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L’inquadramento sistematico della fattispecie di responsabilità amministrativa da reato

IL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE NEL SISTEMA 231 ALLA LUCE DEL DIBATTITO DOTTRINALE

5. L’inquadramento sistematico della fattispecie di responsabilità amministrativa da reato

L’inquadramento sistematico del paradigma punitivo dell’ente costituisce un problema di ardua soluzione per un duplice ordine di fattori che connotano la poliedrica struttura di questo inedito meccanismo ascrittivo ex crimine secondo quanto è stato codificato negli articoli da 5 ad 8 del d. lgs n. 231 del 2001

In tale questione infatti confluiscono da un canto tutte le problematiche connesse alla criteriologia imputativa e alla difficile coesitenza dei diversi paradigmi ascrittivi che ne discendono, dall’altro, più in generale, le conseguenze derivanti dalla vitalità evolutiva

condizione obiettiva di punibilità da attribuire all’ente a prescindere dal nesso causale. Così ragionando non solo si snaturerebbe nei confronti delle persone giuridiche la struttura dei delitti di cui agli artt. 589 e 590 Cp, ma si rischierebbe anche di dar vita ad una opinabile semplificazione probatoria a loro danno, arrivando eventualmente a condannarle (tramite il menzionato art. 8) in assenza di una verifica della condotta umana concreta che abbia causato la morte e del suo legame oggettivo e soggettivo con l’evento».

di questo sistema di responsabilità aperto al sinergico contributo dei tre formanti legislativo, dottrinale e giurisprudenziale.

Si tratta infatti di una questione che nel corso di questo primo quindicennio di vigenza del nuovo istituto è stata, e continua ad essere, oggetto di un fervido impegno ermeneutico da parte del formante dottrinale nonché di quello giurisprudenziale, il cui tentativo ermeneutico di reductio ad unum risulta condizionato sia dall’«immanente problematicità»136, che ab initio connota i criteri di ascrizione dei reati all’ente, sia dalle difficoltà di coordinamento normativo derivanti dal progressivo ampliamento dell’ambito applicativo del sistema ex 231 ad opera dei reiterati interventi attuati dal formante legislativo con l’introduzione di nuovi reati-presupposto.

Varie sono le teorie dottrinarie con cui si è cercato di effettuare un corerente inquadramento sistematico della disciplina in oggetto, le quali nello specifico si sono polarizzate su un duplice ordine di problemi.

La prima questione concerne il rapporto tra il reato della persona fisica ed il reato dell’ente: si pone il quesito se l’ente si debba configurare quale autore di un illecito monosoggettivo o se piuttosto si debba intendere come concorrente del reato posto in essere dalla persona fisica.

La seconda questione riguarda la tipologia di colpa che viene in rilievo con riferimento alla responsabilità della persona giuridica: si tratta di stabilire se il paradigma punitivo dell’ente configurato da legislatore del 2001 «può integrare un tipo colposo in senso stretto, non un generico crimen culpae bensì un normale crimen culposum» oppure se «lo stesso paradigma può essere interpretato come un obbligo di condotta meramente preventivo, non tanto cautelare, quanto cautelativo orientato alla prevenzione astratta del rischio-reato»137

Con riferimento alla prima questione, ossia il rapporto che intecorre tra il reato della persona fisica e quello dell’ente, si riscontra nel dibattito l’emersione di un duplice orientamento: da un canto si prospetta la possibilità di ricostruire la fattispecie in oggetto tramite il ricorso allo schema concorsuale, individuando il contributo causale dell’ente- compartecipe nella relazione di interesse e vantaggio con il reato della persona fisica138;

135 Cfr. D. Pulitanò, voce Responsabilità amministrativa per i reati delle persone giuridiche, in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002, p. 963.

136 Cfr. G. Amarelli, I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo ed i reati in materia di sicurezza sul lavoro. Dalla teorica incompatibilità alla forzata convivenza, cit., p. 1 ss.

137 C.E. Paliero, La società punita: del come, del perché e del per cosa, cit., p. 1545.

138 Cfr. in tal senso anzitutto C.E. Paliero, La responsabilità penale della persona giuridica nell’ordinamento italiano: profili sistematici, in F. Palazzo, a cura di, Societas puniri potest. La responsabilità da reato degli enti collettivi, Cedam, Padova, 2003, p. 24 ss.; Id., La società punita: del come, del perché e del per cosa, cit., p. 1534 ss.; Id., Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 14, il quale sin

dall’inizio della vigenza del nuovo istituto con coerenza continua a sostenere: «In proposito ritengo di ribadire la prima ipotesi ricostruttiva da me a suo tempo formulata, che qualificava la responsabilità della persona giuridica come ―fattispecie plurisoggettiva di parte generale”, tipizzante una nuova ipotesi di

concorso (necessario) di persone fisiche e giuridiche nello stesso reato, fra l’altro atta […] a risolvere il

problema dell’unità o della pluralità degli illeciti. Nel senso di individuare un solo reato in cui insieme concorrono, secondo la logica dell’accessorietà ma con criteri di imputazione diversi, e l’ente e la persona fisica. In altri termini, mi pare di poter constatare che, dal punto di vista sistematico, lo schema di

dall’altro, in alternativa, si avanza l’ipotesi di qualificare l’ente quale autore di un illecito monosoggettivo la cui tipicità oggettiva viene ricavata dal contenuto omissivo della colpa di organizzazione 139.

responsabilità adottato dal legislatore del 2001 ha introdotto nel sistema penale italiano una (nuova)

fattispecie a concorso necessario, di parte generale».

Anche O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., pp. 3 ss., fa ricorso allo schema concorsuale per inquadrare il nuovo istituto, seppure con i dovuti distinguo. In particolare l’Autrice, muovendo dalla constatazione che il sistema ex 231 presuppone la commissione di un reato da parte di una persona fisica, afferma: «Più esattamente, per spiegare i rapporti tra persona fisica ed ente, si potrebbe astrattamente ricorrere allo schema concorsuale ed ipotizzare, più ancora che un’accessorietà della condotta del secondo nel reato del primo, una sorta di esecuzione frazionata: al di là delle etichette, la società coopera alla commissione del reato sul piano oggettivo poiché la persona fisica agisce come suo organo o comunque per suo conto, prima che sul piano soggettivo, dove la commissione del reato si atteggia a conseguenza della sua disorganizzazione dolosa o colposa». Nel merito però detta Autrice, dopo avere ribadito che l’istituto concorsuale è evocato dalla compresenza dell’illecito dell’ente e di quello della persona fisica, puntualizza ulteriormente: «Preme evidenziare, piuttosto, che si è di fronte a un congegno normativo in cui la responsabilità dell’ente, seppure appoggiata su quella delle persone fisiche autrici del reato, dà segnali di emancipazione da questa (…], e comunque non è più sussidiaria e/o solidale rispetto ad essa (come invece ancora nell’art. 197 c.p.)» (ivi, pp. 122-123).

A sua volta anche M. Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società o associazioni. Profili

generali, cit., p. 393 ss., riconduce la nuova responsabilità dell’ente allo schema del concorso di persone

nel reato alla luce della «responsabilità da rimbalzo» che si determina in capo all’ente per il reato commesso dalla persona fisica, senza il quale l’ente non sarebbe punibile (ivi, p. 405), nonché qualifica detta responsabilità come una forma di «concorso certamente anomalo» (p. 409 ss.), nel senso che da esso discendono due eterogenee forme di responsabilità, penale e amministrativa.

Per una ricostruzione complessiva del dibattito dottrinario relativo alla riconducibilità della responsabilità dell’ente alla fattispecie concorsuale cfr. A. Astrologo, Concorso di persone e responsabilità della persona

giuridica, cit., 1016 ss.

In giurisprudenza la tesi interpretativo-sistematica sub specie concorsuale è stata avallata dalle Sezioni Unite della Cassazione (il riferimento va alla sentenza sul ―caso Impregilo‖, estensore Milo, Cass. S.U., 27.03.2008, n. 26654, in Foro it., 2009, II, 36). Nello specifico la Suprema Corte testualmente afferma: «La responsabilità della persona giuridica è aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche che resta regolata dal diritto penale comune. Il criterio di imputazione del fatto all’ente è la commissione del reato ―a vantaggio‖ o ―nell’interesse‖ del medesimo ente da parte di determinate categorie di soggetti. V’è, quindi, una convergenza di responsabilità, nel senso che il fatto della persona fisica, cui è riconnessa la responsabilità anche della persona giuridica, deve essere considerato fatto di entrambe, per entrambe antigiuridico e colpevole, con l’effetto che l’assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuridica si inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale. Pur se la responsabilità dell’ente ha una sua autonomia, tanto che sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (art. 8, D.lgs. n. 231), è imprescindibile il suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti i suoi elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore da parte di un soggetto fisico qualificato»

139 Ad esprimere il proprio dissenso nei confronti della tesi concorsuale, tra i primi, sono stati A. Pagliaro e

A. Melchionda nel corso del convegno, tenutosi a Firenze (15-16 marzo 2002), i cui atti sono stati raccolti in: F. Palazzo, a cura di, Societas puniri potest, cit.; nello specifico, A. Pagliaro, nel corso di un suo intervento (ivi, p. 72), osserva che «nel concorso di persone abbiamo più azioni reali, più condotte reali di soggetti e da questi si forma un solo reato», invece nell’ipotesi disciplinata dal d.lgs. n.231/2001 «la condotta reale è una sola ed è quella della persona fisica e abbiamo più imputazioni di questa condotta reale a soggetti diversi, quindi la struttura è esattamente opposta a quella del concorso di persone»; dal canto suo A. Melchionda, nel corso della sua relazione Brevi appunti sul fondamento dogmatico della

nuova disciplina della responsabilità degli enti collettivi, sostiene (ivi, pp. 229-230) che «l’asserita

correlazione ―concorsuale‖ […] mal si concilia con la rilevanza e la natura del tutto ―autonoma‖, che il legislatore pare aver voluto riconoscere a questo ben specifico modello di responsabilità dell’ente» e ritiene di potere cogliere nella nuova disciplina «elementi di analogia con lo schema tipico della responsabilità commissiva mediante omissione (ex art. 40, co. 2, c.p.) e/o con quello caratteristico della posizione del direttore di giornale (ex art. 57 c.p.)». Nella prospettiva ermeneutica di Melchionda l’ente

La seconda questione, avente ad oggetto la definizione della tipologia di colpa che viene in rilievo nel sistema 231 con riferimento alla responsabilità della persona giuridica, nasce dal fatto che il modello di imputazione soggettiva per l’ente configurato dal legislatore del 2001 si presta potenzialmente ad una duplice divergente interpretazione140.

In base ad una prima interpretazione si potrebbe ipotizzare l’integrazione di un illecito di evento da decodificare secondo i canoni propri del ―tipo colposo‖ in senso stretto, per cui l’ente sarebbe chiamato a rispondere di un normale crimen culposum rispetto al quale occorrerebbe accertare un doppio nesso di causalità, ossia il nesso naturalistico intercorrente tra la condotta dell’ente e l’evento-reato commesso dalla persona fisica e quello normativo sussistente tra la violazione concreta della specifica regola cautelare ed il rischio tipico di reato di cui il reato posto in essere dall’individuo costituisce la concretizzazione141.

viene chiamato dunque a rispondere non del reato commesso dalla persona fisica, bensì di un autonomo illecito di agevolazione colposa per omissione di controllo: l’ente risponderebbe in sostanza di un vero e proprio reato omissivo colposo d’evento e il difetto organizzativo rileverebbe non sotto il profilo della colpevolezza di organizzazione bensì sul piano della tipicità oggettiva di tale fattispecie. Cfr. in tal senso anche M. Pelissero, La responsabilizzazione degli enti alla ricerca di un difficile equilibrio tra modelli

“punitivi” e prospettive di efficienza, in Leg. pen., 2003, p. 365.

Cfr. anche F. Giunta, Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli enti collettivi, cit., pp. 5-8, il quale, muovendo dal convincimento che non si possa assimilare la nuova responsabilità dell’ente allo schema concorsuale per la «mancanza di un autentico contributo causale unificatore», afferma che «nulla impedisce di ricostruire la posizione dell’ente come una responsabilità da posizione, anziché da compartecipazione». Nel merito l’Autore puntualizza che: «il novum del d.lgs. n. 231/2001 consiste più semplicemente nell’introduzione di una fattispecie pluriascrittiva eventuale, in base alla quale la responsabilità dell’ente risulta, ad un tempo, subordinata al reato realizzato dalla persona fisica e

autonoma dalla responsabilità di quest’ultima»: responsabilità subordinata significa che con i due criteri

oggettivi dell’«interesse dell’ente» e del «vantaggio per l’ente», di cui all’art. 5, «il d. lgs. n. 231/2001, facendo propria la soluzione adottata per lo più all’estero e proposta anni fa dall’art. 4, comma 2, del

Corpus juris europeo, ha ―agganciato‖ la responsabilità dell’ente alla condotta illecita dell’autore

materiale»; a sua volta «la responsabilità dell’ente risulta invece autonoma rispetto a quella della persona fisica autrice del reato, nel senso che dallo stesso fatto di reato, processualmente accertato, originano due responsabilità distinte sotto il profilo delle conseguenze e della disciplina».

Un ulteriore orientamento esprime a sua volta A. Fiorella, Principi generali e criteri di imputazione

all’ente della responsabilità amministrativa, in A. Fiorella, G. Lancellotti a cura di, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, Giappichelli, Torino, 2004, p. 19, il quale, muovendo dalla nozione di

«dominabilità soggettiva» che l’ente deve avere rispetto al reato concretamente verificatosi, sul punto afferma: «Il sistema positivo ascrive il fatto all’ente, a titolo di responsabilità amministrativa, secondo uno schema che grosso modo corrisponde a quella di un ―omesso impedimento del reato‖».

Sul punto cfr. anche De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 155, il quale osserva che nella prospettiva dell’immedesimazione organica non senbra possibile accogliere la ricostruzione della responsabilità dell’ente come «fattispecie necessariamente plurisoggettiva» avanzata da Paliero per definire, sotto il profilo dogmatico, il concorso delle due responsabilità in quanto per tal via non risulta individuabile un autonomo contributo della societas, atteso che individuo ed ente risponderebbero dello stesso fatto; detto Autore (ivi, p. 407) prospetta altresì la possibilità che la colpa di organizzazione possa essere interpretata «più che come ―vera colpevolezza‖, come l’autentico fatto della persona giuridica e costituire, pertanto, più che il criterio, l’oggetto e il contenuto del rimprovero che si muove nei suoi confronti».

140 C.E. Paliero, La società punita: del come, del perché e del per cosa, cit., p. 1545. In tal senso cfr. anche

C. Piergallini, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla struttura del “modello

organizzativo ex d.lgs. 231/2001), cit., p. 42.

In tale ipotesi l’unico elemento di eterogeneità rispetto al tradizionale modello di illecito colposo concepito con riferimento alle persone fisiche sarebbe costituito dal fatto che in questa circostanza si è in presenza di un sistema «completamente autonormato e autotutelato»142 nella misura in cui, tramite la predisposizione dei modelli organizzativi, spetta all’ente farsi promotore di quelle regole di condotta di cui esso stesso è destinatario.

In alternativa, si potrebbe invece ipotizzare che il modello di imputazione soggettiva in esame configuri in capo all’ente un illecito di rischio.

Emergerebbe così un modello che, diversificandosi rispetto al paradigma di illecito colposo proprio delle persone fisiche, risulterebbe fondato su un obbligo di condotta di carattere non cautelare bensì precauzionale, orientato alla prevenzione del rischio-reato; in tale ipotesi «la nomologica ricostruzione del nesso causale è soppiantata dalla stocastica valutazione dei tassi di aumento/diminuzione del rischio»143.

Si tratta con tutta evidenza di un nodo teoretico cruciale che attende di essere affrontato in via prioritaria, atteso che l’approfondimento di tale profilo è destinato a segnare la sorte dell’istituto della responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche tanto sul piano concettuale quanto su quello applicativo144.

Ebbene, nel tentativo di sciogliere radicalmente questo nodo gordiano in dottrina si è prospettata la tesi secondo cui occorre «privilegiare la natura cautelare del modello», che come tale va ricondotto coerentemente «nell’alveo del crimen culposum»145.

In questa logica anzitutto si invoca il dato normativo, chiamando in causa alcune significative disposizioni contemplate dal decreto 231, che proiettano l’adeguatezza prevenzionale dei modelli organizzativi in direzione dei «reati della specie di quelli verificatisi» (il riferimento va agli artt. 6, co. 1, lett. a; 7, co. 2; 12, co. 2, lett. b; 17, co. 1, lett. b), nonché sottolineando che questa opzione ermeneutica è funzionale a garantire quelle istanze di rispetto del principio di colpevolezza che lo stesso legislatore ha mostrato di volere perseguire146.

In secondo luogo si osserva che in questa prospettiva diventa possibile ancorare l’accertamento della responsabilità amministrativa da reato a quei parametri di giudizio che sono stati già ampiamente sperimentati in sede di valutazione della colpa delle

142 C.E. Paliero, Ibidem. 143 C.E. Paliero, Ibidem. 144 Cfr. C.E. Paliero, Ibidem.

145 Così C. Piergallini, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla struttura del “modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001), cit., pp. 2099-2100. Cfr. nello stesso senso, anche se in termini diversi,

A. Manna, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: il punto di vista del penalista, cit., p. 1106, laddove l’Autore puntualizza che i c.d. compliance programs si collocano «in un’ottica di recupero del principio di colpevolezza dell’ente, ed in particolare possono essere inquadrati nella c.d. misura oggettiva della colpa. Per quanto concerne, invece, la c.d. misura soggettiva della colpa, è da sottolineare come questa ―viva‖ più nei libri di testo che nella realtà, in quanto il processo di ―normativizzazione‖ della colpa penale ha, inevitabilmente, comportato un assottigliamento della misura soggettiva della colpa».

persone fisiche e che pertanto, essendo ormai ampiamente collaudati, sono più facilmente maneggiabili nel processo ad opera delle parti e del giudice147 .

Inoltre si pone l’accento sul fatto che, data la natura mista delle cautele (cautelari e cautelative) di cui i modelli organizzativi si sostanziano, la rilevanza di tali cautele in sede di giudizio di idoneità del modello varia a seconda che la valutazione di adeguatezza preventiva venga effettuata: in relazione al modello organizzativo adottato dall’ente ex ante con funzione esimente, ossia per prevenire la concretizzazione del rischio-reato e sottrarsi così all’affermazione di responsabilità a norma degli artt. 6 e 7; oppure con riferimento al modello organizzativo adottato dall’ente ex post con funzione riparatoria, ossia per ottenere una mitigazione del trattamento sanzionatorio in virtù degli artt. 12 e 17.

In particolare, quando viene in rilievo la funzione esimente al giudice spetta il compito di individuare la specifica cautela, la cui inosservanza presenta una connessione di rischio rispetto all’evento del tipo occorso, nonché verificare successivamente l’efficacia impeditiva del comportamento dovuto che è stato omesso, tenendo sempre presente che non si può sopperire al mancato reperimento di una specifica regola cautelare violata tramite il riscontro di altre lacune preventive sprovviste di un’immediata finalità cautelare con riferimento all’evento in concreto verificatosi148.

A sua volta, con riguardo alla funzione riparatoria il giudizio di efficacia preventiva del modello assume al contempo una connotazione cautelare e cautelativa, atteso che la predisposizione dei modelli organizzativi, configurandosi in questa evenienza come una condotta di ravvedimento, implica una valutazione prognostica in ordine all’idoneità a ridurre, per il futuro, il rischio di commissione di reati della specie di quello commesso (il riferimento va agli artt. 12 e 17); sicché, nella misura in cui la fase patologica (consistente nella concretizzazione del rischio-reato) si coniuga con quella prospettica (attinente al ravvedimento ex post), il giudice, muovendo dall’accertamento dello specifico reato-presupposto, è chiamato a valutare non soltanto l’idoneità preventiva delle specifiche regole ―sostanziali‖, predisposte ex novo dall’ente o aggiornate a seguito della scoperta della commissione del reato e deputate a ridurre il rischio di verificazione dell’evento, ma altresì l’efficacia cautelativa degli istituti e delle norme di comportamento che interagiscono strumentalmente con le regole cautelari propriamente dette149.

147 Cfr. C. Piergallini, ibidem.

148 Cfr. C. Piergallini, ibidem. Sul punto l’Autore, onde fugare qualsiasi dubbio, proseguendo ulteriormente

precisa: «Va sottolineato, ancora una volta, che le regole procedimentali, che designano il volto della decisione dell’ente, e gli istituti della Parte Generale del modello non rilasciano immediatamente, una

funzione autenticamente cautelare, bensì cautelativa. Le regole che disciplinano l’istituzione e il

funzionamento dell’Organismo di Vigilanza, quelle che si occupano della formazione e del sistema disciplinare, per venire, infine, alla segregazione delle funzioni, che informa le regole procedimentali, sono, in prima battuta, orientate a minimizzare i rischi (tutti i rischi) di consumazione dei reati con i quali l’ente si confronta. Hanno, dunque, una impronta cautelativa, che può, bensì, trasmutare in cautelare solo quando si dispone della prova del rilievo causale della loro violazione o della loro inadeguatezza».

149 Cfr. C. Piergallini, ivi, p. 2101. Con riferimento al riscontro di eventuali insufficienze cautelative

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