LA COSTRUZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DA REATO DELL’ENTE COMPIUTAMENTE PERSONALE
2. Le diverse forme di colpevolezza dell’ente elaborate dalla dottrina tedesca Nel percorso di costruzione di un modello di responsabilità da reato dell’ente
2.2. L’Organisationsverschulden nell’originaria concezione di Tiedemann
Passando adesso a considerare il tema della Organisationsverschulden sollevato da Tiedemann nel dibattito penalistico europeo sulla responsabilità delle persone giuridiche con il suo intervento alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, va ribadito che l’idea della colpa organizzativa trova il suo terreno di coltura nell’ambito della riflessione ermeneutica sul fondamento dogmatico del paradigma ascrittivo configurato nel § 30 OWIG, il quale rinviene il suo baricentro nel fatto di connessione di un autore individuale e come tale sarebbe riconducibile al criterio organicistico, secondo la ricostruzione che comunemente ne viene data.
Come in precedenza si è segnalato, l’occasione storica che ha sollecitato tale intervento è stata la soppressione dell’inciso als Nebenfolge («come conseguenza accessoria») dal § 30 OWIG, in seguito all’entrata in vigore della seconda legge per la lotta alla criminalità economica del 1986, con cui la Geldbuße perde il suo significato di conseguenza meramente accessoria rispetto al reato o illecito amministrativo commesso dalla persona fisica qualificata e assume la valenza di sanzione autonoma nei confronti dell’ente.
Era inevitabile, quindi, che questa incisiva modifica legislativa sollecitasse la dottrina a riflettere sul paradigma punitivo dell’ente configurato nel sistema dell’OWIG, chiamando in causa la querelle in corso ormai da tempo sul principio di colpevolezza nell’ordinamento tedesco, nel quale «l’asse portante della responsabilità penale» è costituito per l’appunto dalla colpevolezza83.
Al riguardo occorre tenere presente che l’idea di colpevolezza dalla teoria ontologica classica84, secondo cui detta categoria veniva concepita «come riprovevolezza del fatto e/o dell’atteggiamento interiore manifestatosi nel reato», che come tale «legittimava la pena a carico dell’autore e al contempo la rendeva necessaria nell’ottica retributiva»85,
82 E. Villani, Alle radici del concetto di colpa di organizzazione nell’illecito dell’ente da reato, cit., p. 97. 83 Cfr. F. Palazzo, M. Papa, Il codice penale tedesco dopo la riforma del 1975, in Lezioni di diritto comparato, cit., p. 73, laddove gli Autori sul punto affermano: «Il diritto penale tedesco è ancora oggi un
diritto penale della colpevolezza, nel quale la colpevolezza gioca cioè un ruolo da protagonista e nel quale – conseguentemente – si registra più d’una accentuazione dei profili soggettivi della responsabilità, se non una loro lettura spesso in chiave soggettivista», sottolineando che: «La nozione di colpevolezza accolta dal diritto penale tedesco è senza dubbio rispondente alla c.d. concezione normativa , che si opppone – come è noto – alla diversa concezione psicologica ».
84 Cfr. sul punto A. Kaufmann, Das Schuldprinzip. Eine strafrechtlichrechtsphilosophische Untersuchung,
2 Aufl. Heidelberg, 1976.
85 B. Schünemann, L’evoluzione della teoria della colpevolezza nella Repubblica federale tedesca, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, p. 4. Sul punto cfr. anche G. Stratenwert, Il concetto di colpevolezza nella scienza penalistica tedesca, in Materiali per una storia della cultura giuridica, a. XXVIII, n. 1, giugno 1998, p.
nel dibattito penalistico di quegli anni era già approdata al «c.d. concetto sociale di colpevolezza, il quale esprime unicamente che il soggetto non è riuscito a compiere quanto avrebbe fatto l’agente modello»86.
Nondimeno si tratta di un approdo che era (ed è) ben lungi dall’avere suscitato un consenso tendenzialmente unanime nella dogmatica penalistica tedesca, tant’è che un autorevole esponente di quel mondo a tal proposito qualche tempo addietro ebbe ad osservare: «Essendo dunque la colpevolezza un presupposto fondamentale ed al contempo una nozione centrale per la pena statuale, ci sarebbe da attendersi che sul suo contenuto regni una larga concordia. Basta però un rapido sguardo ai nostri manuali per accorgersi che è vero proprio il contrario»87.
Ora, atteso che questa mancanza di concordia circa la categoria della colpevolezza si evidenzia già con riferimento allo statuto identitario dell’Individualstratrefrecht, il dissenso diventa parossistico con riferimento alla responsabilità delle persone giuridiche, le quali, essendo per definizione incapaci di azione e di colpevolezza alla luce delle categorie penalistiche classiche, esigono l’ideazione di un criterio ascrittivo ontologicamente inedito per essere chiamate a rispondere.
In tal senso il dato giuridico decisivo che dischiude la possibilità di riconoscere in capo alla persona giuridica la capacità di colpevolezza è proprio il nuovo concetto di colpevolezza etico-sociale che trae origine dagli obblighi del soggetto verso la collettività e per tal via si libera dalla tradizionale connotazione etica personale.
In questa prospettiva va apprezzato l’intervento pionieristico di Tiedemann che, nell’intento di superare radicalmente le tradizionali obiezioni relative alla capacità di azione e di colpevolezza della societas, muovendo dal presupposto che il sistema
218, il quale nel merito sottolinea: «Per i sostenitori di questo orientamento era più o meno naturale concepire la colpevolezza del diritto penale come un’effettiva possibilità di rimprovero, e dunque far derivare da ciò che l’agente colpevole non solo avrebbe dovuto, ma anche potuto comportarsi diversamente. In questo contesto si considerava indubbiamente necessario affrontare la questione del libero arbitrio, già appassionatamente discussa nella controversia tra le scuole, e tuttavia si riteneva di avere risolto il problema affermando – anche con il richiamo ad altre discipline – che colpevolezza e responsabilità non sono soltanto concetti elaborati speculativamente, bensì anche realtà delle relazioni interpersonali che è possibile provare empiricamente‖».
86 B. Schünemann, ivi, p. 5. Sul punto cfr. altresì Günter Stratenwert, Il concetto di colpevolezza nella scienza penalistica tedesca, cit., p. 226 il quale con riferimento al concetto sociale di colpevolezza
specifica: «Se è indiscutibile la necessità di rinunciare, almeno in parte, all’individualizzazione del giudizio di copevolezza, allora quest’ultimo non può più essere configurato affermando che questo agente avrebbe potuto agire diversamente, ma solo che ―un altro‖ nella sua situazione ―avrebbe potuto resistere alla tentazione del reato‖: ―criterio per la valutazione della colpevolezza‖, si legge nel noto manuale di Jescheck/Weigend, può ―essere soltanto una capacità media‖».
87 Così M. Maiwald, L’evoluzione del diritto penale tedesco in un confronto con il sistema italiano, a cura
di V. Militello, Giappichelli, Torino, 1993, p. 165, il quale sul punto, proseguendo ulteriormente, precisa: «Aprendo un qualsiasi manuale tedesco di diritto penale troviamo di regola che il capitolo sulla colpevolezza si apre con l’avvertenza che il concetto non è stato chiarito. A fini definitori si trovano ad esempio le seguenti indicazioni: colpevolezza è uguale a riprovevolezza; oppure: essa esprime un disvalore dell’atteggiamento interiore; o ancora: essa rappresenta una condotta intima volta alla lesione del bene giuridico. Particolarmente problematica si presenta poi la questione se la colpevolezza presupponga o meno il libero arbitrio. Si ripete frequentemente che il tema non è stato ancora chiarito; in effetti si può constatare che esiste una pluralità di opinioni differenziate in proposito e che il concetto di colpevolezza rientra fra i problemi ancora irrisolti».
dell’OWIG «riduce significativamente l’esigenza della colpa penale» teorizza che si possa applicare al paradigma punitivo configurato nel § 30 il nuovo «concetto di colpevolezza sociale e normativa in senso ampio», ormai in circuito nel dibattito dottrinale88.
Nello specifico egli individua quale fondamento dell’imputabilità dell’ente il criterio di collegamento costituito dal difetto organizzativo, ossia il non avere adottato «le misure preventive necessarie ad assicurare un’ordinata e non criminale gestione degli affari»89, prospettando mediante l’accentuazione di questo momento omissivo la possibilità di una inedita legittimazione dogmatica del modello di illecito contemplato dal § 30 in questione idonea a superare i limiti del criterio organicistico.
Una siffatta opzione ermeneutica storicamente va ricondotta in particolare alla diffusa opinione secondo cui la Geldbuße costituisce una sanzione neutrale sotto il profilo etico- sociale e come tale in grado di sfuggire alla tirannia del principio di colpevolezza nella sua piena accezione penalistica.
L’Organisationsverschulden discenderebbe dal fatto che l’ente si è posto in uno stato di disorganizzazione che lo ha reso incapace di adottare le misure di diligenza necessarie a prevenire il reato materialmente compiuto dalla persona fisica qualificata e riconducibile all’attività d’impresa; il fondamento materiale del rimprovero dell’ente risiederebbe quindi nel suo difetto organizzativo.
Sotto il profilo dogmatico più propriamente verrebbe in rilievo una sorta di «precolpevolezza» (Vorverschulden) dell’ente, derivante dall’avere determinato le condizioni della successiva realizzazione dell’illecito, la quale secondo Tiedenann si potrebbe assimilare alla figura dell’actio libera in causa90.
Il tallone d’Achille di questa ricostruzione risiede, però, nel fatto che la colpa di organizzazione così concepita «sembra svilire in un meccanico, oggettivo criterio formale di legittimazione, che rischia di aprire il campo ad una sorta di colpevolezza in re ipsa, idonea a giustificare tout court l’imputazione del fatto illecito individuale all’ente, sulla falsariga di quanto accade nella responsabilità civile, ove l’illecito (non diversamente dalla colpevolezza) della persona fisica si staglierebbe come un sintomo di disorganizzazione, sub specie di omesso o insufficiente controllo»91.
88 K. Tiedemann, Die “Bebußung” von Unternehmen nach dem 2. Gesetz zur Bekämpfung der Wirstchaftskriminalität, cit., p. 1172
89 Così K. Tiedemann, ibidem, nella traduzione che ne fa G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità personale, cit., pp. 183-184.
90 K. Tiedemann, ivi, pp. 1172-1173. Questo accostamento all’actio libera in causa è stato criticato da più
parti in quanto si tratterebbe di situazioni diverse e come tali incomparabili. Al riguardo cfr. V. Militello,
La responsabilità dell’impresa societaria e dei suoi organi in Italia, cit., p. 110, il quale sul punto rileva:
«Certo, può suscitare più d’una perplessità il tentativo di applicare ad una vicenda a due soggetti, ancorché legati da un rapporto organico (come la società e i suoi organi persone fisiche), uno schema di imputazione sorto per spiegare il ben diverso fenomeno della riprovevolezza di un singolo soggetto: mentre in questo ultimo caso rileva il profilo della contemporaneità fra realizzazione dell’illecito e necessaria componente soggettiva, nel contesto societario la precolpevolezza non emerge nella sua dimensione temporale, quanto per superare il difetto di soggettività penale della persona giuridica».
Un siffatto meccanismo ascrittivo, configurandosi come una sorta di astratto «principio di responsabilità», in ogni caso comporta che non potrebbe avere alcuna «efficacia discolpante la prova che l’ente ha fatto quanto poteva per evitare i difetti organizzativi fonte dell’illecito»92.
Ma soprattutto colpisce il fatto che in questa ricostruzione «si rinuncia a ricercare quale sia il contenuto di questa ―nuova forma‖ di colpevolezza propriamente – e tecnicamente - intesa»93
Significativa in tal senso è infatti la circostanza che l’illustre Autore, a proposito della colpa di organizzazione, «abbia coniato la definizione di ―pre-colpevolezza‖ allo scopo di far risaltare la natura ―previa‖ dell’atto organizzativo rispetto alla successiva elaborazione di regole cautelari»94.
La responsabilità dell’ente viene prospettata come ipotesi di pre-comportamento tale per cui esso sarebbe chiamato a rispondere per non avere adempiuto un dovere primario di auto-organizzazione, rendendosi incapace di prevenire il reato della persona fisica.
Un siffatto ricorso alla categoria della pre-colpevolezza si rivela però discutibile sotto diversi profili. Anzitutto in questa prospettiva insorgerebbe la necessità di un «sindacato sull’adeguatezza della ―condotta di vita‖ imprenditoriale pregressa, difficilmente conciliabile con lo stesso principio di tassatività»95
In secondo luogo si trascura il fatto che «la regola che impone di organizzarsi in vista del contenimento del rischio-reato ha natura ―progettuale‖, ―pianificatoria‖ ed è strumentale all’assorbimento dell’incertezza legata all’esistenza del rischio-reato come fattore ―irritativo‖»96.
A tale riguardo si fa rilevare che «gli atti di organizzazione scorretti o deficitari non violano la norma che descrive la fattispecie tipica del reato presupposto», per cui nell’ipotesi in cui l’ente venisse chiamato per ciò stesso a rispondere, «alla norma penale suppostamente violata verrebbe ad essere collegata surrettiziamente una condotta inosservante riferibile, in realtà, a una norma completamente diversa, e cioè alla c.d. Organisatiosnorm»97
92 V. Militello, La responsabilità dell’impresa societaria e dei suoi organi in Italia, cit., p. 110. Cfr. in tal
senso anche A.F. Tripodi, “Situazione organizzativa” e “colpa di organizzazione”: alcune riflessioni sulle
nuove specificità del diritto penale dell’economia, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, 1-2, p. 488, il quale
sul punto osserva: «Desumere dalla pura e semplice commissione dell’illecito da parte della persona fisica la sussistenza della colpa organizzativa dell’ente significa, sostanzialmente, creare un meccanismo di presunzione Juris et de Jure a carico dell’ente: non sarebbe consentito all’ente di provare a sua discolpa di avere realizzato tutto il possibile per evitare lacune organizzative ―criminogene‖».
93 C.E. Paliero, C. Piergallini, La colpa di organizzazione, cit., p. 171. 94 C.E. Paliero, C. Piergallini, ivi, p. 178.
95 N. Pisani, La “colpa per assunzione” nel diritto penale del lavoro, Jovene, Napoli, 2012, p. 140. 96 C.E. Paliero, C. Piergallini, La colpa di organizzazione, cit., p. 178.
97 Così G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 186, richiamando B.
Schünemann, Strafrechtliche Sanktionen gegen Wirtschaftusunternehmen?, in U. Sieber, G. Dannecker, U. Kindhäuser, J. Vogel, T. Walter (Hrsg.), Strafrecht und Wirtschaftsstrafrecht (Festschrift für Tiedemann), cit., p., 437.
Nel merito va invece ribadito che detta regola, come altrove si è detto, rientra nel novero delle c.d. regole procedimentali che come tali «non rilasciano, immediatamente, una funzione autenticamente cautelare, bensì cautelativa»98.
Ma soprattutto «quel che non può essere condiviso della teoria di Tiedemann è l’idea che l’illecito possa imputarsi alla persona giuridica solo in ragione di una pregressa inosservanza di un ―dovere di organizzazione primario‖; e che un tale comportamento possa essere del tutto privo di connessione ―specifica‖ con il reato commesso»99.
In realtà, se la colpevolezza di organizzazione della persona giuridica dipende dal comportamento delittuoso della persona fisica non solo insorge «il rischio di ―un regresso all’infinito dell’imputazione dell’illecito‖»100, nel senso che si determina «una sorta di paradosso logico» che chiama in causa le specifiche carenze organizzative dei singoli soggetti operanti all’interno dell’ente, ma finisce altresì per svuotarsi di un contenuto proprio e autonomo, assumendo «una valenza più retorica che reale»101 .
Alla luce di questi diversi rilievi critici si evidenzia, pertanto, che la responsabilità dell’ente in questa prospettazione teorica si risolve nella tipicità oggettiva priva di contenuti personalistici; per cui, riepilogando, si potrebbe dire in ultima analisi che si è in presenza di una forma di «culpa in re ipsa», la quale «viene a identificarsi tout court con l’Anknüpfungstat» e in questa veste «serve più che altro ad offrire una plausibile legittimazione dogmatica dell’esistente normativo»102.
Ebbene, una colpevolezza di organizzazione così concepita non solo non è in grado di «supportare una responsabilità penale»103 in quanto tale ma si rivela altresì di difficile praticabilità anche con riferimento al sistema di responsabilità dell’ente configurato nel § 30 OWIG.
E ciò tanto più oggi, dopo l’affermazione della nuova concezione di «materia penale» elaborata dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in seguito all’emersione della necessità del rispetto del principio di colpevolezza anche nell’ambito del diritto ammnistrativo, per cui «secondo tale concezione rientra nel concetto di materia penale anche l’illecito amministrativo punitivo, nel senso che talune garanzie
98 C. Piergallini, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (Dalla funzione alla struttura del modello organizzativo ex d.lgs 231/2001), cit., p. 2100.
99 N. Pisani, La “colpa per assunzione” nel diritto penale del lavoro, cit., p. 138.
100 Così A. F. Tripodi, “Situazione organizzativa” e “colpa di organizzazione”: alcune riflessioni sulle nuove specificità del diritto penale dell’economia, cit., p. 489, richiamando sul punto B. Schünemann, Ist eine direkte strafrechtliche Haftung von Wirtschaftusunternehmen zulassig und erforderlich?, in The Taiwan/ROC Chapter, International Association of Criminal Law (ed.), International conference on Environmental Criminal Law, Taipei, 1992, p. 459.
101 Cfr. A. Nieto Martín, La responsabilidad penal de las personas jurídicas: un modelo legislativo,
Madrid, 2008, p. 135, nt. 68, il quale sul punto osserva: «Dejo en general propuestas como las de Tiedemann, Brender, Hirsch o Ehrhardt, porque, como bien señala Gómez-Jara, aunque con el rótulo de culpabilidad propia o de organización, tienen una marcada tendencia vicarial, en el sentido de que, por ejemplo, señalan que del comportamiento delictivo individual ha de presumirse la existencia de un defecto de organización. De este modo la culpabilidad de empresa cumple un efecto más retórico que real».
102 G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 185.
103 E. Villani, Alle radici del concetto di colpa di organizzazione nell’illecito dell’ente da reato, cit., p.
proprie dell’illecito penale vanno riconosciute anche all’illecito amministrativo, com’è stato epressamente affermato in relazione alle Ordnungswidrigkeiten dell’ordinamento tedesco»104.
Nondimeno l’intuizione di Tiedemann si è rivelata quanto mai fertile, atteso che il concetto di colpevolezza di organizzazione ha avuto una «larghissima risonanza» nel dibattito penalistico internazionale, riscontrando «significativi e inequivocabili riconoscimenti nel diritto vigente in diversi Paesi (non solo europei)»105.
Un’esemplificazione in tal senso si può desumere dal fatto che la teorica della colpevolezza di organizzazione fiorita nella letteratura tedesca al fine di legittimare l’illecito punitivo amministrativo configurato nel sistema dell’OWIG, facente leva su forme di colpevolezza ―impoverita‖ rispetto a quella penalistica mediante la prevalenza accordata al rimprovero etico-sociale piuttosto che a quello etico-individuale, è stata altresì «recepita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con riferimento alla responsabilità delle persone giuridiche in relazione alle sanzioni previste dalle Comunità Europee, quali sanzioni tipicamente espressive di un diritto punitivo amministrativo»106.
Sul punto peraltro è opportuno ricordare che la « nobile paternità» del «modello di responsabilità ―amministrativa‖ e ―diretta” (o ―principale‖) della persona giuridica» di cui si fa latore il diritto comunitario, «segnatamente desumibile soprattutto dal regolamento n. 2988/1995», secondo quanto viene segnalato in dottrina, «è rintracciabile nel § 30 della Ordnungswidrigkeitengesetz del 1968»107.
104 A.M. Maugeri, Il regolamento n. 2988/95: un modello di disciplina del potere punitivo comunitario. Parte I. La natura giuridica delle sanzioni comunitarie, cit., p. 532. Sul punto cfr. anche C.E. Paliero, «Materia penale» e illecito amministrativo secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: una questione «classica» a una svolta radicale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 893 ss.
105 G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 190.
106 Cfr. E. Villani, Alle radici del concetto di colpa di organizzazione nell’illecito dell’ente da reato, cit.,
p. 102, nt. 229, la quale sul punto richiama G. Dannecker, Sanktionen und Grundsätze des Allgeneinen
Teils im Wettbewerbsrecht der Europäischen Gemeinschaften, in B. Schünemann, C. Suárez González, a
cura di, Bausteine des europäischen Wirtschaftsstrafrechts (Madrid, Symposium für Klaus Tiedemann), Köln-Berlin-Bonn-München, 1994, p. 10. Sul punto l’Autrice con riferimento al rispetto del principio di colpevolezza nel diritto europeo, proseguendo ulteriormente (ibidem) sottolinea: «sebbene esso secondo la prospettiva tradizionale della Corte di Giustizia non assurga a principio fondante dell’ordinamento», il problema del suo rispetto si è posto concretamente con la previsione di una disciplina generale dell’illecito amministrativo europeo introdotta con il regolamento 2988 del 1995, il quale richiede per l’applicazione della sanzione amministrativa il dolo o la colpa, nonché con il regolamento 1/2003 in tema di tutela della concorrenza; due provvedimenti, questi, con cui si statuisce che le persone giuridiche siano destinatarie delle sanzioni previste al pari delle persone fisiche. In particolare, in seguito all’emersione dell’esigenza del rispetto di detto principio, «l’ordinamento europeo da un lato sembra avere rimarcato l’assenza nell’illecito amministrativo della disapprovazione etica tipica del diritto penale, dall’altro – proprio su tali basi – ha ammesso la possibilità di accedere ad una nozione di colpevolezza normativa essenzialmente incentrata sulla colpevolezza di organizzazione, come base per la ricostruzione di una colpevolezza della persona giuridica, che superi l’idea di una mera sommatoria dei singoli di colpevolezza delle persone fisiche». Ebbene, una siffatta prospettiva che sembrava dapprima essere stata fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, non è stata nel tempo coerentemente coltivata, atteso che in tempi più recenti la Corte «sembra essersi accontentata invece di accertamenti impoveriti attraverso il ricorso a ragionamenti presuntivi».
107 Cfr. C.E. Paliero, Le “sanzioni comunitarie”: un modello di disciplina per la responsabilità delle persone giuridiche nell’area europea?, cit., p. 174, il quale sul punto (ivi, pp.183-186), con riferimento
In ogni caso all’inedita ricostruzione ideata da Tiedemann del paradigma di responsabilità configurato nel § 30 OWIG, al di là dei rilievi critici di cui si è detto in