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I L RITIRO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO SULL ’ ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PROMUOVERE AZIONI COLLETTIVE NEL QUADRO

“S ULLE SFIDE PER GLI ACCORDI COLLETTIVI NELL ’U NIONE E UROPEA ”

4.1.4. I L RITIRO DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO SULL ’ ESERCIZIO DEL DIRITTO DI PROMUOVERE AZIONI COLLETTIVE NEL QUADRO

DELLE LIBERTÀ DI STABILIMENTO E DELLA LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI

In base all’art. 352 del TFUE138

(riservato ai casi in cui per realizzare un obiettivo dell’Unione, gli organi della stessa non siano dotati di propri poteri d’azione) la Commissione europea, nel marzo 2012, ha proposto di superare l’impasse sul quale si è già detto, avvalendosi di una proposta di regolamento139

che indicasse i chiarimenti necessari riguardo all’esercizio dello sciopero entro l’ambito comunitario.

Più limitata rispetto al rapporto Monti del 2010, tranne per il campo di applicazione che si apre ai servizi (accogliendo sia le problematiche di Viking che di Laval), la proposta di regolamento (battezzata come Regolamento Monti bis) risulta, quanto meno nella fase di apertura, apparentemente ossequiosa del principio di sussidiarietà e di competenza degli stati membri, chiarendo un (suo) ruolo di supporto alle legislazioni e alla giurisprudenza nazionali - che restano in ogni caso i principali protagonisti rispettivamente delle procedure di prevenzione del conflitto e della valutazione della legittimità delle azioni di lotta proposte.

137

Evidente il richiamo alla sentenza Laval che ha comportato un apposito giudizio presso la giurisdizione nazionale svedese , presso cui accertare la responsabilità per danni del sindacato che nell’organizzazione della protesta si era spinto oltre lo strettamente necessario.

138

Art. 352 TFUE: “1. Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai

trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.

2. La Commissione, nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 5, paragrafo 3 del trattato sull'Unione europea, richiama l'attenzione dei parlamenti nazionali sulle proposte fondate sul presente articolo.

3. Le misure fondate sul presente articolo non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati la escludono.

4. Il presente articolo non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e di sicurezza comune e qualsiasi atto adottato a norma del presente articolo rispetta i limiti previsti nell'articolo 40, secondo comma, del trattato sull'Unione europea”.

139

La scelta del regolamento trova consistenza nel fatto che tale strumento più di altri consente l’applicabilità diretta della disciplina ed una maggiore certezza del diritto a quanti sono soggetti al diritto dell’UE. Sull’inidoneità del mezzo si richiamano ORLANDINI –ALLAMPRESE, La proposta di regolamento

Monti II in http://www.cgil.it/Archivio/Giuridico/Nota_su_proposta_Monti.pdf, 7. Scrivono in tal senso gli

autori: “ci pare però chiaro che non sia il regolamento lo strumento in grado di risolvere i problemi

originati dal processo di integrazione del mercato unico. Non lo è strutturalmente, perché tali problemi trovano la loro origine nel testo dei Trattati. L’unica via per risolverli e scongiurare rischi di ulteriore e crescente erosione dei diritti sindacali è intervenire su quel testo, in maniera da garantire la “primazia” dell’autonomia collettiva esercitata sul piano transnazionale sull’esercizio delle libertà economiche”.

160 Al fine di evitare che ai sindacati sia effettivamente impedito o di fatto perfino vietato di esercitare appieno i propri diritti collettivi, a causa della minaccia di injunction da parte dei datori di lavoro che invocano elementi transfrontalieri, si specifica che nel caso in cui gli elementi transfrontalieri manchino o risultino meramente ipotetici si presume che un’azione collettiva non costituisca violazione della libertà di stabilimento o della libertà di prestazione di servizi, fatta salva la conformità del conflitto al diritto e alle prassi nazionali.

Cade in sostanza la seconda parte del rapporto Monti ove si faceva riferimento all’introduzione d’un meccanismo di composizione informale delle controversie, valido per tutti e 27 i paesi dell’UE. Resta dunque vigente, anche in ossequio di quanto in precedenza sostenuto dal Consiglio europeo di Bruxelles – Laeken nel 2001140, la scelta di ogni singolo stato di conservare intatta l’eventuale mediazione, conciliazione o procedura arbitrale141. Si riconosce tuttavia l’esigenza di sviluppare nella fase di scrittura di tali procedure sia un minimo di coordinamento tra ordinamenti diversi 142 (in virtù della parità di accesso per i casi transfrontalieri) sia di coinvolgere maggiormente le parti sociali, alle quali l’art. 155 TFUE riconosce un ruolo specifico nell’integrazione di un’economia sociale europea143

.

Più condizionato di quanto sia esplicitamente riferito nell’introduzione della proposta è il ruolo delle Corti nazionali. In tal senso si richiami, in special modo, la

140Al p. 25 delle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo del 2001 si legge che “il Consiglio europeo insiste sull’importanza di prevenire e risolvere i conflitti sociali, e più specificamente i conflitti transnazionali, mediante meccanismi volontari di mediazione”. Sulla scia di tale indirizzo anche il Libro verde del 2002. Sul rilievo di tali questioni presso le istituzioni europee CORAZZA, Il nuovo conflitto

collettivo. Clausole di tregua, conciliazione e arbitrato nel declino dello sciopero, Milano, 2012, 170 e

riferimenti bibliografici e documentali ivi richiamati. 141

Merita in tal senso segnalarsi la tendenza ormai decennale delle istituzioni europee quanto alla valorizzazione degli strumenti deflattivi rispetto all’emersione del conflitto collettivo. Il riferimento più appropriato in tal senso sembra rinvenirsi nell’Agenda per la politica sociale del 2000 ( su cui COM 2000, 379 del 28/6/2000) in cui la Commissione europea, più che in altre occasioni, non ha fatto che indicare esplicitamente che l’ammodernamento del modello sociale europeo debba passare in particolar modo attraverso la creazione di strumenti volti a prevenire ed arbitrare i conflitti, obiettivo il cui raggiungimento non può fare a meno di realizzarsi se non per l’ausilio indispensabile delle parti sociali.

142

Sul difficile dialogo tra ordinamenti caratterizzati da profonde diversità in merito alle relazioni industriali, v. diffusamente PURCELL, Individual disputes at the workplace: alternative disputes resolution,

Dublin, 2010, 30 s. 143

Articolo 155 (ex articolo 139 del TCE). “1. Il dialogo fra le parti sociali a livello dell'Unione può

condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi.

2. Gli accordi conclusi a livello dell'Unione sono attuati secondo le procedure e le prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell'ambito dei settori contemplati dall'articolo 153, e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Il Parlamento europeo è informato.

Il Consiglio delibera all'unanimità allorché l'accordo in questione contiene una o più disposizioni relative ad uno dei settori per i quali è richiesta l'unanimità a norma dell'articolo 153, paragrafo 2”.

La predisposizione di forme di soluzione stragiudiziale delle controversie si tradurrebbe in un arbitraggio obbligatorio, con l’effetto di appesantire oltremodo le parti sociali rispetto all’esercizio concreto di una azione collettiva.

161 disposizione di cui all’art. 3 par. 4144

. A dar conto della contraddittorietà intrinseca della proposta appare l’avallo dell’istituzione europea proprio a quella giurisprudenza della Corte di giustizia del 2007-2008 da più parti avversata. Non a caso, anche la proposta in esame porta traccia dello schema di iter argomentativo che i giudici nazionali devono seguire: idoneità, necessità e ragionevolezza della misura adottata. Così facendo, anche la proposta della Commissione finisce per incidere sulla discrezionalità del giudice nazionale, percepita come fortemente imitata nella sua autonomia decisoria.

Tra i meccanismi di procedimentalizzazione del conflitto fa ingresso anche il meccanismo di allerta, in quanto strumento da adoperarsi ogni qualvolta uno Stato membro venga a conoscenza di una situazione (creata dall’azione di soggetti privati) potenzialmente in grado di determinare una «grave perturbazione del corretto

funzionamento del mercato interno» e/o di provocare «danni seri» ad individui,

organizzazioni o al sistema di relazioni industriali (art. 4.1.)145. La mancata attivazione da parte dello Stato configura una responsabilità del Paese membro che non ha fornito informazioni o che non ha adottato le misure necessarie e proporzionate al superamento della questione controversa. Al di là delle difficoltà d’ipotizzare precise misure d’intervento statuale, «gli obblighi posti dalla norma in

questione però, se da una parte, prospettano una riduzione dei margini di discrezionalità dei pubblici poteri nazionali, di fatto “tenuti” ad intervenire, dall’altra, la necessità per gli Stati di dotarsi di “adeguati” strumenti di intervento può indurre gli stessi a modificare la normativa vigente»146.

Ebbene, non pare che le preoccupazioni espresse dal rapporto Monti alla Commissione europea del 2010 abbiano trovato eco rispetto all’obiettivo che si poneva il primo documento. La proposta fallisce proprio nell’intento principale, non risultando in grado di rispondere ai sindacati, preoccupati del fatto che una

144

Si ritaglia dall’art. 3, Meccanismi di risoluzione delle controversie, il par. 4: “Il ricorso a meccanismi

non giurisdizionali di risoluzione alternativa delle controversie non pregiudica il ruolo dei tribunali nazionali nelle controversie di lavoro relative alle situazioni descritte al paragrafo 1, in particolare nel valutare i fatti e nell'interpretare il diritto nazionale e nello stabilire, relativamente al campo di applicazione del presente regolamento, se e in quale misura l'azione collettiva a norma del diritto nazionale e delle norme dei contratti collettivi applicabili vada al di là di quanto è necessario per conseguire gli obiettivi perseguiti, fatti salvi il ruolo e le competenze della Corte di giustizia”.

145

Art. 4 Meccanismo d’allerta: “Al manifestarsi di atti o circostanze gravi che incidano sull'esercizio

effettivo della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi e che potrebbero perturbare gravemente il corretto del mercato interno e/o causare gravi danni al suo sistema di relazioni industriali o dare origine a gravi tensioni sociali sul suo territorio o nel territorio di altri Stati membri, lo Stato membro interessato ne dà immediata comunicazione e notifica allo Stato membro di stabilimento o allo Stato membro di origine del prestatore di servizi e/o agli altri Stati membri interessati e alla Commissione”.

146

Di questo avviso ORLANDINI ALLAMPRESE, La proposta di regolamento Monti II in http://www.cgil.it/Archivio/Giuridico/Nota_su_proposta_Monti.pdf, 6.

162 salvaguardia molto forte delle libertà economiche riduca la tutela del diritto di sciopero.

Non è del tutto casuale che proprio sulla base delle aspettative tradite sia intervenuto, nel settembre scorso, il ritiro del documento proposto dalla Commissione, a fronte delle riserve manifestate da una parte del Parlamento europeo147 e della resistenza di una massiccia rete di organizzazioni sindacali, nell’ambito delle quali, tranne qualche minima eccezione148

, non si annoverano le maggiori rappresentanze dei lavoratori italiani.

Il mancato sostegno degli attori politici e sociali ha comportato il ritiro della proposta per ragioni di convenienza politica.

Volendo tirare le fila, servendosi di una metafora già utilizzata per questo ambito, in passato, si potrebbe osservare che i sostenitori dello sciopero e più generalmente del conflitto collettivo sono riusciti ad evitare una «tragic choise»149 e ad impedire che venisse a prendere forma «il marchingegno che il mercato, novello

Ulisse», aveva tentato di costruire «per ghermire Troia» (rectius la tradizione

costituzionale sociale di una buona parte degli Stati membri dell’UE)150.

Una wishfull thinking o nuovi stimoli per il sostegno di diritti ai quali, la giurisprudenza di Lussemburgo aveva di fatto negato di accedere ai piani alti dell’edificio normativo comunitario?

Se vero è che al dibattito sorto nulla è seguito concretamente, valga tuttavia sottolineare che la rassegna degli atti e delle proposte dei soggetti istituzionali europei può comunque risultare utile sia per comprendere come alcuni strumenti di controllo e gestione del conflitto vengono valorizzati anche nell’ambito europeo, sia per cogliere in pieno come approcciarsi al conflitto collettivo sia affatto agevole, non soltanto per questioni legate alla competenza in materia.

147

Tra coloro che si sono opposti al regolamento si richiamano gli eurodeputati S&D: “Così com’è la

proposta della Commissione non risolve il problema del dumping sociale in Europa”. “Se adottata questa legislazione minerà il diritto di sciopero nell’UE e gli altri diritti collettivi. E’ contraria ai trattati internazionali come le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Un’Europa socialmente giusta non può essere costruita sulla base del dumping sociale e senza rispettare il principio della parità di trattamento”.

148

L’unica organizzazione sindacale italiana ad essersi opposta al bilanciamento delle libertà economiche con i diritti sociali a livello europeo è la stata CGIL con la posizione assunta in data 21/12/2007. Successivamente nulla più è dato rintracciare. Non risulta invece adeguata attenzione, nei tempi più recenti, da parte di nessuna rappresentanza dei lavoratori nell’ambito del nostro sistema di relazioni industriali. 149

Così LO FARO, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in

margine ai casi Viking e Laval, LD, 2008, 88.

150

Il richiamo va al suggestivo titolo del saggio di VENEZIANI, La Corte di giustizia e il trauma del Cavallo

163 4.1.5 QUALCHE APPUNTO SUL RUOLO DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI

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