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La regolazione del conflitto collettivo Politica sociale ed economica

Dalle sentenze e dai casi dei quali si è discusso ora dal punto di vista della funzione giurisdizionale, ora di quella normativa, è possibile trarre argomenti in ordine ad una funzione di governo in senso lato delle giurie; funzione che più propriamente può definirsi di amministrazione economica e di attiva “politica sociale”558. Sotto

quest’ultimo profilo può parlarsi di un classismo sociale dei probiviri. La costruzione del contratto collettivo come scambio tra capitale e lavoro e l’insistenza sugli obblighi di solidarietà, se hanno senz’altro contribuito ad un rafforzamento della coscienza di classe operaia, hanno però ridisegnato in termini collettivi la contrapposizione tra i due fattori della produzione, nella qualità di parti negoziali, e consolidato la subordinazione del lavoro rispetto al capitale come dato strutturale.

È altresì vero che, nel lodo 21 agosto 1901, il collegio per le industrie alimentari di Milano ha chiarito come tra industriale e operaio vi fossero dei doveri di reciproca assistenza che non potevano essere contemplati nella tariffa, ma derivavano da quel generale dovere di umanità proprio di ogni società civile e non da un accresciuto ruolo del lavoratore all’interno dell’organizzazione aziendale.

Il senso dell’assistenza da parte dell’operaio era di evitare l’incremento di quel “falso concetto che ha preso radice in molti operai del proprio diritto, le cui rivendicazioni devono procedere di pari passo coll’ottemperanza sempre più rigorosa del proprio dovere. Per aver diritto ad indennizzo in caso di licenziamento provocato da sciopero occorre che alla piena dimostrazione della colpa dell’imprenditore, si accompagni da parte del danneggiato la prova di aver adoperato le debite maniere, in guisa da non lasciare dubbio che la determinazione della dimissione muova unicamente da spirito di rappresaglia di chi si sente danneggiato dallo sciopero stesso”559.

Le legittimità dello sciopero di solidarietà, sul presupposto dell’identità d’interessi dei soggetti appartenenti alla medesima classe, e l’impossibilità per l’imprenditore di rifiutare di trattare con le rappresentanze operaie hanno rinsaldato il vincolo del ceto operaio in termini positivi, come coscienza di classe, e in antitesi a quella imprenditoriale560.

La gestione del conflitto del lavoro ha così avuto conseguenze di rilievo oltre lo stretto campo di regolazione delle relazioni di lavoro. I probiviri, nell’esercizio di un’attività quasi da precettore, hanno senz’altro scosso gli animi dei discoli discenti impartendo le nozioni basilari di un ordine sociale basato su una stratificazione per classi.

558 L’espressione è di G. Gozzi, Legislazione sociale e crisi dello Stato di diritto tra Otto e Novecento. Due modelli:

Italia e Germania, in “Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, 1984, p. 201.

559 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 20 dicembre 1901, Figini c. Fumagalli, cit.. 560 Cfr. Giuria dei collegi di probiviri Milano, Vestiario, 25 aprile 1905, Romagnoli e altri c. Ditta G.A. Fossati,

in “Monitore dei tribunali”, 1905, pp. 416-417, interessante anche perché i rappresentanti eletti dai lavoratori erano donne.

Struttura da perpetuare: capitale e lavoro come mondi paralleli, non più in guerra, formalmente cortesi ma fondamentalmente prevenuti e sospettosi l’un verso l’altro. Inoltre, se le ragioni degli operai dovevano essere ascoltate e tenute in considerazione, non si poteva comprimere eccessivamente il potere dell’imprenditore di organizzare da sé la propria azienda e la produzione. In una controversia in materia di distacco del personale, è stato deciso che “sempre che gli operai abbiano conoscenza dell’esistenza delle diverse aziende dipendenti dalla medesima impresa, e non siano costretti a spostamenti che alterino l’andamento delle loro abitudini domestiche, né vengano sottoposti ad opere estranee alle loro mansioni, e purché all’aumentata quantità di lavoro corrisponda un congruo compenso di mercede, non v’ha motivo di negare all’imprenditore il diritto di distribuirvi a sua posta la mano d’opera. Ciò è richiesto dall’economia e dalla produzione. Importa infatti che le attività applicate ad una intrapresa, nei giusti limiti di tempo e di competenza, ne diano tutta la loro capacità produttiva”561.

Il giudizio della giuria poteva quindi essere piuttosto invadente per quanto riguardava la gestione aziendale, specialmente se si considera l’effetto che l’uso del precedente, da parte dei collegi, di una decisione sfavorevole all’imprenditore avrebbe potuto avere sull’industria e sulla produzione. Di conseguenza anche sul mercato del lavoro.

C’è da dire che i probiviri si ritennero espressamente investiti del compito di seguire le vicende del mercato del lavoro562. Ma essi non si limitarono ad osservare da

lontano, intervennero oculatamente: sia nei casi di licenziamento, imponendo la regola del preavviso, sia attraverso l’obbligatorietà degli accordi collettivi al fine di evitare una concorrenza fondata sullo sfruttamento della mano d’opera e di limitare – mi riferisco alle decisioni in tema di diritto al riposo e sostituzione del lavoratore – la disoccupazione, promovendo la solidarietà tra insiders e outsiders.

A conclusione del superiore capitolo, mi sia permesso accogliere le riflessioni del Cappelletto, secondo il quale i probiviri avrebbero vissuto “una specie di competizione istituzionale, mai celata del resto, con il potere politico. Una competitività che non era gratuita polemica nei confronti del parlamento e dell’esecutivo; una sorta di rivalsa verso chi, in fondo, li aveva posti fin dall’inizio in una posizione di insufficienza e di minorità rispetto agli scopi dichiarati”.

Non si può concordare però con l’Autore quando afferma che i probiviri avrebbero “reagito contro la loro stessa debole struttura e contro il boicottaggio della classe imprenditoriale”563.

561 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 20 ottobre 1903, Grilli e Codara c. Ditta

Cesare Vigoni & C., in “Monitore dei tribunali”, 1904, p. 215.

562 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 19 marzo 1900, Mangiagalli c. Reina, cit., p.

778.

563 M. Cappelletto, Per una storia del diritto del lavoro: il contratto collettivo e i probiviri, cit., pp. 1235-

Occorre guardare, infatti, all’aspetto locale e non generale di costituzione dei collegi. Se essi hanno reso pronunce vuol dire che erano stati efficacemente costituiti col consenso delle classi interessate e che non via era stato alcun boicottaggio da parte di quella imprenditoriale. Le decisioni, inoltre, appaiono piuttosto equilibrate: i collegi cercarono davvero di migliorare le condizioni dei lavoratori, senza però mettere in discussione in principi dell’economia liberale.

È vero che il ruolo di presidente era quasi sempre attribuito a giuristi di rilievo – Carnelutti, Contini, Porro, Vadalà Papale – che stendevano la sentenza, ma questa doveva pur essere condivisa dal resto della giuria. Altrimenti lo stesso collegio sarebbe stato senz’altro sciolto o avrebbe semplicemente cessato di funzionare per via di continue astensioni. Alla luce di ciò, sarebbe interessante indagare quale sia stato effettivamente il ruolo esercitato all’interno dei singoli collegi dagli esponenti della borghesia industriale. Nel frattempo, però, non appare una forzatura ritenere – sulla base dell’analisi dei disegni di legge e dell’indagine svolta sulle decisioni dei collegi – che essi abbiano svolto un’attività di regolazione sociale, surrogandosi allo Stato a livello locale e che, pertanto, non siano classificabili semplicemente entro l’insieme degli organi giurisdizionali.

Un’esperienza “locale”:

i collegi di probiviri a Catania (1896-1923)

1. Il carteggio relativo alla formazione dei collegi. Tra Camere di commercio e

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