotesi in cui si riscontri ex post l’emersione di un suo vantaggio.

Siffatta tesi monistico-riduttiva trova una prima giustificazione nell’intepretazione del primo comma dell’art. 5 in combinato disposto con il secondo comma, il quale, nel prevedere che l’ente non risponde se l’agente ha commesso il reato «nell’interesse esclusivo proprio o di terzi», fa riferimento ad un’ipotesi di rottura del rapporto di immedesimazione organica; da questa lettura sistematica discende che il vantaggio dell’ente, anche se conseguito, non costituisce criterio ascrittivo autonomo in quanto non implica automaticamente la responsabilità amministrativa dell’ente23.

Un’ulteriore argomentazione a sostegno dell’obliterazione del criterio del vantaggio viene individuata a sua volta nel combinato disposto dell’art. 5, comma 1, con l’art. 12, comma 1, lett. a) dello stesso decreto 231, che prevede la riduzione della metà della sanzione pecuniaria nell’ipotesi in cui «l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo». In particolare da quest’ultima norma emerge che il criterio del vantaggio non ha una rilevanza determinante nella misura in cui per imputare il fatto all’ente è sufficiente che esso abbia un interesse, anche se parziale.

In definitiva alla luce dell’interpretazione monistico-riduttiva, sia pure modulata con percorsi argomentativi diversi, l’unico criterio essenziale ai fini dell’imputazione della responsabilità amministrativa da reato è quello dell’interesse, mentre il canone del vantaggio, per quanto concettualmente ed empiricamente distinto, riveste un ruolo solo comprimario24.

Con riferimento poi al significato del requisito dell’interesse prevale altresì l’opinione secondo cui esso si debba intendere non in senso soggettivo25, ossia come mera tensione finalistica della volontà della persona fisica verso la realizzazione di uno scopo (per cui l’interesse verrebbe a coincidere con il movente dell’azione criminosa), bensì in chiave

stabile e pregnante di interesse: l’illecito si caratterizza (innanzitutto) per la genetica destinazione metaindividuale ».

22 G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) d’imputazione, in www.penalecontemporaneo.it, 28.10.2012, p. 34.

23 Cfr. A. Fiorella, voce Responsabilità da reato degli enti collettivi, cit., p. 5103.

24 Cfr. T. Vitarelli, Infortuni sul lavoro e responsabilità degli enti: un difficile equilibrio normativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 2, p. 705.

25 Cfr. in tal senso C. Santoriello, Violazioni delle norme antinfortunistiche e reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società, in Resp. amm. soc. ed enti, 2008, 1, p. 165 ss.

meramente oggettiva, ossia «come proiezione finalistica della condotta, riconoscibilmente connessa alla condotta medesima»26.

In questa chiave di lettura peraltro, come nel prosieguo si avrà modo di precisare, viene prospettata la soluzione dei nodi problematici generati dall’introduzione dei reati colposi nel sistema 231; a tale riguardo infatti in dottrina si teorizza che, interpretando l’interesse come una qualità che connota la condotta, in sé idonea a fare conseguire un beneficio all’ente, e non come dolo specifico del soggetto agente, il meccanismo di imputazione oggettiva della responsabilità da reato predisposto dal legislatore del 2001 diventa compatibile con la natura dei delitti colposi27.

A sua volta, come si è già anticipato, all’interpretazione monistico-riduttiva si contrappone la tesi dualistico-disgiuntiva, con cui si teorizza l’equiparazione dell’interesse e del vantaggio, a sostegno della quale anzitutto concorre l’esplicita distinzione che dei due criteri ascrittivi in esame viene affermata nella Relazione di accompagnamento al decreto.

Si fa leva in particolare sul fatto che al passaggio, in cui si afferma che la «formula» utilizzata dal legislatore nell’art. 5 per designare i criteri ascrittivi oggettivi costituisce l’espressione normativa del «rapporto di immedesimazione organica», si giustappone la seguente puntualizzazione chiarificatrice: «È appena il caso di aggiungere che il richiamo all’interesse dell’ente caratterizza in senso marcatamente soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e che ―si accontenta‖ di una verifica ex ante; viceversa, il vantaggio, che può essere tratto dall’ente, anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post»28.

Nell’intenzione del legislatore dunque l’interesse e il vantaggio non vengono affatto coniugati sinonimicamente ma risultano espressamente distinti sia da un punto di vista concettuale sia sotto il profilo logico-temporale. Ebbene, questo orientamento ermeneutico dualistico-disgiuntivo, che interpreta rispettivamente l’interesse in senso

26 Così di recente G. De Simone, La responsabilità da reato degli enti: natura giuridica e criteri (oggettivi) d’imputazione, cit., p. 37; cfr. in tal senso anche D. Pulitanò, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, cit., p. 425, il quale già in sede di prima lettura del decreto sul punto chiosava:

«Il collegamento del reato all’ente non è rimesso (e non sarebbe ragionevole rimetterlo) alle soggettive intenzioni o rappresentazioni dell’agente, ma poggia su dati obiettivi»; nello stesso senso cfr. G. De Vero,

La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., pp. 160-161, il quale sostiene che l’interesse va

caratterizzato «in chiave oggettiva, nel senso cioè che l’illecito compiuto dall’autore individuale deve collocarsi in una prospettiva funzionale, di gestione degli interessi e di promozione delle attività che definiscono e circoscrivono il profilo di soggettività dell’ente collettivo», e in merito al rapporto tra interesse e vantaggio sottolinea: «la congiunzione o, che collega i due termini, non svolge una funzione grammaticale disgiuntiva; essa – da intendere come ovvero – esprime piuttosto una valenza specificativa, segnalando appunto che la nozione di interesse , di per sé declinabile ―in senso marcatamente soggettivo‖, deve invece assumere quella fisionomia oggettiva che è a sua volta insita nella nozione di vantaggio ».

27 Cfr. R. Guerrini, La responsabilità degli enti per i reati in materia di sicurezza, in F. Giunta, D.

Micheletti, a cura di, Il nuovo diritto penale della sicureza nei luoghi di lavoro, Giuffrè, Milano, 2010, p. 147. Cfr. in tal senso anche A. Manna, La responsabilità da reato dell’impresa, in Id., a cura di, Diritto

penale dell’impresa, Cedam, Padova, 2010, p. 56. 28 Relazione al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 17.

soggettivo e valutabile ex ante e il vantaggio in chiave oggettiva da valutare ex post, registra anch’esso un suo seguito sia in dottrina29 che nella prassi applicativa30.

Con riferimento all’adesione espressa in tal senso dalla giurisprudenza è sufficiente richiamare in questa sede una significativa sentenza della Corte di Cassazione, nella quale si afferma a chiare lettere che i due criteri dell’interesse e del vantaggio vanno nettamente distinti muovendo dal dato letterale della norma: «i due vocaboli», uniti dalla congiunzione disgiuntiva ―o‖, «esprimono concetti giuridicamente diversi: potendosi distinguere un interesse ―a monte‖ della società ad una locupletazione – prefigurata, pur se di fatto, eventualmente, non più realizzata – in conseguenza dell’illecito, rispetto ad un vantaggio obiettivamente conseguito all’esito del reato, perfino se non espressamente divisato ex ante dall’agente»31.

In dottrina, a sostegno dell’interpretazione dualistica si osserva32 il fatto che, aderendo alla tesi monistico-riduttiva, si finisce per sottovalutare il criterio del vantaggio addivenendo ad un’inammissibile interpretatio abrogans di uno dei due presupposti oggettivi di imputazione della responsabilità all’ente collettivo contemplati dal sistema 231.

In particolare con riferimento all’art. 5, comma 2, secondo cui il reato non è ascrivibile all’ente se la persona fisica ha agito «nell’interesse esclusivo proprio o di terzi», in opposizione alla lettura che di questa norma viene data dai sostenitori della tesi monistica, si sostiene che il legislatore con tale disposizione rispetto ai due criteri ascrittivi oggettivi ha inteso affermare che: questi due requisiti di norma funzionano come canoni di imputazione distinti, ciascuno di per sé sufficiente ad ascrivere il reato all’ente; a detta regola generale si può derogare solo nell’eventualità residuale in cui un reato sia stato commesso nell’interesse esclusivo dell’autore materiale, e dunque in violazione del rapporto di immedesimazione organica, nel senso che in questo caso si può fondatamente ritenere inutilizzabile in via sussidiaria il criterio alternativo del vantaggio attesa l’esigenza di rispettare il divieto di responsabilità per fatto altrui33.

Ma è soprattutto in relazione alla questione della compatibilità con i reati colposi che si è posto l’accento sulla necessità del recupero dell’autonomia funzionale del vantaggio come criterio ascrittivo della responsabilità all’ente. Infatti il criterio dell’interesse, se inteso in chiave soggettiva, risulterebbe ontologicamente incompatibile con i delitti colposi, nel caso di colpa incosciente, attesa l’assenza della tensione finalistica

29 Cfr. in tal senso A. Astrologo, Interesse e vantaggio quali criteri di attribuzione della responsabilità dell’ente nel d.lgs. 231/2001, in Ind. pen., 2003, p. 656 ss.; O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 62 ss.; S. Dovere, La responsabilità da reato dell’ente collettivo e la sicureza sul lavoro: un’innovazione a rischio di ineffettività, in Resp amm. soc. ed enti, 2008, p. 97 ss.; G.

Amarelli, I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo ed i reati in materia di sicurezza sul

lavoro, cit., p. 7 ss.

30 Cfr. in tal senso Trib. Milano, 20.12.2004, in Foro it., 2005, II, p. 527; Cass., Sez. II, 30.01.2006, Jolly

Mediterraneo, in Cass. pen., 2007, p. 74 ss.

31 Cass., Sez. II, 30.01.2006, Jolly Mediterraneo, in Cass. pen., 2007, p. 74 ss.

32 Cfr. G. Amarelli, I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo ed i reati in materia di sicurezza sul lavoro, cit., p. 8.

soggettiva dell’autore del reato verso l’interesse dell’ente; se invece viene interpretato in senso oggettivo, sarebbe sostanzialmente insufficiente a fondare l’affermazione di responsabilità della societas, non potendosi comunque prescindere a tal fine da una valutazione anche del vantaggio34.

2.2. Il problema della compatibilità tra i criteri di imputazione oggettiva all’ente e i

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