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Il ruolo del principio di precauzione sul versante della tipicità colposa

LA RESPONSABILITÀ DA REATO DELLE ORGANIZZAZIONI COMPLESSE NELLA LOGICA PRECAUZIONALE

3. Il ruolo del rischio e del principio di precauzione nel contesto della transizione dallo Stato di diritto allo Stato di prevenzione

3.2. Il principio di precauzione

3.2.4. Il ruolo del principio di precauzione sul versante della tipicità colposa

Le due anzidette concezioni generali, alla luce delle quali è possibile interpretare la rilevanza penalistica del principio di precauzione, trovano il loro precipitato tecnico in tre diversi orientamenti emersi nel dibattito dottrinale sul tema della definizione del ruolo del principio in esame in sede di formulazione delle regole di condotta99.

Secondo il primo degli orientamenti in questione va riconosciuta la possibilità di invocare il principio di precauzione in sede di formulazione sia di regole di condotta rilevanti sul terreno della colpa specifica sia di regole cautelari la cui violazione possa essere addebitata a titolo di colpa generica100.

In particolare, con riferimento al piano della colpa specifica, la dottrina che si fa portavoce di questa posizione richiama le discipline settoriali che nell’ordinamento attualmente vigente appaiono ispirate al principio di precauzione; secondo la tesi in oggetto la violazione di queste normative potrebbe fondare un rimprovero a titolo di colpa specifica nell’ipotesi in cui alla trasgressione del comando ultraprudenziale positivizzato consegua un evento lesivo101.

Sul terreno più problematico della colpa generica, poi, si richiama l’art. 174 TCE (ora art. 191 TFUE)102, sostenendo che tale disposizione che contiene un riconoscimento

99 Per un’articolata ricostruzione del dibattito dottrinale in ordine all’accoglibilità di un approccio

precauzionale sul terreno penalistico cfr. E. Corn, Il principio di precauzione e diritto penale. Studio sui

limiti all’anticipazione della tutela penale, cit., p. 52 ss.

100 Cfr. C. Ruga Riva, Principio di precauzione e diritto penale. Genesi e contenuto della colpa in contesti di incertezza scientifica, in E. Dolcini, C.E. Paliero, a cura di, Studi in onore di G. Marinucci, II, Giuffrè,

Milano, 2006, p. 1754 ss.

101 Cfr. C. Ruga Riva, ivi, p. 1755, laddove l’Autore richiama a titolo esemplificativo la l. n. 36/2001

contenente la disciplina dell’inquinamento elettromagnetico.

102 In particolare il comma 2 dell’art. 191 TFUE statuisce che la politica dell’Unione in materia ambientale

espresso del principio di precauzione, pur non avendo effetti diretti in quanto priva di contenuto immediatamente precettivo, può tuttavia orientare l’attività ermeneutica del giudice nazionale, essendo questi vincolato a interpretare le norme nazionali in maniera conforme al diritto dell’Unione Europea.

In ogni caso si sostiene che, quand’anche non si dovesse attribuire rilevanza all’esplicito richiamo al principio di precauzione contenuto nella norma suddetta, l’operatività del principio in questione discenderebbe dal fatto che esso rappresenta una sorta di riedizione delle generiche regole di prudenza adattate ai settori specifici dell’ambiente e della salute pubblica in un contesto di incertezza scientifica.

In una logica antitetica si pone, invece, la dottrina maggioritaria che, adottando un’impostazione rigorista, nega tout court che si possa attribuire rilevanza al principio in oggetto sul terreno della tipicità colposa103.

Questo diverso orientamento si fonda sull’assunto secondo cui non è costituzionalmente legittimo muovere all’agente un rimprovero penale (che rappresenta l’estrema misura sanzionatoria di cui l’ordinamento dispone) «senza poggiare su un collegamento scientificamente, razionalmente dimostrabile tra la sua condotta e gli effetti e senza poter dimostrare che questi effetti rientravano nel suo effettivo controllo»104.

In questa prospettiva si esclude dunque la possibilità di fondare regole cautelari sulla base del principio di precauzione, in considerazione del fatto che, se si disancorasse il giudizio di prevedibilità dalla prospettiva nomologica, l’agente sarebbe costretto a fare i conti con una sorta di «―megacontenitore‖, che raccoglie ogni possibile forma di aggressione alla salute»105, con conseguente riconoscimento di una vera e propria responsabilità oggettiva.

Infine, assumendo una posizione differenziata, vi è chi, pur negando l’invocabilità del principio di precauzione sul terreno della colpa generica, non esclude del tutto la possibilità di fondare su tale principio un rimprovero a titolo di colpa specifica106.

Questa dottrina assume come premessa del proprio ragionamento l’esigenza che nei contesti di incertezza scientifica si effettui una scelta politica in ordine al bilanciamento degli interessi in gioco. Muovendo da questo postulato, in particolare si sostiene che in simili contesti sono legittimate a intervenire solo quelle istituzioni che possono assumersi la responsabilità politica di «quale rischio correre: se l’azzardo di una libertà non regolata (di attività che potrebbero essere, ma non si sa se siano pericolose), o i

prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio ―chi inquina paga‖» [il cosivo è del redattore].

103 Ex multis, cfr. F. Stella, Giustizia e modernità: la protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, cit.,

p. 221 ss.; C. Piergallini, Il paradigma della colpa nell’età del rischio: prove di resistenza del tipo, in Riv.

it. dir. proc. pen., 2005, p. 1684 ss.; F. Giunta, Il diritto penale e le suggestioni del principio di precauzione, cit., p. 227 ss.; A. Alessandri, Attività d’impresa e responsabilità penali, cit., p. 562 ss.; V.

Attili, L’agente modello “nell’era della complessità”: tramonto, eclissi o trasfigurazione?, in Riv. it. dir.

proc. pen., 2006, p. 1240 ss.

104 A. Alessandri, Attività d’impresa e responsabilità penali, cit., p. 565.

105 C. Piergallini, Il paradigma della colpa nell’età del rischio: prove di resistenza del tipo, cit., p. 1692. 106 Cfr. D. Pulitanò, Colpa ed evoluzione del sapere scientifico, in Dir. pen. proc., 5, 2008, p. 647 ss.

lacciuoli di regole che non sappiamo se siano davvero utili (ma potrebbero esserlo, e rivelarsi addirittura necessarie) a tutela di interessi importanti»107.

Di conseguenza il principio di precauzione, prospettato come criterio di legittimazione dell’intervento delle pubbliche autorità a fini regolativi dei contesti di incertezza scientifica, potrebbe ispirare la codificazione di regole di condotta la cui violazione possa fondare un rimprovero a titolo di colpa specifica; tale rimprovero in particolare si potrebbe riferire ad eventi lesivi il cui accadimento appare soltanto congetturabile al tempo della condotta, ma diviene oggetto di un sapere nomologico corroborato al tempo del giudizio.

Nondimeno, con riferimento alle torsioni in chiave precauzionale operate dalla giurisprudenza relativamente ai capisaldi dell’imputazione colposa, in dottrina si ribadisce la convinzione che il problema di un’intersezione tra la colpa, come criterio d’imputazione soggettiva, e il principio di precauzione, come criterio di gestione di rischi nomologicamente incerti, insorge solo in presenza di tali condizioni: l’accadimento di un evento riconducibile alle condotte indiziate di essere rischiose; il superamento, in un momento successivo a detto accadimento (e coincidente al più tardi con quello del giudizio), delle incertezze nomologiche iniziali, per cui diventa disponibile un patrimonio conoscitivo completo o comunque sufficiente alla formulazione di una legge scientifica e all’affermazione della sussistenza del nesso causale108.

In particolare vengono identificati tre fattori di cui bisognerebbe tenere conto nel tentativo di individuare margini per un legittimo adeguamento dello statuto classico della colpa alle nuove istanze di tutela emergenti.

Anzitutto si mette in luce l’esigenza di «assegnare un valore precipuo, nel giudizio di prevedibilità, agli aspetti dinamici dell’acquisizione delle conoscenze sul rischio»109. Spesso è estremamente difficile individuare il discrimen che segna il passaggio dalla fase in cui ancora si paventa un rischio sulla base di mere congetture non dotate del rango di certezza scientifica alla fase in cui rispetto a quello stesso rischio si cristallizza un sapere corroborato: in ragione di questa complessità, per svolgere il giudizio di colpa si rende necessario procedere preliminarmente alla puntuale ricostruzione del bagaglio di conoscenze effettivamente a disposizione del soggetto agente al tempo del fatto.

107 D. Pulitanò, ivi, p. 652. Cfr. altresì Id., Diritto penale, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 210-211, laddove

l’Autore, puntualizzando la propria posizione, specifica: «Anche per il diritto penale il senso del principio di precauzione può essere quello di legittimare forme d’intervento in situazioni di incertezza scientifica, nelle quali sia scientificamente non implausibile, ma non provata, l’ipotesi della pericolosità di certe condotte o situazioni (per es., l’esposizione a certe sostanze o radiazioni in certe quantità o concentrazioni). Ma si noti: se non si dispone di un sapere scientifico corroborato, non è possibile né fondare giudizi di causalità, e nemmeno formulare giudizi di pericolo concreto. L’eventuale traduzione penalistica del principio di precauzione potrà consistere esclusivamente in fattispecie costruite secondo il modello di pericolo astratto; anzi, pericolo in un senso del tutto ipotetico, posto che l’impossibilità di fare riferimento ad un sapere corroborato non consente di formulare giudizi di pericolo in senso proprio. Siamo qui, per così dire, al limite estremo attorno al quale la legittimazione di precetti penali possa essere discussa, senza spezzare del tutto l’ancoraggio al principio della tutela di beni giuridici».

108 Cfr. D. Castronuovo, Principio di precauzione e diritto penale, cit., p. 165. 109 D. Castronuovo, ivi, p. 166.

In secondo luogo, si pone l’enfasi sul fatto che in sede di fissazione dello standard di diligenza occorre tenere conto delle «nozioni ―aggiuntive‖ o ―superiori‖ a) eventualmente possedute o b) ragionevolmente raggiungibili dall’agente concreto»110.

Più precisamente, quando viene in rilievo un’organizzazione complessa e altamente specializzata, il livello di diligenza preteso dall’ordinamento può essere legittimamente innalzato con riguardo sia agli individui operanti in detta organizzazione sia all’ente medesimo: con riferimento agli individui occorre valutare la possibilità di un superamento in concreto del parametro di giudizio rappresentato dall’agente modello in ragione delle conoscenze superiori che il singolo soggetto agente possiede rispetto al bagaglio di dati cognitivi mediamente a disposizione; con riguardo all’ente si deve riflettere sulla possibilità di progettare un parametro ―rafforzato‖ di agente modello tenendo conto delle maggiori risorse cognitive ed operative che l’organizzazione ha a disposizione rispetto a quelle reperibili da parte dell’individuo in carne ed ossa111.

Infine si osserva che l’oggetto del giudizio di prevedibilità deve identificarsi in «un evento che, quantomeno, ―contiene‖ quello effettivamente realizzatosi»112: pur ammettendo la possibilità che si attribuisca rilevanza in sede di ridescrizione dell’evento ad un accadimento generico (come una non precisata patologia mortale), si pone comunque l’accento sulla necessità che l’accadimento lesivo realizzatosi possieda un’intensità lesiva analoga.

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