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LA RESPONSABILITÀ DA REATO DELLE ORGANIZZAZIONI COMPLESSE NELLA LOGICA PRECAUZIONALE

3. Il ruolo del rischio e del principio di precauzione nel contesto della transizione dallo Stato di diritto allo Stato di prevenzione

3.1. Il concetto di rischio

La nozione di rischio, che sotto il profilo semantico si contrappone specularmente a quella di sicurezza, condivide con essa nell’odierna società complessa il medesimo ruolo pervasivo.

L’irruzione di questa categoria risulta organicamente connessa al mutamento del paradigma epistemologico della modernità fondato sul canone della certezza nomologica, che a partire dalla seconda metà del Novecento entra in crisi ed è costretto a coesistere con i nuovi modelli logici ed epistemologici della scienza incerta53; sicchè ormai la dimensione del rischio è talmente incombente nella realtà e nell’immaginario dell’uomo del nostro tempo che l’espressione società del rischio si è ormai imposta come topos con valenza universale54.

52 M. Donini, ivi, p. 14.

53 Cfr. K. Popper, I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, Il Saggiatore, Milano, 1997,

vol. I, p. XXI, il quale, riflettendo sui presupposti della teoria fallibilista (secondo cui la scienza non si sostanzia di verità immutabili, ma di mere congetture suscettibili di rettifica o di smentita) e facendosi interprete nel nostro tempo di una rinnovata ripresa dell’ignoranza socratica, afferma che il fallibilismo, nel sostenere che tutte le conoscenze umane sono incerte e che la ricerca non ha fine, «è nient’altro che il non sapere socratico». In particolare l’Autore, in Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza

scientifica, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 393, sostiene: «Per noi la scienza non ha niente a che fare con la

ricerca della certezza, della probabilità, o dell’attendibilità. Non siamo interessati allo stabilimento di teorie scientifiche in quanto sicure, certe o probabili. Consapevoli della nostra fallibilità, siamo interessati a criticarle e a controllarle con la speranza di scoprire dove sbagliamo, di apprendere dagli errori, e, se abbiamo fortuna, di pervenire a teorie migliori». Si diffonde quindi la convinzione che lo scopo della scienza non sia la verità, che in ultima istanza viene prospettata come una mera idea regolativa, bensì l’elaborazione di teorie sempre più verosimili, cioè sempre più prossime all’ideale di una rappresentazione esaustiva della realtà. Una convinzione, questa, che si traduce in una nuova concezione della scienza la quale, facendo ricorso a leggi di tipo probabilistico o addirittura epidemiologico, appare connotata da un inedito statuto epistemologico segnato da un’incertezza costitutiva.

54 Come è noto, l’espressione ―società del rischio‖ si deve a U. Beck, che l’ha resa celebre con il suo

saggio Risikogesellschaft (Suhrkampf, Frankfurt a.M., 1986; ed. it. La società del rischio. Verso una

seconda modernità, Carocci, Roma, 2005), ove si sostiene la tesi che il problema sociale fondamentale del

nostro tempo è costituito dai grandi rischi, prodotti dalla stessa società, che sono connessi al progresso tecnico-scientifico incontrollato e che, avendo ormai assunto una dimensione globale, minacciano la sopravvivenza stessa dell’umanità. Successivamente l’illustre sociologo è tornato a riflettere sulla tematica del rischio, questa volta, nella prospettiva della società globalizzata. Sul punto Cfr. Id., Conditio humana.

Il rischio nell’età globale, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 11, laddove si afferma: «La categoria del rischio

dischiude un mondo al di qua e al di là della chiara distinzione tra sapere e non-sapere, vero e falso, buono e cattivo. L’unica verità si è frantumata in centinaia di verità relative, che nascono dalla prossimità al

Nel merito, va rilevato che tale nozione viene ancora spesso utilizzata e confusa sinonimicamente con quella di pericolo; nondimeno la vexata quaestio sociologica e dottrinale avente ad oggetto la distinzione di queste due categorie sembra essere pervenuta ad alcune conclusioni definitive.

In particolare nel dibattito sociologico si distingue l’elaborazione teoretica di Luhmann, il quale, muovendo dalla considerazione che entrambi i concetti si fondano sul presupposto di un’incertezza rispetto a danni futuri, sintetizza l’essenza della querelle in questi termini: «Ci sono, allora due possibilità: o l’eventuale danno viene visto come conseguenza della decisione, cioè viene attribuito ad essa, e parliamo allora di rischio, per la precisione di rischio della decisione; oppure si pensa che l’eventuale danno sia dovuto a fattori esterni e viene quindi attribuito all’ambiente: parliamo allora di pericolo»55 .

In altre parole, diversamente da quel che accade per i pericoli, rispetto ai quali si può dire unicamente che si è esposti, si può parlare di rischio soltanto quando può essere assunta una decisione, senza la quale il danno non potrebbe insorgere; sicché, mentre il rischio risulta riconducibile ad un atto decisionale, la fonte del pericolo è sempre di provenienza esterna, sia essa un evento naturale oppure un fatto umano produttivo di un evento dannoso o pericoloso56.

Prescindendo comunque dalla riflessione sociologica sulla distinzione tra pericolo e rischio, l’accento va posto sul fatto che la tematica del rischio, in quanto oggetto di

rischio e dal coinvolgimento in esso. Questo non significa che il rischio cancelli qualsiasi forma di sapere. Piuttosto, esso mescola il sapere e il non-sapere nell’orizzonte di senso della probabilità. Nella categoria di rischio si esprime dunque il rapporto con l’incertezza, che spesso oggi non può essere superata grazie ad una maggiore conoscenza, ma che scaturisce proprio da una maggiore conoscenza».

Circa la valenza, poi, che la formula in questione storicamente ha assunto, cfr. C. Perini, Il concetto di

rischio nel diritto penale moderno, Giuffrè, Milano, 2010, p. 175 ss., ove l’Autrice ricorda che nel dibattito

sociologico è possibile distinguere «almeno tre differenti approcci che si traducono in altrettanti modelli di società del rischio»: il ―modello oggettivistico‖ (sviluppatosi sulla base del concetto di Risikogesellschaft elaborato da Beck) alla luce del quale il termine rischio si identifica sostanzialmente con il rischio tecnologico e non si distingue dal termine pericolo, che di fatto viene utilizzato come sinonimo; il ―modello sociologico in senso stretto‖ (facente capo ad A. Evers e A H. Nowotny) secondo cui deve essere operata una distinzione tra il concetto di pericolo, da identificare nel potenziale di offesa allo stato puro, e quello di rischio, da individuare invece nel potenziale di offesa che l’organizzazione sociale deve gestire al fine di renderlo prevedibile e controllabile; il ―modello soggettivistico‖ (facente capo a Franz-Xaver Kaufmann e oggi in particolare interpretato da Zygmunt Bauman) che insiste sul peculiare paradosso di cui è portatrice la società del rischio, segnata dallo stridente contrasto tra la sicurezza oggettiva delle condizioni di vita garantite dall’attuale contesto sociale e il sentimento di insicurezza collettiva di una società frammentata.

Con particolare riferimento a quest’ultimo modello si puntualizza che, diversamente dall’interpretazione oggettivistica che identifica il fattore rischio sostanzialmente con il ―rischio tecnologico‖, il modello soggettivistico tende ad includere nella semantica del rischio tutte le sue possibili declinazioni (ad esempio, il rischio terroristico, il rischio finanziario, etc…), sicché si affievolisce la possibilità di pervenire ad una nozione di Risikogesellschaft dal contenuto univoco ed al contempo si volatilizza la linea di demarcazione al cui interno si possa mantenere la corrispondente analisi penalistica.

55 N. Luhmann, Sociologia del rischio, trad. a cura di G. Corsi, Bruno Mondadori, Milano, 1996, p. 31. 56 In questa prospettiva, tra l’altro, appare evidente che, nella misura in cui si teorizza che il rischio è

sempre riconducibile ad una o più decisioni, si finisce per affermare che è sempre possibile individuare un responsabile; non a caso storicamente si registra la significativa circostanza secondo cui «il passaggio dal

attenzione sempre più crescente sul versante propriamente giuridico, ha registrato un’incidenza culturale di tale rilievo da sfociare nella controversa affermazione del c.d. diritto penale del rischio57 in risposta alle nuove istanze di tutela emergenti dall’odierna società complessa.

In particolare, nel dibattito sviluppatosi in seno alla dottrina penalistica con riferimento alla distinzione tra pericolo e rischio58, si è osservato in generale che, mentre

pericolo al rischio coincide con un’espansione delle responsabilità private e pubbliche». Cfr. P. Savona, Il

passaggio dal pericolo al rischio: l’anticipazione dell’intervento pubblico, in Dir. ammin., 2, 2010, p. 359. 57 Questa controversa formula appare segnata da una sostanziale ambiguità di significato, derivante dalla

circostanza che: da una parte, si fa ricorso ad essa per indicare il diritto penale che recepisce le istanze di tutela della c.d. società del rischio e intrattiene così con il rischio, di cui il contesto sociale è portatore, una sorta di rapporto dialogante; dall’altra, al contempo, il termine rischio cessa di avere una mera valenza sociologica e assume un’esplicita connotazione giuridica, sicché la formula in questione finisce per designare la nuova fisionomia che il diritto penale viene ad assumere a seguito dell’irruzione del fattore rischio nella struttura del reato.

Resta, pertanto, controverso se con l’espressione diritto penale del rischio si debba intendere un nuovo diritto penale con uno statuto identitario diverso dal precedente, accogliendo così il riconoscimento di una discontinuità rispetto al passato; oppure se, al contrario, gli elementi di novità connessi alla tematica del rischio, riscontrabili sia sul piano legislativo che giurisprudenziale, siano da spiegare, in una logica di continuità, come espressione di un fisiologico adattamento della disciplina penale alle nuove istanze sociali. Ad ogni modo la polemica dottrinale, che si estende peraltro alla più generale contrapposizione tra diritto penale classico e diritto penale moderno, ancora è ben lontana dall’esaurirsi.

Relativamente al dibattito sul tema in oggetto va segnalata in particolare la posizione critica assunta dagli esponenti della cd. ―Scuola di Francoforte‖ (tra i quali si annoverano Wolfgang Naucke, Klaus Lϋdersen, Winfried Hassemer, Cornelius Prittwitz, Ulfrid Neunann, Felix Herzog, P.A. Albrecht, Klaus Gϋnter) nei confronti della distorsione delle categorie penalistiche tradizionali operata dal cd. diritto penale del

rischio, di cui si riscontra un’ampia testimonianza in L. Stortoni, L. Foffani, a cura di, Critica e giustificazione del diritto penale nel cambio di secolo. L’analisi critica della scuola di Francoforte. Atti del convegno di Toledo del 13-15 aprile 2000, cit.; nello specifico cfr. le relazioni di: F. Herzog, Società del rischio, diritto penale del rischio, regolazione del rischio. Prospettive al di là del diritto penale (pp.

357-369); C. Prittwitz, Società del rischio e diritto penale (pp. 371-412); C.J.S. Gonzáles, Diritto penale e

rischi tecnologici (pp. 413-424).

Al riguardo cfr. anche C. Perini, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, cit., in particolare Cap. I, p. 4 ss. e Cap. II, p. 168 ss., nei quali l’Autrice delinea un’accurata ricostruzione del dibattito dottrinario sulla penetrazione della nozione di rischio nella teoria del ―diritto penale moderno‖ rispettivamente in prospettiva endosistemica ed esosistemica (sul punto v. infra nt. 59); nonché M. Donini, Il volto attuale

dell’illecito penale, cit., pp. 107-139.

58 In ordine alla tematica del rischio nella dottrina penalistica si sono sviluppate due diverse impostazioni

interpretative: l’approccio endosistemico e quello esosistemico. Per un’approfondita ricostruzione di questi due indirizzi ermeneutici cfr. C. Perini, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, cit., in particolare Capitolo II, p. 168 ss., ove l’Autrice delinea un’accurata rassegna del dibattito dottrinario tedesco e italiano sviluppatosi in argomento.

In questa sede è sufficiente ricordare che mentre l’approccio ―endosistemico‖, più risalente, si polarizza sulla rilevanza del concetto di rischio come tema interno al diritto penale, proponendosi l’obiettivo di attribuire al rischio una specifica collocazione nell’ambito della teoria dell’illecito penale, l’approccio ―esosistemico‖ si qualifica come tale in quanto interpreta l’elemento del rischio quale fattore pre- ed extra- giuridico di cambiamento del sistema penale e di conseguenza si sforza di individuare nel contesto della dialettica politico-criminale gli elementi che sostanziano la rilevanza del rischio nel diritto penale.

Ne discende che, con riferimento alla distinzione tra pericolo e rischio, le due impostazioni in questione pervengono ad esiti differenti: nella prospettiva endosistemica il concetto di rischio non riesce a sviluppare un autonomo statuto identitario e viene utilizzato in un ruolo sostanzialmente ausiliario rispetto alla nozione di pericolo, con la conseguenza che sul piano semantico si determina «una piena fungibilità tra i due termini in questione» (C. Perini, ivi, p. 163); viceversa la prospettiva esosistemica (alla luce della quale il rischio viene declinato come nozione socio-giuridica), nonostante non riesca neanch’essa ad individuare con esattezza il discrimen tra le due nozioni definendo in positivo la categoria del rischio, si sforza comunque di precisare il perimetro della nozione di rischio tracciando i confini della nozione di

il concetto di pericolo è connesso ad eventi naturali, nonché a fatti umani produttivi di un evento dannoso o pericoloso, la nozione di rischio contraddistingue invece «il disvalore oggettivo dell’azione (più che dell’evento) presente in reati di mera condotta come in reati di evento, ovvero la tendenza, non necessariamente illecita, di un’attività consentita (es. circolazione stradale), o di un’organizzazione sociale (es. di impresa) a produrre eventi dannosi o pericolosi»59; e più precisamente, richiamando la distinzione operata da Luhmann, è stato detto che: «Il rischio, tende a essere un pericolo che dipende da una decisione dell’uomo, e che quindi può essergli imputato, laddove il pericolo in genere tende ad attrarre nella spiegazione fattori ed eventi naturali sopravvenuti e non governabili se non operando sulle decisioni 'a monte', relative alla creazione o gestione delle fonti di pericolo, e alle posizioni di garanzia e controllo che le concernono»60.

Nello specifico è emerso che è possibile individuare la differenza tra le due nozioni in oggetto sia sul piano quantitativo che qualitativo61.

Sotto il profilo quantitativo si evidenzia un netto carattere distintivo in relazione al diverso grado di anticipazione della tutela, in quanto: il pericolo allude all’esistenza di fattori di cui sono note l’idoneità causale e la potenzialità ad evolvere in direzione dell’offesa; viceversa il rischio, ponendosi in una dimensione ulteriormente arretrata rispetto alla stessa concretizzazione del pericolo, non si esprime nell’apprezzamento di una vicenda in atto ma incarna piuttosto l’istanza di fondo per cui determinate attività devono essere regolate in via anticipata rispetto al possibile attivarsi di una serie causale che potrebbe condurre all’evento62.

Sul versante qualitativo, a sua volta, il rischio non si limita a precedere il pericolo, ma rispetto ad esso assume un diverso oggetto nonché un diverso criterio di valutazione63.

Con riferimento all’oggetto, si puntualizza che esso non è un fattore determinato, ma si sostanzia dell’interazione dinamica dei fattori presenti in una certa situazione64, che proprio per questo si qualifica come situazione rischiosa.

pericolo, ossia facendo ricorso ad «un procedimento di caratterizzazione del rischio in negativo, che si concentra sulle forme di ulteriore anticipazione dell’intervento penale rispetto alla frontiera più esterna del reato di pericolo» (C. Perini, ivi, p. 362).

59 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., p. 108. 60 M. Donini, ibidem.

61 Cfr. G. Morgante, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavoro nelle recenti riforme legislative, in Cass. pen., 2010, 9, p. 3323 ss.

62 Cfr. G. De Francesco, Pericolo, rischio, incertezza. Il controllo penale ed i suoi confini nella temperie della postmodernità, in M. Goldoni - E. Sirsi, a cura di, Regole dell’agricoltura e regole del cibo. Produzione agricola, sicurezza alimentare e tutela del consumatori, Atti del convegno, Il Campano, Pisa,

2005, p. 128.

63 Cfr. T. Padovani, Il destino sistematico e politico-criminale delle contravvenzioni e le riforme del diritto penale del lavoro in Italia, in M. Donini, a cura di, Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare, Giuffrè, Milano, 2003, p. 166.

64 Cfr. T. Padovani, ibidem. Sul punto l’Autore, proseguendo, osserva: «Uscire con l’automobile significa

di per sé affrontare un rischio, dipendente dalla contemporanea presenza di più utenti sulla strada, dallo stato della strada, dalle condizioni meteorologiche e così via; ma non significa trovarsi in pericolo, che si verifica solo quando l’interazione dei fattori si esprime in termini almeno potenzialmente eziologici verso un evento di danno».

Tale situazione rischiosa, che peraltro non è necessariamente suscettibile di evolversi verso il danno, appare connotata soprattutto dal fatto che il rischio si caratterizza strutturalmente per l’incertezza sul potenziale offensivo dell’interazione dei diversi fattori dai quali esso stesso scaturisce65.

A monte della decisione assunta in stato di incertezza vi è infatti una percezione dei rischi che risulta caratterizzata soprattutto dall’impossibilità di «piegare in senso scientifico-ingegneristico la decifrazione del rischio» circa gli effetti che ne possono derivare, per cui, in mancanza di un corredo nomologico di copertura, «le cause sono traducibili solo ricorrendo ad una paralizzante declinazione del grado di incertezza che le affligge»; con riferimento alla ricostruzione causale si evidenzia, cioè, quella «oscurità delle trame causali, che mal si prestano a spiegazioni di taglio nomologico»66.

Affiora quindi una complessa fisionomia dell’identità del rischio che rende oltremodo problematica la sua ―gestione‖ e, come tale, comporta pesanti ricadute sul piano sistematico generale; questo profilo si evidenzia soprattutto nel momento in cui lo si pone in relazione al potenziale di offesa insito nella natura stessa dei processi tecnologici, e lo si considera alla luce dell’opacità del dubbio epistemologico che connota le leggi scientifiche allorquando insorga la necessità di valutare i possibili sviluppi delle attività intrinsecamente rischiose in direzione dell’offesa67.

Tra le tante forme di rischio che rendono insicura la condizione umana nel nostro tempo infatti quella più minacciosa è rappresentata proprio dal rischio tecnologico, cioè dal potenziale distruttivo derivante paradossalmente dalle applicazioni di quella stessa Tecnica di cui l’uomo si è avvalso per costruire il suo progresso storico nei più svariati campi della propria attività ma che oggi sembra essere sfuggita al suo controllo68.

Significativamente allorquando si parla di «rischio di provenienza umana come fenomeno sociale strutturale», si allude al «fatto che gran parte delle minacce alle quali noi cittadini siamo esposti derivano proprio da decisioni che altri cittadini adottano nel manovrare i rischi tecnologici: rischi per l’ambiente, rischi per i consumatori o utenti,

65 Cfr. G. Morgante, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavoro nelle recenti riforme legislative, cit., p. 3323.

66 C. Piergallini, Attività produttive, decisioni in stato di incertezza e diritto penale, in M. Donini, M.

Pavarini, a cura di, Sicurezza e diritto penale, cit., p. 328.

67 Cfr. G. Morgante, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavoro nelle recenti riforme legislative, cit., p. 3323.

68 Sulla questione della Tecnica e delle correlative problematiche che si pongono sotto il profilo

propriamente filosofico cfr. U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 2004, in cui l’Autore, riprende ed amplifica le teorizzazioni sul tema prospettate da Martin Heidegger ed Ernst Junger già negli anni Trenta del secolo scorso, secondo cui il progresso tecnico- scientifico ha comportato un processo di irreversibile decadenza dell’umanesimo, per cui il pensiero umano, lungi dal potere realizzare l’aspirazione a governare il mondo mediante la tecnica, ne è rimasto soggiocato. In particolare si sviluppa la tesi secondo cui la tecnica si è tradotta nel tempo in una forma di autonomizzazione autoreferenziale dell’attività produttiva umana che nel suo progredire inarrestabile finisce per travolgere la stessa umanità, nella misura in cui il prodotto tende ad avere il sopravvento sulla volontà del produttore e quindi a dominarlo. In altre parole la tecnica non costituisce più un mezzo idoneo a soddisfare i bisogni umani ma è diventata un vortice che ha come fine la propria crescita smisurata; sicché essa nel suo movimento illimitato subordina tutto (l’ambiente, gli animali, gli umani) a se stessa come oggetto quantificabile e utilizzabile in funzione della sua continua espansione.

che derivano dalle applicazioni tecniche degli sviluppi nel campo della biologia, della genetica, dell’energia nucleare, dell’informatica, delle comunicazioni ecc.»69.

A sua volta, con riferimento al criterio di valutazione del rischio, proprio la fisionomia problematica dell’oggetto del rischio (caratterizzata dalla sommatoria dei tre elementi di cui si è detto, ossia l’ulteriore anticipazione del grado di tutela, l’interazione dinamica tra i fattori che lo determinano e la strutturale incertezza circa il suo potenziale offensivo) ha comportato l’ingresso del nuovo canone della riduzione o del contenimento del rischio, ovvero del rischio consentito.

A differenza del pericolo che si può eliminare, il rischio infatti riguarda contesti situati a monte dell’organizzazione sociale e prima dell’insorgenza di situazioni concretamente pericolose; sicchè esso non si può eliminare radicalmente né dipende da fattori sopravvenuti e aleatori, bensì va ricondotto a scelte politiche, economiche e organizzative che possono contenerlo entro margini circoscritti o farlo aumentare in

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