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Le deroghe alla capacità giuridica di donne e minor

Finora si è parlato delle continuità e delle discontinuità della legge istitutiva dei collegi di probiviri rispetto al sistema di diritto comune sotto il profilo delle funzioni. La legge 295/1893 segnò, invero, degli squarci anche nel sistema di diritto civile, sotto l’aspetto della capacità giuridica delle donne e dei minori, tenendo però presente che le deroghe apportate dalla legge istitutiva dei collegi probivirali riguardavano la fase procedurale: da un canto l’articolo 18 ammetteva che le donne fossero membri dei collegi, dall’altro l’articolo 34 statuiva che “il minore che abbia compiuto i 15 anni è

difficile trovare, per esempio fra i magistrati in riposo ed in altre categorie di cittadini, chi, oltre a possedere le qualità richieste, disponga di un tempo sufficiente al disimpegno dell’alto e delicato ufficio, al quale del resto non si esclude possa essere chiamato anche il Pretore, come vorrebbe il disegno ministeriale, od il Sindaco, come propone vasi nel primo progetto presentato alla Camera dall’onorevole Maffi”.

156 Probiviri. Relazione della Commissione sulla proposta di legge d’iniziativa del deputato Maffi presa in

considerazione nella tornata del 25 aprile 1891 e sul disegno di legge presentato dal Ministro d’agricoltura, industria e commercio Chimirri di concerto col Ministro di grazia, giustizia e dei culti Ferraris nella seduta del 16 maggio 1891. Seduta del 19 giugno 1891, cit., pp. 4-5.

157 S. e B. Webb, Democrazia industriale. Antologia degli scritti, a cura di G. Berta con postfazione di G. Giugni,

Roma, Ediesse, 1994, II edizione, p. 266. Sebbene i coniugi Webb si riferiscano al contesto anglosassone in cui l’unionismo operaio e la contrattazione collettiva erano già giunte ad un grado elevato di sviluppo, tuttavia può accogliersi anche in relazione all’ordinamento italiano il loro concetto di democrazia industriale. Come ha sottolineato il Berta nella premessa alla seconda edizione dell’antologia, “allora, in genere, per democrazia industriale si intendevano nuovi schemi di gestione dell’impresa in grado di ricomprendere la partecipazione dei lavoratori … I coniugi Webb, invece, avevano voluto identificare, con quella definizione, una realtà che era molto più immediata e spontanea e, insieme, più resistente e duttile: era la democrazia del negoziato ciò che avevano inteso cogliere, la dinamica mutevole del sistema delle relazioni di lavoro, un elemento in sé capace di rivelare un versante dell’impresa e dell’organizzazione sociale che si era potuto manifestare soltanto attraverso l’esperienza sindacale. Ma la democrazia industriale era anche l’esistenza stessa delle rappresentanze dei lavoratori, che codificavano con le loro regole di appartenenza e di funzionamento un principio di estrinsecazione della democrazia rappresentativa saggiato esclusivamente attraverso il governo e l’amministrazione dei grandi interessi collettivi”.

considerato come maggiorenne per tutte le controversie relative alle locazioni d’opera da lui contratte e contemplate dalla presente legge”158.

Orbene, a fronte di un’analoga portata delle modifiche al diritto vigente nell’uno e nell’altro caso, lo stesso Polacco si meravigliò delle ampie discordie cui diede adito l’eleggibilità delle donne nei collegi e, viceversa, del silenzio col quale passò l’attribuzione della capacità di stare in giudizio dei minori159.

Le donne maritate, secondo il combinato disposto degli articoli 134 e 135 del codice civile e 14 del codice di commercio, non potevano senza l’autorizzazione del marito – ed eccetto le ipotesi tassativamente indicate – “donare, alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, né transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti”. E poichè la dottrina era unanime nel ritenere l’elenco dell’articolo 134 c.c. tassativo e che quindi la donna maritata potesse liberamente locare le proprie opere, non vi era alla base un presupposto limite a contrarre, come invece per i minori160. Sussisteva invece un veto

processuale derivante dall’articolo 10 del codice di procedura civile, il quale vietava alla donna di essere arbitro.

A dire il vero, inizialmente, la questione della partecipazione delle donne ai collegi probivirali concerneva l’iscrizione nella lista degli elettori e non in quella degli eleggibili. E tale questione era posta accanto al problema della partecipazione all’elettorato degli analfabeti. La Commissione d’inchiesta sugli scioperi aveva valutato equo e giusto che le donne fossero inscritte in entrambe le liste di elettori alle stesse condizioni degli uomini, ma soltanto in considerazione del fatto che “alcune industrie sono affidate quasi intieramente al lavoro delle donne”161. Se la posizione di elettrice

158 Il secondo comma attribuiva alla giuria e all’ufficio di conciliazione la facoltà di ordinare, ove l’avessero

reputato conveniente, assistenza al minore da parte del legale rappresentante o di altro soggetto che eserciti la medesima arte.

159 V. Polacco, La nuova legge sui probiviri e la capacità giuridica della donna e dei minorenni, in “Monitore dei

tribunali”, 1893, (cito da C. Lessona, Codice dei probiviri, cit., sub art. 34, p. 113). Era questo, in generale l’atteggiamento della dottrina, come esplicitamente ammesso dallo Jannaccone: “La questione della capacità della donna in ordine al contratto di lavoro non può dar luogo, di fronte al diritto italiano, a così vivo dibattito come quella della capacità del minore” (così P. Jannaccone, voce Contratto di lavoro, in “Enciclopedia giuridica italiana”, Milano, Società editrice libraria, 1911, p. 1050).

160 E, secondo l’opinione del Pacifici-Mazzoni, il consenso del marito era dovuto non già per autorizzare la

locatio operarum, bensì per constatare che la donna non venisse meno ai suoi doveri di moglie e di madre; v.

L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, cit., p. 243.

161 Istituzione dei probiviri. Disegno di legge presentato dal presidente del consiglio dei Ministri Depretis di

concerto coi Ministri di grazia, giustizia e dei culti Savelli e di agricoltura, industria e commercio Berti. Seduta del 30 maggio 1883, cit., p. 7. Così pure Probiviri. Disegno di legge presentato dal ministro di agricoltura, industria e commercio Chimirri, di concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Ferraris. Seduta del 16 maggio 1891, cit., p. 10.

Erano eleggibili all’ufficio di proboviro tutti gli elettori iscritti che abbiano compiuto venticinque anni, sappiano leggere e scrivere, esercitino l’arte o la professione da almeno un anno, risiedano nella circoscrizione del collegio, non si trovino nelle situazioni previste dagli articoli 5, 6, 7 e 8 (nn, 2-4) della legge 8 giugno 1874 n. 1937 (come modificata dall’art. 32 r.d. 6509/1889) e vietate per assumere l’ufficio di giurato (art. 18). Per essere elettori bastava aver compiuto il ventunesimo anno d’età, essere cittadini italiani

della donna operaia non presentava difficoltà, dal coordinamento della legge sui probiviri con la disciplina codicistica scaturiva un più ampio ventaglio di possibilità per la donna industriale. Nel caso di donna commerciante, se sposata, ella avrebbe dovuto ottenere il previo consenso all’esercizio della mercatura da parte del marito, ai sensi dell’articolo 13 del codice di commercio. Nella situazione opposta invece, di donna maritata non commerciante, occorreva distinguere se lo stabilimento industriale fosse stato costituito in dote – nel qual caso il diritto di voto sarebbe stato in titolarità del proprietario del bene (artt. 1401-1403 c.c.), quindi anche del marito che ne avesse acquisito la proprietà – o fosse un bene parafernale, e in questo caso elettrice rimaneva la donna162.

L’eleggibilità delle donne venne ammessa nel disegno di legge Maffi e, dopo essere stata negata nel disegno di legge Chimirri, venne riammessa dalla Commissione esaminatrice di entrambi i disegni di legge. Ma nel dibattito alla Camera si scontrarono contrapposte opinioni. Il Senato, invece, accolse una posizione intermedia: ammise l’eleggibilità delle donne esclusivamente all’ufficio di conciliazione, in misura non maggiore della metà dei membri della classe di appartenenza e soltanto nelle circoscrizioni in cui esse costituissero la maggioranza degli elettori. Questa fu poi la scelta adottata nel disegno di legge Lacava, “siccome quello che tende a conciliare diverse esigenze senza creare anomalie troppo stridenti coll’indirizzo della nostra legislazione”.

A parte il lieve riferimento all’articolo 10 del codice di rito, più pregnanti sono le analisi (quasi scientifiche) sull’affidabilità della donna a svolgere determinati incarichi e sulla giustizia o convenienza di equiparazione dei due sessi nell’esercizio dei diritti civili e politici163.

Alle singole obiezioni rispose egregiamente Daneo, relatore della Commissione che esaminò il disegno Lacava. Le donne dovevano essere eleggibili anche nella giuria, rispetto alla quale l’ufficio di conciliazione non ha grado subalterno. Al contrario “una mancata conciliazione in una grande questione costituirebbe un danno sociale ben più grave di un ipotetico errore giuridico in una piccola controversia”. Quanto alle speciose osservazioni sulla prevalenza delle facoltà affettive in luogo delle intellettive e sul rischio di incoraggiamento della donna a trascurare la famiglia, era facile rispondere che, “se la fabbrica e il laboratorio afferrano anche la donna popolana e le necessità della vita ne fanno spesso una lavoratrice giornaliera, dal

e godere dei diritti civili (art. 16); coerentemente l’art. 17 individuava le ipotesi di incapacità e indegnità rispetto all’elettorato e all’eleggibilità, che in parte coincidevano con le ipotesi di incompatibilità con l’ufficio di giurato.

162 C. Lessona, Codice di probiviri, cit., pp. 73-74.

163 Istituzione dei Collegi di «Prob-iviri». Disegno di legge presentato dal ministro di agricoltura, industria e

commercio Lacava, di concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Bonacci. Seduta del 1° dicembre 1892, cit., p. 7. Sul dibattito parlamentare cfr. C. Lessona, Codice dei probiviri, cit. pp. 83-85 e L. Di Franco, voce Probiviri, cit., pp. 290-291.

focolare e dai figli non l’allontanerà un momento di più il Collegio dei probi-viri e l’ufficio le accrescerà, non le sminuirà, dignità e decoro”. Anche qui però la possibilità e la probabilità di una donna di essere membro del collegio probivirale erano legate alla contingenza di fabbriche ove lavoravano prevalentemente, se non esclusivamente, donne. Ed infatti, “nè vale pure l’obbiezione che la donna non possa essere arbitra, appunto per l’eccezionalità del caso nel quale essa giudicherebbe di cose specialmente a lei note nè potrebbe incontrare quelle responsabilità speciali che i veri arbitri si assumono, sicchè la supposta deroga al principio sarebbe più che giustificata.

Nè del resto i probi-viri sono arbitri nel senso della legge procedurale ...”164.

Al di là dell’ostentato maschilismo, o delle interpretazioni formali e meramente nominalistiche, il nodo giuridico era rappresentato proprio dal veto posto alla donna all’esercizio delle funzioni arbitrali. Ma si trattava di una norma criticata da “quasi tutti i proceduristi italiani” e contraria ai primi germi di eguaglianza giuridica tra i sessi165.

Con riferimento alla modifica della disciplina sull’incapacità legale dei minori – cioè coloro che non avessero ancora compiuto il ventunesimo anno d’età e pertanto non capaci di tutti gli atti della vita civile (art. 323 c.c.) – essi erano soggetti alla patria podestà (artt. 220 e ss. c.c.). In particolare, ai sensi dell’articolo 224 del codice civile, “il padre rappresenta i figli nati e i nascituri in tutti gli atti civili, e ne amministra i beni”. Parallelamente, trovava applicazione nei loro riguardi la norma di cui all’articolo 36 del codice di procedura civile, secondo il quale “le persone che non hanno il libero esercizio dei loro diritti devono essere rappresentate, assistite, o autorizzate a norma delle leggi che regolano il loro stato e la loro capacità”. L’articolo 34 della legge sui probiviri poneva senz’altro un’eccezione a tale regola; bisognava comprendere di che portata.

Una parte della dottrina italiana, guardando ai laboratori legislativi d’Oltralpe, assegnava a tale norma una portata generale, non circoscritta al procedimento dinanzi alle giurie di probiviri. Opinava, infatti, che con essa il legislatore avesse voluto consentire al minore quindicenne di stipulare da solo le locazioni d’opera contemplate dalla legge sui probiviri.

Invero, data la peculiarità del contratto di lavoro e la sua influenza sulla sfera personale del debitore, parte della dottrina di diritto civile italiana riteneva necessari per la valida stipulazione di un contratto di lavoro da parte del minore e l’autorizzazione paterna e il consenso del minorenne stesso166.

164 Istituzione dei Collegi di «Prob-iviri». Relazione della Commissione sul disegno di legge presentato dal

ministro di agricoltura, industria e commercio Lacava, di concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Bonacci presa in considerazione nella seduta del 3 febbraio 1893, cit., pp. 4-5.

165 C. Lessona, voce Arbitramento, cit., p. 593.

166 Altra parte dei giuristi riteneva che il contratto fosse perfettamente valido con la mera autorizzazione del

È vero che di fatto era il minore a stipulare da sè la locazione delle proprie opere senza l’autorizzazione del rappresentante legale, ma – a dire di Polacco – il legislatore del 1893 non avrebbe potuto avallare con legge speciale una siffatta situazione, di natura contingente, e modificare con legge speciale uno dei principi del diritto civile. L’articolo 34 poneva solo un’eccezione procedurale, come si evinceva dalla lettura combinata del primo e del secondo comma (che autorizzava il collegio dei probiviri ad ordinare l’assistenza legale del minore) e dalla collocazione topografica della disposizione stessa tra le norme sul procedimento. In sostanza il minore quindicenne poteva stare in giudizio da solo – e del resto dinanzi ai probiviri il patrocinio legale era facoltativo –, ma necessitava comunque dell’autorizzazione dell’esercente la patria podestà o del tutore per la stipulazione del contratto di lavoro.

Tale interpretazione era l’unica atta ad evitare un ritorno ai vieti privilegi di classe medievali167.

Tra i contratti di lavoro di cui all’articolo 34, stante il silenzio della legge, la dottrina maggioritaria riteneva non facesse parte il contratto di tirocinio il quale, connotandosi anche per lo scopo educativo e per il correlativo obbligo in capo al genitore – faceva nascere obbligazioni in capo al genitore medesimo, in virtù di quell’obbligo168.

Il progetto di legge Cocco-Ortu e Orlando intervenne anche sul punto, proponendo una modifica dell’articolo 34 del seguente tenore: “Il minore, che abbia compiuti i 15 anni, può stare in giudizio per tutte le controversie previste nella presente legge, tranne per quelle relative al contratto di tirocinio stipulato dal genitore avente la patria potestà o dal tutore.

Il presidente, ove lo reputi conveniente, potrà ordinare che il minorenne sia assistito da chi lo rappresenta legalmente o da persona che eserciti la medesima arte o da un’associazione professionale locale.

La donna maritata può adire il collegio senza bisogno d’autorizzazione maritale” (art. 37). Ma, come sarà detto nel prosieguo, tale progetto di legge non si concretizzò mai in una modifica legislativa169.

“poiché il codice civile, quando vuole che il minore intervenga in qualche atto, lo dice esplicitamente, e ciò non fa pel contratto di locazione d’opere” (P. Jannaccone, voce Contratto di lavoro, cit., p. 1044). Sulle critiche a questo orientamento (non univoco, ma composto di varie teorie) e in generale sulla capacità dei minori, v. L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, cit., pp. 225-243.

167 V. Polacco, La nuova legge sui probiviri e la capacità giuridica della donna e dei minorenni, cit., (cito da C.

Lessona, Codice dei probiviri, cit., sub art. 34, p. 118). Contra lo Jannaccone, secondo il quale la contraddizione insita nel testo di legge sarebbe “una felix culpa, in quanto in virtù di essa il legislatore ha dimostrato: 1° di conoscere che v’è uno stato di fatto contrario al diritto vigente; 2° di credere che la capacità di stare in giudizio sia utile ai minori pei contratti di lavoro da essi stipulati; e si è inoltre implicitamente impegnato a riconoscere in una legge futura ai minori la capacità giuridica di contrattare, senza la quale la capacità di stare in giudizio è assurdo che possa sussistere” (v. P. Jannaccone, voce Contratto

di lavoro, cit., pp. 1048-1049).

168 V. L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, cit., pp. 233-234. 169 Sul disegno di legge Cocco-Ortu e Orlando vedi infra § 14.

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