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La responsabilità delle persone giuridiche tra immedesimazione organica e colpevolezza di organizzazione

IL PARADIGMA PUNITIVO DELL’ENTE NEL SISTEMA 231 ALLA LUCE DEL DIBATTITO DOTTRINALE

3. Qualificazione dogmatica del paradigma ascrittivo di cui agli artt 5-6-7 del d.lgs n 231/

3.1. La responsabilità delle persone giuridiche tra immedesimazione organica e colpevolezza di organizzazione

In generale, un dato ricorrente nei vari ordinamenti giuridici è quello per cui l’evoluzione del sistema di responsabilità degli enti in relazione alla criminalità di impresa in forma societaria si snoda storicamente attraverso una «fondamentale bipolarità»50 tra schemi ricostruttivi di tipo antropomorfico e criteri di imputazione soggettiva autonoma dell’ente, sicché si può dire che storicamente la responsabilità da reato della persona giuridica risulta connotata da una «tensione tra cumulo e autonomia rispetto alla responsabilità individuale»51.

all’informazione sui motivi dell’accusa, il diritto di disporre del tempo necessario alla difesa, il diritto di difendersi personalmente o a mezzo di difensore, il diritto alla parità delle armi nell’esame testimoniale, il diritto a farsi assistere da un interprete, il diritto ad un doppio grado di giudizio, il diritto al risarcimento del danno in caso di errore giudiziario, la garanzia del ne bis in idem, i principi di riserva di legge e di irretroattività della legge penale.

50 Cfr. G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 70, il quale puntualizza che

la bipolarità in questione «costituisce altresì la chiave più adatta e perspicua per ordinare e leggere il materiale comparatistico di più significativo rilievo» in quanto è comune a diversi ordinamenti la sperimentazione nel tempo sia di impostazioni antropomorfiche che di criteri di imputazione autonoma; una conferma di ciò si ricaverà nel corso della presente trattazione quando, sviluppando un confronto comparatistico con il Regno Unito, si avrà modo di verificare che nello specifico anche tale sistema giuridico ha conosciuto storicamente entrambe queste diverse tipologie di paradigma ascrittivo.

Comunemente, dapprima la responsabilità degli enti è stata interpretata alla luce di ricostruzioni antropomorfiche la cui espressione tipica è rappresentata dal criterio cd. dell’immedesimazione organica: in base a questa teoria l’affermazione della responsabilità dell’ente per i fatti criminosi commessi nell’ambito dell’attività d’impresa viene subordinata al previo accertamento del coinvolgimento nella commissione del reato di una persona fisica legata all’ente da un rapporto qualificato.

Senonchè tale paradigma imputativo, configurando il rimprovero a carico della persona giuridica come una sorta di responsabilità ―di rimbalzo‖, cumulativa rispetto a quella individuale, si è rivelata inadeguata a fronteggiare i problemi derivanti dalla complessità dell’odierna realtà d’impresa.

Il decentramento del processo decisionale nelle organizzazioni complesse rende infatti difficile l’imputazione del fatto di reato a soggetti determinati: i singoli individui, anche quelli in posizione di vertice, spesso non hanno la completa padronanza dei complessi processi decisionali ed esecutivi da cui trae origine la commissione del reato con la conseguenza che nella prospettiva dell’immedesimazione organica, non essendo possibile chiamare a rispondere di quel fatto la persona fisica, viene meno anche il presupposto per l’addebito della responsabilità all’ente52.

Sicchè progressivamente è maturata l’esigenza di elaborare criteri di imputazione che, prescindendo dalla mediazione della responsabilità individuale, fossero idonei a rapportarsi efficacemente alla dimensione ―olistica‖ della responsabilità dell’ente considerato nella sua autonoma identità; si è fatta cioè strada l’idea che la soluzione del problema potesse rinvenirsi nell’individuazione di un criterio punitivo polarizzato sulla responsabilità propria e autonoma dell’ente, in grado di ravvisare in capo ad esso un

peculiare coefficiente di rimproverabilità soggettiva indipendentemente

dall’atteggiamento doloso o colposo della persona fisica53.

52 Cfr. C. de Maglie, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, cit., pp. 352-353, la

quale, in merito ai limiti cui va incontro nella prassi il meccanismo di imputazione ―par ricochet”, osserva: «Questo criterio, perfetto sulla carta, è compatibile soltanto con un’organizzazione di tipo tradizionale, che prevede un solo centro di potere, ben definito e visibile all’esterno, nonché una divisione dei compiti tagliata su un modello organizzativo verticale. Ma la struttura della persona giuridica postimprenditoriale […] ha definitivamente superato questo idealtipo: la polverizzazione della responsdabilità e la frantumazione dei poteri con effetti di compartimentazione orizzontale, spesso formano degli specialisti, ciascuno con capacità e competenza tecnica limitata eclusivamente al proprio settore di appartenenza. […] L’attuale struttura delle imprese impedisce spesso che il singolo abbia consapevolezza di quel che capita al di fuori del proprio ambito di attività; a maggior ragione non si può pretendere che riesca ad immaginare che il suo comportamento, sommato a quello degli altri, sia fonte di reato. Ed ecco il corollario: il mancato accertamento del reato in capo alla persona fisica impedirà che si passi alla fase successiva, relativa all’accertamento del reato a carico dell’impresa».

53 Inoltre si ricorda che in una posizione intermedia tra la prospettiva dell’immedesimazione organica e la

nozione di corporate blameworthiness si colloca l’ulteriore teorizzazione della cd. Aggregated culpability, secondo cui è possibile riconoscere in capo all’ente una forma di colpevolezza rappresentata dal cumulo delle conoscenze in possesso dei singoli individui che agiscono per suo conto. Tale ulteriore impostazione, da un canto, si colloca ad uno stadio più avanzato rispetto al criterio organicistico nella misura in cui, tramite il richiamo complessivo alle conoscenze delle singole persone fisiche, cerca di colmare la lacuna del mancato riconoscimento in capo all’ente di un elemento soggettivo autonomo; al contempo, però, non riesce a configurare un’autentica colpevolezza propria dell’ente appunto perché risolve il relativo coefficiente soggettivo nella mera sommatoria degli atteggiamenti psicologici dei soggetti qualificati coinvolti nella commissione del fatto criminoso. Cfr. al riguardo C. de Maglie, L’etica e il mercato. La

In questa prospettiva gradualmente, soprattutto dagli anni ottanta del secolo scorso in poi, si è venuta consolidando la categoria di un’autonoma colpevolezza dell’ente, quale espressione di una comune sensibilità diffusa nell’orizzonte comparatistico, variamente sostanziata di contenuti dalle diverse elaborazioni teoriche che trovano il loro baricentro nella nozione di corporate culpability54 ovvero in quella di Organizationsverschulden55.

Ovviamente la valenza di queste due formule è espressione di tradizioni culturali diverse e il loro specifico significato va ricostruito alla luce delle realtà ordinamentali in cui esse hanno attecchito e quindi in relazione al loro storico divenire; nondimeno detti concetti, collocandosi nell’orizzonte comparatistico del processo di formazione di un diritto penale globalizzato, trovano il loro comune denominatore nel fatto che entrambi esprimono la necessità di puntare sulla peculiare identità della persona giuridica per risolvere alla radice l’arduo problema della sua responsabilità nella realtà complessa della postmodernità.

Nel merito, storicamente la colpa di organizzazione è la categoria che ha riscontrato maggior fortuna assurgendo a variante maggiormente plausibile della colpevolezza propria ed autonoma dell’ente; essa è comuque stata affiancata da ulteriori teorizzazioni, tutte rivolte a rappresentare, sia pure ciascuna a suo modo, l’identità peculiare della persona giuridica.

Più precisamente, in dottrina sono state individuate quattro fondamentali concezioni della colpevolezza degli enti, alle quali sono riconducibili «le diverse manifestazioni della patologia della gestione della società, dal grado più intenso a quello più leggero»56:

responsabilità penale delle società, cit., p. 157 ss. e p. 354, la quale osserva criticamente che in questa

logica «la differenza tra colpevolezza d’impresa e colpevolezza individuale è solo quantitativa: la persona giuridica non è infatti considerata come un’istituzione peculiare a sé stante, ma come una specie di mostro pluricefalo, un macroantropo caratterizzato da una megacolpevolezza, uguale a quella degli individui per struttura, diversa solo per estensione. […] È chiaro l’equivoco di fondo: quello di non riuscire a concepire categorie penalistiche diverse da quelle centrate sull’uomo in carne ed ossa» (ivi, p. 354). Per una ricostruzione di questa elaborazione teorica con specifico riferimento alla letteratura giuridica del Regno Unito cfr. R. Lottini, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto inglese, Giuffrè, Milano, 2005, p. 151 ss.

54 Per la valenza di questa formula e le teorizzazioni di una responsabilità autonoma dell’ente nei Paesi di Common law cfr. J.C. Coffee, “No Soul to Damm. No Body to Kick”: An Unscandalized Inquiry into the Problem of Corporate Punishment, in Mich. L. Rev., 1981, p. 389 ss.; Id., Corporate Criminal Liability: An Introduction and Comparative Survey, in A. Eser, G. Heine, B. Huber, a cura di, Criminal Responsibility of Legal and Collective Entities, Freiburg i.Br., 1999, p. 9 ss.. Sul punto cfr. altresì C. de

Maglie, L’etica e il mercato, cit., pp. 30-175, in cui l’Autrice relativamente al sistema statunitense descrive il graduale processo di affermazione della categoria di corporate culpability come colpevolezza di organizzazione; processo che, avviatosi in particolare con il dibattito dottrinario degli anni ’80, trova la sua realizzazione nella ―rivoluzione copernicana‖ delle Federal Sentenging Guidelines del 1991, sotto il cui governo, avente il suo fulcro nei compliance programs, il rimprovero dell’ente viene tematizzato come difetto di organizzazione.

55 Come noto, la nozione di Organizationsverschulden risale a K. Tiedemann, Die «Bebußung» von Unternehmen nach dem 2. Gesetz zur Bekämpfung der Wirtschaftskriminalität, in NJW, 1988, p. 1169 ss.

In merito alle diverse forme di colpevolezza dell’ente elaborate dalla dottrina tedesca cfr. infra Cap. IV, § 2.

56 C. de Maglie, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, cit., p. 356. Per un’analisi

dettagliata di queste teorizzazioni cfr. ulteriormente G. De Vero, La responsabilità penale delle persone

la colpevolezza derivante dalle ―scelte di politica d’impresa‖; la colpevolezza come ―cultura d’impresa‖; la colpevolezza di ―organizzazione‖; la colpevolezza di ―reazione‖.

Rispetto a tali orientamenti teorici si ritiene opportuno in questa sede tracciare un sintetico quadro prospettico, che tornerà utile in seguito quando si rifletterà sulla possibilità di valorizzare, nello specifico, il criterio della colpa di reazione in funzione integrativa rispetto al canone della colpa organizzativa in sede di giudizio di idoneità dei modelli organizzativi.

La prima forma di manifestazione di colpevolezza dell’ente per ordine di intensità e gravità è quella derivante dalle ―scelte di politica d’impresa‖: in questo caso l’elemento soggettivo della responsabilità della persona giuridica è ravvisato nella circostanza che all’interno dell’organizzazione viene posta in essere una politica d’impresa che conduce inevitabilmente alla commissione di reati.

Si fa riferimento per antonomasia all’ipotesi in cui la persona giuridica diviene uno strumento del quale la criminalità organizzata si serve per lo svolgimento delle proprie attività; più in generale, comunque, tale forma di colpevolezza richiama tutti i casi in cui i dirigenti della società, abusando delle strutture organizzative interne, realizzano, determinano, accettano o comunque tollerano la realizzazione di un reato sicché l’impresa risulta gestita in modo tale da incrementare le probabilità di realizzazione di comportamenti criminosi al suo interno.

A sua volta la colpevolezza come ―cultura d’impresa‖ costituisce una forma di colpevolezza ―ambientale‖ per cui la commissione dei reati viene ricondotta alla presenza diffusa nell’ambito dell’organizzazione di uno stile di vita deviante che, per quanto all’apparenza inafferrabile, è radicato in ogni grado della gerarchia dell’impresa. Come si avrà modo di constatare più avanti nel corso della trattazione, un punto di riferimento imprescindibile al riguardo è il Criminal Code Act australiano57 in cui è stata formalizzata per la prima volta la nozione di corporate culture.

Per ciò che concerne la concezione della colpevolezza dell’ente come ―colpa di organizzazione‖, va detto che essa si sviluppa in relazione alle costanti criminologiche che si manifestano nella realtà organizzativa complessa della grande impresa capitalistica dell’età postmoderna, laddove si evidenzia la frantumazione dei processi decisionali che come tali possono essere padroneggiati solo dall’ente, atteso che l’individuo si rivela in grado di controllarne solo singoli frammenti58.

In particolare, diversamente dalle teorie precedentemente menzionate che, polarizzate sulle nozioni di ―politica‖ e ―cultura d’impresa‖, mettono in rilievo le potenzialità criminogene dell’ente collettivo, la colpa di organizzazione, facendo leva sulla presenza di una potenzialità positiva nella dimensione societaria, chiama in causa la capacità

Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, cit., p. 68 ss.; A. Gargani, Individuale e

collettivo nella societas, in St. sen., 2006, p. 284 ss. 57 Cfr. infra Cap. VI, Parte I, § 1.

58 Cfr. sul punto in particolare infra Cap. IV, laddove il tema della colpevolezza dell’ente come ―colpa di

dell’ente di sperimentare assetti organizzativi idonei a neutralizzare il rischio-reato inerente alla specifica attività d’impresa59.

Tale diversa angolazione prospettica si rivela fertile sia sul piano della prevenzione del rischio-reato, nella misura in cui l’ente viene sollecitato ad attivarsi coerentemente in tal senso, sia con riferimento al profilo della responsabilità, dato che per tal via si schiude la possibilità di superare i limiti di genericità inerenti alle nozioni di politica e cultura d’impresa e di radicare il criterio d’imputazione nell’inadeguatezza organizzativa direttamente ascrivibile in capo all’ente.

Viene così in rilievo un criterio ascrittivo il cui raggio di operatività va necessariamente ristretto agli enti che presentano un notevole livello di complessità operativa, per cui si presuppone: da un canto la presenza di una struttura complessa, sostanziata di una pluralità di apparati, in cui il processo decisionale si articola nell’intervento di molteplici individui che operano in gruppo; dall’altro la violazione di un obbligo di organizzazione di tali apparati in funzione del contenimento o della riduzione di un rischio-reato, un rischio quest’ultimo orientato su di un precetto che è prodromico rispetto a quello cautelare principale e che consiste appunto nel dovere di organizzarsi60.

Infine, secondo la quarta teoria di colpevolezza della persona giuridica, ossia quella cd. di ―reazione‖, il giudizio di responsabilità deve essere condotto sulla verifica del tipo di reazione implementata dall’ente rispetto al reato commesso dalla persona fisica.

In questa ulteriore prospettiva l’impresa può essere esonerata dal rimprovero penale se, a seguito della scoperta dell’avvenuta commissione di un reato al suo interno, si adopera per dotarsi di una strategia di compliance o si impegna a correggere quella già adottata colmandone le carenze che ne hanno impedito il corretto funzionamento61.

Così sinteticamente definite le diverse concezioni della rimproverabilità soggettiva degli enti, in merito alle relazioni tra loro intercorrenti si rileva che la categoria della colpa di organizzazione si pone rispettivamente in rapporto di eterogeneità con riferimento alla colpevolezza per ―scelte di politica d’impresa‖ nonché a quella per ―cultura d’impresa‖, ma di omogeneità rispetto al criterio della ―colpa di reazione‖.

59 Cfr. G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, cit., p. 63. Sul punto cfr. anche C.E.

Paliero, C. Piergallini, La colpa di organizzazione, cit., p. 167, i quali spiegano che la nozione di colpa di organizzazione si configura come un’inedita categoria finalizzata a «tipizzare, attraverso un procedimento di astrazione, i criteri d’imputazione nelle organizzazioni complesse, in cui l’agire organizzato, la cultura del gruppo e i processi decisionali rendono disagevole il ricorso ai sedimentati paradigmi del diritto penale classico».

60 Cfr. C.E. Paliero, C. Piergallini, ivi, p. 168. Sul punto detti Autori escludono l’operatività della

categoria in esame con riferimento: sia alle ipotesi di «interazione a struttura semplice orizzontale» governate dal principio di affidamento (ipotesi nelle quali una pluralità di soggetti disimpegna un ruolo in posizione di garanzia rispetto alla tutela di un determinato bene giuridico e la complessità dell’interazione risulta del tutto impermeabile rispetto alla complessità dell’apparato); sia alle ipotesi di «interazione soggettiva a struttura complessa verticale», governate a loro volta dal principio della delega di funzioni (ipotesi nelle quali viene in rilievo «un paradigma complesso a schema sequenziale»).

61 Per una diffusa trattazione della concezione della colpevolezza degli enti come corporate reactive fault

Relativamente al primo profilo, come già accennato, mentre i criteri di imputazione centrati sulle ―scelte di politica d’impresa‖ e sulla ―cultura d’impresa‖ polarizzano l’attenzione sulle «potenzialità criminali della persona giuridica» correlate a modelli devianti di comportamento sedimentati nella cultura aziendale e implicitamente condivisi dagli individui operanti nell’ambito dell’ente, la teoria della ―colpa di organizzazione‖ pone al centro dello statuto di questa forma di responsabilità l’innegabile esistenza di una «potenzialità positiva nella dimensione societaria»62 ossia la capacità della persona giuridica di predisporre meccanismi di legalità aziendale con funzione preventiva rispetto alla realizzazione del rischio-reato.

A sua volta, il rapporto tra la categoria della colpevolezza di organizzazione e quella della colpevolezza di reazione può essere descritto in termini di omogeneità nel senso che quest’ultima rappresenta «una sottospecie della ―colpevolezza di organizzazione‖, con la quale condivide il presupposto fondamentale di un più generale dovere (o aspettativa sociale) di prevenzione dei reati in capo all’ente»63.

Rinviando comunque al prosieguo della trattazione l’approfondimento di tale ultimo profilo, occorre adesso tornare a considerare lo specifico paradigma imputativo configurato dal d.lgs. n. 231/2001 per verificare in che termini è stato effetuato l’esperimento di ibridazione, cui prima si è fatto riferimento, del paradigma individualistico con quello olistico.

3.2. La difficile coesistenza nel d.lgs. n. 231/2001 dei due paradigmi ascrittivi

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