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LA RESPONSABILITÀ DA REATO DELLE ORGANIZZAZIONI COMPLESSE NELLA LOGICA PRECAUZIONALE

1. Il monito della dottrina per la responsabilizzazione delle organizzazioni complesse nei contesti di rischio da ignoto scientifico-tecnologico

1.3. Riconsiderazione critica del monito dottrinario

Così focalizzato l’iter argomentativo di cui si sostanzia il monito dottrinario per la valorizzazione della responsabilità degli enti, si intende adesso riconsiderarlo criticamente riflettendo su come darvi seguito e mettendo in guardia dagli inconvenienti cui una sua non meditata applicazione potrebbe condurre.

Dalla sintetica ricognizione appena svolta in ordine ad alcune delle voci dottrinali che si sono espresse sul tema emerge che l’indirizzo di pensiero in commento si fonda in generale su un duplice ordine di motivazioni.

Anzitutto, la questione della valutazione e della gestione del rischio da incertezza scientifica riguarda fondamentalmente le organizzazioni complesse impegnate nello svolgimento di attività produttive d’avanguardia.

Questi enti, nella misura in cui dispongono delle capacità organizzative e delle risorse finanziarie necessarie per lo svolgimento di tali attività di impresa, si trovano nelle condizioni di potere meglio adempiere a quei doveri di aggiornamento rispetto al progresso della scienza e di adeguamento alle innovazioni tecnologiche di cui si sostanzia il generale dovere di diligenza nei contesti in esame.

Inoltre, lo strumento della responsabilità delle persone giuridiche, dato il carattere di flessibilità che lo connota rispetto alle categorie penalistiche tradizionali, rende più semplice soddisfare le esigenze di tutela emergenti nei settori contraddistinti da incertezza scientifica.

Nella misura in cui la responsabilità degli enti implica di per sé un certo margine di elasticità rispetto ai postulati penalistici classici concepiti con riferimento agli individui, le difficoltà probatorie ricorrenti nei contesti in esame relativamente all’accertamento degli elementi costitutivi della responsabilità penale risultano più agevolmente superabili in relazione alle persone giuridiche proprio perché si tratta non di persone in carne ed ossa bensì di soggetti artificiali.

Attesa l’inconfutabilità di queste premesse, la sollecitazione ad una maggiore responsabilizzazione degli enti nei contesti di rischio da ignoto scientifico-tecnologico

34 G. Morgante, ivi, p. 13.

rappresenta dunque l’indicazione più ragionevole che la dottrina possa rivolgere al legislatore ed alla giurisprudenza.

Nondimeno l’iter argomentativo in questione, a dispetto del rigore logico delle sue premesse e della coerenza dei risultati cui approda, nasconde tra le sue pieghe un inconveniente piuttosto significativo: il monito dottrinario di cui si discute, in assenza di un’adeguata riflessione sulle implicazioni della sua praticabilità, potrebbe sfociare in un’estensione sconfinata della responsabilità degli enti e, parallelamente, nella completa deresponsabilizzazione delle persone fisiche.

Da un canto, infatti, l’affermazione secondo cui nei contesti di rischio da ignoto scientifico-tecnologico le regole di condotta, e le sanzioni che ne presidiano il rispetto, devono essere primariamente indirizzate agli enti, sebbene giustificata dalla circostanza che questi ultimi si trovano nelle condizioni per potere meglio adempiere al dovere di valutazione e gestione del rischio, può potenzialmente degenerare nell’imposizione a carico delle organizzazioni complesse di un dovere di diligenza dal contenuto onnicomprensivo.

Dall’altro, l’argomentazione secondo cui le semplificazioni probatorie inammissibili nei confronti degli individui risulterebbero legittime se operate in relazione agli enti, per quanto fondata sul carattere di intrinseca flessibilità che connota lo statuto della responsabilità delle persone giuridiche rispetto alle categorie penalistiche classiche, potrebbe dare adito a pericolose strumentalizzazioni funzionali a fare gravare interamente sugli enti il costo dell’incertezza scientifica.

In definitiva, combinando il profilo sostanziale della formulazione di precetti cautelari dalla portata indefinita ed il profilo processuale dell’ammissibilità di semplificazioni probatorie in sede di accertamento della violazione di quei precetti, diventa concreto il pericolo di fare dello strumento della responsabilità degli enti una panacea di tutti i mali della società del rischio: la responsabilizzazione delle organizzazioni complesse finirebbe in questo modo per essere concepita come un “ombrello” protettivo atto a ricoprire potenzialmente qualsiasi fattore di rischio emergente nei contesti di incertezza scientifica.

Un simile esito interpretativo deve essere fermamente scongiurato per un duplice ordine di ragioni.

Anzitutto, sul piano della teoria generale del reato, non si può ammettere che per assicurare il pieno rispetto delle garanzie penalistiche in relazione a certi soggetti dell’ordinamento se ne tolleri la violazione nei confronti di altri. A dispetto della natura artificiale delle persone giuridiche, i principi garantistici classici pensati con riferimento agli individui dovrebbero valere, per quanto in misura inevitabilmente più attenuata e con gli opportuni adattamenti, anche rispetto agli enti, non potendosi avallare una cedevolezza incondizionata dello statuto della responsabilità penale delle persone giuridiche rispetto alle esigenze di difesa sociale; a ritenere diversamente, risulterebbero perpetrate nei confronti degli enti quelle stesse ingiustizie che oggi – si denuncia – vengono commesse nella prassi applicativa con riguardo alle persone fisiche in termini di violazione delle garanzie suddette.

Inoltre, l’avallo di una forma di responsabilità degli enti dai contenuti sostanzialmente illimitati si rivelerebbe deleterio, oltre che in termini di tenuta delle garanzie fondamentali dell’ordinamento, anche sotto il profilo della stabilità del sistema socio- economico: un’estensione non adeguatamente circoscritta della portata applicativa di questo strumento finirebbe per comprimere ingiustificatamente la libertà di impresa con un impatto potenzialmente devastante sull’economia e sulla società.

Occorre dunque evitare che l’appello alla valorizzazione della responsabilità degli enti, ispirato alla pur condivisibile istanza di evitare le forzature della categorie penalistiche in atto nei confronti delle persone fisiche, conduca alla panpenalizzazione incontrollata degli enti, con il rischio di ridurli, come efficacemente è stato osservato, a «pattumiera della moderna criminalizzazione»36.

Posta dunque la necessità di riflettere su come sostanziare di contenuti i due assunti del potenziamento della colpa di organizzazione e dell’autonomizzazione della responsabilità degli enti senza incorrere negli inconvenienti anzidetti, per potere sviluppare con coerenza un percorso di ricerca sul tema si rende necessario contestualizzare la questione della responsabilità delle organizzazioni complesse entro l’orizzonte teorico più generale del diritto penale del rischio e, nello specifico, della definizione del ruolo potenzialmente ascrivibile allo strumento penalistico in sede di regolazione dei contesti di rischio da ignoto scientifico-tecnologico.

36 Cfr. A. Sereni, Causalità e responsabilità penale. Dai rischi d’impresa ai crimini internazionali,

Giappichelli, Torino, 2008, p. 191, il quale nel merito precisa che «la stessa responsabilità della persona giuridica non può diventare il veicolo alternativo, il punto di raccolta di tutto ciò che viene rifiutato per la persona fisica: una sorta di ―pattumiera‖ della moderna criminalizzazione. Ecco che l’opzione di accollare solo all’ente figure di reato ―problematiche‖ per la persona umana non sembra scelta di politica criminale condivisibile». In tal senso detto Autore afferma altresì: «Dunque sono da rifiutare, a nostro avviso, per la loro preoccupante assolutezza, slogan del tipo ―prevenzione ad ogni costo e a tutto campo‖, ovvero programmi di intervento fondati sull’idea che, rispetto alle società, si possano esercitare un’ingerenza collettiva e una ―violenza‖ sanzionatoria ―inimmaginabili‖ rispetto alle persone fisiche» (ivi, p. 101). Sembra esprimere le stesse preoccupazioni F. Giunta, Attività bancaria e responsabilità ex crimine degli

enti collettivi, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, p. 8, il quale, commentando nello specifico la disciplina di

cui all’art. 8 del d.lgs. n. 231/2001, osserva che l’affermazione di autonomia della responsabilità degli enti contenuta in questa norma «non significa, però, che ove l’autore rimanga ignoto, l’art. 8 legittima una sorta di semplificazione dell’accertamento processuale del reato, dato che un siffatto epilogo comporterebbe – tra l’altro – una caduta della garanzia della legalità, che come si diceva, il diritto punitivo degli enti mutua dalla legge penale». Sulla necessità di assicurare il rispetto delle garanzie penalistiche anche nei confronti degli enti e non solo degli individui cfr. altresì G. Amarelli, I criteri oggettivi di ascrizione del reato

all’ente collettivo ed i reati in materia di sicurezza sul lavoro, in www.dirittopenalecontemporaneo.it,

19.04.2013, p. 23, il quale, sia pure con specifico riferimento alla tendenza prevalente in giurisprudenza ad adattare forzatamente i criteri dell’interesse e del vantaggio alla fattispecie colposa di cui all’art. 25 septies rapportandoli alla sola condotta anzicchè al reato complessivamente inteso (e comprensivo dell’evento), afferma che una siffatta prassi interpretativa costituisce «un pericoloso inizio di un’attività di depauperamento delle garanzie per il settore della responsabilità degli enti»; depauperamento rispetto al quale la dottrina dovrebbe adottare un approccio più critico atteso che «Un atteggiamento eccessivamente passivo lascia passare il messaggio che in questo campo i principi fondamentali del diritto penale, teoricamente intoccabili, siano meno vincolanti che altrove e che, anzi, possano essere tranquillamente flessibilizzati. Trattandosi, pur sempre, di diritto penale, riteniamo che una maggiore attenzione ad essi ed al loro rispetto non guasterebbe affatto».

A tal fine si ritiene opportuno soffermarsi preliminarmemte sul fenomeno dell’espansione del diritto penale nella società postindustriale, che annovera tra le sue concause l’irruzione della logica del rischio e del principio di precauzione.

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