IL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE NEL SISTEMA 231 ALLA LUCE DEL DIBATTITO DOTTRINALE
4. La questione ermeneutica dell’art 8, co 1, lett a), del d.lgs n 231/
Dopo avere descritto la struttura del paradigma punitivo degli enti come predisposta dagli artt. 5, 6 e 7, per completare la descrizione dei capisaldi normativi della fattispecie ascrittiva a struttura complessa disegnata dal decreto si rende necessario rendere conto di un altro nodo gordiano, che è ancora ben lungi dal potere trovare una soluzione idonea a suscitare un progressivo consenso nel panorama dottrinario, ossia l’interpretazione dell’art. 8.
Questa norma assume una particolare rilevanza100 nella misura in cui, secondo quanto si sottolinea nella Relazione al decreto, «chiarisce in modo inequivocabile come quello dell’ente sia un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato»101.
La norma sancisce l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica autrice del c.d. fatto di connessione, affermando che essa sussiste anche quando ex comma 1, lett. a), «l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile».
Rispetto a queste due ipotesi contemplate dalla disposizione in oggetto insorge la questione prioritaria di individuare in quali termini sotto il profilo dogmatico si configura il reato che si pone quale presupposto della responsabilità della persona giuridica.
Con riferimento all’ipotesi del soggetto non imputabile si rileva che venendo meno l’imputabilità, ossia uno dei presupposti della colpevolezza, il reato risulta privo di uno dei suoi elementi costitutivi, riducendosi dunque inevitabilmente ad un fatto tipico ed antigiuridico.
99 A.F. Tripodi, L’elusione fraudolenta nel sistema della responsabilità da reato degli enti, Cedam,
Padova, 2013, p. 12. In merito a questa diversa modulazione della colpa di organizzazione che si riscontra negli artt. 6 e 7 cfr. altresì C. de Maglie, L’etica e il mercato, cit., pp. 333-334, la quale sostiene che il d.lgs. 231/2001 «struttura due forme di ―colpevolezza di organizzazione‖, a seconda che il reato venga commesso dai vertici o dal semplice sottoposto». In particolare, con riferimento ai soggetti apicali viene in rilievo una forma di «‖colpevolezza che deriva dalle scelte di politica d’impresa‖» per cui, muovendo dal pressupposto che i vertici incarnano tale politica, si rende necessario il meccanismo dell’inversione dell’onere della prova al fine di schiudere la possibilità per l’ente di distinguere la sua responsabilità da quella del suo vertice; con riferimento al reato commesso da un sottoposto l’art. 7 «disciplina invece l’ipotesi di ―colpa di organizzazione”», per cui la responsabilità dell’ente può essere esclusa, solo nell’ipotesi in cui esso «ha adottato, prima della commissione del reato, un efficace modello di organizzazione, gestione e controllo in grado di impedire il verificarsi di reati del tipo di quello che si è realizzato».
100 G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 311, rileva che si tratta di una di
quelle disposizioni che, pur assumendo «un rilievo tutt’altro che marginale nell’economia della disciplina», si distinguono paradossalmente «per la non proprio limpida chiarezza».
Più problematica risulta invece la qualificazione dogmatica del fatto di connessione allorquando l’autore del reato non risulti identificato; in tal caso emerge in maniera più stridente il contrasto palese tra il silenzio della norma sul punto e l’affermazione esibita dal legislatore delegato secondo cui «in entrambi i casi ci si trova di fronte ad un reato completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) e giudizialmente accertato, sebbene il reo, per l’una o per l’altra ragione , non risulti punibile»102.
Questa affermazione, che si rivela inaccettabile già per quanto detto con riferimento all’ipotesi testè considerata in cui l’autore del reato è un soggetto non imputabile, appare ulteriormente inattendibile se rapportata all’evenienza in cui la persona fisica resta non identificata: in tal caso il profilo della colpevolezza viene letteralmernte obliterato, non essendo data per definizione la possibilità di sapere alcunchè dell’autore rimasto ignoto e della situazione in cui egli ha operato.
Ciò comporta che «in tale ipotesi, presupposto della responsabilità non potrà essere un reato, bensì, piuttosto soltanto un illecito senza colpevolezza»103 .
Peraltro lo statuto dell’illecito individuabile ex art. 8 quale presupposto minimo della responsabilità autonoma dell’ente a ben vedere potrebbe rivelarsi carente anche sotto il profilo dell’antigiuridicità: non si può escludere che ai fini dell’accertamento dell’antigiuridicità si renda necessaria l’identificazione dell’autore del fatto per potere ricostruire la collocazione di questo soggetto nel concreto contesto situazionale104.
Ciò significa che nell’ipotesi di autore rimasto ignoto l’identità del fatto di connessione configurabile quale presupposto della responsabilità autonoma dell’ente si risolve esclusivamente sul piano della tipicità per cui risulta sconfessata l’affermazione del legislatore delegato, testè riportata, secondo la quale si sarebbe in presenza di «un reato completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) e giudizialmente accertato».
Certo, si potrebbe ipotizzare che con questa locuzione così vincolante il legislatore delegato, nel concepire la norma in esame ellitticamente, volesse alludere ad un’inedita nozione di illecito rimasta sottesa su cui fondare la responsabilità autonoma dell’ente; nozione che, nella misura in cui sarebbe da commisurare alla natura artificiale della
102 Relazione al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 24.
103 Così G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit. p. 354. Cfr. sul punto anche E.
Musco, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, cit., p. 9, il quale sostiene che con il termine ―reato‖ nel d.lgs. n. 231/2001 non si fa riferimento «ad un fatto tipico, antigiuridico e colpevole e quindi alla stessa nozione in uso nel diritto penale»; e ciò in quanto il legislatore del 2001 è stato indotto da indubitabili esigenze di prevenzione generale «ad allontanarsi dal concetto di reato proprio del sistema penale e ad ancorarsi ad una nozione più ristretta in cui il profilo della colpevolezza non viene rigorosamente rispettato».
104 Cfr. A. Gargani, Individuale e collettivo nella responsabilità dela societas, cit., p. 277. Cfr. in tal senso
anche G. De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la “parte
generale” e la “parte speciale” del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 115; Id., Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 354.
persona giuridica, si dovrebbe configurare diversamente rispetto al reato in senso proprio costruito con riferimento alla persona fisica105.
In effetti l’interprete potrebbe essere indotto a decrittare la norma in tal senso muovendo dalla particolare rilevanza che ad essa esplicitamente si attribuisce nella Relazione al decreto nel momento in cui se ne giustifica il fondamento esaltando la sua funzione politico-criminale.
Va considerato infatti che nella Relazione in questione, mentre l’incidenza della prima ipotesi avente ad oggetto «l’autore non imputabile» viene derubricata esplicitamente affermando che si tratta di un caso avente «un sapore più teorico che pratico» e precisando che di fatto «è stato previsto per ragioni di completezza», rispetto all’ipotesi dell’«autore non identificato» il legislatore delegato si sbilancia invece in affermazioni impegnative che l’interprete non può certamente tralasciare.
Nel merito, rispetto a questa seconda ipotesi ci viene detto che il caso della mancata identificazione dell’autore-persona fisica che ha commesso il reato rappresenta un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa: «anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte si avvertiva l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti»106. La mancata disciplina di questo profilo avrebbe dunque comportato una grave lacuna di tutela che avrebbe finito per inficiare la ratio complessiva del provvedimento. Da ciò discende la scelta di prevedere che, in tutte le ipotesi in cui si accerti la commissione di un reato e cionondimeno, a causa della complessità dell’assetto organizzativo, non sia possibile imputarlo ad uno specifico soggetto, l’ente dovrà rispondere di quel fatto se in capo ad esso viene accertata una colpa organizzativa consistente nella mancata adozione del modello organizzativo o nell’adozione di un modello inadeguato107.
Con le suddette enunciazioni si allude evidentemente al fenomeno della c.d. responsabilità diffusa tipico delle organizzazioni complesse e quindi, tra l’altro, della produzione colposa di grandi eventi lesivi rispetto ai quali si rivela pressoché impossibile la ricostruzione della catena delle responsabilità individuali: si evince a chiare lettere la volontà del legislatore di rapportarsi a tale ordine di problemi nella consapevolezza della inadeguatezza del diritto penale individualgarantistico rispetto alla loro soluzione.
Solo che tra questi ambiziosi propositi politico-criminali, che peraltro sono in coerenza con la valenza strutturalmente colposa del paradigma punitivo del sistema ex 231, e
105 Sul punto cfr. F. Vignoli, Societas puniri potest: profili critici di un’autonoma responsabilità dell’ente collettivo, in Dir. pen. e proc., 2004, p. 910, in cui con riferimento all’ipotesi dell’autore rimasto ignoto
l’Autore rileva che: «si è di fronte ad un altro tipo di illecito dai contorni assai incerti che costituisce un
aliud rispetto al reato perché presenta un quid minoris». Muovendo da questo dato, si sostiene che «la
contraddittorietà del legislatore non è nel definire reato ciò che reato non è, ma nel voler legare necessariamente la responsabilità amministrativa dell’ente ad un reato presupposto»; un meccanismo a
rimbalzo, questo, che con riferimento all’ipotesi dell’autore rimasto ignoto non funziona. In questo caso,
secondo l’Autore, in base alla regola dell’autonomia prevista dall’art. 8, ai fini della sussistenza della responsabilità dell’ente sarebbe sufficiente «la sola lesione del bene giuridico tutelato dalla norma trasgredita»; più precisamente, «se non viene identificato il reo, l’illecito amministrativo sarà integrato, sotto il profilo oggettivo, dall’evento offensivo in relazione causale con l’attività d’impresa».
106 Relazione al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 24. 107 Cfr. Relazione al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ibidem.
l’affermazione di ordine dogmatico relativa al reato-presupposto «completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) e giudizialmente accertato» con riferimento all’ipotesi dell’autore rimasto ignoto, emerge un’irrimediabile contraddizione, la quale fa sì che paradossalmente proprio questa evenienza dell’autore non identificato108 si configuri come «l’ipotesi pìù ambigua – e forse più eccentrica – fra quelle introdotte dalla riforma del 2001», considerato che il reato-presupposto che viene elevato al ruolo nevralgico di fondamento della responsabilità autonoma dell’ente «viene sostanzialmente prosciugato delle sue note soggettive d’imputazione e ridotto ad un mero simulacro fattuale»109.
Ebbene, alla luce di questi dati che si prestano a letture divergenti, anche rispetto alla questione dell’autonomia della responsabilità dell’ente si manifesta la medesima cottrapposizione dialetttica tra interpretazioni eterogenee che si è riscontrata in precedenza relativamente alla qualificazione dogmatica della fattispecie ascrittiva complessa di cui agli artt. 5-6-7 del decreto e al correlativo ruolo sistematico della colpa organizzativa.
Anche in questo caso il confronto ermeneutico, al di là delle fisiologiche diversità delle posizioni individuali, si presenta polarizzato tra due opposti orientamenti, rispettivamente protesi l’uno ad esaltare e l’altro a degradare il rilievo sistematico della regola dell’autonomia di cui all’art. 8, comma 1, lett. a).
Diversi sono i profili problematici che vengono segnalati in dottrina nella prospettiva del ridimensionamento della valenza sistematica di tale norma.
In particolare si muove dalla constatazione di «un’evidente sproporzione tra il tenore letterale della disposizione e il significato particolarmente pregnante» che ad essa si vorrebbe attribuire disancorando la responsabilità dell’ente dal reato-presupposto della persona fisica; nonché si sottolinea la necessità di tenere nel dovuto conto la mancanza del supporto in tal senso della legge delega i cui criteri direttivi certamente non avrebbero autorizzato un siffatto «sviluppo in malam partem del sistema di responsabilità dell’ente»110.
Su tali presupposti si afferma così che l’ipotesi dell’autore rimasto ignoto, lungi dal sancire un principio generale, va interpretata con riferimento esclusivo ai casi in cui «residui incertezza solo sulla identità anagrafica dell’autore»111, il quale deve comunque risultare incluso in una cerchia ristretta di soggetti che siano effettivamente individuabili e che abbiano potuto, distintamente o congiuntamente, realizzare il reato.
A sostegno di tale interpretazione riduttiva la dottrina in esame argomenta tra l’altro che il riconoscimento integrale dell’autonomia dell’ente comporterebbe l’insorgenza di
108 Cfr. G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit. p. 353-354, il quale sul punto
chiosa: «Può anche darsi che il fatto commesso sia effettivamente colpevole, ma questo noi non lo sapremo mai. Parlare di colpevolezza di un autore rimasto ignoto sarebbe dunque un non-senso».
109 Così L. Stortoni-D. Tassinari, La responsabilità degli enti: quale natura? quali soggetti?, cit., p. 16, i
quali sul punto rilevano che l’art. 8 «introduce un meccanismo di ―spersonalizzazione‖ non tanto della responsabilità – ciò che è già implicito nelle premesse sistematiche di una legge riferita agli enti – ma del reato che di essa è presupposto».
110 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., pp. 207-208. 111 G. De Vero, ivi, p. 208.
un’antinomia rispetto al criterio oggettivo d’imputazione dell’interesse di cui all’art. 5, atteso che nell’ipotesi in cui non si può identificare la persona fisica non si può neppure accertare se detto soggetto abbia commesso il reato nell’interesse della persona giuridica112.
Altra dottrina, poi, pur riconoscendo che le due ipotesi dell’autore non imputabile o non identificato rispondono all’esigenza di evitare che l’ente eluda la sanzione facendosi scudo di un soggetto non punibile o approfittando delle difficoltà di individuazione dell’autore del reato, si affretta a precisare che: «Ciò non significa, però, che, ove l’autore rimanga ignoto, l’art. 8 legittimi una sorta di semplificazione dell’accertamento processuale del reato, dato che un siffatto epilogo comporterebbe – tra l’altro – una caduta della garanzia della legalità, che […] il diritto punitivo degli enti mutua dalla legge penale»113.
Ma vi è pure chi ritiene diversamente che la regola dell’autonomia di cui all’art. 8 abbia una valenza meramente processuale, nel senso che essa con riferimento alle due ipotesi dell’autore non imputabile o non identificato sarebbe finalizzata a scindere la vicenda processuale della persona giuridica da quella della persona fisica, le quali altrimenti resterebbero strettamente correlate sulla base del principio del simultaneus processus che informa in generale il meccanismo punito del sistema 231114.
Sul fronte opposto la regola dell’autonomia della responsabilità dell’ente di cui all’art. 8 risulta oggetto, invece, di letture protese a giutificarne la fondatezza sotto il profilo politico-criminale e a motivarne la rilevanza sistematica nell’economia complessiva del paradigma ascrittivo in esame.
Va detto subito però che queste ipotesi interpretative, nonostante siano espressione della tendenza ad un sovradimensionamento del ruolo sistematico della norma in oggetto, di fatto approdano ad un sostanziale contenimento della sua carica innovativa nella misura in cui sulla base del vincolo col dato normativo sono costrette ad ammettere che l’ente può essere chiamato a rispondere in modo autonomo rispetto alla
112 Cfr. G. De Vero, ivi, p. 209. Va segnalato però che detto Autore (ivi, p. 281), pur negando la possibilità
di attribuire una valenza generale alla regola dell’autonomia sancita dall’art. 8, con riferimento limitatamente alle fattispecie colpose di evento di cui all’art. 25-septies sostiene che si possa prescindere dall’individuazione della persona fisica autrice del reato, in quanto «l’estensione della responsabilità ai sensi dell’art. 25-septies consentirebbe di identificare nella mancata attuazione delle norme cautelari da parte dell’ente il coefficiente soggettivo autonomo' di una responsabilità di tipo tendenzialmente olistico'». In particolare si puntualizza «che, nella specifica materia dei reati colposi richiamati dall’art. 25-septies, l’inosservanza degli obblighi cautelari posti dalle corrispondenti normative di fonte pubblicistica, in quanto sicuramente gravanti sull’ente-datore di lavoro come tale, potrebbe ben rappresentare di per sé il coefficiente soggettivo, 'personale' idoneo a fondare la corrispondente responsabilità da reato, senza che sia necessario andare alla ricerca di quale persona fisica sia direttamente responsabile della violazione all’interno della struttura organizzativa». Si realizzerebbe così per tal via quel modello di responsabilità in via diretta dell’ente «in termini di ―colpa di organizzazione pura‖», secondo quanto «preconizzato da attenta dottrina» (il riferimento va a C.E. Paliero, La responsabilità penale della persona giuridica: profili
strutturali e sistematici, in G. De Francesco, a cura di, La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia punitiva, cit., p. 30 ss.).
113 G. Giunta, Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli enti, cit., p. 8.
114 E. Amodio, Prevenzione del rischio penale di impresa e modelli integrati di responsabilità degli enti,
responsabilità della persona fisica solo con riferimento esclusivo alle due ipotesi dell’autore non imputabile o rimasto ignoto.
Ciò emerge riflettendo per l’appunto sulle argomentazioni di alcune voci autorevoli che in dottrina tematizzano la necessità del riconoscimento dell’autonomia della responsabilità penale della persona giuridica.
Nel merito, si sostiene che l’art. 8 si fa latore di un modello di responsabilità autonoma che storicamente è stato concepito proprio con riguardo ai reati colposi di evento realizzati all’interno dell’impresa; detto paradigma, pur risultando privo di una tipizzazione espressa ed analitica, si ricava dall’economia complessiva del sistema appunto attraverso l’art. 8 del decreto115.
Sotto il profilo politico-criminale questo modello di responsabilità autonoma troverebbe la sua ragion d’essere con riguardo ai fatti colposi (in particolare i reati colposi d’evento) rispetto ai quali si osserva che i singoli frammenti di condotta sono realizzati da soggetti diversi ed è ben possibile che venga accertata la sussistenza di una complessiva colpa di organizzazione, pur in mancanza di prova della responsabilità individuale per i singoli segmenti del fatto116.
Procedendo con questa logica si teorizza pertanto che il modello ascrittivo in esame nello specifico «individua una forma di responsabilità della persona giuridica principale (non accessoria) ed è strutturalmente colposo: segnatamente consistente in una colpa di organizzazione specificamente orientata sul rischio-reato»117; sul punto si precisa ulteriormente che nella prospettiva dell’elaborazione dogmatica della categoria della ―colpevolezza dell’ente‖ in questo modello di responsabilità di cui all’art. 8 «la colpa di organizzazione assurge addirittura a criterio puro di attribuzione di responsabilità all’ente»118, nel senso che il paradigma ascrittivo codificato nella norma in commento risulta svincolato dalla prova di un ulteriore coefficiente di colpevolezza in capo alla persona fisica e si connota per il rilievo centrale e assorbente assunto dal dato della disorganizzazione.
Sempre la stessa dottrina con riferimento all’ipotesi dell’autore rimasto ignoto altrove si spinge ad affermare che viene in tal caso configurata «una responsabilità non solo autonoma , ma addirittura (iper)diretta della persona giuridica (cioè anche in assenza del
115 Cfr. C.E. Paliero, La società punita: del come, del perché, e del per cosa, cit., p. 1141. 116 Cfr. C.E. Paliero, ivi, p. 1542.
117 C.E. Paliero, ibidem.
118 C.E. Paliero, ivi, p. 1544. Sul punto cfr. anche C.E. Paliero, C. Piergallini, La colpa di organizzazione,
cit., pp. 175-176, laddove gli Autori, muovendosi nella logica di un esplicito sovradimensionamento del ruolo ascrivibile alla norma in oggetto, si spingono ad affermare: «Ma la disposizione del d.lgs. 231/2001 che assevera normativamente, più di ogni altra, la capacità dell’ente di commettere reati, è quella dell’art. 8, che stabilisce l’autonomia della responsabilità della persona giuridica, chiamata a rispondere del reato anche se la persona fisica non è imputabile o non è punibile ovvero è ignota. Si staglia, in questo caso, un ―centro d’imputazione‖ al quale sono riconducibili reati consumati da persone fisiche che, nell’ipotesi limite, non risultano neppure individuate. Si è al cospetto di Werkzeugen, che una ―mente superiore‖ e dominante ha indirizzato all’attività tipica – quell’attività che ha innescato il rischio-reato, senza prevedere meccanismi di minimizzazione di quest’ultimo, che pure pertinevano ai suoi doveri di controllo. Verosimilmente, si è dinnanzi ad un modello ―puro‖ di colpa di organizzazione […], nel quale il profilo della disorganizzazione assume un rilievo centrale e assorbente».
filtro-tramite , di regola necessario, dell’agente naturalistico )»119, ma contestualmente precisa che tale criterio di imputazione può venire in rilievo «in caso di non punibilità [rectius di non imputabilità, stando al dato letterale] o addirittura di mancata identificazione dell’autore materiale-persona fisica del reato-presupposto»120.
Ciò significa allora che la disposizione in esame, lungi dal rendere possibile il