• Non ci sono risultati.

Dai disegni di legge sull’istituzione dei probiviri emerge come non si volesse creare un potere normativo concorrente con quello statale, tale da modificarne le stesse strutture istituzionali e ordinamentali. Si sarebbe voluto inaugurare una sorta di sinergia tra tecnici (i probiviri) e legislatore, il quale avrebbe dovuto servirsi dei principi sentiti dalle classi industriale e lavoratrice ed emersi nella prassi giudiziaria. Per altro verso, sembra quasi scontato affermare che i collegi di probiviri abbiano fatto un largo uso del precedente giudiziario, uso ontologicamente incluso nella natura di organo che deve risolvere le controversie con una decisione equa294. Il principio è

quello aristotelico dell’eguaglianza in casi uguali e della differenza in casi diversi295.

Analogamente, il precedente ha la precipua funzione di garantire la certezza del diritto in quei Paesi a prevalente diritto giurisprudenziale e, soprattutto per quel che qui interessa, in quelle situazioni che non hanno una tipica e connotata disciplina giuridica.

I probiviri, nel risolvere la controversia, elaboravano una regola adatta per il singolo caso. La controversia veniva decisa su in piano prettamente fattuale empirico, data l’assenza di norme poste dal legislatore, sulla base di considerazioni di buon senso, del richiamo alle consuetudini locali o di settore, se condivise e ritenute buone, dell’utilizzo di formule ampie e di clausole generali per riempire di volta in volta, e modellare in relazione al fatto, il contenuto dell’equità. Spesso il termine “equità” non compare nemmeno una volta nelle sentenze probivirali; ma dal contesto si evince come tale nozione permei tutta la decisione296. In particolare, si può dire che lo

“spirito di equità” venisse traslato su altri concetti, che ne traducevano il senso e lo scopo nel caso specifico, concetti a loro volta impregnati di socialità: equilibrio del mercato, sentire comune, interesse pubblico, solidarietà, etc.. L’equità sta sullo sfondo, funge per così dire – con una forzatura anacronistica – da canone costituzionale. I probiviri, nella maggior parte dei casi, risolvevano le controversie applicando le consuetudini locali vigenti. Di peculiare interesse è la definizione di alcune di esse

294 Secondo il Chiarloni (op. cit., p. 618), il vincolo di obbedienza al precedente, strettamente connesso ad

un’istanza egalitaria e di certezza del diritto, potrebbe anche portare ad una decisione del caso con la soluzione meno corretta dal punto di vista interpretativo.

295 Aristotele, Etica nicomachea, Libro V, § 6 (cito dall’edizione Fabri editori, collana “I classici del pensiero”,

2004, vol I, p. 207): “E identica sarà l’uguaglianza tra coloro per i quali è giusto e tra le cose nelle quali è giusto. Infatti il rapporto che vige tra queste, e cioè per le cose nelle quali è giusto, vige anche tra quelli. Se infatti non sono uguali, non avranno cose uguali; ma è questa la situazione dalla quale sorgono le contese e le accuse: quando o essendo uguali possiedono ed ottengono cose non uguali, o non essendo uguali possiedono ed ottengono cose uguali”.

296 Cfr. E. Redenti, Massimario della giurisprudenza dei probiviri, cit., p. 164. Sulla scelta di Redenti di redigere

di occuparsi del “tranquillo bricolage d’una giurisprudenza da piccolo business come quella probivirale”, rinvio a U. Romagnoli, Un giurista liberal-democratico e il diritto dei probiviri, in “Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”, 1985, pp. 49-56.

come consuetudini di ordine pubblico, per la loro straordinaria importanza giuridica e sociale e, come tali, non derogabili contrattualmente297.

Molte sono pure le controversie risolte sulla base delle disposizioni del codice civile, non solo utilizzando quel “polmone ossigenatore del diritto” rappresentato dall’articolo 1124 del codice civile in maniera da estenderne elasticamente l’ambito, ma applicando direttamente singoli istituti298. Talvolta i probiviri richiamano tramite

l’argomento analogico esempi di legislazione statuale per corroborare la propria decisione. Per esempio, nel sancire che l’azienda mercantile deve riprendere il vestiario fornito al dipendente per l’attività lavorativa, una volta che questi sia stato licenziato, la giuria per i trasporti di Torino richiamava analogicamente le regole poste dall’art. 483 c.c. sugli obblighi dell’usufruttuario299.

Occorre però chiarire che la prima disposizione di legge alla quale ricorrevano i collegi era rappresentata dall’articolo 1 del codice di commercio del 1882, sul presupposto che il “rapporto di servizio” – in relazione al quale essi dovevano decidere – fosse un atto commerciale ai sensi dell’articolo 3 del medesimo codice. L’articolo 1 infatti disponeva: “In materia di commercio si osservano le leggi commerciali. Ove queste non dispongano, si osservano gli usi mercantili: gli usi locali o speciali prevalgono sugli usi generali.

In mancanza si applica il diritto civile”.

Ciò non significa che i collegi fossero sollecitati verso una decisione equitativa soltanto in caso di mancato reperimento di una consuetudine da applicare. Si tratta in realtà di una commistione di percorsi: i probiviri applicano le consuetudini locali soltanto se le valutavano eque, a volte equilibrate per entrambe le parti altre volte necessarie perché portatrici di una profonda istanza di giustizia sociale.

297 Vedi per un esempio Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie tessili, 27 febbraio 1901, Aliverta c.

Cernuschi, in “Monitore dei tribunali”, 1901, pp. 216-217.

298 Ad esempio in tema di risarcimento del danno, dell’onere della prova, della rescissione del contratto.

Riguardo l’onere della prova, è stato rilevato come esso fosse trattato dalle giurie probivirali non come un fatto logicamente autonomo, bensì in relazione alla problematica del libero convincimento del giudice. “Il corollario tecnico di una simile concezione consisteva nel collegare il depotenziamento del rigore della regola, secondo i classici aforismi ei incumbit probatio qui dicit non qui negat, actore non probante reus absolvitur, non ad un generico potenziamento dei poteri istruttori del giudice, ma ad istituti quali l’interrogatorio delle parti ex officio iudicis reso efficace dall’obbligo della comparizione personale delle parti e dal dibattito preliminare diretto alla conciliazione; alla facoltà del giudice di ordinare l’esibizione dei documenti e di chiamare testimoni d’ufficio; alla possibilità tecnica, riconosciuta al magistrato, di valersi largamente delle «presunzioni indotte dalla normalità delle cose»; tutto ciò nell’assunto – paternalistico quanto si vuole, ma storicamente reale – che la prova dei fatti e la dimostrazione del diritto sarebbero risultati, in un processo altrimenti mutuato dal processo civile ordinario, impossibile alla parte «normalmente ignorante e senza mezzi»”; così B. Caruso, Tutela giurisdizionale, onere della prova, equità processuale. Una ricerca sul diritto del

lavoro nel processo, in “Rivista di diritto del lavoro e della previdenza sociale”, 1982, I, p. 17.

299 Giuria dei collegi di probiviri Torino, Trasporti, 15 novembre 1902, Aiassa c. Società Anonima Elettrica

Fatta la ricognizione di una consuetudine non giusta, i probiviri non la prendevano in considerazione per la risoluzione della controversia, o meglio la utilizzavano per indicarla come regola da non seguire300.

In questo contesto, per i collegi, fare riferimento ai precedenti significava trovare una fonte di autorità, attraverso il richiamo al principio di eguaglianza all’usus e al tempo, e uno strumento di consolidamento del proprio operato al fine di scardinare i più iniqui assetti empirici della regolazione lavoristica301. Nelle

decisioni si ritrovano frasi del tipo: “Che se per consuetudine già riconosciuta e fatta rispettare nei giudicati di questo Collegio...”302; “è questa una consuetudine

generale e notoria, e già tante volte affermata da tutti i Collegi dei Probi-viri, che fa senso come possa ancora essere posta in dubbio”303; “questa Giuria altra volta

già ebbe a giudicare”304.

Applicando la stessa ratio decidendi adottata in altro caso analogo, ed allontanandosi dall’originaria concezione – di conciliazione dei piccoli conflitti di lavoro – che di essi aveva avuto il legislatore del 1893, i collegi hanno svolto una vera e propria attività normativa305. Si tratta di regole istituti principi che non hanno trovato collocazione

nella tanto agognata e mai emanata legge sul contratto di lavoro, ma che hanno influenzato nelle fondamenta il nascente, e l’odierno, diritto del lavoro. Alcuni

300 Appare esplicativo riportare il ragionamento seguito da uno dei collegi in un caso deciso: “Accertata la

sussistenza della consuetudine, sarà il Collegio tenuto a conformarvi le sue sentenze?

Ed è il caso del Galbiati tale da esser esclusivamente giudicato colla stretta applicazione delle norme dettate dagli usi?

La dottrina ravvisa nella consuetudine una delle fonti del diritto, nelle cui classificazioni sempre è stato riservato un posto al diritto consuetudinario (il droit coutumier dei Francesi, la longa consuetudo dei Romani). Alle consuetudini ed agli usi, in mancanza di speciali disposizioni, la legge positiva in diverse occasioni fa riferimento (vedi articoli 1608, 1609, 1613, 1625 c.c.; 1, 30, 36, 58, 62, 69, 356, 397 c. comm.). Ma è ufficio del giudice di analizzarli per apprezzarne i motivi che li hanno costituiti, e quando risultino in contraddizione coi principi fondamentali del diritto vigente, o del buon costume, o dell’ordine pubblico, è dovere suo di scostarsene, iniziando una giurisprudenza che li corregga” (così Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 15 gennaio 1902, Galbiati c. Danioni-Maraviglia, in “Monitore dei tribunali”, 1902, p. 337)

301 La redazione del “Monitore dei Tribunali” ha posto dei tasselli importanti nella ricostruzione della

giurisprudenza probivirale. Le sentenze pubblicate venivano talvolta annotate con richiami a decisioni antecedenti su casi analoghi conformi ed anche contrarie.

302 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 19 marzo 1900, Mangiagalli c. Reina, in

“Monitore dei tribunali”, 1901, p. 778.

303 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie tessili, 4 gennaio 1902, Bredi c. G. Crosio & C., in

“Monitore dei tribunali”, 1902, p. 37.

304 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 20 dicembre 1901, Premoli e Rossa c.

Galimberti, in “Monitore dei tribunali”, 1902, p. 98.

305 Cfr. P. Calamandrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni d’equità, cit., p. 40. Sulla formazione del

diritto come fatto collettivo v. G. Pacchioni, I poteri creativi della giurisprudenza, in “Rivista di diritto commerciale”, 1912, I, pp. 40-44, dove (a p. 42) commenta: “Ogni ordinamento politico cerca di incanalare le forze che presiedono alla formazione del diritto e crea degli organi legislativi: ma in ogni ordinamento giuridico questi organi si palesano sempre, più o meno, insufficienti a contenere e ad esprimere tutta l’onda del movimento giuridico, ed è perciò che del diritto se ne è sempre creato anche fuori dalla legge per il tramite della giurisprudenza e della scienza giuridica. Noi possiamo esprimere questo concetto dicendo che le fonti del diritto non sono mai state esclusivamente statuali, ma sempre in parte statuali e in parte sociali”.

principi formulati dai collegi hanno addirittura acquisito il rango di diritto costituzionale; ad esempio il diritto di sciopero o il diritto al lavoro. Altri sono stati inseriti nella disciplina del codice civile del 1942, come il principio di effettività della prestazione di lavoro306. Altri ancora costituiscono i capisaldi della disciplina

giuslavoristica: la regolamentazione dello sciopero, l’efficacia normativa del contratto collettivo, il divieto del recesso ad nutum e l’obbligo del preavviso, l’individuazione dei criteri di scelta dei lavoratori e il correlato obbligo di repechage nei cosiddetti licenziamenti straordinari. Alcuni di essi, come l’obbligo del preavviso, erano in realtà condivisi dalla giurisprudenza ordinaria; altri invece rappresentavano degli elementi di rottura nel sistema, ad esempio l’elaborazione dello sciopero come diritto307. Severino

Caprioli ha osservato al riguardo “come la disciplina del lavoro subordinato che prese vigore il 21 aprile 1942 non sia germogliata prodigiosamente dagli allori di una Carta, né dai versetti della legge rocchiana e dal suo regolamento – come opinarono molti –, ma ponga in brevi articoli il portato dell’umile giurisprudenza probivirale308.

Outline

Documenti correlati