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L’affermazione del principio Societas delinquere et puniri potest

IL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE NEL SISTEMA 231 ALLA LUCE DEL DIBATTITO DOTTRINALE

1. L’affermazione del principio Societas delinquere et puniri potest

La questione della responsabilità penale delle persone giuridiche, ossia il quesito se sia «dogmaticamente sostenibile, e ragionevole sul piano politico-criminale, la previsione di un’autentica responsabilità penale dell’impresa»1, si pone al centro dell’odierno dibattito penalistico e può essere annoverata tra i grandi temi della modernità con cui il diritto penale di una Risikogesellschaft globalizzata è chiamato a rapportarsi.

Come è noto, l’affermazione del principio Societas delinquere et puniri potest trova la sua ragion d’essere nella nozione di corporate crime, che attraverso una lunga e laboriosa riflessione dottrinaria (dispiegatasi dapprima e anzitutto nei sistemi di Common

1 Così G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 20, richiamando il dilemmatico

quesito che continua a riproporsi ancora oggi B. Schϋnemann in Id., Responsabilidad penal en el marco de

la empresa. Dificultades relativas a la individualización de la imputación, in Anuario de Derecho Penal y Ciencias Penales, 2002, p. 22.

law2) è stata sostanziata da solide argomentazioni sia sul versante politico-criminale3 sia sotto il profilo strettamente dogmatico4.

2 Per un’ampia ed esaustiva ricostruzione della questione della responsabilità degli enti negli ordinamenti

di Common law cfr. C. de Maglie, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Giuffrè, Milano, 2002, la quale si sofferma diffusamente sul fenomeno per cui in questi sistemi giuridici l’esigenza di contrastare la criminalità d’impresa si afferma precocemente, dapprima nella prassi giurisprudenziale e successivamente attraverso un’elaborazione teorica che sfocia nell’affermazione della responsabilità penale delle persone giuridiche sul piano legislativo; l’Autrice tra l’altro riconduce al sistema statunitense il primo riconoscimento di questa forma di responsabilità, facendolo risalire addirittura alla celebre

sentenza New York Central & Hudson River del 1909 la quale «costruisce una piena responsabilità penale

delle persone giuridiche anche per quelle fattispecie caratterizzate dall’elemento soggettivo» (ivi, p. 14). Per una diversa ricostruzione storica che attribuisce al Regno Unito la paternità della prima sentenza di condanna penale di una persona giuridica cfr. infra Cap. V, § 2.

3 Cfr., ex multis, C. de Maglie, ivi, pp. 245-299. Sul punto l’Autrice, al di là dei diversi profili che vengono

tematizzati come potenzialmente criminogeni (quali: il fenomeno del gruppo, l’elemento della segretezza nell’organizzazione, gli scopi dell’organizzazione, il contesto sociale in cui si svolge l’attività d’impresa) pone l’accento sul dato oggettivo per cui «in un’economia capitalista la criminalità delle imprese è intimamente e imprescindibilmente correlata con lo scopo della massimizzazione dei profitti» (p. 259). Ciò significa che nella logica ferrea del principio della libera concorrenza quasi fisiologicamente si manifesta la tendenza a forzare le regole con il conseguente rischio che si generi il comportamento illecito. Si tratta di un carattere che connota geneticamente il sistema economico capitalista ma che si palesa con virulenza allorquando detto sistema entra in crisi e si pone alla ricerca di nuovi equilibri, come viene paradigmaticamente testimoniato dalla crescita esponenziale della criminalità d’impresa nell’odierno processo di metamorfosi della grande azienda capitalista. Da questo dato di fatto emergono pertanto tutte le insufficienze di un controllo affidato esclusivamente al ramo civilistico e a quello amministrativo dell’ordinamento nonché l’ineludibile necessità del ricorso allo strumento penale a tutela dei beni giuridici fondamentali, sia pure nel rispetto del principio dell’extrema ratio; sul punto la suddetta Autrice perviene alla conclusione che: «Solo il diritto penale è in grado di lasciare lo stigma: gli altri rami dell’ordinamento hanno ―diversi linguaggi e diversi significati sociali‖, che non riescono a comunicare la condanna morale» (Ead., ivi, p. 295).

Cfr. altresì C.E. Paliero, La società punita: del come, del perché, e del per cosa, cit., pp. 1516-1519, laddove l’Autore, riepilogando le «rationes economico-culturali» che si pongono a fondamento della necessità della costruzione di un modello autonomo di responsabilità dell’ente, pone l’accento su tre elementi: «la natura necessariamente plurisoggettiva e policentrica della criminalità d’impresa»; la criminalità economica in quanto «forma di illegalismo strutturalmente collegato all’ente come soggetto

stabilmente organizzato»; nonché il fatto che «la criminalità economica, tipicamente, abbraccia una sfera

di (soli) Bereicherungsdelikte, di ―delitti di arricchimento‖, o di profitto, ma forse addirittura di

Begierdelikte, delitti di cupidigia».

4 Il dibattito teoretico sulla costruzione del fondamento dogmatico della responsabilità penale delle persone

giuridiche nel nostro ordinamento si identifica sostanzialmente con le variegate tesi dottrinarie elaborate nel corso del serrato confronto con i principi sanciti dall’art. 27 Cost. (ossia, il principio di personalità della responsabilità penale di cui al comma 1 e il principio del finalismo rieducativo della pena di cui al comma 3), avviatosi nel nostro Paese nel corso degli anni ’70, che ha avuto quali suoi antesignani F. Bricola (vd. Id., Il costo del principio ―societas delinquere non potest‖ nell’attuale dimensione del

fenomeno societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, p. 951 ss. nonché in S. Canestrari, A. Melchionda, a

cura di, Scritti di diritto penale, vol. II, Parte speciale e legislazione complementare. Diritto penale

dell’economia, Tomo II, Diritto penale dell’economia, Giuffrè, Milano, 1997, p. 2975 ss.) e F. Palazzo

(vd. Id, Associazioni illeciti ed illeciti di associazioni, in Riv. it. dir proc. pen., 1976, p. 418 ss.); cfr. più diffusamente sul punto infra Cap. IV, § 1.

Ex multis, cfr. C. de Maglie, L’etica e il mercato, cit., pp. 303-395; G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in C.F. Grosso, T. Padovani, A. Pagliaro, a cura di, Trattato di diritto penale. Parte Generale, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 31-67; G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., pp. 35-230. Per una ricostruzione dei termini di questo dibattito cfr. altresì G. De Simone, Persone giuridiche, responsabilità penale e principi costituzionali, in Criminalia, 2010, p. 605 ss, laddove

l’Autore, procedendo ad una ricostruzione sia pure sintetica delle diverse posizioni dottrinarie, traccia un’efficace quadro dello stato dell’arte, passando in rassegna le diverse obiezioni e le correlative repliche che nel dibattito sono emerse circa la supposta incompatibilità della responsabilità penale delle persone

Nei Paesi dell’Europa continentale però questo principio, ostacolato dalla tradizione di civil law5, ha tardato ad attecchire trovando nel canone della personalità della responsabilità penale una barriera insormontabile6, fino a quando nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso non si è manifestata un’inversione di tendenza, che si è presto concretizzata in una frenetica successione di riforme legislative7 rivolte a superare definitivamente l’ormai logoro brocardo societas delinquere non potest.

Una siffatta svolta su scala europea nelle scelte di politica criminale, decisamente orientata a privilegiare la responsabilità collettiva rispetto a quella individuale, lungi dall’essere un fenomeno estemporaneo, costituisce l’espressione di un ―mutamento di paradigma‖ che affonda le sue radici nelle trasformazioni strutturali dell’odierna fase di

giuridiche con il divieto di responsabilità per fatto altrui (ossia l’accezione cd. minima del principio di cui all’art. 27 co. 1 Cost.), il principio di colpevolezza e il finalismo rieducativo della pena.

5 Cfr. C. Piergallini, Societas delinquere et puniri non potest: la fine tardiva di un dogma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, p. 573, il quale sul punto rileva: «Nella strenua difesa della cittadella del ―Societas”, un

ruolo preponderante hanno avuto, nell’area dell’Unione europea, gli ordinamenti a più robusta tradizione dogmatica: segnatamente quello italiano, tedesco, greco e spagnolo, ostinatamente legati, per ragioni ideologiche e dogmatiche, a una concezione ―individualistica‖»; e, continuando, riepiloga le «cicliche obiezioni al superamento del dogma» in questione nei seguenti termini: «L’ostracismo alla responsabilità penale degli enti collettivi, sub specie di societas delinquere non potest, viene fondato: 1) sull’incapacità

di azione dell’ente, 2) sull’incapacità di colpevolezza; 3) sull’ingiustizia della punizione rispetto ai soci incolpevoli e sul rischio della doppia punizione; il societas puniri non potest impinge sull’inattitudine

dell’ente ad essere soggetto passivo di una sanzione criminale (cd. insensibilità alla pena)» (ivi, p. 576).

6 Ex multis, cfr. M. Romano, Societas delinquere non potest (Nel ricordo di Franco Bricola), in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 1036, il quale nel merito afferma: «Sul piano giuridico-formale io ritengo sia da

ribadire che la responsabilità propriamente penale delle persone giuridiche trovi ancora, nel momento attuale, un ostacolo insuperabile nell’art. 27, co. 1° Cost.. E francamente non credo sia buona tattica, per chi auspichi un cambiamento nel senso del pieno abbandono del principio stesso, sorvolare su questo dato. L’innegabile impronta etica che il diritto penale ha sempre posseduto nelle intese normative anche costituzionali porta a riconoscere che nel nostro ordinamento la personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 cit. si radica, prima ancora che su una colpevolezza, su un insieme di fattori fisio-psichici che la colpevolezza stessa presuppone, identificabili solo in capo a persone fisiche».

Di opinione diversa C.E. Paliero, La fabbrica del Golem. Progettualità e metodologia per la «Parte

Generale» di un Codice Penale dell’Unione Europea, cit., p. 499, il quale, qualche tempo prima che

sopravvenisse l’intervento riformatore del legislatore del 2001, constatava: «Nel sistema penale in senso stretto una responsabilità diretta della persona giuridica è stata finora esclusa agitando il feticcio dell’incompatibilità con il principio costituzionale della personalità della responsabilità (art. 27 co. 1° Cost.). Ed è questo, invero, l’unico caso in cui l’orientamento costituzionale del sistema penale italiano ha svolto un ruolo frenante e conservatore, anziché progressista, vale a dire di adeguamento dello strumento penale alle moderne esigenze politico-criminali».

Sul punto cfr. altresì D. Pulitanò, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri di imputazione, in Riv.

it. dir. proc. pen., 2002, pp. 422-423, il quale, richiamando un’osservazione di K. Tiedemann ―in

quest’ordine di idee‖, afferma: «Andando alla radice: se la persona giuridica è costruita dall’ordinamento come soggetto capace di agire, di esercitare diritti, di assumere obblighi, di svolgere attività da cui trarre profitto, ovviamente per il tramite di persone fisiche agenti per l’ente, è nella logica di un tale istituto che all’ente possa essere ascritto sia un agire lecito che un agire illecito, realizzato nella sfera di attività dell’ente stesso. La “capacità di colpevolezza” della persona giuridica, ideologicamente negata da un

filone della dottrina, è implicita nella configurazione fattuale e giuridica di un soggetto capace di agire». 7 Cfr. sul punto G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., pp. 24-29, laddove

l’Autore traccia un quadro sintetico del movimento riformatore dispiegatosi in numerosi Paesi europei, cui ha fatto da battistrada la riforma del code pénal del 1994 con la quale è stata introdotta la responsabilità penale delle personnes morales nell’ordinamento francese.

sviluppo del sistema capitalistico globalizzato, le quali hanno messo irreversibilmente in crisi il ricorso alle categorie sistematiche dell’Individualstrafrecht.

Muovendo dalla constatazione che alla radice della fenomenologia della criminalità d’impresa si riscontra quale costante «denominatore comune» la violazione di regole al fine di massimizzare il profitto o perlomeno minimizzare le perdite, si è diffusa ormai la consapevolezza che «il reato a contenuto economico può essere controllato dal diritto solo se le strutture operanti nel mercato sono poste nella situazione di non doverlo (non poterlo) più ritenere una opzione commerciale conveniente»; ne deriva un mutamento di paradigma per cui l’intervento giuridico per essere efficace deve rivolgersi direttamente all’impresa8.

In particolare una siffatta necessità si rivela ineludibile allorquando il reato è commesso all’interno delle organizzazioni complesse, dove il potere di decisione risulta parcellizzato e l’individuazione del reo si deve necessariamente rapportare alla struttura policentrica dell’organizzazione, articolata in unità funzionali dislocate verticalmente ed orizzontalmente e investita (come altrove si è detto) dal fenomeno della deverticalizzazione; questa inedita situazione oggettiva, peculiare della post-modernità, fa emergere in tutta la sua evidenza il fatto che «il problema della prevenzione del rischio reato, negli enti collettivi, non è tanto un problema di persone, ma soprattutto di ―organizzazione della organizzazione‖»9.

Sicché, nel contesto della complessa fenomenologia dell’odierna criminalità d’impresa e in relazione al decentramento dei processi decisionali che connota la struttura organizzativa della grande azienda capitalistica, si prospetta adesso un curioso contrappasso in merito al principio di personalità della responsabilità penale: «diventa lecito chiedersi se non sia per caso la responsabilità penale individuale ad ―usurpare‖ una personalità dell’illecito che, nella dimensione empirico-criminosa, sembra appartenere invece pressoché interamente – o comunque in misura sempre crescente – all’ente collettivo»10.

Ebbene, l’intervento riformatore del 2001 introduce anche nel nostro Paese la responsabilità degli enti per fatti criminosi affiancando all’area tradizionale dell’illecito penale e a quella più recente dell’illecito amministrativo punitivo11 un tertium genus,

8 Cfr. A. Carmona, Premesse a un corso di diritto penale dell’economia. Mercato, regole e controllo penale nella postmodernità, Cedam, Padova, 2002, pp. 206-207.

9 C. Piergallini, Colpa di organizzazione e impresa, in M. Donini, R. Orlandi, a cura di, Reato colposo e modelli di responsabilità, B.u.p., Bologna, 2013, p. 163, ove con la formula ―organizzazione

dell’organizzazione‖ l’Autore, richiamando la teoria ―sistemica‖ di N. Luhmann (sviluppata in

Organizzazione e decisione, cit.) si riferisce al fatto che «per poter decidere l’organizzazione, come

sistema ―artificiale‖, deve necessariamente organizzarsi» (ivi, p. 162).

10 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit. p. 9.

11 Il riferimento va al cd. ―codice‖ della responsabilità per l’illecito punitivo-amministrativo di cui alla l.

689/1981. Sul punto va detto subito che nel dibattito avente ad oggetto la natura giuridica della responsabilità degli enti (cfr. nel presente Cap. § 2) si è sollevata pure la questione se al nuovo istituto introdotto dal legislatore del 2001 fossero applicabili o meno i principi e le regole dettate dalla suddetta legge-quadro del 1981 in materia di illecito amministrativo. Siffatta ipotesi è stata scartata muovendo dalla considerazione che con la riforma del 2001 il legislatore ha dato vita ad un «sistema virtualmente autonomo»; al riguardo cfr. L. Stortoni, D. Tassinari, La responsabilità degli enti: quale natura? Quali

contraddistinto (secondo quanto si puntualizza nella Relazione di accompagnamento al decreto) da una duplice natura per cui si combinano i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di coniugare le istanza di efficacia preventiva con quelle garantistiche12.

Sotto la pressione derivante dalle convenzioni internazionali13 e dalla circolazione dei modelli giuridici con cui altrove viene disciplinato il rapporto tra economia e diritto, anche nella nostra cultura giuridica si infrange così un tabù che in molti si ostinavano ancora a ritenere inviolabile, nonostante ormai da tempo ne sia stato svelato il carattere essenzialmente profano14.

soggetti?, in Ind. pen., 2006, pp. 11-12, i quali nel merito rilevano: «La tesi dell’applicazione delle regole

generali dell’illecito amministrativo al settore della responsabilità degli enti incontra […] significativi ostacoli interpretativi: questi sono anzitutto ravvisabili nel fatto che […] il d.lgs. 231 del 2001 già contiene una propria parte generale, perfettamente autonoma e per ciò stesso non sovrapponibile ad altre regole ―comuni‖ fissate altrove».

12 Cfr. Relazione al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in A. Presutti, A. Bernasconi, C. Fiorio, a cura di, La responsabilità degli enti. Commento articolo per articolo al d.legisl. 8 giugno 2001, n. 231, Cedam,

Padova, 2008, p. 11.

13 Il riferimento va agli Atti internazionali elaborati in base all’art. K.3 del Trattato sull’Unione europea: la Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee, siglata a Bruxelles il 26 luglio 1995; il primo

Protocollo di quest’ultima, siglato a Dublino il 27 settembre 1996; la Convenzione relativa alla lotta

contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, siglata a Bruxelles il 26 maggio 1997; il secondo Protocollo della Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (P.I.F.) predisposto il 19 giugno 1997; la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri, firmata il 17 dicembre 1997.

Sul punto cfr. C.E. Paliero, Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri

potest), in Corriere giuridico, 2001, 7, p. 845; C. de Maglie, L’etica e il mercato, cit., pp. 237-239; De

Simone, Persone giuridiche, cit., pp. 305-307; De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., pp. 103-111.

14 Sul punto, all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso F. Bricola, Il costo del principio ˝societas

delinquere non potest˝ nell’attuale dimensione del fenomeno societario, cit., pp. 951-1031 si esprimeva in questi termini: «il principio societas delinquere non potest non ha un valore ontologico ma è espressione della forza delle leggi del potere economico: ove questa non viene in gioco, il principio si sfalda, come dimostrano i vari tentativi di incriminare gruppi associativi a sfondo politico».

Sul punto Cfr. G. Marinucci, Ricordo di Franco Bricola, in S. Canestrari, a cura di, Il diritto penale alla

svolta di fine millennio, Atti del Convegno in ricordo di Franco Bricola (Bologna, 18-20 maggio 1995),

Giappichelli, Torino, 1998, pp. 8-9, il quale, annoverando Bricola «tra i maestri del diritto penale dell’economia», gli attribuisce il merito di avere aperto nel nostro Paese il dibattito in questione sin dal 1971 «con la consueta lungimiranza»; cfr. anche Id., La responsabilità penale delle persone giuridiche.

Uno schizzo storico-dogmatico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 445 ss. (nonché in M. Bertolino, G.

Forti, a cura di, Scritti per Federico Stella, Jovene, Napoli, 2007, p. 573 ss.), laddove, nel delineare il profilo storico-dogmatico della questione in oggetto, l’Autore esordisce nei seguenti termini: «La persona fisica, non la persona giuridica, può commettere reati: societas delinquere non potest. È un’idea che la dottrina penalistica contemporanea dell’Europa continentale ha spesso presentato come ovvia e con radici antichissime, anche se il broccardo che la racchiude ha di vetusto soltanto la lingua nella quale è stato espresso: la sua formulazione non può farsi risalire oltre il diciottesimo secolo o la prima metà del diciannovesimo, avendo dominato nei sette secoli precedenti l’opposta idea universitas delinquere et

puniri potest»; e successivamente, a conclusione dello svolgimento della sua tesi a sostegno della

punibilità delle persone giuridiche, chiama in causa la «stringente ragione giuridica» avanzata da H.H. Hirsch, ossia il principio di uguaglianza.

In questa prospettiva di una generale visione storica del problema cfr. altresì M. Delmas Marty, Dal codice

penale ai diritti dell’uomo, a cura di F. Palazzo, trad. di F. Bernardi, Giuffrè, 1992, p. 45, la quale,

riflettendo sui corsi e ricorsi di talune opzioni di politica criminale, coglie nell’idea di una responsabilità penale degli enti collettivi «un ritorno all’antico», ossia il riscorso ad uno strumento la cui efficacia è stata

Nata nel solco tracciato dal Progetto Grosso15 (che al tema della responsabilità delle persone giuridiche riserva l’intero Titolo VII), la riforma introdotta con il modello di responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, varata con il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (in attuazione della delega di cui all’art. 11, l. 29 settembre 2000, n. 300), segna una svolta irreversibile nell’aspra contesa in commento, risolvendola definitivamente nel senso della dichiarazione di punibilità degli enti; nondimeno tale momento di svolta, nella misura in cui restano ancora irrisolti taluni nodi dogmatici fondamentali, costituisce di fatto solo una tappa, anche se decisiva, nel percorso dell’acceso confronto che ha accompagnato la genesi del nuovo istituto e continua a scandirne il faticoso processo di affermazione.

Sotto il profilo teorico generale con tale riforma si registra l’affermazione di un modello di responsabilità delle persone giuridiche che «nasce all’insegna dell’interdisciplinarità, del multiculturalismo dogmatico e normativo», le cui radici «si diramano in terreni giuridici tra loro culturalmente assai distanti»16.

Esso si configura come una sorta di microcodice, sia di diritto sostanziale che di diritto processuale, calibrato con specifico riferimento agli enti e connotato da un carattere di indubbia originalità rispetto all’intero panorama penalistico europeo17; in tal senso si può affermare che di fatto vengono poste le basi per la costruzione di un diritto penale dell’impresa autonomo dal codice penale18.

già storicamente sperimentata prima dell’avvento dell’«accentuato individualismo del diritto rivoluzionario».

15 Cfr. Progetto preliminare di riforma del codice penale nonché Relazione della Commissione presieduta

dal prof. C.F. Grosso in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, rispettivamente p. 574 ss e p. 643 ss.

16 G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 308. Nel merito l’Autore

puntualizza (pp. 308-311): la radice dommatica, individuata nella colpevolezza di organizzazione, è riconducibile a Tiedemann, che la teorizzò intorno alla fine degli anni ’80 del secolo scorso; la radice dei

modelli di organizzazione di cui agli artt. 6 e 7, che sostanziano di contenuti la colpevolezza di

organizzazione, va identificata nel modello statunitense dei compliance programs definito nelle Federal

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