4. La stabilità del rapporto di lavoro a) Il preavviso di licenziamento ed il risarcimento del danno.
4.2 c) Il preavviso: norma derogabile?
Altra questione da affrontare riguarda la derogabilità pattizia del preavviso. Se essa era senz’altro espressione dei principi di un ordinamento liberale, ammettere deroghe all’obbligo del preavviso costituiva un minus in termini di tutela del lavoratore. Molte pronunzie probivirali avallarono questa clausola contenuta nei contratti individuali o nei regolamenti di fabbrica, sulla base del principio dell’autonomia contrattuale374.
“Per quanto è da augurarsi e consigliarsi che una simile pattuizione abbia a scomparire dai regolamenti delle officine perché non risponde a quei criteri di equità e all’uso generale costante, tuttavia, poiché risulta che esso formò clausola contrattuale nell’atto stesso in cui al contratto si addivenne, nessun dubbio che esso abbia efficacia fra le parti.
Questa Giuria ha affermato costantemente il principio di massima in precedenti giudicati che un patto simile non si possa ritenere, date le leggi vigenti, contrario all’ordine pubblico, e che perciò possa invocarsi dalle parti, quando consti sicuramente che quel patto essi liberamente vollero inserito nel loro contratto”375.
Anche la giurisprudenza ordinaria, così come la dottrina, considerava valide le clausole di rinunzia al preavviso376. Secondo il Degni però occorreva che tale rinunzia
fosse reciproca e non unilaterale a solo favore del conduttore. Tuttavia, considerato lo stato delle relazioni industriali e la possibilità di abusi derivante dalla pressoché totale imposizione delle condizioni di lavoro da parte dell’industriale, l’Autore avvertiva:
373 Giuria dei collegi di probiviri Verona, Industrie metallurgiche, 9 ottobre 1903, Melani c. Falceri, in
“Monitore dei tribunali”, 1904, p. 798.
374 Secondo Offeddu segno della diffusione di tali pattuizioni e dell’attività meramente di ricognizione delle
consuetudini esercitata in questo ambito dai collegi; cfr. M. Offeddu, Attualità di una ricerca storica: probiviri
industriali e licenziamento, cit., pp. 85-86.
375 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie meccaniche, 28 ottobre 1903, Menelli c. Ditta vedova
Porta, in “Monitore dei tribunali”, 1904, p. 897. Conforme Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie
meccaniche, 25 marzo 1903, Torriani c. Ditta B. Camona & C., in “Monitore dei tribunali”, 1904, p. 498.
376 Corte di Cassazione di Napoli, sentenza 7 agosto 1912, Troise c. Mele, in “Rivista di diritto
“Ora, io credo che, rispetto alle norme che riflettono il preavviso o l’indennità in caso di licenziamento, è necessario seguire la stessa via, imponendo, come regola generale, l’obbligo del preavviso o dell’indennizzo, vietando in modo assoluto la rinunzia unilaterale dell’operaio a tal diritto, e lasciando al prudente criterio del collegio dei probiviri (...) la facoltà di apprezzare, secondo le particolari circostanze, se possa o meno ritenersi valido ed efficace il patto di rinunzia reciproca, il quale, talvolta, rappresenta una legittima tutela di vitali interessi dell’industria, che pure meritano e devono avere protezione e garenzia”377.
Un altro orientamento della giurisprudenza probivirale, viceversa, in maniera certamente più coerente, riteneva inammissibile una deroga contrattuale al preavviso. Se infatti quest’ultimo era visto come una consuetudine d’ordine pubblico, le esigenze tutelate erano tali da non potere subire eccezione alcuna. Esse non investivano soltanto la sfera privata delle singole parti contraenti, ma tutti i soggetti facenti parte del mercato del lavoro e dell’industria. Tante deroghe quante fossero le coppie di contraenti avrebbero senz’altro messo in pericolo gli interessi d’ordine pubblico che col preavviso si volevano garantire378.
Si tratta della medesima ragione per la quale il Lucci, annotando criticamente una sentenza del Tribunale di Napoli, ha ritenuto inapplicabile all’ipotesi di serrata la clausola di licenziamento contenuta in un regolamento di fabbrica, e cioè per la diversa gravità delle conseguenze che si collegano al licenziamento dei singoli e alla serrata. “Allorché un industriale serra i suoi stabilimenti, il mercato della mano d’opera si turba istantaneamente. La subitaneità dell’avvenimento, il getto sul mercato di tutta la maestranza, la difficoltà di assorbimento veloce di tanta forza di lavoro (salvo, ben s’intende, specialissime ed eccezionali contingenze), fa sì che l’offerta di lavoro superi di gran lunga la domanda. Ed il mercato del lavoro è in crisi. [...]
Nel licenziamento, al contrario, l’individuo è riversato sul mercato della mano d’opera. Riversandosi nella categoria dei disoccupati, egli trova (salvo sempre specialissimi casi di crisi) un mercato che non è stato scosso, dal proprio licenziamento, in grado economicamente apprezzabile; e quindi, con lo indennizzo del preavviso, può fronteggiare il normale periodo di disoccupazione”379.
Secondo la visione barassiana, invece, partendo dal presupposto che il preavviso fosse un portato della coeva coscienza socio-economica e che nulla avesse a che fare con la struttura giuridica della locazione d’opere, e poiché il preavviso era posto a tutela di
377 F. Degni, Clausole di rinunzia e contratto di lavoro, cit., p. 785.
378 Per questo orientamento vedi Giuria dei collegi di probiviri Milano, Oreficerie, 31 dicembre 1903,
Brustolin c. Buzzetti, in “Monitore dei tribunali”, 1904, p. 897 e Giuria dei collegi di probiviri Milano,
Panificazione, 20 giugno 1906, Calori c. Vatta, in “Monitore dei tribunali”, 1906, pp. 677-678.
379 A. Lucci, Clausola di licenziamento e serrata, commento a Tribunale di Napoli, sentenza 16 luglio 1910,
Belmonte c. Società Officine Meccaniche, in “Rivista di diritto commerciale”, 1911, parte II, pp. 175-178. La
citazione è tratta dalle pp. 176-177; il Tribunale aveva invece ritenuto applicabile anche alla serrata la clausola di licenziamento.
entrambe le parti contraenti (e non soltanto delle classi operaie), i patti in deroga dovevano essere ritenuti validi, sempre che fosse stata osservata la condizione implicita della genuinità del consenso delle parti contraenti380.
Si ripete qui lo sconto tra interesse generale della collettività operaia e tutela della volontà atomistica. Tale contrasto non viene risolto una volta per tutte dalle giurie dei probiviri, né del resto c’era univocità di vedute in dottrina; ma viene rimesso da un canto al substrato sociale, culturale, ideologico e morale dei soggetti di volta in volta giudicanti e alla valutazione delle circostanze del caso specifico.