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4.C ONFLITTO E SCIOPERO : BREVI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Se dalla sinteticità dell’art. 40 Cost. è derivata una certa ampiezza del dibattito dottrinale, oltre che non irrilevanti spunti della Corte costituzionale e della giurisprudenza del lavoro, le medesime considerazioni non possono trarsi per l’ambito più generale proprio del conflitto collettivo. Non risultano a tali fini molti spunti propositivi circa la titolarità e la disponibilità del conflitto, né spesso particolari accortezze nel tenere distinti, quindi non sovrapposti, i due concetti.

Nelle pagine precedenti s’è cercato di mettere in rilievo come a volte i due termini, conflitto collettivo e sciopero, vengano utilizzati come sinonimi, nonostante quanto precisato da subito nel lavoro in oggetto. Soprattutto nel paragrafo introduttivo del primo capitolo, elemento imprescindibile della ricerca è stato individuato nella necessità di differenziare i due concetti: “tra sciopero e conflitto

non c’è un’identità causale perché si tratta di fenomeni distinti nelle dinamiche dei rapporti collettivi”320.

Tenendo sullo sfondo le specifiche riflessioni emerse diffusamente in tema di sciopero, valga qui esaminare più da vicino le questioni sottintese alla norma di riferimento del conflitto collettivo, nella specie alla parte dell’art. 39 Cost. di immediata attuazione.

Assumendo nell’art. 39 Cost. la previsione d’un sistema di relazioni industriali che considera al proprio interno anche la tutela del conflitto321, si consenta di considerare tale portato nelle più recenti vicende contrattuali o legislative, esaminate nei paragrafi precedenti. È proprio da queste ultime esperienze che si deduce come, secondo un punto di vista diffuso, più che la necessità di disciplinare e regolare lo

319

Di quest’avviso CORAZZA, ult. op. cit, 175. 320

In questi termini GRANDI, Sciopero, prevenzione del conflitto e servizi pubblici essenziali, RIDL, 1999, 257.

321

In proposito si rimanda a ROMAGNOLI, La libertà sindacale, oggi, LD, 2000, 654. L’A. rileva come nell’interpretazione di libertà sindacale, specie nell’ambito delle fonti internazionali, “il conflitto collettivo

non era nemmeno menzionato. Come dire che la libertà di fondare sindacati e di negoziare collettivamente non si congiungeva con la libertà di servirsi dell’arma dello sciopero”. Si consenta di anticipare che sul

punto sarà utile vedere, nel capitolo III, come la Corte EDU ha superato questa lettura, assumendo lo sciopero tra i mezzi attuativi dell’organizzazione e dell’attività sindacale.

129 sciopero, assuma rilievo l’urgenza d’intervenire più pesantemente sul conflitto e sulla capacità perturbativa di quest’ultimo.

Da una parte, il settore dei servizi pubblici si muove non più soltanto verso la regolazione dello sciopero quanto anche a incrementare più efficienti procedure che, nonostante la scarsa predisposizione a produrre sinora risultati soddisfacenti, tuttavia insistono sulla considerazione indispensabile della prevenzione del conflitto.

In maniera ancora più insistente incidono i disegni di legge che sono stati esaminati. Soprattutto nel disegno di legge delega presentato dal centro-destra (il disegno di legge n. 1473/2009) emerge in tutta la sua evidenza la necessità d’inibire al conflitto collettivo di trasformarsi in azione di sciopero: tra tutela degli impianti dell’azienda, dei diritti degli utenti, procedure arbitrali e amplificazione dei poteri di

moral suasion della Commissione di garanzia, pare che tutti i diritti costituzionali

vengano tenuti in stretta considerazione, diversamente dal decrescente accento posto prima ancora che sullo sciopero proprio sul conflitto stesso.

Una neutralizzazione del conflitto tout court si può dedurre, con maggiore sforzo argomentativo, dando rilievo allo sciopero virtuale, sul quale nel primo capitolo s’è evidenziata la diversità intrinseca dal modello di sciopero recepito come tale nella società: renderlo obbligatoriamente esclusivo per alcuni soggetti facenti capo a settori che erogano servizi pubblici essenziali (reputabili più sensibili per la sfera di utenti finali del servizio), al di là di tutta una serie di dubbi in più parti manifestati, significa anche dissuadere il lavoratore dal partecipare a tale forma di conflitto, stante la percezione della ridotta incisività della lotta nei confronti della controparte destinataria della rivendicazione. Renderlo esclusivo mezzo di lotta potrebbe portare con sé il rischio di mettere in una dimensione critica, prima che la partecipazione del singolo alla protesta, la natura stessa del conflitto, poco incline ad essere accettata per via anche della dichiarazione preventiva di partecipazione alla protesta che dovrebbe essere inviata al datore di lavoro, onerato di distrarre la retribuzione non percepita dal lavoratore presso un fondo di solidarietà.

In maniera più invasiva di quanto ha fatto la l. n. 135/2012, che ha messo in stretta relazione l’inasprimento delle sanzioni e la riduzione non soltanto dello sciopero illegittimo, quant’anche del conflitto, il più evidente tratto distintivo della neutralizzazione del conflitto (stante la sua più evidente sistemazione nell’ottica della prevenzione del dissenso che di composizione degli interessi contrapposti) pare essere disponibile proprio in uno dei settori non ricompresi nell’alveo della legge 146/90, vale a dire nella contrattazione collettiva firmata a Pomigliano d’Arco. Ripercorrendo il testo dell’intesa, mai, si recupera un riferimento al termine conflitto

130 collettivo, se non in via del tutto deduttiva ed interpretativa. Da una lettura complessiva dell’accordo, più che un riconoscimento del conflitto, emerge un “giudizio di colpevolezza” dello stesso, quasi a dire che se al tavolo degli imputati non poteva giungere lo sciopero, in quanto diritto fondamentale del lavoratore sul quale è ancora privilegiata la ricostruzione nei termini di prerogativa in capo al singolo lavoratore, era meno difficile (e forse anche perché meno dibattuto) neutralizzare il suo prius. I soggetti di rappresentanza dei lavoratori, dovendosi impegnare a non dover rendere inesigibili le condizioni concordate nelle diverse clausole dell’accordo, hanno sottoscritto, a ben vedere, una clausola la cui finalità è perseguire gli obiettivi manageriali, per raggiungere i quali condizione necessaria risulta proprio la neutralizzazione del conflitto collettivo quale dissenso di gruppi organizzati e di singoli lavoratori322. Tale deduzione appare ancora più significativa nella seconda parte della clausola di responsabilità di cui al punto 14.

Da Pomigliano d’Arco soprattutto, quindi deriva un tassello che va a caratterizzare di inedito il sistema delle relazioni sindacali. Non più soltanto lo sciopero come “osservato speciale”, quanto anche il conflitto collettivo, per la sua intrinseca capacità di non assumere la garanzia del rispetto degli obblighi assunti mediante gli accordi collettivi. Dal contesto nazionale, insomma, un esempio di intrusione nel conflitto e di subalternità di questo alla libertà imprenditoriale di organizzare l’attività produttiva: alle organizzazioni sindacali sta non più il controllo del conflitto ma la rinuncia al conflitto. Che sia un’impostazione che risente degli influssi di qualche istituzione dell’Unione europea?

322

In proposito, per una prospettiva più ampia LECCESE, Il diritto sindacale al tempo della crisi, Relazione Aidlass 2012, 5.

131 IIICAPITOLO

AUTOTUTELA COLLETTIVA VERSUS LIBERTÀ ECONOMICHE NELLA DIMENSIONE

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