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Si rivela pressoché impossibile operare un’esatta cesura fra la funzione normativa esercitata dai collegi di probiviri e la giurisdizionale. Quest’ultima infatti si pone come premessa necessaria della prima e, nelle decisioni, l’elaborazione di nuovi principi giuridici si pone in continuità con i principi propri del sistema liberale, come se si trattasse semplicemente di nuove formulazioni per i medesimi contenuti. Spesso poi la vera innovazione consiste in un obiter dictum della sentenza, con la quale in realtà veniva decisa una differente fattispecie giuridica. Il fatto è che, nelle controversie di lavoro, “la funzione interpretativa si intreccia inestricabilmente con quella creativa e lo ius dicere è inseparabile dallo ius dare”457.

Nei paragrafi precedenti sono state raggruppate alcune sentenze che potrebbero ascriversi alla “funzione giurisdizionale” ed è stata descritta l’attività svolta su quelle tematiche dai collegi, senza però volerne escludere un contributo concretamente riformatore del coevo ordinamento giuridico. Ad esempio – si è visto – in materia di stabilità del rapporto di lavoro o di concorrenza sleale.

In questo e nei paragrafi successivi sarà oggetto di analisi l’attività dei probiviri come elaboratori di diritti nuovi, attraverso la formulazione sotto forma di diritti soggettivi di quelle che sino ad allora – ed in realtà sino alla Costituzione repubblicana – erano delle mere libertà.

Inizia a profilarsi, anzitutto, un diritto al lavoro dell’operaio contrapposto e complementare alla libertà economica dell’imprenditore458. Ancora negli anni Venti

particolare la Relazione del prof. Mengoni alle pp. 113-115, secondo il quale “... i cd. obblighi di fedeltà indicati nell’art. 2105 si manifestano come nient’altro che un’applicazione della regola generale di correttezza sancita dall’art. 1175, nella quale la dottrina individua un aspetto della buona fede, qui operante come fonte di doveri autonomi di protezione che fanno da cornice al rapporto contrattuale”. Vedi poi G. Trioni, Fedeltà, fiducia ed elemento personalistico nel rapporto di lavoro, in “Rivista trimestrale di diritto processuale civile”, 1972, pp. 1633-? e dello stesso autore L’obbligo di fedeltà nel rapporto di lavoro, Milano, Giuffrè, 1982 con Recensione di G. Pera, in “Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1982, 795-797; M. Papaleoni, La persistenza dell’obbligo di fedeltà dopo il licenziamento, in “Massimario di giurisprudenza del lavoro”, 1997, pp. 384-390 e la bibliografia indicata. Sull’individuazione della nozione di fedeltà del lavoratore in relazione ai doveri di correttezza e buona fede ed in raffronto alla categoria della subordinazione, cfr. M. Persiani, Contratto di lavoro e organizzazione, Padova, Cedam, 1966, pp. 216-259.

457 U. Romagnoli, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, cit., p. 179. “Viceversa, – prosegue l’Autore – la

cultura giuridico-sindacale italiana non ha mai smesso di privilegiare un metodo di risoluzione delle controversie di lavoro che suppone preesistente una normativa senza lacune né equivocità e, in conseguenza, considera stravagante – o poco meno che blasfema – una giustizia amministrata sulla base di regole da costruire nel corso del processo”.

458 L’ordinamento italiano tutelava il lavoro-libertà dagli scioperi attuati con violenza o minaccia (artt. 165-

167 c.p. 1889). Così nasce e si sviluppa la stessa disciplina del diritto del lavoro, ponendo “confini alla libertà (a una libertà) per renderla effettiva e immetterla nel fluire dei rapporti reali. Fuse assieme, contestazione dell’ordine esistente e progetto per il futuro hanno offerto un’anima alla disciplina: ogni nuovo mattone posto a quel confine è stato cementato col progetto di allargare l’orizzonte, di conciliare libertà e dignità del lavoro nel concreto della realtà sociale”; v. G. Cazzetta, Scienza giuridica a trasformazioni

la dottrina aveva difficoltà a riconoscere l’esistenza del diritto al lavoro. Nel 1922 Lorenzo Mossa, nel dichiarare di vedere affermarsi un nuovo diritto della personalità di fronte al diritto di proprietà, citava in nota soltanto giuristi tedeschi459.

Il nuovo diritto si fece strada trasversalmente, in decisioni attinenti a materie tra loro disparate. Per esempio circa il rilascio del cosiddetto benservito o certificato di servizio, ritenuto il “patrimonio morale e finanziario” del lavoratore460. Ragion per la

quale “il certificato di servizio deve rilasciarsi senza alcun contrassegno; deve contenere ciò che riflette il servizio dell’operaio prestato. È certo che negli odierni rapporti fra conduttore e locatore d’opera, data la consuetudine vigente nei contratti di lavoro, il certificato di servizio assurge al documento più importante per l’operaio che vada in cerca di locare l’opera propria. E se tale importanza l’assuntore stesso dà a questo certificato, così da non accettare quasi mai l’operaio che non ne sia munito non solo, ma che non sia corredato da tutta o quasi la serie dei certificati precedenti che facciano per così dire la storia del lavoro dell’operaio, devesi pur ritenere che tale documento abbia ad essere fornito di quelle guarentigie che ne rendono non equivoca la portata”461. Ed ancora, si “deve ricordare come il rilascio del certificato di servizio

rappresenti e nella dottrina e nella giurisprudenza uno degli obblighi elementari del conduttore d’opera, senza il cui rigoroso adempimento in qualunque caso si compromette gravemente la fiducia del lavoratore di trovare all’epoca del licenziamento un impiego alla propria attività...”462.

In materia di licenziamento è stato ritenuto opportuno – sebbene non dovuto secondo lo stretto diritto – comunicare all’operaio licenziato col termine di preavviso il motivo del licenziamento, essendo “nella consuetudine il chiedere all’operaio che ricerca occupazione il motivo pel quale lasciò il precedente servizio, quando anche non sia voluta la prova della sussistenza del motivo accennato”463. Inoltre, non

giustificava l’immediato licenziamento l’arresto dell’operaio arrestato per sospetto di partecipazione a reato, poiché tale azione “può bollare la persona colpita d’un marchio che gli scema il buon nome”, in quanto unico suo patrimonio è l’illibatezza professionale464.

459 L. Mossa, Il diritto del lavoro. Discorso inaugurale nella Regia Università di Sassari del novembre 1922,

Ristampa, Pisa, Arti grafiche Pacini Mariotti, 1922, p. 9.

460 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industria del legno, 27 aprile 1904, Trezzi c. Tagliabue, cit., p. 414. 461 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie meccaniche, 25 marzo 1903, Gironi c. Ditta Origoni & C.,

in “Monitore dei tribunali”, 1904, pp. 437-438.

462 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie tessili, 3 maggio 1905, Reggiani c. Ausenda, in “Monitore

dei tribunali”, 1905, p. 459. Sul rilascio del benservito come obbligo del datore era concorde pure L. Barassi, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, cit., p. 589. Redenti parlava di “estrema obbligazione positiva generata dal rapporto” (E. Redenti, Massimario della giurisprudenza dei probiviri, cit., p. 242).

463 Giuria dei collegi di probiviri Verona, Industrie metallurgiche, 9 ottobre 1903, Melani c. Falceri, cit., p.

798.

464 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie alimentari, 10 maggio 1903, Pasini c. Samarani, cit., p.

Il diritto al lavoro nasce, dunque, dall’esigenza di evitare che situazioni scaturenti da un precedente contratto di lavoro potessero impedire agli operai di trovare un nuovo impiego. Anche quando l’impedimento al lavoro fosse stato determinato dallo sciopero di operai addetti ad altro reparto e che aveva reso impossibile la prosecuzione del lavoro465. Limite di tale diritto al lavoro era la corrispondente libertà economica

dell’industriale466. È stato infatti ritenuto che la promessa dell’imprenditore di dare

lavoro all’operaio deve essere intesa “con quella equità da cui non devesi mai decampare nel valutare gli effetti derivanti dal contratto di lavoro, in guisa che se per forza di circostanze l’industriale non le può esattamente adempire, non deve per questo fatto essere tenuto al risarcimento dei danni, giacché le momentanee sospensioni e riduzioni di lavoro vanno per uso considerate come conseguenze naturalmente inerenti all’indole del contratto di lavoro”; ad esempio nel caso di trasloco d’azienda467.

Nelle decisioni riportate il diritto al lavoro è ancora lontano dal rappresentare condizione per l’elevazione personale del lavoratore; il fine della tutela è il dato economico, in quanto però volto a procurare i mezzi necessari per il sostentamento dell’operaio e della propria famiglia. Il diritto al lavoro assume una connotazione prettamente alimentare468.

Certamente non ci si poteva aspettare un elevato grado di astrazione teorica dai collegi di probiviri; pur tuttavia, nelle loro decisioni, è possibile cogliere gli embrioni del futuro diritto costituzionale.

Per onestà scientifica, non può prescindersi dal rilevare come, nel processo di affermazione del diritto al lavoro, un ruolo fondamentale sia stato svolto dalla legge

465 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Industrie tessili, 16 ottobre 1907, Bonfanti e altri c. Ditta Losa & C.,

in “Monitore dei tribunali”, 1907, pp. 937-939. Il caso, secondo la Direzione del Monitore, si presentava per la prima volta nella giurisprudenza italiana del lavoro. La novità stava nel fatto che il datore lavorava solo per soddisfare le commissioni che riceveva; di conseguenza “il contratto di lavoro degli operai dipendenti da esso aveva subito una impronta diversa da quella dei soliti contratti di lavoro, perché qui l’operaio scontava sopra di sé l’alea delle diminuite commissioni, rassegnandosi a corrispondenti periodiche disoccupazioni, più o meno gravi”.

466 Cfr. G. Cazzetta, Scienza giuridica a trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e Novecento, cit.,

pp. 368-373, il quale analizza alcuni aspetti del dibattito politico tenutosi in Francia nel 1848 in relazione al diritto al lavoro.

467 Giuria dei collegi di probiviri Milano, Pelli, 23 maggio 1903, Simi c. Andreis, in “Monitore dei tribunali”,

1904, p. 518.

468 Come messo in luce dal professor Cazzetta, il riconoscimento dei diritti dei lavoratori non è in contrasto

con il riconoscimento di un diritto al lavoro. Se infatti nell’Ottocento il consolidamento dei diritti dei lavoratori già inseriti in un dato contesto economico veniva contrapposto alla mera possibilità di diritto al lavoro per tutti, nel Novecento “la costruzione dei diritti dei lavoratori si è presentata come espressione di un progetto giuridico ampio che, ponendo assieme speranze ‘private’ e ‘pubbliche’, prospettava attraverso i confini apposti alla libertà di contratto una libertà vera per tutti. Coerentemente, soprattutto nelle fasi di sviluppo economico, il diritto al lavoro è divenuto prima di tutto diritto alla conservazione al posto di lavoro senza che ciò risultasse contrastante con il riconoscimento costituzionale «a tutti i cittadini» del diritto al lavoro” (cfr. G. Cazzetta, Scienza giuridica a trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e

sugli infortuni sul lavoro, in particolare dall’interpretazione datane dal Carnelutti469.

La legge infortuni era per il Giurista espressione di un sentire sociale comune, ma non per questo era priva di alcun fondamento giuridico. Al contrario, il diritto non era altro che “una attitudine particolare del fenomeno sociale”. Lo spirito della legge infortuni doveva pertanto condurre il futuro legislatore a plasmare un diritto che fosse intriso di socialità ed i cui istituti singoli non sortissero effetti negativi una volta gettati nell’arena470.

Come spiegato dal Passaniti, “nel contesto della ‘transizione’, non è tanto importante la legislazione sociale, quanto la sistemazione delle leggi sociali vigenti in un nuovo contenitore per giungere alla riduzione della frattura tra lo status di soggetto debole e quello di libero contraente, nell’ottica di un superamento del parallelismo tra libertà contrattuale e legislazione sociale. La legislazione sociale diventa per Carnelutti l’embrione normativo di quel vagheggiato Stato interventista né liberale né sociale”471.

Emblematica la teorizzazione del rischio professionale come fondamento giuridico della legge sugli infortuni sul lavoro. Il rischio professionale gravava sull’intera industria, quindi anche sull’operaio (attraverso, ad esempio, la tassazione preventiva delle indennità legali), e non solo sull’industriale. La legge infortuni non era quindi

469 Copiosa l’attività scientifica del Giurista sul tema; ex plurimis: F. Carnelutti, A proposito di un difetto nella

locuzione dell’art. 7 della legge su gli infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1903, parte I, pp. 330-332;

Id., Criteri d’interpretazione della legge su gli infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1904, pp. 202-226; Id., Fondamento giuridico della legge su gli infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1904, parte II, pp. 152- 162; Id., Occasione di lavoro e regolamenti di fabbrica, in “Rivista di diritto commerciale”, 1904, parte II pp. 259-263; Id., Occasione del lavoro. Art. 7 della legge sugli infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1905, parte I, pp. 109-141; Id., Ancora sull’art. 7 della legge infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1905, parte II, pp. 94-98; Id., Gli apprendisti nella legge infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1906, pp. 305-330; Id., Causa violenta. Art. 7 della legge sugli infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1906, parte I, pp. 413- 438 e 1907, parte I, pp. 126-147 e 216-223; Id., Il progresso della giurisprudenza in materia d’infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1907, parte II, pp. 73-94; Id., Giurisdizione e procedura nelle controversie in

materia d’infortuni a proposito del disegno di legge 13 marzo 1908, n. 965, in “Rivista di diritto commerciale”,

1908, parte I, pp. 213-235; Id., Intorno alla riforma sulla legge infortuni, in “Rivista di diritto commerciale”, 1908, parte I, pp. 581-589; Id., Infortuni sul lavoro. Studi, Roma, Athenaeum, 1913; Id., La nuova procedura

per le controversie sugli infortuni nell’agricoltura, in “Rivista di diritto commerciale”, 1918, parte I, pp. 31-42.

Sull’argomento cfr. pure F. De Luca, La teorica del rischio professionale e il suo fondamento, in “Il Foro catanese”, 1910, pp. 81-88; Id., L’applicazione della legge sugli infortuni, in “Il Foro catanese”, 1910, pp. 127- 136; Id., La causa violenta e l’occasione di lavoro secondo l’art. 7 della legge sugli infortuni, in “Il Foro catanese”, 1910, pp. 167-176 e Id., La concausa negl’infortuni sul lavoro, in “Il Foro catanese”, 1911, pp. 3-9. Sull’interpretazione della legge sugli infortuni del 1898 e sulla sua collocazione entro il sistema civilistico italiano G. Cazzetta, Responsabilità aquiliana e frammentazione del diritto comune civilistico, 1865-1914, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 409-469; mentre per le teorie dottrinali sulla responsabilità per infortuni sul lavoro prima della legge, v. L. Gaeta, Infortuni sul lavoro e responsabilità civile. Alle origini del diritto del lavoro, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1986.

470 F. Carnelutti, Criteri d’interpretazione della legge su gli infortuni, cit., pp. 224-226. La citazione è a p. 203. 471 P. Passaniti, Storia del diritto del lavoro. La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920),

Milano, Giuffrè, 2006, p. 480. Nella pagina precedente l’Autore afferma che – a differenza di un Barassi, il quale si era limitato a prendere atto della fase di transizione – il Carnelutti aveva cavalcato l’onda del cambiamento, “nella consapevolezza che la dialettica del conflitto debba lasciare spazio a un nuovo ordine condiviso, a un nuovo equilibrio di rango costituzionale”.

una paternalistica concessione, “ma il riconoscimento di un diritto e di un dovere”472.

Nella riflessione del giurista si realizza quell’innesto delle nozioni del diritto privato entro gli scopi del diritto pubblico indispensabile affinché il riconoscimento dei diritti soggettivi possa non limitarsi ad un proferimento verbale, ma abbia degli effetti nella vita reale. Ed anche nelle decisioni probivirali l’emersione dei germi di futuri diritti costituzionali passa per l’esatto e corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali.

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