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È stato detto che la prima comunicazione diretta tra Ministero e Camera di commercio avvenne il 6 novembre 1902, tramite una lettera con la quale il Ministero chiedeva il numero dei componenti di ciascun collegio. Una lettera di analogo tenore fu quella del 7 marzo 1903, seguita dalle medesime richieste da parte del Prefetto del 18 aprile e del 5 maggio successivi589.

Già a metà marzo era stata nominata e convocata una commissione presso la Camera di commercio che studiasse quanti membri assegnare ad ognuno degli istituendi collegi590. Con il seguente esito: “Questa Camera di commercio chiamata a proporre il

586 A. Aquarone, Tre capitoli sull’Italia giolittiana, cit., p. 94 e R. Ruffilli, Problemi dell’organizzazione

amministrativa nell’Italia liberale, cit., pp. 725-727.

587 La Mascambruno ha chiarito come la politica di mediazione giolittiana sia stata realizzata “grazie

all’aiuto, benché non sempre convinto e spesso critico dei prefetti, dato il loro attaccamento alla tradizione, sia come metodo di governo, sia come solidarietà alla classe sociale cui appartenevano, sia infine come consolidata mentalità di burocrati”; cfr. M.C. Mascambruno, Il Prefetto, I, Dalle origini all’avvento delle regioni, cit., p. 64.

588 L’espressione è di N. Randeraad, Autorità in cerca di autonomia. I prefetti nell’Italia liberale, Roma,

Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici, 1997, p. 43. Sul rapporto tra centro e periferia e sul ruolo dei prefetti come problemi storiografici, v. P. Aimo, Il centro e la

circonferenza. Profili di storia dell’amministarzione locale, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 180-188.

589 Ministero di agricoltura, industria e commercio (Divisione III industria e commercio. Sezione II del

protocollo 4304 della posizione 1-7-7-17) al presidente della Camera di commercio di Catania, 7 marzo 1903 arrivato il 9 marzo 1903 e protocollato al n. 589. Oggetto: Collegi di probiviri per le industrie nella provincia di Catania, Prefettura della provincia di Catania (Div. 3 Num. 11694) al presidente della Camera di commercio di Catania, 18 aprile 1903, arrivato il 20 aprile 1903 e protocollato al n. 802. Oggetto: Collegi di probiviri per le industrie nella provincia di Catania e Prefettura della provincia di Catania (Div. 3 Num. 11694) al presidente della Camera di commercio di Catania, 5 maggio 1903, arrivato il 6 maggio 1903 e protocollato al n. 976. Oggetto: Collegi di probiviri per le industrie nella provincia di Catania, tutti in Archivio della Camera di commercio di Catania.

590 Camera di commercio ed arti della provincia di Catania (Num. 622) ai membri della commissione, 12

marzo 1903. Oggetto: Collegi di probiviri. Commissione ..., in Archivio della Camera di commercio di Catania.

numero dei componenti i collegi di probiviri che intendonsi istituire in Catania, tenuto presente che gli industriali, imprenditori ed operai aggironsi a

N. 11 industriali e 600 operai per le industrie della macinazione dei cereali, panificazione e pastificazione

N. 60 imprenditori e 650 operai per la industria dei trasporti e facchinaggio N. 14 industriali e 800 operai per la lavorazione dello zolfo

esprime parere che il numero dei componenti i collegi dei probiviri, oltre del Presidente, sia stabilito di

N. 10 per l’industria della macinazione, panificazione e pastificazione N. 14 per l’industria dei trasporti e facchinaggio

N. 12 per l’industria della lavorazione degli zolfi”591.

La commissione incaricata di studiare la questione aveva realizzato diversi prospetti nei quali erano stati individuati gli imprenditori e/o industriali per ciascun settore interessato592.

Per quanto riguarda l’industria dei trasporti e facchinaggio, gli imprenditori erano stati ripartiti in più sottogruppi, per ognuno dei quali erano stati indicati il numero degli operai impiegati: sbarco e trasporto carboni (sei imprenditori e quaranta operai), sbarco e trasporto grani (cinque imprenditori e quaranta operai), sbarco e trasporto legnami (tre imprenditori e trenta operai), stivatori (cinque imprenditori e quaranta operai), imbarco e trasporto agrumi (quarantadue imprenditori e cinquecento operai). La suddivisione operata dalla Camera di commercio rispecchia il generale trend siciliano delle importazioni e delle esportazioni593. Tra la fine dell’Ottocento e i primi

del Novecento, in particolare, un incremento esponenziale investe l’esportazione di agrumi, a fronte del quale tuttavia si registrava un sempre maggiore crollo del prezzo del prodotto594. Mentre “negli anni che precedono la guerra, circa il 20 per cento della

domanda interna di cereali (escluso il riso) è soddisfatto dalle importazioni”595.

591 Camera di commercio ed arti della provincia di Catania (Num. 622. Risposta al foglio 6 novembre 1902

– 7 marzo 1903. Div. 3 Sez. 2 Num.18689 – 4304 Pos. 1-7-7-17 ) al Ministro di agricoltura, industria e commercio. Oggetto: Collegi di probiviri e Camera di commercio ed arti della provincia di Catania (Num. 862/974. Risposta al foglio 18 aprile 1903 Div. 3 Num.11694) al Prefetto di Catania. Oggetto: Collegi di probiviri per alcune industrie in Catania, entrambi in Archivio della Camera di commercio di Catania.

592 I prospetti sono inseriti nel faldone di riferimento presso l’Archivio della Camera di commercio di

Catania.

593 “La Sicilia scontava la posizione molto marginale in cui veniva a trovarsi sia nell’ambito della divisione

internazionale del lavoro che del mercato unico mondiale, dipendente com’era da una importazione anelastica (grano, combustibili) e da una esportazione di derrate agricole pregiate dove ormai la concorrenza di altri paesi si faceva sempre più serrata, quando addirittura non si rivelava vincente come nel settore vinicolo”; così O. Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, Bari, Laterza, 1995, p. 216.

594 Cfr. O. Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, cit., pp. 175-178.

595 Il dato è tratto da G. Toniolo, Storia economica dell’Italia liberale 1850-1918, Bologna, Il Mulino, 1988,

p. 167 che a sua volta cita G. Federico, Commercio dei cereali e dazio sul grano in Italia (1863-1913). Una analisi quantitativa, in “Nuova rivista storica”, 1984, p. 77. In generale sulle conseguenze del dazio sul grano del 1887 e sull’evoluzione economica italiana dall’Unità all’età giolittiana e sui rapporti tra il

Nel settore cerealicolo, gli industriali addetti alla macinazione, panificazione e pastificazione nel comune di Catania erano otto, con un totale di duecentonovantaquattro operai non equamente distribuiti. Esistevano quindi diverse realtà all’interno dell’industria della panificazione: alcuni panifici impiegavano ben ottanta dipendenti, altri dieci o quattordici, altri ancora da venti a quaranta. Sono stati indicati poi un imprenditore nel comune di Misterbianco (con settanta dipendenti) e due in quello di Acireale (con ottanta operai ciascuno). Lo sviluppo dell’industria molitoria scaturiva dalla meccanizzazione del processo produttivo e dall’accorpamento, in un unico stabilimento, dei forni e dei pastifici. L’evoluzione tecnica dei metodi di produzione comportò anche, a lungo termine, un cambiamento nelle abitudini alimentari dei consumatori: grazie all’asciugatura meccanica la produzione di pasta secca prese il posto di quella fresca. Ma soprattutto, il progresso scientifico applicato alla produzione comportò l’affermarsi di grandi stabilimenti che univano insieme forni e pastifici in luogo dei piccoli laboratori596.

Gli industriali raffinatori e molitori di zolfo nella provincia di Catania ammontavano a quattordici, con un totale di ottocentodiciannove operai. Nonostante la crisi dell’industria zolfifera siciliana, gli stabilimenti catanesi erano quelli più avanzati sotto il profilo della meccanizzazione del settore. Catania era l’unica provincia in cui esistevano stabilimenti di raffinazione e di sublimazione ed era al primo posto per la presenza di mulini per la macinazione dello zolfo597. L’essere situate le industrie

“lontano dai luoghi dell’estrazione [stava] quasi a voler accentuare la distanza tra i due mondi spesso in conflitto, l’uno quello dei proprietari e degli esercenti di miniere, economicamente e socialmente arretrato, l’altro quello delle iniziative imprenditoriali”598.

La scelta politica è stata dunque quella di istituire collegi nei settori industriali più sviluppati, senza prendere in considerazione altri settori suggeriti dalla Camera di commercio, come quello della concia delle pelli o quello edilizio o ancora quello dei trasporti legato al porto di Riposto, che invece erano in una fase di iniziale espansione599. Probabilmente perché in questi settori pur con numerosi addetti e

sviluppati, sebbene con metodi artigianali, era assente il grande capitale finanziario600.

Mezzogiorno e il Nord e tra industrializzazione e crisi agraria v. R. Romeo, Storia della grande industria in Italia 1861/1961, Bologna, Cappelli, 1972, pp. 26-114, V. Castronovo, Storia economica d’Italia, Torino, Einaudi, 1995, pp. 3-197, G. Toniolo, Storia economica dell’Italia liberale 1850-1918, cit., pp. 81-197, V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia (1861-1990), Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 15-267. Per uno studio economico vedi i diversi contributi in G. Toniolo (a cura di), Lo sviluppo economico italiano 1861-1940, Bari, Laterza, 1983. Sull’industrializzazione v. Id., L’industria italiana dall’ottocento a oggi, Milano, Mondadori, 1980.

596 O. Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, cit., p. 186 e p. 223. 597 O. Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, cit., p. 183. 598 O. Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, cit., p. 228.

599 Secondo il Toniolo, la constatazione di un misurato sviluppo economico del Sud non è incompatibile

Scelta politica coerente con il conservatorismo degli esponenti della classe dirigente meridionale che da un lato investiva in infrastrutture (il porto, la ferrovia, le bonifiche, gli impianti idroelettrici), dall’altro, “in nome della vocazione agriculturista del Mezzogiorno, continuarono a boicottare qualsiasi progetto di modernizzazione nel timore che venissero compromessi certi equilibri tradizionali e le posizioni di dominio dei vecchi gruppi d’interesse”601.

Una delle ragioni di tale valutazione probabilmente è da ricercare nella circostanza che la borghesia industriale non era rappresentata dalle forze politiche602. Queste

ultime risultavano composte da un canto dalla vecchia aristocrazia nobiliare, il cosiddetto blocco agrario-industriale, dall’altro dalla borghesia professionale603. Nei

primi anni del Novecento, non vi era ancora spazio per quegli esponenti della piccola e media industria che invece hanno trovato voce nelle fonti della Camera di commercio604.

Infatti, anche in età giolittiana, anzi proprio in età giolittiana – quando ormai i grandi interessi economici non si decidevano in parlamento ma nei vari uffici burocratici di governo, e sorgevano accanto ad essi organismi di rappresentanza di tali interessi e l’intervento statale non era più uniforme ma “geograficamente e settorialmente delimitato e finalizzato” – la politica italiana aveva mantenuto, se non accentuato, il

economico che si realizzi in una situazione di moderato dualismo tenda ad esasperare il fenomeno. ... La ragione pare possa essere rintracciabile soprattutto nell’operare di economie dinamiche di agglomerazione o di localizzazione esistenti per il semplice fatto che una delle regioni sia moderatamente più progredita dell’altra. Esse rendono maggiormente conveniente l’impiego di fattori della produzione, ad esempio, al Nord rispetto al Sud”; così G. Toniolo, Storia economica dell’Italia liberale 1850-1918, cit., p. 193.

600 Il settore della concia delle pelli, che contava circa un migliaio di addetti, conservò la propria efficienza

sino alla prima guerra mondiale; mentre quello dell’edilizia occupava nel 1890 ben 4.306 persone, numero destinato a raddoppiare nel 1912; v. A. Tomaselli, Artigianato ed industria, cit. pp. 562 e 563.

601 V. Castronovo, Storia economica d’Italia, cit., p. 168 e cfr. pure G. Barone, Mezzogiorno e modernizzazione.

Elettricità, irrigazione e bonifica nell’Italia contemporanea, Torino, Einaudi, 1986, pp. 155-156, secondo il quale

inoltre “lo scopo ultimo del progetto sicilianista era quello di mantenere inalterati i rapporti di classe e di preservare gli strumenti collaudati del dominio politico, pur accettando un processo di trasformazione graduale che si adattasse ai movimenti pendolari della rendita fondiaria e ai ritmi lenti dell’accumulazione capitalistica nelle campagne …” Tuttavia, “da un lato fenomeni positivi di differenziazione all’interno delle classi dominanti locali spostano l’attività di nuclei borghesi dagli interessi agricolo-commerciali ad iniziative industriali ad alta composizione organica di capitale (chimica ed elettricità), dall’altro l’intervento massiccio delle grandi banche d’investimento settentrionali determinavano oggettivamente un elevato grado di conflittualità tale da scompaginare dalle fondamenta l’unità del blocco agrario-industriale”.

602 Sul problema della rappresentanza parlamentare nell’età della Sinistra e durante l’età giolittiana, v. N.

Tranfaglia, Il deperimento dello stato liberale in Italia, in “Quaderni storici”, 1972, pp. 677-695. Sull’estrazione sociale del Prefetto rimando sopra alla nota 21.

603 Sull’articolazione della nuova classe dirigente formatasi intorno alle cosiddette agro-town cfr. S. Lupo e

R. Mangiameli, La modernizzazione difficile: blocchi corporativi e conflitto di classe in una società ‘arretrata’, in AA.VV., La modernizzazione difficile. Città e campagne nel Mezzogiorno dall’età giolittiana al fascismo, Bari, De Donato, 1983, pp. 217-229. Sull’uso proprio o improprio del concetto di blocco agrario v. F. Renda, Il

rapporto città-campagna nell’Italia meridionale, in AA.VV., La modernizzazione difficile. Città e campagne nel Mezzogiorno dall’età giolittiana al fascismo, cit., pp. 292-296.

604 G. Barone, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in M. Aymard e G. Giarrizzo, La Sicilia, in

proprio carattere regionalistico605. In questi anni si fa strada il sicilianismo, ossia

quell’alleanza tra ceti medi e ceti subalterni che porterà al nascere, a cavallo del 1910, di “un nuovo tipo di dirigenza politica, diretta espressione della piccola e media borghesia urbana, che va collegando la propria azienda politica professionale attorno agli interessi industriali e commerciali delle città”, quale conseguenza dell’ampliamento della sfera di intervento statale e della pubblica amministrazione606.

A livello statuale, è dal 1913 che Confindustria inizia a rivendicare una maggiore presenza in Parlamento dei ceti produttori in luogo della borghesia intellettuale e ad esigere una politica maggiormente incline ad assecondare le loro aspettative sotto il profilo economico e sociale607.

Dunque, la mancanza di rappresentanza politica e di forza sociale al momento dell’istituzione dei collegi, l’incanalamento della lotta di classe nell’arena politica, a causa di un sedativo ideologico somministrato dai partiti popolari alle masse lavoratrici nei settori capitalisticamente industrializzati, e la permanenza di industrie che mantenevano un’organizzazione di personale e di produzione prettamente artigianale, poi, sono tutti fattori che non fanno che accentuare il carattere burocratizzato e certamente statalizzato del procedimento di formazione dei collegi. Nella statistica sul funzionamento dei collegi nel secondo semestre 1906, vengono infatti individuate due tipi di cause dell’arrugginito meccanismo di funzionamento dei collegi. Quelle ‘patologiche’ che attengono ai rapporti e agli attriti tra le classi sociali o al loro modo di accogliere l’istituzione in esame. Quelle ‘normali’ che, invece, hanno a che vedere con le “numerose pratiche e procedure che si devono seguire dapprima perché l’istituto acquisti esistenza, e quindi perché sia messo in grado di funzionare”608. Aspetti tutti che, come visto nel primo capitolo, sono stati oggetto di

ogni progetto di modifica della legge 295/1893.

605 A. Aquarone, Tre capitoli sull’Italia giolittiana, cit., pp. 36-50 e p. 92. Per uno sguardo critico e d’insieme

sulle ricostruzioni storiografiche della politica siciliana nel primo ventennio del XX secolo, v. G. Giarrizzo,

Introduzione a AA.VV., La modernizzazione difficile. Città e campagne nel Mezzogiorno dall’età giolittiana al fascismo, cit., pp. 9-23.

606 G. Barone, Mezzogiorno e modernizzazione. Elettricità, irrigazione e bonifica nell’Italia contemporanea,

cit., pp. 163-164 e Id., Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), cit., pp. 299-307, il quale parla di teorie del controllo sociale a proposito del sicilianismo e del socialismo.

607 Parafraso V. Castronovo, Grandi e piccoli borghesi, Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 26.

608 I collegi di probiviri esistenti nel Regno e la loro attività nel secondo semestre del 1906, in “Bollettino dell’Ufficio

del lavoro”, vol. VII, gennaio-giugno 1907, p. 1339. L’Ufficio del Lavoro, quasi a propria giustificazione, aggiungeva: “Né quest’Amministrazione può influire molto sensibilmente ad abbreviare tale periodo, poiché il tutto si svolge, per gran parte, al di fuori della sua ingerenza e per opera di enti numerosi che ne sono indipendenti o stretti verso di essa da ben tenue legame”.

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