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Il contributo del formante legislativo: il progressivo ampliamento del catalogo dei reati-presupposto

LA TENSIONE EVOLUTIVA DEL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE ALLA LUCE DELLA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA DA DELITTO COLPOSO D’EVENTO

1. Il contributo del formante legislativo: il progressivo ampliamento del catalogo dei reati-presupposto

Con riferimento al contributo proveniente dal formante legislativo in relazione alla tensione evolutiva del paradigma punitivo in esame, si rileva che esso si è concretizzato nella progressiva estensione del catalogo dei reati-presupposto, la quale, incidendo direttamente sul meccanismo ascrittivo, ha comportato un «impatto distorsivo»5 sul paradigma imputativo prototipo di cui detti reati costituiscono il presupposto oggettivo.

Come altrove si è detto, in sede di conversione della legge delega di origine parlamentare è prevalsa un’opzione politico-legislativa di self restraint da parte del Governo, il quale, adottando il criterio della c.d. formazione progressiva del catalogo dei reati-presupposto, ha di fatto determinato «un sostanziale svuotamento della delega nei suoi profili di parte speciale»6, atteso che il campo applicativo della riforma venne riservato al ristrettissimo novero di reati indicati nelle convenzioni europee e internazionali che il legislatore del 2001 era chiamato a ratificare7.

Al riguardo anche con riferimento alla vicenda della riforma del 2001 e alla sua successiva evoluzione viene confermata la fondatezza delle osservazioni critiche di chi ormai da tempo denuncia l’incongruenza di una legiferazione che si connota per un carattere di sostanziale impotenza sul piano generale nonché per la frammentarietà e la contraddittorietà degli interventi specifici8.

In particolare, relativamente alla suddetta opzione politico-legislativa in dottrina si rileva criticamente che essa – lungi dall’essere stata dettata dal rispetto delle istanze garantiste che avrebbero orientato il legislatore ad adottare un criterio analitico e tassativo di confezionamento della c.d. parte speciale del decreto, ossia rispondente ai principi di legalità, extrema ratio, ragionevolezza e proporzione delle pene – si pone all’esito di una valutazione estemporanea, censurabilmente adottata da parte dell’Esecutivo in modo autonomo, decurtando dal catalogo dei reati-presupposto, di forgia parlamentare e contemplato nell’art. 11 della legge delega n. 300/2000, proprio le fattispecie più significative per l’implementazione della riforma9.

5 Cfr. C.E. Paliero, ivi, p. 12 ss.

6 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 262.

7 Cfr. sul punto Relazione al decreto, cit., p. 42, laddove in merito alla scelta del Governo di «attestarsi su

una posizione ―minimalista‖» si afferma: «poiché l’introduzione della responsabilità sanzionatoria degli enti assume un carattere di forte innovazione del nostro ordinamento, sembra opportuno contenerne, per lo meno nella fase iniziale, la sfera di operatività, anche allo scopo di favorire il progressivo radicamento di una cultura aziendale della legalità che, se imposta ex abrupto con riferimento ad un ampio novero di reati, potrebbe fatalmente provocare non trascurabili difficoltà di adattamento». Contra A. Carmona, La

responsabilità degli enti: alcune note sui reati presupposto, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 998, il

quale mostra di non poter «comprendere, come si possa, una volta accolto nell’ordinamento il nuovo principio, pensare che al delinquente debba essere concesso un congruo periodo di tempo per adattarsi all’idea che la legalità vada rispettata».

8 Cfr. L. Stortoni, La categoria della colpa tra oggettivismo e soggettivismo (Che ne è della colpa penale?), in Ind. pen., 2016, p. 10.

9 Cfr. G. Amarelli, Il catalogo dei reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001. Quidici anni dopo. Tracce di una razionalità inesistente, cit., p. 3, il quale sul punto ci ricorda che «l’elencazione delle fattispecie

La conferma della fondatezza di una tale lettura viene data dalle pesanti ricadute disfunzionali derivate per il sistema 231 dalla scelta regolativa anzidetta, le quali certamente hanno condizionato l’accidentato percorso applicativo della riforma, manifestandosi in maniera eclatante sia nel breve che nel lungo periodo.

Nei primi anni di vigenza del nuovo istituto si è subito palesata l’incongruenza di un sistema di disciplina, che pur essendo rivoluzionario sulla carta, si è rivelato sostanzialmente ineffettivo, in quanto incapace di trovare diffusa applicazione nella prassi a causa dell’esiguo numero di reati-presupposto cui risultava ancorato; il sistema di responsabilità in commento infatti risultava «affetto da uno sviluppo asimmetrico che ne ingessava il funzionamento, contrapponendo ad un ―gigantismo soggettivo‖ uno sproporzionato ―nanismo oggettivo‖»10.

A sua volta, con riferimento al lungo periodo, l’adozione del modello a formazione progressiva si è concretizzata, attraverso le reiterate modifiche addittive apportate dal legislatore, nella costruzione di una vera e propria ―parte speciale‖ di questo codice della responsabilità delle persone giuridiche11; nondimeno in tale opera di ampliamento dell’ambito applicativo si è proceduto in modo del tutto disorganico e asistematico, in assenza di un coerente progetto riformistico di ampio respiro e sotto la spinta delle contingenze politico-criminali del momento12.

Una siffatta politica criminale non solo ha prodotto la persistenza di inspiegabili lacune di tutela13 ma si è altresì tradotta nell’inserimento di numerose fattispecie criminose che destano non poche perplessità circa l’effettiva possibilità che per tal via si possa implementare la responsabilità degli enti14.

Verosimilmente, però, la ricaduta disfunzionale più incisiva va individuata nel mancato coordinamento del paradigma punitivo prototipo con le nuove fattispecie

approntata nella bozza del decreto legislativo pronta per essere approvata nel marzo del 2001 ricalcava […] in maniera puntuale tutte le scelte già espresse dalle Camere, nella l. 300/2000 alle lettere a), b), c), d) dell’art. 11, senza disattenderne alcuna».

10 G. Amarelli, ivi, p. 5. In merito all’individuazione dei soggetti destinatari della normativa 231, connotata

da «gigantismo soggettivo», cfr. S. Massi, Veste formale e corpo organizzativo nella definizione del

soggetto responsabile per l’illecito da reato, Jovene, Napoli, 2012, la quale effettua un’esaustiva

ricognizione dell’esteso ambito soggettivo di operatività del decreto 231.

11 Cfr. A. Astrologo, I reati presupposto, in G. Canzio, L.D. Cerqua, L. Lupária, a cura di, Diritto penale delle società, Cedam, Vicenza, 2016, p. 913.

12 Cfr. G. Amarelli, Il catalogo dei reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001. Quidici anni dopo. Tracce di una razionalità inesistente, cit., p. 6.

13 Si pensi, un esempio per tutti, all’omessa inclusione dei reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto,

una lacuna del tutto irragionevole atteso che si tratta di una materia tipica del diritto penale dell’economia.

14 Così A. Manna, Controversie interpretative e prospettiva di riforma circa la responsabilità degli enti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2015, p. 169, il quale prosegue nei seguenti termini: «Intendiamo riferirci in

primo luogo, ai delitti di criminalità organizzata (art. 24 ter) ed, in secondo luogo alle falsità in monete e in carte di pubblico credito (art. 25 bis), etc., nonché i delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (art. 25 quater), le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 25

quater 1), i delitti contro la personalità individuale (art. 25 quinquies), e, infine, qualche dubbio resta

sull’impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (art. 25 duodecies) perché in effetti, re

melius perpensa, potrebbe correttamente riguardare la responsabilità d’impresa, laddove, beninteso,

criminose che sono state di volta in volta introdotte nel corso di un’attività ormai ultradecennale di ampliamento dell’ambito applicativo del decreto 231.

Questa circostanza nel tempo ha determinato un assetto regolativo carente di razionalità complessiva e inficiato da segni di sfasamento tra i principi contenuti nella parte generale del decreto e la disciplina introdotta con i nuovi innesti nella parte speciale15.

Il riferimento va in particolare alle difficoltà che sono insorte con riferimento alla definizione del paradigma punitivo dell’ente per il fatto-reato colposo agli effetti dell’inserimento dell’art. 25 septies nel decreto 231 senza che si apprestasse previamente l’indispensabile coordinamento tra la disciplina esistente e quella subentrante; questa circostanza ha reso necessario il contributo del formante dottrinale e di quello giurisprudenziale perché si potessero sciogliere i nodi problematici generati dalla novella legislativa.

Nel merito, l’inclusione dei reati colposi nel sistema 231 ha comportato l’insorgenza di elementi di frizione tra questa tipologia di reati e il paradigma imputativo prototipo, il quale storicamente era stato ideato e positivizzato assumendo come target i soli reati dolosi16.

In particolare i due profili strutturali più controversi, su cui si è polarizzata l’attenzione del dibattito dottrinale17 e dell’esperienza giurisprudenziale18, attengono: da un canto, alla discussa compatibiltà funzionale tra i reati colposi e il criterio ascrittivo di tipo oggettivo; dall’altro, al contenuto precipuo della colpa di organizzazione con specifico riguardo alle fattispecie di reato-presupposto a loro volta colpose19.

Con riferimento al profilo oggettivo, si è posto il problema di rendere compatibili con queste fattispecie il criterio di imputazione dell’interesse/vantaggio di cui all’art. 5, comma 1 che di per sé appare concepito con riguardo solo a reati-presupposto di natura dolosa.

In relazione al profilo soggettivo, l’esigenza di approfondire il rapporto tra la colpa di organizzazione dell’ente e la colpa della persona fisica ha fatto insorgere la necessità di determinare il precipuo contenuto del dovere di auto-organizzazione dell’ente nella prospettiva dell’identificazione del carattere di autonomia strutturale-funzionale della colpa organizzativa rispetto a quella individuale.

15 Cfr. G. Amarelli, Il catalogo dei reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001. Quidici anni dopo. Tracce di una razionalità inesistente, cit., p. 30.

16 Cfr. C.E. Paliero, Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 12.

17 Cfr. infra nel presente Cap. § 2. 18 Cfr. infra nel presente Cap. § 3.

19 Cfr. C.E. Paliero, Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 19.

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