IL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE NEL SISTEMA 231 ALLA LUCE DEL DIBATTITO DOTTRINALE
2. La natura giuridica della responsabilità amministrativa da reato dell’ente
Ripercorrendo le tappe principali del primo decennio di vigenza della nuova disciplina delle persone giuridiche e facendone un bilancio alla luce del rischio, ormai scongiurato, «del rigetto per una sorta di congenita incompatibilità immunitaria di questo autentico ―corpo estraneo‖ al DNA penalistico», in dottrina con soddisfazione si prendeva atto che «nel suo aspetto applicativo – di impatto – ―la normativa 231‖ è, non solo vitale, ma, allo stato, un cantiere aperto», nonché si constatava che «tutti i Formanti del diritto hanno partecipato e partecipano, sia pure in modo diverso e quantitativamente differenziato»22, ad alimentare tale vitalità.
Una testimonianza eloquente in tal senso proviene dall’intenso dibattito, che ha coinvolto prevalentemente il formante dottrinale nonché in misura contenuta anche quello giurisprudenziale, avente ad oggetto la natura giuridica del nuovo modello di responsabilità in questione; un dibattito che, esploso con toni accesi in concomitanza del varo della riforma, tuttora appare ben lungi dal potersi considerare esaurito in quanto continua ad essere alimentato da eterogenei fattori di matrice dogmatica, ideologica e politica.
La querelle, come è noto, trae spunto dall’etichetta23 certamente equivoca di responsabilità amministrativa da reato utilizzata dal legislatore del 2001 per designare in maniera neutra un paradigma di responsabilità degli enti collettivi connotato da una dirompente valenza sistematica ma trova il suo naturale alimento in un incontrovertibile dato oggettivo: dall’analisi dei dati normativi emerge che l’istituto introdotto con il decreto 231 non corrisponde propriamente né al modello dell’illecito amministrativo né a quello dell’illecito penale, così come tradizionalmente concepiti24.
Di questa circostanza ovviamente il primo ad essere consapevole è lo stesso legislatore che, come si è detto in precedenza, nella Relazione di accompagnamento al decreto si è premurato di qualificare il nuovo istituto in termini di tertium genus.
22 C.E. Paliero, La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, in
AA.VV., D.lgs. 231: dieci anni di esperienze nella legislazione e nella prassi, in Soc., 2011, n. spec., pp. 5-6.
23 Cfr. G. De Simone, Il “fatto di connessione” tra responsabilità individuale e responsabilità corporativa,
cit., p. 279, nt. 1, il quale in relazione alla formula utilizzata dal legislatore chiosa: «L’uso dell’etichetta neutra di ―responsabilità da reato‖ – in grado, a suo dire, di esprimere ―con immediatezza il problema di disciplina cui la nuova normativa ha inteso dare risposta‖ – è stato suggerito, con riferimento al ―modello italiano‖ messo a punto nel d.lgs. n. 231 del 2001, da D. Pulitanò, La responsabilità “da reato” degli enti:
i criteri d’imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 420».
Nel merito si è pure ventilata l'ipotesi di «frode delle etichette»; cfr. in tal senso A. Manna, La c.d.
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: il punto di vista del penalista, in Cass. Pen., 2003,
p. 1103, il quale, muovendo dall’esperienza vissuta in qualità di membro della Commissione che ha elaborato il d.lgs. n. 231/2001, afferma: «La legge delega, ed il decreto legislativo parlano, ―inequivocabilmente‖, di responsabilità amministrativa per evitare possibili censure di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 27 Cost. che avrebbero bloccato l’approvazione del decreto legislativo da parte del Parlamento. Si è di fronte, però, ad una classica ―frode delle etichette‖ perché mentre la legge qualifica come amministrativa tale responsabilità, essa si rivela, in realtà, di natura penale».
Nondimeno una siffatta opzione di rubricare la nuova tipologia di responsabilità degli enti come amministrativa da reato si presta ad essere valorizzata sotto un duplice profilo pragmatico, atteso che essa testimonia l’intento di aderire alla fisionomia polimorfa del nuovo istituto e al contempo assolve un’indispensabile funzione simbolica25.
Con ciò si vuol dire che in questa prospettiva ermeneutica la controversa qualificazione escogitata dal legislatore del 2001 se da un canto risulta idonea ad attutire l’impatto della nuova disciplina nella realtà effettuale, dall’altro si rivela particolarmente densa di significato, nella misura in cui con la sua sostanziale ambiguità26 paradossalmente evoca l’identità aporetica del nuovo modello di responsabilità ideato per le persone giuridiche27.
Ma c’è di più. A rendere ulteriormente pregnante la valenza dell’etichetta in oggetto è la circostanza che essa risulta in sintonia con il nuovo paradigma punitivo che va affermandosi a livello europeo.
Infatti, la scelta con cui il legislatore del 2001 pragmaticamente ha preso atto che anche nel nostro ordinamento «si possono punire persone senz’anima» deve essere interpretata alla luce del fatto che nella cultura giuridica contemporanea di civil law «non è più corretto affermare che il reato è sempre e necessariamente un ―fatto umano, antigiuridico e colpevole, sanzionato con la pena‖. Reato è, invece, il fatto tipico, antigiuridico e colpevole, di una persona fisica o giuridica, sanzionato con la pena»28.
25 D. Pulitanò, ibidem. Al riguardo l’Autore nello specifico chiosa: «L’etichetta prescelta trasmette un
messaggio di minor gravità e di minore riprovazione, rispetto alla responsabilità penale. Soltanto dentro questo involucro simbolico la responsabilità degli enti è stata accettata (e non senza contrasti) nel contesto culturale e (soprattutto) nel contesto politico italiano, ancora alla svolta del millennio». Cfr. anche G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., pp. 324-325, il quale riepiloga con efficacia la questione nei seguenti termini: «Per trarsi d’impaccio e prevenire prevedibili obiezioni di illegittimità costituzionale, fondate sull’immancabile richiamo all’art. 27, comma 1, Cost., il legislatore delegato – e ancor prima quello delegante – ha pensato bene di etichettarla come ―amministrativa‖ e tali sono qualificati anche l’illecito ―dipendente da reato‖ ascrivibile alla societas e le sanzioni previste nei suoi confronti. Il messaggio che si trasmette vuol essere rassicurante, di minor gravità e di minore riprovazione, rispetto alla responsabilità penale. Si trattava di rendere più accettabile tra gli addetti ai lavori, ma anche (e forse soprattutto) nel mondo delle imprese, una riforma per molti aspetti rivoluzionaria, destinata ad ampliare e a rinvigorire il controllo del diritto penale sull’economia».
26 Resta però il fatto che, se rapportata alle specifiche criticità del dettato normativo, l’ambigua formula di
cui si discute rivela la sua intrinseca fragilità e si è costretti a prendere atto delle buone ragioni di chi in dottrina ne denuncia le inconfutabili insufficienze. Cfr. G. De Vero, La responsabilità delle persone
giuridiche, cit., p. 214, il quale ad esempio sul punto rileva: «Rispetto al reato commesso dai soggetti in
posizione apicale – ai sensi degli artt. 5 comma 1 lett. a) e 6 d.lgs. 231/2001 - la formula dell’illecito (amministrativo) dipendente da reato è assolutamente inadatta e fuorviante: l’illecito attribuito all’ente collettivo, piuttosto che dipendere , si identifica totalmente con il reato commesso dall’agente individuale».
27 Il riferimento va in particolare alla problematica integrazione, nel corpo del medesimo d.lgs. n.
231/2001, dei due paradigmi imputativi della responsabilità per ascrizione e della responsabilità originaria per colpa di organizzazione; cfr. più diffusamente sul punto infra nel presente Cap. 2, § 3.
28 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., p. 48. Sul punto l’Autore puntualizza (pp. 46-47) che
il legislatore del 2001, applicando alle persone giuridiche sanzioni penali, le ha considerate non solo «capaci sia di colpa sia di dolo» ma anche più rieducabili della persona fisica. Nello specifico l’ente è considerato capace di colpa perché viene punito «per la colpa di organizzazione consistente nel non aver fatto osservare modelli di comportamento capaci di prevenire certi reati d’impresa» ex artt. 5, 6, 7 del d.lgs. 231/2001; ma anche capace di dolo, in quanto esso «può impedire volontariamente la condotta
Il nuovo modello di responsabilità da reato degli enti recepisce dunque gli elementi di novità che sotto il profilo sanzionatorio sono stati elaborati a livello europeo, ossia «una nozione di pena, (ma non di illecito penale) di tipo sostanziale, in funzione di garanzia, che prescinde dalle qualifiche statali e dalla stessa perdita della libertà»29.
In questa prospettiva il vero carattere di novità che caratterizza questa inedita forma di responsabilità degli enti non concerne tanto i criteri di imputazione dell’illecito, ma va piuttosto identificato con la natura della sanzione rapportata al tipo di colpevolezza; dal riconoscimento della ―capacità penale‖ delle persone giuridiche, infatti, bisogna desumere la conseguenza che la sanzione privativa o limitativa della libertà ormai non costituisce più il centro esclusivo della reazione penale dell’ordinamento e, parallelamente, il fondamento della pena non può più essere ricostruito facendo riferimento alla retribuzione tradizionalmente intesa, ossia come rimprovero per il cattivo uso della libertà nella realizzazione del fatto30.
Nella fattispecie, questi due elementi di novità, ossia la perdita di centralità della pena carceraria e la crisi della retribuzione-rimprovero quale fondamento della pena, «erano veri già da molto tempo per le persone fisiche, e quindi la responsabilità degli enti non fa che corroborarli»31.
Ebbene, in questa prospettiva europea l’acceso contrasto di opinioni dottrinarie sulla natura della responsabilità degli enti, che di primo acchito potrebbe generare disorientamento, si sdrammatizza e addirittura si rivela fisiologico, tanto più se lo si considera alla luce della svolta di sistema che l’introduzione di questo inedito paradigma di responsabilità ha comportato nel nostro ordinamento.
Entrando nel merito della querelle, certamente non si può non essere d’accordo con chi sottolinea l’inopportunità di degradare l’esigenza di classificare la natura giuridica della responsabilità degli enti a questione meramente nominalistica, di interesse soltanto accademico32, considerato che l’opzione per una tesi interpretativa piuttosto che per un’altra comporta rilevanti ricadute di carattere sistematico e costituzionale.
È evidente che, se si adotta l’opzione della qualificazione penale, questa inedita forma di responsabilità deve essere ricondotta in toto al paradigma penalistico sia in termini sistematici che sul piano costituzionale: sotto il primo profilo, anche con riferimento agli enti deve trovare attuazione la parte generale del diritto penale laddove non espressamente derogata dal legislatore del 2001; sotto il secondo profilo l’applicazione del decreto 231 deve ispirarsi ai principi di rango costituzionale (in particolare il
delittuosa della persona fisica, ovvero impedire volontariamente l’evento di un reato, andando così esente da responsabilità ex art. 26, co. 2 del d.lgs. 231/2001»; inoltre lo si ritiene «più rieducabile della persona fisica» nella misura in cui la prevenzione speciale può svolgere nei confronti dell’ente un ruolo più efficace che per l’autore persona fisica, dato che «la riparazione del danno e l’adozione di programmi capaci di prevenire futuri reati possono esimere l’ente dalle sanzioni più gravi (quelle interdittive)» ex art. 17 del d.lgs. 231/2001, nonché «ridurre la pena pecuniaria sino a due terzi» ex art. 12 del medesimo decreto.
29 M. Donini, ivi, p. 50.
30 Cfr. M. Donini, ivi, pp. 48-49. 31 Cfr. M. Donini, ibidem.
principio di legalità ed i relativi corollari, il principio di colpevolezza nonché i principi processuali del due process e dell’obbligatorietà dell’azione penale) riservati al ramo penale dell’ordinamento33. Se invece si opta per la tesi amministrativistica, ovviamente quanto si è detto non ha valore, e il quadro normativo di riferimento si identifica con i ―principi generali‖ dettati dalla disciplina di una legge ordinaria, ossia il cd. ―codice‖ della responsabilità per l’illecito punitivo amministrativo di cui alla l. 689/1981.
A tutto ciò si assomma poi il fatto che la qualificazione della natura giuridica in questione assume un carattere di particolare urgenza laddove si consideri la sua dimensione più spiccatamente applicativa34, ossia in relazione alle conseguenze che si determinano rispetto ai diversi profili della normativa vigente sul piano della prassi giurisprudenziale.
Ebbene, nell’interpretare il composito dispositivo della disciplina in materia, i sostenitori di ciascuna tesi hanno la possibilità di riscontrare nel dettato normativo vigente solidi agganci di riferimento funzionali alla propria ipotesi ermeneutica; ma, a prescindere dagli appigli rinvenibili nel tessuto normativo, la soluzione del problema risulta dipendere, in ultima analisi, dal retroterra culturale e ideologico proprio del singolo interprete35.
Si è verificato così che queste circostanze ab initio dessero origine a posizioni contrapposte, le quali ben presto si sono consolidate in tre diversi orientamenti dottrinali36 che, al di là delle discordanti prospettive ermeneutiche, appaiono accomunati
33 Cfr. C.E. Paliero, Dieci anni di “corporate liability” nel sistema italiano: il paradigma imputativo nell’evoluzione della legislazione e della prassi, cit., p. 16.
34 G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., pp. 309-310. Per esemplificare,
l’Autore a tale riguardo rileva (ibidem): «Emblematica, in tal senso la questione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti della persona giuridica responsabile del reato commesso dall’autore individuale. Una risposta affermativa presuppone chiaramente che l’ente possa essere considerato a sua volta colpevole (rectius: soggetto attivo) del medesimo fatto criminoso ai sensi dell’art. 185 c.p.; nel caso in cui si negasse invece la sua responsabilità (autenticamente) penale, l’obbligo del risarcimento del danno patrimoniale e/o non patrimoniale potrebbe gravare su di esso solo nella distinta qualità, appunto, di responsabilità civile». Per una ricostruzione analitica della rilevanza pratica della questione in oggetto v. altresì G. De Simone, Profili pratici della questione della natura giuridica della
responsabilità degli enti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 151 ss.
35 Cfr. G. De Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., p. 340.
36 Per una ricostruzione analitica dei diversi orientamenti in cui si è articolato l’intenso dibattito dottrinario
sulla natura della responsabilità da reato di cui al d. lgs. n. 231/2001 cfr. R. Guerrini, La responsabilità da
reato degli enti. Sanzioni e loro natura, Giuffrè, Milano, 2006.
Per esigenze di completezza si ricorda che, oltre ai tre orientamenti ermeneutici di cui adesso nel testo si dirà, vi è pure chi ha avanzato l’ipotesi che si sia in presenza di un quartum genus che troverebbe la sua genesi nella combinazione dei tre modelli fondamentali di responsabilità, ossia quello civile extracontrattuale, quello penale e quello ammnistrativo: cfr. in tal senso S. Vinciguerra, Quale illecito?, in S. Vinciguerra, M. Ceresa Gastaldo, A. Rossi, a cura di, La responsabilità dell’ente per il reato commesso
nel suo interesse (D.Lgs. n. 231/2001), Cedam, Padova, 2004, p. 190 ss. e 209 ss.
A sua volta un’ulteriore opzione qualificatoria è stata teorizzata da E. Amodio, Prevenzione del rischio
penale di impresa e modelli integrati di responsabilità degli enti, in Cass. Pen., 2005, p. 322 ss., sul quale
diffusamente richiama l’attenzione A. Astrologo, Concorso di persone e responsabilità della persona
giuridica, in Ind. pen., 2005, pp. 1012-1014 introducendo il discorso nei seguenti termini: «Una autorevole
dottrina esclude sia la natura penale che la natura amministrativa della responsabilità delle persone giuridiche, avanzando l’ipotesi che i criteri di imputazione delineati dal decreto legislativo in esame ricalchino modelli civilistici di responsabilità oggettiva» (ivi, p. 1012).
dall’esigenza di dipanare la complessa matassa di problemi teoretici e pratici sollevati dalla riforma del 2001, la cui incidenza è tale da avere determinato in rapporto alla tradizione dell’individualstratrefrecht un’autentica ―crisi dogmatica‖37.
Passando adesso a considerare gli indicatori di disciplina38 relativi a ciascun orientamento dottrinale, si riscontra anzitutto che secondo la maggioranza degli interpreti la responsabilità amministrativa da reato introdotta dal legislatore del 2001 a carico degli enti, contrariamente al nomen juris, è sostanzialmente di natura penale.
A sostegno della tesi penalistica39 vengono individuati quali indicatori rivelatori in particolare i seguenti parametri: (1) il nesso di connessione, ossia il fatto che la legge prevede come presupposto della responsabilità dell’ente la connessione con la
37 Cfr sul punto A. Alessandri, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, p. 58., secondo cui si è schiuso «uno scenario totalmente nuovo, nel quale i
modelli tradizionali entrano in crisi, soprattutto nelle regioni di confine, sotto spinte potenti». Un’esemplificazione in tal senso proviene dal diritto amministrativo che, a seguito del fenomeno della «contrazione (depenalizzazione) del sistema penale», purtroppo ciclico, «ha dovuto fare spazio al nuovo diritto ―penale‖ amministrativo». Ebbene, in tale scenario l’inedito paradigma punitivo dell’ente introdotto dal legislatore del 2001 «segnala un’altra crisi dogmatica, più grave, che potrebbe ricomporsi forse solo con l’accettazione di una modulazione continua, e non discontinua come nel passato, di schemi punitivi, che lasciano intatti i ―nuclei forti‖ dei modelli, con il loro carico di garanzie, ma si dispongono ad accogliere, senza irrigidimenti nominalistici o di incasellamento, nuove forme di punizione per nuovi soggetti».
38 Sul punto cfr. G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., pp. 311-322; G. De
Simone, Persone giuridiche e responsabilità da reato, cit., pp. 332-343; C.E. Paliero, Il d.lgs. 8 giugno
2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, cit., p. 845.
39 Numerosi sono gli Autori che sostengono la tesi della natura sostanzialmente penale del nuovo istituto, a
prescindere dalla sua qualificazione normativa in termini di responsabilità amministrativa: G. Amarelli,
Profili pratici della questione sulla natura giuridica della responsabilità degli enti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 151 ss.; C. de Maglie, La disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni. Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, in Dir. pen. proc., 2001, p. 1349 ss.; G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit, p. 324, il quale
qualifica detta responsabilità come «terzo binario» del diritto penale, «intendendosi con ciò che le sanzioni punitive previste per gli enti collettivi si giustappongono, all’interno del (permanente) primum genus del diritto penale-criminale, alle pene e alle misure di sicurezza, restando distinte sul piano funzionale sia dalle prime che dalle seconde»; G. De Simone, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa deli
enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in G. Garuti, a cura di, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Cedam, Padova, 2002, p. 57 ss.;
M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., p. 47; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 2014, p. 175; A. Fiorella, Responsabilità da reato degli enti collettivi, in S. Cassese, diretto da, Dizionario di diritto pubblico, vol. V, Giuffrè, Milano, 2006, p. 5101 ss., il quale parla di responsabilità quantomeno parapenale; L. Foffani, La responsabilità da reato in Italia, in A. Fiorella, A.M. Stile, a cura di, Corporate criminal liability and compliance programs. First colloquium, Jovene editore, Napoli, 2012, p. 98 ss.; R. Guerrini, La responsabilità da reato degli enti. Sanzioni e loro natura, cit., p. 248 ss.; A. Manna, La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: il punto di vista
del penalista, cit., p. 1101 ss.; M.N. Masullo, Colpa penale e precauzione nel segno della complessità, cit.,
135; E. Musco, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e sanzioni interdittive, in Dir.
gius., 23, p. 8 ss.; T. Padovani, Il nome dei principi e il principio dei nomi: la responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche, in G. De Francesco, a cura di, La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, Giappichelli, Torino, 2004, p. 16 ss.; C.E. Paliero, Il d.lgs. n. 231/2001: da ora in poi societas delinquere (et puniri) potest, cit., p. 466 ss.; C. Piergallini, Societas
delinquere et puniri potest: la fine tardiva di un dogma, cit., p. 571 ss.; M. Riverditi, La responsabilità
degli enti: un crocevia tra repressione e specialprevenzione. Circolarità ed innovazione dei modelli organizzativi, Jovene, Napoli, 2009, p. 378; A. Travi, La responsabilità della persona giuridica nel d.lgs. n. 231 del 2001: prime considerazioni in ordine amministrativo, in Le Società, 2001, p. 1305 ss.
commissione di un reato nel suo interesse o vantaggio ad opera di soggetti qualificati; (2) la statuizione della cognizione del giudice penale sulla forma di responsabilità in oggetto; (3) l’autonomia della responsabilità da reato dell’ente affermata dall’art. 8, che persiste anche quando «l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile» ovvero anche quando «il reato si estingue per causa diversa dall’amnistia»; (4) la particolare afflittività dei meccanismi sanzionatori; (5) l’inedito sistema di commisurazione per quote, mutuato dal diritto penale; (6) i presupposti di imputazione soggettivi, di cui agli artt. 6 e 7 del decreto, che si fondano sull’adozione e attuazione di modelli organizzativi finalizzati ad evitare la commissione di determinati reati.
A sua volta, a sostegno della tesi della natura amministrativa40 vengono addotte le seguenti argomentazioni: (1) il vincolo per l’interprete costituito dal dato formale della qualificazione normativa per cui bisognerebbe attenersi all’etichetta apposta dal legislatore; (2) la disciplina della prescrizione, prevista dall’art. 22, che è diversa da quella penale e si richiama piuttosto al modello contemplato dall’art. 28 della l. n. 689/981 sugli illeciti amministrativi; (3) il regime speciale di archiviazione, che, in base all’art. 58, è disposta direttamente dal pubblico ministero e sottratta all’autorità