• Non ci sono risultati.

La questione dell’incapacità di azione e di colpevolezza dell’ente

LA COSTRUZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DA REATO DELL’ENTE COMPIUTAMENTE PERSONALE

1. La questione dell’incapacità di azione e di colpevolezza dell’ente

Come si sa, sotto il profilo strettamente dogmatico le obiezioni ricorrenti nel dibattito penalistico, che si oppongono al riconoscimento di un’autentica responsabilità penale delle persone giuridiche, si riepilogano nell’affermazione dei seguenti assunti: incapacità di azione, incapacità di colpevolezza, incapacità di pena, ingiuste ricadute della punizione dell’ente sui soci incolpevoli.

Data la natura artificiale e complessa della persona giuridica, muovendo dai canoni penalistici tradizionali concepiti sulla base di un modello normativo rigorosamente antropomorfico, le maggiori difficoltà per il superamento del principio societas delinquere et puniri non potest sono insorte con particolare riferimento all’incapacità di azione e all’incapacità di colpevolezza dell’ente.

In merito al primo profilo, sebbene dal punto di vista naturalistico ovviamente nessuno possa negare che le persone giuridiche ontologicamente sono incapaci di agire1, ciò non comporta che esse siano incapaci di porre in essere condotte penalmente rilevanti: «L’incapacità naturalistica di azione dei soggetti metaindividuali non esclude, in altri termini, la possibilità di ammetterne la capacità giuridica»2.

1 Cfr. in tal senso per tutti T. Padovani, Il nome dei principi e il principio dei nomi: la responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche, cit., p. 17, laddove l’Autore con riferimento alla compatibilità

dell’asserto normativo del sistema 231 con l’art. 27 co. 1 Cost. afferma: «Il significato primordiale del principio di personalità della responsabilità penale è rappresentato dal vincolo alla responsabilità per fatto proprio (autore del fatto e destinatario delle conseguenze debbono coincidere), cui si aggiunge modernamente l’esigenza che il fatto sia riferibile al suo autore secondo un criterio di colpevolezza. Ora, nel caso della responsabilità ―amministrativa‖, ma in realtà penale, delle persone giuridiche, è in discussione proprio il significato originario e primordiale del principio di personalità»; a p. 18, con riferimento al criterio organicistico, l’Autore puntualizza ulteriormente: «È inutile aggiungere che l’imputazione organica implicherebbe una sorta di immedesimazione tra il soggetto-persona fisica e l’ente tale da doversi ritenere il comportamento tenuto dal primo come proprio del secondo. Si tratta solo di metafore antropomorfiche, buone per illustrare agli studenti la ragione per cui l’ente sopporta le conseguenze dell’attività/inattività dei propri organi, ma risibili per giustificare l’accollo di una responsabilità penale, che è affare di uomini la cui personale condotta si è, o non si è, manifestata secondo la prescrizione normativa».

Pe quanto concerne la dottrina penalististica tedesca cfr. in tal senso K. Engisch, Referat zum Thema

“Empfiehlt es sich, die Strafbarkeit der Juristischen Person gesetzlich vorzusehen?”, in Verbandlungen des 40. Deutschen Juristentages, Bd. II, Tübingen, 1954, p. E 24, il quale al riguardo afferma: «Die Handlung ist ein natürliches Gebilde; handeln im Sinne eines natürlichen Handlungsbegriffs kann nur der Einzelmensch», ossia «L’azione è un fatto naturale; agire nel senso di un concetto naturalistico di azione

può soltanto l’uomo singolo» (il pensiero di quest’Autore è riportato in De Simone, Persone giuridiche e

responsabiltà da reato, cit., p. 130).

2 G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 141. Cfr. in tal senso anche C.E.

Paliero, Responsabilità delle persone giuridiche: profili generali e criteri di imputazione, in A. Alessandri, a cura di, Il nuovo diritto penale delle società, Ipsoa, Milano, 2002, p. 51, laddove l’Autore sostiene che la persona giuridica è ―normativamente‖ capace di azione; nonché M. Donini, Teoria del reato, cit., p. 259, il

Sicché sulla base del presupposto secondo cui l’ente è normativamente capace di azione, in una prospettiva di superamento delle aporie che paralizzano l’applicazione delle categorie dell’Individualstratrefrecht alla responsabilità delle persone giuridiche, nel dibattito penalistico internazionale sono state individuate fondamentalmente due vie percorribili per riconoscere all’ente l’operatività di tale capacità d’azione.

Secondo una prima impostazione si deve riconoscere in capo all’ente una capacità di azione ―indiretta‖ mediante l’imputazione dell’azione dell’individuo. In particolare il fondamento dogmatico dell’ascrizione alla persona giuridica dell’azione individuale viene diversamente ricostruito secondo quattro teorie: la teoria dell’immedesimazione organica; l’assunzione del deficit organizzativo quale criterio di collegamento tra l’ente e l’azione individuale; la qualificazione dell’ente come destinatario immediato di precetti normativi, nel senso cioè che, già de lege lata, in capo ad esso sono posti numerosi obblighi sanciti normativamente; la teoria cd. sistemica.

In base ad una diversa impostazione, invece, l’obiezione dell’incapacità di azione dovrebbe essere superata riconoscendo all’ente una capacità di azione propria ed originaria3.

Certamente, tra queste diverse soluzioni escogitate per riconoscere all’ente la capacità d’azione, quella che ha avuto maggiore seguito in dottrina è la teoria dell’immedesimazione organica, la quale, al di là dei suoi limiti, ha rivelato una «sorprendente vitalità»4 ed ha avuto il «merito storico», per quel che concerne il nostro ordinamento, di consentire «non solo di superare i dubbi di compatibilità costituzionali, ma anche di fornire una copertura teorica alla soluzione della responsabilità sanzionatoria degli enti»5 .

Sul punto va sottolineato che sussiste però una radicale diversità di opinioni per cui, mentre secondo i suoi fautori essa consentirebbe il riconoscimento in capo all’ente di una responsabilità per fatto proprio, coloro che si fanno latori dell’adozione di un modello di responsabilità originaria ritengono invece che l’idea organicistica si traduca in ultima analisi in una forma di responsabilità oggettiva per fatto altrui.

Ora, se è vero che secondo l’opinione ormai prevalente l’incapacità naturalistica di azione della persona giuridica non esclude la possibilità di riconoscerne la capacità

quale, riflettendo su tale questione, quasi alla fine del secolo scorso sosteneva che il concetto di azione non costituisse alcun ostacolo all’introduzione di un’autentica responsabilità penale delle persone giuridiche, muovendo dall’assunto che «tutte le ―generalissime‖ concezioni antropomorfiche dell’azione note dall’Ottocento a oggi, si riducono a due soli concetti normativistici», ossi l’evitabilità del comportamento illecito e l’esigibilità di quello lecito. Questo significa che sarà sempre «‖una norma‖, nel limite dei vincoli pregiuridici ritenuti obbliganti sul piano morale e politico, a stabilire i confini della indicata evitabilità ed esigibilità». Sicché: «se il legislatore – in un possibile futuro, anche quello europeo – sciegliesse di introdurre (razionali ed eque) forme di responsabilità penale degli enti, la dogmatica non glielo impedirebbe di sicuro, ma al contrario si adeguerebbe alle sue scelte»; cfr. sul punto altresì Id., Il volto

attuale dell’illecito penale, cit., p. 110.

3 Su queste diverse «vie d’uscita» individuate in dottrina nella prospettiva della costruzione di un

fondamento dogmatico della capacità d’azione dell’ente cfr. G. De Simone, Persone giuridiche e

responsabilità da reato, cit., pp. 141-167. 4 G. De Simone, ivi, p. 149.

giuridica e quindi la sua potenziale imputabilità per fatto proprio, nel faticoso processo di costruzione di una responsabilità penale dell’ente compiutamente personale gli ostacoli più difficili da superare si pongono con riferimento al principio di colpevolezza, rispetto al quale l’affermazione della responsabilità degli enti alla luce dei canoni dell’Individualstratrefrecht sembra entrare in rotta di collisione.

Sotto questo profilo addirittura si potrebbe affermare che «la storia della dogmatica della responsabilità ex crimine delle societas sia quella dei numerosi e reiterati tentativi, più o meno idonei, di trovare una via d’uscita per superare, (o perlomeno aggirare) l’ostacolo e per sottrarsi alla tirannia dello Schuldprinzip»6.

Ebbene, così come accade per la questione dell’incapacità di azione, anche con riferimento alle obiezioni che si oppongono al riconoscimento della capacità di colpevolezza dell’ente la via più agevole per superarle potrebbe sembrare ancora una volta quella del ricorso al criterio dell’immedesimazione organica per cui si imputerebbe alla societas la colpevolezza dell’individuo, ossia una colpevolezza accessoria o derivata; una soluzione, questa, che a dispetto dei suoi limiti continua a riscuotere un largo seguito in dottrina7.

Sul punto va evidenziato che tale questione nel nostro ordinamento si configura in termini particolarmente stringenti atteso che il principio nulla poena sine culpa – mentre altrove (come ad esempio in Germania) è il prodotto di una costruzione ermeneutica – risulta scolpito nell’art. 27 co. 1 Cost., la cui presenza ha certamente condizionato il processo di affermazione della responsabilità da reato delle persone giuridiche nel nostro Paese.

Significative in tal senso si rivelano le proposte di responsabilizzazione degli enti che sono emerse in dottrina all’insegna di un serrato confronto col dettato costituzionale già nei primi anni Settanta del secolo scorso, allorquando si dischiuse la stagione del ripensamento dello strumento penale alla luce dei principi desumibili dalla nostra Carta fondamentale; un’irripetibile stagione, quella, ormai lontana «nella quale era diffusa la fiducia del ceto dei giuristi (soprattutto accademici) di potere orientare il legislatore, oltre che il potere giudiziario»8 e balenava l’illusione che si potesse coniugare

6 Così G. De Simone, Persone giuridiche, responsabilità penale e principi costituzionali, cit., p. 616. 7 Cfr. In tal senso per tutti D. Pulitanò, La responsabilità “da reato” degli enti: i ciriteri d’imputazione,

cit., pp. 422-423, il quale sul punto afferma: «se la persona giuridica è costruita dall’ordinamento come capace di agire, di esercitare diritti, di assumere obblighi, di svolgere attività da cui trarre profitto, ovviamente per il tramite di persone fisiche agenti per l’ente, è nella logica di un tale istituto che all’ente possa essere ascritto sia un agire lecito che un agire illecito, realizzato nella sfera di attività dell’ente stesso. La ―capacità di colpevolezza‖ della persona giuridica, ideologicamente negata da un filone della

dottrina, è implicita nella configurazione fattuale e giuridica di un soggetto capace di agire»; nonché G.

De Vero La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 163, il quale al riguardo ribadisce che «nel sistema giuridico-positivo costruito dal d.lgs. 231/2001, già l’art. 5 vale ad assicurare il rispetto (dei due livelli) del principio di personalità della responsabilità punitiva sancito dall’art. 27 comma 1 Cost. e quindi consente di affermare che davvero societas delinquere potest».

8 M. Donini, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurisprudenza-fonte,

scientificamente dogmatica penale e politica criminale sulla base del costituzionalismo come metodo9.

In questa prospettiva vanno rivisitate e valorizzate in particolare le proposte pionieristiche avanzate in quegli anni da Bricola e Palazzo, che per sciogliere il nodo dell’incompatibilità della responsabilità degli enti con il principio di colpevolezza prospettano due originali soluzioni, centrate sul ricorso all’applicabilità di misure di sicurezza, che a dispetto della loro vetustà conservano intatta la loro pregnante attualità.

Nello specifico Bricola, pur riconoscendo le persone giuridiche capaci di azione e in quanto tali potenzialmente responsabili per fatto proprio, non ritiene praticabile il criterio dell’immedesimazione organica in ragione della ―ingombrante‖ presenza del principio di colpevolezza sancito dall’art. 27 co. 1 Cost..

In tale logica si prospetta come possibile soluzione il ricorso alle misure di sicurezza per l’imputabilità della societas, atteso che «quale che sia il presupposto applicativo della misura di sicurezza non personale, il profilo della legittimità costituzionale risulta rispettato dalla semplice circostanza che a fondamento della misura non esiste alcun elemento che trovi divieto in norme costituzionali (es. legalità, eguaglianza, diritto al lavoro, diritto di proprietà ecc.)»10.

L’Autore infatti, muovendo dall’assunto secondo cui «la teoria ―organicistica‖, se può far considerare ―proprio‖ della società un fatto realizzato dall’amministratore, non può ―inventare‖ per la società i presupposti su cui si fonda il giudizio di colpevolezza (o di rimproverabilità)», conclude con l’affermare che «il principio, costituzionale o meno, nulla poena sine culpa porta a scartare l’utizzabilità della sanzione penale stricto sensu nei confronti della società; utilizzabile è, per contro, lo strumento delle misure di sicurezza, nel cui ambito il principio ex art. 27 comma 1 viene in ogni caso assunto nel suo ―minimo‖ contenuto»11.

9 Il riferimento va all’approccio costituzionalistico come metodo che ebbe in Franco Bricola il proprio

teorico e nella sua Teoria generale del reato – nata da una voce enciclopedica pubblicata nel 1973 sul

Novissimo Digesto italiano – il suo manifesto programmatico (F. Bricola, voce Teoria generale del reato,

in Noviss. dig. it., XIX, Torino, 1973, p. 7 ss.).

Questo orientamento si è sviluppato nel nostro Paese in polemica con il tecnicismo giuridico di impronta giuspositivistica e parallelamente al dispiegarsi a livello internazionale del connubio tra dogmatica penale e politica criminale teorizzato dalla correnti di ispirazione teleologica della dottrina tedesca (dal teleologismo politico-criminale di Claus Roxin, all’orientamento alle conseguenze di Winfried Hassemer, al funzionalismo di Günter Jakobs).

Cfr. nel merito M. Donini, L’eredità di Bricola e il costituzionalismo come metodo. Radici nazionali e

sviluppi sovranazionali, in www.penalecontemporaneo.it, 21.06.2012, p. 51 ss. In particolare l’Autore in

questo scritto (che funge da prologo alla traduzione spagnola della suddetta opera dell’illustre Maestro) puntualizza: «La novità di quest’opera, ciò che la rende ancora oggi attuale e paradigmatica, è che essa vede nella Costituzione, e comunque in fonti giuridiche sovraordinate alla legge ordinaria, non solo un

limite, ma anche un fondamento al diritto penale. Nella Costituzione non ci sono solo vincoli e divieti per

il Parlamento, una sorta di ostacoli che esso dovrebbe sempre evitare, ma lì è scritto il ―volto costituzionale‖ del reato, una specie di sinopia di un affresco che la legge ordinaria porterà a opera compiuta, vincolando con disposizioni tassative l’applicazione giudiziale» (ivi, p. 53).

10 F. Bricola, Il costo del principio “societas delinquere non potest‖ nell’attuale dimensione del fenomeno societario, cit., p. 3042.

11 F. Bricola, ivi, p. 3040. In merito a questa posizione assunta da Bricola con riferimento al criterio

organicistico cfr. G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 47, il quale, muovendo dal convincimento che la teoria dell’immedesimazione organica consente di ritenere rispettati

Alla luce di questo orientamento si pone allora il quesito se «il concetto di pericolosità sociale di cui agli artt. 202 s.» si possa strutturare diversamente in relazione alle peculiarità del fenomeno societario, nonché si vaglia l’opportunità di «verificare se lo stesso sistema vigente non contenga già in sé i germi di un potenziamento delle ipotesi di pericolosità sociale»12.

Seguendo questo tracciato, si dischiude così «la possibilità di individuare misure di sicurezza applicabili alle società commerciali con riferimento all’apparato organizzativo»13 e si approda all’identificazione di «una pericolosità oggettiva, avendo la misura per oggetto una cosa, mezzi organizzativi o persone, ma in quanto membri dell’apparato organizzativo della società»14.

Sul punto in dottrina si pone l’accento sul fatto che in questa ricostruzione viene in rilievo «una pericolosità che potrebbe appuntarsi sui vari elementi che compongono l’organizzazione dell’impresa e, nei casi più gravi sull’organizzazione nel suo complesso, e che avrebbe ―carattere preparatorio rispetto a una pericolosità soggettiva, essendo l’organizzazione societaria in tali casi fonte probabile di nuovi illeciti perpetrati dagli amministatori‖»15.

Nella costruzione bricoliana quindi la carenza organizzativa avrebbe assunto la valenza di manifestazione della pericolosità oggettiva dell’impresa, per cui «la persona giuridica, in questo modo non sarebbe più stata soggetto, bensì oggetto pericoloso»16.

In sostanza si nuove dall’idea che l’ente è una ―cosa‖, ossia uno strumento pericoloso oggetto della disponibilità delle persone fisiche e come tale incapace di porre in essere ―azioni‖, per cui «la risposta del diritto penale nei suoi confronti dovrà essere orientata esclusivamente a contrastare una tale pericolosità a prescindere da qualunque valutazione i termini di antigiuridicità e di colpevolezza»17.

Questo significa nel caso concreto che «le misure applicabili dovrebbero fondarsi non su una prognosi di pericolosità avente ad oggetto la persona giuridica, ma sulla verifica della probabilità che questa sia utilizzata da persone fisiche per realizzare, in futuro, condotte penalmente illecite»18.

entrambi i livelli del principio di colpevolezza, sul punto richiama un’analoga considerazione di Alessandri ed esprime la sua perplessità nei seguenti termini: «Non si riesce a capire perché il canale di collegamento, instaurato attraverso il rapporto organico tra l’individuo e il soggetto collettivo, debba essere considerato pervio rispetto alla realizzazione dell’illecito ed essere poi improvvisamente ostruito quando si tratta di imputare al secondo gli atteggiamenti soggettivi del primo: ―o il criterio vale per entrambi gli elementi del reato, o non può valere per nessuno dei due‖».

12 F. Bricola, ivi, pp. 3040-3041. 13 F. Bricola, ivi, p. 3043. 14 F. Bricola, ivi, p. 3044.

15 Così G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 207, richiamando sul punto F.

Bricola, Il costo del principio “societas delinquere non potest‖ nell’attuale dimensione del fenomeno

societario, cit., p. 3044. 16 G. De Simone, ibidem. 17 G. De Simone, ivi. p. 137. 18 G. De Simone, ibidem.

Ebbene, alla luce di una siffatta costruzione teorica, che si rivela «per certi versi» precorritrice «del paradigma di responsabilità per fatto proprio e dell’approccio olistico alla questione», si evidenzia che «non avrebbe più molto senso, in effetti, continuare a interrogarsi circa la capacità di azione e di colpevolezza della societas per il semplice motivo che non ve ne sarebbe bisogno», atteso che le misure di sicurezza «potrebbero svolgere, senza alcuna difficoltà, la funzione che è loro propria: quella di contrastare la pericolosità oggettiva»19.

In ogni caso va sottolineato che in seguito all’intervento di Bricola nella rifessione dottrinale in oggetto si stabilì «un punto fermo di ogni futura discussione: nessun ostacolo di principio poteva opporsi in Italia all’utilizzo delle misure di sicurezza, posto che la Costituzione all’art. 25 comma 3, nel prevederle, si limita solo a circoscriverne l’applicabilità ai ―casi‖ previsti dalla ―legge‖, senza minimamente distinguere a seconda che i pericoli di nuovi reati – quel che le misure di sicurezza sono finalizzate a prevenire – scaturiscano da comportamenti delle persone fisiche ovvero dall’operato delle persone giuridiche»20.

Una diversa proposta avanza, a sua volta, Palazzo, il quale, nella prospettiva dell’affermazione di un’integrale autonomia della «responsabilità dell’associazione in quanto tale»21, anzitutto disvela l’inconsistenza teoretica dell’obiezione relativa all’incapacità di colpevolezza dell’ente.

Nel merito l’Autore si sofferma sul «doppio contenuto» di cui si sostanzia l’obiezione in questione: da un canto, opponendo allo sbandieramento dell’«ontologica incapacità delle associazioni ad esprimere una volontà colpevole», sotto il profilo della realtà psicologica, «la constatazione di fatto che la volontà sociale non è né un mito né una finzione, ma una consistente realtà»; dall’altro, negando la ragionevolezza di una concezione eticizzante della componente normativa della colpevolezza, la quale finirebbe aprioristicamente per rapportare la colpevolezza e la conseguente pena in modo esclusivo alla persona fisica e sottrarrebbe al diritto penale «ogni compito di prevenzione speciale»22.

Nondimeno con riferimento alle obiezioni relative alla natura delle eventuali sanzioni irrogabili all’ente questi si dichiara dell’avviso che le difficoltà sono di una tale consistenza «da giustificare il rifiuto della soluzione della responsabilità dell’associazione in quanto tale»23.

Muovendo da questo assunto teoretico, detto Autore prospetta la tesi dell’applicabilità di misure di tipo rieducativo nei confronti delle imprese economiche sulla base di una loro pericolosità direttamente desumibile dall’art. 42, co. 3 Cost.

19 G. De Simone, ivi, p. 208.

20 Così G. Marinucci, ―Societas puniri potest‖: uno sguardo sui fenomeni e le discipline contemporanee,

cit., p. 1204. Contro la possibilità di fare ricorso alle misure di sicurezza si professa invece A. Alessandri,

Reati d’impresa e modelli sanzionatori, Milano, 1983, p. 60 ss.

21 F.C. Palazzo, Associazioni illecite ed illeciti di associazioni, cit., p. 439. 22 F.C. Palazzo, ivi, p. 440.

In particolare, alla luce del criterio del costituzionalismo come metodo, in una logica di prevenzione speciale si sostiene che «la Costituzione fornisca le linee direttive per ricavare la nozione della pericolosità criminale, che costituisce il pilastro fondamentale di un sistema penale rieducativo» e sulla base di tale presupposto si delinea un’originale proposta ermeneutica, secondo la quale sarebbe desumibile una «fattispecie di pericolosità criminale» non solo in relazione alla «pericolosità criminale individuale» ex art. 27 co. 3 Cost. ma anche con riferimento alla pericolosità delle «imprese economiche che si siano rese responsabili di illeciti attinenti alla gestione economica o alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana (art. 41/2 Cost.), poiché la natura sociale del nostro Stato è tale da autorizzare interventi autoritativi, anche modificativi, sui soggeti operanti nel settore dell’economia privata»24.

Outline

Documenti correlati