LA TENSIONE EVOLUTIVA DEL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE ALLA LUCE DELLA RESPONSABILITÀ COLLETTIVA DA DELITTO COLPOSO D’EVENTO
3. Il contributo del formante giurisprudenziale
3.2. La rilevanza della sentenza delle S.U sul caso Thyssenkrupp
3.2.3. Il paradigma di imputazione soggettiva all’ente del fatto-reato colposo
Con riferimento al paradigma di imputazione soggettiva all’ente del fatto-reato colposo si riscontra che l’esperienza giurisprudenziale, a seguito dell’ampliamento in tal senso del catalogo dei reati presupposto del sistema 231, è intervenuta, «giocando un importante ruolo di formante propulsivo del modello, su alcuni dei profili strutturali più controversi, principalmente relativi: da un lato, al rapporto di compatibilità funzionale tra i reati colposi e il criterio oggettivo di imputazione; dall’altro lato, al contenuto specifico della colpa organizzativa dell’ente in relazione a fattispecie (a loro volta) colpose»137.
Relativamente al primo profilo, ossia alla questione della compatibilità tra la struttura dei reati colposi e il binomio «interesse o vantaggio» di cui all’art. 5, in precedenza si è ricostruito l’articolato ventaglio delle interpretazioni dottrinali, che, come si è visto, solo a fatica appare riconducibile alle tre tesi dell’ontologica inapplicabilità e degli orientamenti puntati rispettivamente sull’evento oppure sulla condotta; nonché abbiamo avuto modo di constatare come nell’ambito della giurisprudenza formatasi sull’art. 25 septies sia prevalsa l’opzione orientata sulla condotta nell’ottica di un approccio sostanzialmente pragmatico ed efficientista.
Ebbene, le Sezioni Unite nella sentenza Thyssenkrupp, facendo propria la logica funzionalista adottata dalla giurisprudenza di merito, recepiscono e legittimano la piena compatibilità tra la commissione delle fattispecie delittuose d’evento di cui all’art. 25- septies e i criteri ascrittivi oggettivi di cui all’art. 5 del sistema 231.
In particolare la Suprema Corte, rigettando la tesi dell’inapplicabilità della nuova disciplina estensiva «in mancanza di un esplicito adeguamento normativo» e affermando che la questione in oggetto si debba risolvere in sede «interpretativa», dichiara infondati i dubbi sollevati circa la problematica «compatibilità logica tra la non volontà dell’evento che caratterizza gli illeciti colposi ed il finalismo che è sotteso all’idea dell’interesse», denunciando che «essi condurrebbero alla radicale caducazione di un’innovazione normativa di grande rilievo, successivamente confermata dal d.lgs. 7 luglio 2011, n. 121, col quale è stato introdotto nella disciplina legale l’art. 25-undecies che ha esteso la responsabilità dell’ente a diversi reati ambientali»138.
penale, cfr. C.E. Paliero, L’economia della pena (un work in progress), in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 1337 ss.
136 C.E. Paliero, ibidem.
137 Cfr. C.E. Paliero, Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 19.
In questa prospettiva dapprima si ribadisce il rapporto di alternatività tra interesse e vantaggio, richiamando quanto si afferma in tal senso nella Relazione al decreto e l’accoglimento della tesi dualistica da parte della giurisprudenza di legittimità139.
Successivamente si accredita come unica «possibile lettura» quella secondo cui «i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d’evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico», puntualizzando che siffatta soluzione: non implica «alcuna difficoltà di carattere logico» in quanto «è ben possibile che una condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell’interesse dell’ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio»; «non ha nulla di creativo» in quanto si limita ad adattare il criterio ascrittivo oggettivo alla peculiare natura della fattispecie di reato-presupposto rilevante, individuando l’oggetto della valutazione non più nell’evento bensì nella condotta, senza per questo arrecare «alcun vulnus ai principi costituzionali dell’ordinamento penale»; non comporta «incongruenze» nella misura in cui può darsi che «l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente»140.
A sua volta, con riferimento a questa opera di legittimazione della tesi della piena compatibilità tra gli artt. 5 e 25-septies posta in esere dalle Sezioni Unite, in dottrina si osserva che «la necessità che il reato presupposto sia commesso dall’intraneo nell’interesse o vantaggio dell’ente di appartenenza sembra essere stata definitivamente risolta nell’ambito della c.d. discriminante economica (risparmio di spesa, velocizzazione dell’attività produttiva, ecc.)»141; un’interpretazione, questa, che desta perplessità nella misura in cui comporta, come altrove si è rilevato, il rischio che si riduca eccessivamente la sfera di responsabilità dell’ente142.
Passando adesso a considerare il secondo profilo strutturale particolarmente controverso del paradigma di imputazione soggettiva all’ente del fatto-reato colposo, ossia la caratterizzazione del contenuto della colpa organizzativa dell’ente in relazione all’introduzione di fattispecie (a loro volta) colpose, in particolare va puntualizzato che esso «attiene, da ultimo, alla determinazione del contenuto – e, parallelamente, alla reale autonomia funzionale – della colpa di organizzazione rispetto al contenuto cautelare della colpa tipica del reato presupposto»143.
139 Cfr. Cass. S.U., 18.09.2014, n. 38343, cit., n. 63 della motivazione, laddove in tal senso vengono
richiamate: Sez. II, n. 3615 del 20.12.2005, D’Azzo, Rv. 232957; Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, dep. 2014, Banca Italease s.p.a., Rv. 258577; Sez. VI, n. 24559 del 22.05.2013, House Building s.p.a., Rv. 255442.
140 Cass. S.U., 18.09.2014, n. 38343, cit., n. 63 della motivazione.
141 Così A. Gargani, Responsabilità collettiva da delitto colposo d’evento: i criteri di imputazione nel diritto vivente, cit., p. 13.
142 Cfr. supra nel presente Cap. § 3.1.
143 Cfr. C.E. Paliero, Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 20.
In sostanza, onde evitare l’insorgenza di una possibile disfunzione applicativa per sovrapposizione o confusione di piani, occorre distinguere due aspetti diversi che ineriscono a questo secondo profilo in oggetto: da un canto l’autonomia strutturale della colpa di organizzazione rispetto alla colpa della persona fisica; dall’altro il contenuto cautelare peculiare del dovere di (auto)organizzazione dell’ente144.
Con riferimento all’autonomia funzionale della colpa di organizzazione dell’ente rispetto alla colpa della persona fisica-autore del reato, si deve riconoscere che questi due statuti di responsabilità coprono differenti aree di rischio: la colpa della persona fisica va rapportata al rischio-evento, ossia al rischio di produzione dell’evento lesivo, mentre la colpa di organizzazione interviene ad una soglia anticipata nel senso che è finalizzata a prevenire il rischio-reato, ossia il rischio di commissione di reati-presupposto da parte degli individui operanti nell’impresa.
In altri termini, in opposizione all’ipotesi di «una sostanziale
confusione/compenetrazione del modello cautelare quando il reato sia colposo», occorre rilevare che «la diversa tipicità colposa deriva dalla differente ―area di rischio‖ rispettivamente rispecchiato nei ―due modelli‖ colposi»145, ossia il ―rischio-reato‖, proprio dell’ente, ed il rischio-evento, della cui prevenzione deve farsi carico il garante- persona fisica.
Con riferimento al secondo aspetto di cui sopra, ossia la definizione del contenuto peculiare del dovere di (auto)organizzazione dell’ente, si ritiene che esso non si esaurisca nella definizione di cautele miranti direttamente alla prevenzione di uno specifico rischio finale di produzione dell’evento lesivo: «lungi dal consistere in una regola cautelare, il dovere di organizzazione possiede, pertanto, natura ―progettuale‖ e funge da condizione di (pre)esistenza delle (autentiche) regole cautelari»146.
Concretamente ciò vuol dire che l’ente, per adempiere un siffatto dovere, deve provvedere a progettare la rete delle posizioni di garanzia individuali, nonché predisporre le modalità opportune di gestione del rischio ed il correlato sistema decisionale.
Nel fare ciò esso è orientato da norme cautelari positivizzate per cui «il paradigma di riferimento è senz’altro quello della ―colpa specifica‖»147: le regole organizzative per la gestione del rischio-reato devono dunque essere tratte dal complesso di fonti normative,
144 Sul punto cfr. supra Cap. I, § 4; nonché infra Cap. IV, § 5.4.
145 C.E, Paliero, ibidem. Cfr. sul punto Trib. Trani, sez. Molfetta, 11.01.2010, laddove si afferma che il
sistema di disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001 si connota per autonomia funzionale rispetto a quello di cui al d.lgs. n. 81/2008, nel senso che il modello organizzativo su cui si impernia il regime di responsabilità degli enti, diversamente dal documento di valutazione dei rischi (DVR) proprio del regime di responsabilità del datore di lavoro-persona fisica «è ispirato a distinte finalità che debbono essere perseguite congiuntamente: quella organizzativa, orientata alla mappatura ed alla gestione del rischio specifico nella prevenzione degli infortuni; quella di controllo sul sistema operativo, onde garantirne la continua verifica e l'effettivà».
146 Cfr.C.E. Paliero, C.Piergallini, La colpa di organizzazione, cit., p. 176.
147 C.E. Paliero, Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 21.
primarie e sub-primarie, che sostanziano di contenuto il dovere di auto- organizzazione148.
148 Su tale problematica cfr. infra Cap. IV, avente ad oggetto la costruzione della responsabilità da reato
dell’ente compiutamente personale, e in particolare il § 5 riservato alla distinzione della responsabilità individuale dalla responsabilità da reato dell’ente in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
CAPITOLO IV
LA COSTRUZIONE DELLA RESPONSABILITÀ