Come sopra accennato, i collegi potevano essere aditi, sulle controversie eccedenti per valore la competenza delle giurie, in qualità di collegi arbitrali. Originariamente, nel disegno di legge Berti, i collegi erano composti da un ufficio di conciliazione e da un tribunale d’arbitri (art. 4); ma la differenza con la giuria (termine introdotto col primo disegno di legge Maffi) era puramente nominale. Soltanto nel disegno di legge Chimirri venne proposta una differenziazione, in termini sostanziali, tra giuria e collegio arbitrale, sulla scia delle riforme legislative allo studio in Francia e dell’esperienza del Regno Unito. Tuttavia, non fu ravvisata l’opportunità di inserimento di una norma specifica che attribuisse alla giuria la facoltà di essere adita come arbitro nelle controversie che superassero nel valore la sua competenza, in
105 L’indice non è però uguale in tutti i numeri del Bollettino. Talvolta infatti non sono trattati alcuni
argomenti, sicuramente per la mancanza di novità da raccontare, oppure ne sono inseriti di nuovi. Ad esempio nel volume terzo (gennaio-giugno 1905) sono inserite tre nuove parti riguardanti gli infortuni sul lavoro, i consumi della classe operaia, l’igiene e le malattie del lavoro.
106 I dati del Bollettino si sono rilevati molto utili nella ricostruzione delle vicende dei collegi dei probiviri
nella Provincia di Catania, sopperendo alle lacune delle fonti archivistiche. Si rinvia, sul punto, al terzo capitolo.
quanto ritenuta implicita; né appariva necessario o proficuo “fissare limiti e regole alla libera iniziativa delle parti”107.
Nello stesso disegno di legge Chimirri la parola arbitro assumeva un duplice significato: uno generico, riferito al ruolo di mediazione tra due parti in conflitto – ed infatti gli stessi collegi di probiviri venivano denominati “collegi arbitrali permanenti”108 – l’altro tecnico, sul modello del sistema di arbitrati inglesi o dei
collegi arbitrali corporativi tedeschi e sulla scia delle commissioni arbitrali istituite presso le stesse Camere di commercio italiane.
Nella relazione del ministro Lacava, invece, la specificazione della possibilità per le parti di adire la giuria in funzione arbitrale “per le controversie, che, ai sensi dell’articolo 9, eccedono la sua competenza, non è, come potrebbe sembrare a prima giunta, superflua, sia perché traccia ed indica una via e suona come un amorevole incitamento a deferire al giudizio dei probi-viri tutte le controversie che insorgono fra capitale e lavoro, sia anche perché, disputandosi tuttora nella dottrina e nella giurisprudenza sulla validità del compromesso in cui, invece di persone nominativamente determinate, sia designato come arbitro un corpo costituito, conveniva togliere ogni dubbio in proposito per quanto si riferisce all’istituto che intendiamo creare”109.
Ma qual era in realtà l’istituto che si voleva creare? Nella relazione Daneo si precisa che i probiviri non sono “arbitri nel senso della legge procedurale, ma o giudici o semplicemente conciliatori”110. Sotto questo profilo, la legge istitutiva dei collegi di
probiviri è una cartina tornasole del caos tipico non solo in generale del sistema processuale civile italiano, ma soprattutto intorno alla figura dell’”arbitramento”. L’istituto risultava ambiguo già nella stessa disciplina codicistica, contenuta nel capo II del Titolo preliminare al codice di procedura civile intitolato “Del compromesso”. Non ne veniva data una definizione, ma predisposta la relativa procedura. La parola compromesso veniva così utilizzata in maniera promiscua, nel suo duplice significato di atto contrattuale e di atto giurisdizionale.
La dottrina italiana, a differenza di quella francese, reputava che il compromesso dovesse essere più correttamente inquadrato come contratto, in quanto era l’accordo
107 Probiviri. Disegno di legge presentato dal ministro di agricoltura, industria e commercio Chimirri, di
concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Ferraris. Seduta del 16 maggio 1891, cit., p. 8.
108 Probiviri. Disegno di legge presentato dal ministro di agricoltura, industria e commercio Chimirri, di
concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Ferraris. Seduta del 16 maggio 1891, cit., p. 6.
109 Istituzione dei Collegi di «Prob-iviri». Disegno di legge presentato dal ministro di agricoltura, industria e
commercio Lacava, di concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Bonacci. Seduta del 1° dicembre 1892, cit., p. 6.
110 Istituzione dei Collegi di «Prob-iviri». Relazione della Commissione sul disegno di legge presentato dal
ministro di agricoltura, industria e commercio Lacava, di concerto col ministro di grazia, giustizia e dei culti Bonacci presa in consideazione nella seduta del 3 febbraio 1893, in Atti Parlamentari. Camera dei deputati. Legislatura XVIII. I sessione1892-93. Disegni di legge e relazioni, doc. n. 84-A, p. 5.
tra le parti litiganti ad attivare la giurisdizione arbitrale111. Il Chiovenda parla di un
contratto che attribuisce alle parti un’eccezione processuale, ossia una rinuncia alla cognizione della controversia da parte della magistratura ordinaria112.
Inoltre, dalla natura contrattuale del compromesso discendeva la necessità di distinguere questa figura da altri negozi giuridici, onde evitare pericolose sovrapposizioni. Si fa riferimento, in particolare, alla transazione, al mandato e, soprattutto, all’arbitraggio. Parallelamente, dal punto di vista processuale, occorreva individuare caratteri discretivi tra arbitrato e conciliazione da un lato e, all’interno stesso dell’arbitrato, tra arbitramento di diritto e arbitramento con poteri di amichevole compositore.
Vediamo più da vicino similitudini e disuguaglianze tra gli istituti giuridici menzionati.
Ai sensi dell’articolo 1764 del codice civile del 1865, “la transazione è un contratto, con cui le parti, dando, promettendo o ritenendo ciascuna qualche cosa, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere”. L’analogia con il compromesso consisterebbe in una generica intenzione di transigere, affidata nell’un caso alle stesse parti, nell’altro ad un terzo. Con la differenza che, mentre nella transazione le parti rinunciano parzialmente alla propria pretesa in cambio di un vantaggio concordato, nel compromesso esse mantengono inalterate tutte le proprie pretese e si sottomettono a priori alla decisione dell’arbitro. Più vicino alla transazione è quel compromesso con il quale le parti attribuiscono agli arbitri il potere di decidere come amichevoli compositori, “poiché allora questi determinano quale sia il ragionevole sacrifizio che l’una o l’altra parte dovrà fare per amore di concordia”. Sotto quest’aspetto il compromesso si avvicinerebbe anche alla figura dell’arbitraggio ex art. 1454 c.c., in base al quale il prezzo della vendita può essere rimesso all’arbitrio di un terzo113. Icastico il ragionamento del Calamandrei: “Il compromesso che
autorizza l’arbitro a decidere non secondo le regole di diritto contiene, perciò, non solamente una rinuncia di natura processuale alla cognizione dell’autorità giudiziaria (rinuncia contenuta anche nel compromesso che rimette agli arbitri la decisione
secundum ius), ma contiene altresì una rinuncia di natura sostanziale alla soddisfazione
giurisdizionale di interessi ai quali il diritto positivo avrebbe accordata una tutela che l’amichevole compositore è in facoltà di non accordare; questa speciale forma di compromesso si può dunque paragonare a una transazione «in bianco», e l’amichevole compositore, quando riempie, secondo l’incarico avuto dalle parti, questo schema, questo disegno di transazione genericamente stipulato dalle parti, ha posizione analoga a quella dell’arbitrator, in quanto anch’egli è chiamato a completare un
111 C. Lessona, voce Arbitramento, cit., pp. 564-565.
112 G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 84. 113 C. Lessona, voce Arbitramento, cit., pp. 570-571.
negozio giuridico lasciato volontariamente indeterminato dai contraenti in uno dei suoi elementi”114.
In materia di arbitraggio, era dubbia l’ammissibilità per le parti contraenti di rifiutare la determinazione effettuata dal terzo preventivamente scelto. L’incertezza nasceva dalla circostanza che il legislatore talvolta taceva, come nell’articolo 1454 c.c., talvolta ammetteva l’impugnabilità della determinazione evidentemente iniqua (articolo 1718 c.c.)115. Secondo la Cassazione romana e parte della dottrina, la determinazione della
clausola contrattuale fatta dal terzo poteva essere impugnata “soltanto per frode o collusione, in forza del principio fraus omnia corrumpit”116. Secondo altra dottrina, così
argomentando si sarebbe giunti a negare ogni differenza tra arbitrium merum e arbitrium
boni viri: nel primo caso le parti hanno tanta fiducia sulla rettitudine dell’arbitro da
rinunciare a qualunque controllo, nel secondo la rimessione al terzo della fissazione della clausola contrattuale è subordinata all’aspettativa di un giudizio equo e ponderato. E poiché non vi è alcun interesse dell’ordinamento ad opporsi a tale rinuncia né, d’altro canto, le rinunce si presumono, “così è ben naturale e logico che fino a dimostrazione positiva che le parti abbiano voluto rimettersi ad un arbitrium
merum, si debba ritenere che si siano semplicemente rimesse ad un arbitrium boni viri”117.
Infine, l’analogia tra compromesso e mandato andava esclusivamente ricercata nel mandato di fiducia e nell’obbligo di adempierlo in capo ad arbitro e mandatario. Era ormai superato, infatti, quell’orientamento (seguito ad esempio dal Ricci) che faceva degli arbitri veri e propri mandatari. La differenza stava nella nozione di
114 P. Calamadrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni d’equità, cit., pp. 28-29.
115 Ai sensi dell’articolo 1454 del codice civile (facente parte del capo I “Della natura e della forma della
vendita”, titolo VI, libro III): “Il prezzo della vendita debb’essere determinato e specificato dalle parti. Può peraltro rimettersi all’arbitrio di un terzo scelto dalle parti nell’atto della vendita. Può anche pattuirsi che la scelta sia fatta posteriormente d’accordo dalle parti, purché sia espresso nella convenzione che, non concordando le parti, la scelta venga fatta dal pretore o dal conciliatore del luogo del contratto, o del domicilio o della residenza di una delle parti. Se la persona scelta nell’atto non vuole o non può fare la dichiarazione del prezzo, la vendita è nulla.
Si può altresì pattuire, che il prezzo sia quello risultante da una certa e determinata mercuriale”.
Secondo l’articolo 1718 (Sezione I, capo III “Delle obbligazioni de’ soci fra loro e relativamente ai terzi”, Titolo X, Libro III del codice civile): “Se i soci hanno convenuto di rimettersi al giudizio di uno di essi o di un terzo per determinare le porzioni, la determinazione che sarà data, non può impugnarsi che nel caso in cui sia evidentemente contraria all’equità.
Non è ammesso alcun reclamo a questo riguardo, quando sono decorsi più di tre mesi dal giorno in cui il socio che si pretende leso, ha avuto notizia della determinazione, o quando dal suo canto ha cominciato ad eseguirla”.
116 Corte di Cassazione di Roma, 20 gennaio 1911, Marani c. Sassoli e Lollini, in “Rivista di diritto
commerciale”, 1911, parte II, p. 375.
117 G. Pacchioni, Arbitrium merum e arbitrium boni viri, nota a Corte di Cassazione di Roma, 20 gennaio
1911, Marani c. Sassoli e Lollini, cit., pp. 373-374, il quale critica sia il decisum della Corte sia le opinioni dottrinali ad esso conformi, in particolare quelle dello Schirmer (Id., Arbitrium merum und arbitrium boni viri, in “Archiv für die civilistiche Praxis”, 1901, vol. 91, pp. 136-148) e del Ricca Barberis (Id., L’apprezzamento
rappresentanza e nell’incompatibilità della stessa con il conferimento di poteri: il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, dunque non può andare contro la volontà del rappresentato; in ogni caso il rappresentante non può che avere gli stessi poteri del rappresentato, tra i quali certamente non rientra la facoltà di giudicare una controversia di cui quest’ultimo è parte118.
La relazione tra rappresentanza ed esercizio di un potere è un aspetto che merita di essere, per il momento, soltanto focalizzato per i rilievi che ne conseguono in ordine alla individuazione della natura giuridica dei collegi di probiviri. Ma sul punto si tornerà nel paragrafo successivo.
Sotto l’aspetto processuale, si può affermare che sia la conciliazione sia l’arbitrato costituiscano eccezioni alla cognizione ordinaria. L’arbitrato deroga alla cognizione ordinaria per lo stato giuridico di privato del soggetto che esercita quella funzione. E, quando gli arbitri sono autorizzati a comporre le liti come amichevoli compositori, essi non giudicano più secondo le regole del diritto bensì ex bono et equo. Nella conciliazione invece, sebbene l’organo che la espleta sia pubblico, la funzione non è quella giurisdizionale ma di prevenzione della lite attraverso la composizione di un potenziale conflitto119.
Calamandrei e Redenti hanno postulato l’importanza di una distinzione – al fine di meglio delimitare gli ambiti di ogni figura – tra controversie giuridiche e controversie economiche. Di fronte alle prime potrebbero esservi o un giudice giusdicente (magistrato o arbitro che giudica secondo diritto) o un giudice d’equità (arbitro amichevole compositore) o, infine, un conciliatore. Le controversie economiche potrebbero invece essere risolte da un mediatore (che induce le parti ad accordarsi) o un arbitrator (il quale determina egli stesso le clausole contrattuali)120. Redenti vedeva
118 C. Lessona, Arbitramento, cit., pp. 570-571 e A. Sraffa, Compromessi e lodi stabiliti fra industriali senza le
forme dei giudizi, in “Rivista di diritto commerciale”, 1907, parte I, pp. 429-432. Quest’ultimo articolo è stato
scritto in risposta a P. Bonfante, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti ma
non esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi, nota a Corte di Cassazione di Torino, 27 dicembre 1904, Ruschetti c. Ditta Bulet Frères, in “Rivista di diritto commerciale”, 1905, parte II, pp. 45-51. Occorre ancora
dire come il già complicato quadro giuridico dell’arbitramento fosse reso ancor più intricato dal sorgere dei cosiddetti arbitrati liberi, ossia di quelle frequenti pattuizioni con le quali gli imprenditori appartenenti allo stesso settore industriale si obbligavano a deferire le controversie insorgenti tra loro o nei confronti di altre persone ad un terzo soggetto, le cui statuizioni essi accettavano di eseguire. Mentre per il Bonfante e per la Cassazione commentata tali compromessi erano delle vere e proprie obbligazioni contrattuali, la cui disciplina andava ricercata nel diritto sostanziale e la cui origine era il pactum romano, il Pacchioni riteneva che gli stessi sarebbero stati assimilabili agli arbitrati giurisdizionali. Ma, poiché erano privi della garanzia dell’exequantur, in quanto immediatamente esecutivi, dovevano essere considerati inammissibili. Anche il Mortara sottolineava: “Non è lecito né ragionevole considerare la probabilità che lo stato moderno riconosca esistere, in atto, mezzi idonei e sicuri per la tutela del diritto di quelli che esso organizza per servire all’amministrazione della giustizia” (L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., vol. III, p. 41).
119 G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 54.
120 P. Calamadrei, Il significato costituzionale delle giurisdizioni d’equità, cit., pp. 8-9, nota 7). Secondo il
nelle figure della conciliazione-mediazione di Stato un germe tipico delle magistrature industriali primitive ed auspicava la presenza delle sole magistrature industriali giudicanti in quello che riteneva un sistema economicamente, giuridicamente e socialmente progredito. Aggiungeva: “E così, mentre si compie la evoluzione di quegli istituti primitivi a Tribunali industriali, al loro fianco, e tuttora più o meno connessi con loro, risorgono nuovi organi di conciliazione-mediazione (Consigli o Comitati di conciliazione e d’arbitrato) con missione e attitudini limitate ai conflitti collettivi”121.
E, se nel 1906 Redenti ammetteva che i probiviri avessero il compito di intervenire in seno alle mere divergenze, mentre parlava di “inettitudine organica” con riferimento alla funzione arbitrale122, nel 1925 Calamandrei riconoscerà in essi la coesistenza di
più volti: di giudici (nel duplice senso di magistrato e arbitro), di conciliatori e di mediatori123.
Se infatti, osservando il modello adottato nella legge istitutiva, la funzione arbitrale delle giurie poteva apparire un duplicato di quella codicistica, nella prassi il modello concretamente realizzato si è allontanato parecchio da quello ufficiale.
I collegi di probiviri nascono come una magistratura speciale con funzioni conciliative e giudiziali e con competenza per le controversie individuali di lavoro. Il procedimento è sommario, ispirato ai principi di immediatezza ed oralità, e le sentenze emesse sono immediatamente esecutive.
Viene però attribuita loro una funzione arbitrale per le controversie eccedenti la competenza della giuria; tra queste si riteneva pacificamente anche quelle relative ai conflitti collettivi, solo in quanto l’avvio del procedimento arbitrale era subordinato alla volontà delle parti. Non sarebbero stati violati così una serie di dogmi civilistici, tra cui quello della volontà e della rappresentanza. Tale procedimento avrebbe dovuto
controversie possono essere composte con atto sovrano dello Stato (ed è questa una sua funzione essenziale), le divergenze non altrettanto (né riguardo ad esse lo Stato ha alcuna funzione essenziale)”; cfr. E. Redenti, Origine e ordinamento delle magistrature industriali, cit., p. 86. Secondo il Cao, la determinazione delle tariffe da parte dei collegi in qualità di arbitri non sarebbe mera risoluzione di controversie economiche; “ma l’ufficio dell’arbitro, che in esse ha occasione – e che influisce su la costituzione del rapporto, non più sul terreno, per vero soltanto teorico, d’una illimitata ed eguale libertà contrattuale, ma secondo la proporzione ideale degli interessi contrastanti (equità) – costituisce un’entità affine già prima facie a quella del giudice; donde si trapassa senza gran sforzo, dalla considerazione meramente conomica a quella giuridica del rapporto costituendo”. Nell’auspicare la possibilità per i giudici di “dettare direttamente la norma d’un rapporto”, l’Autore stigmatizza la commistione tra funzione arbitrale e giurisdizionale come un “regresso involutivo” (cfr. U. Cao, Per la riforma del processo ivile in Italia. Ricerche di sistema e tentativi di
applicazione, Cagliari, Tipo-Lit. Meloni e Aitelli, 1912, pp. 125-126).
121 E. Redenti, Origine e ordinamento delle magistrature industriali, cit., pp. 86-87.
122 “Basta infatti riflettere, che la chiamata in conciliazione non può avvenire, se non nelle forme stabilite
dagli articoli 32 e seg. della legge e che il lodo della Giuria, il quale, in caso di conflitto, non può constare se non di un contratto collettivo, viceversa dalla legge viene sottoposto alle regole delle sentenze arbitrali di cui agli articoli 8 e seg. del Cod. di proc. civ., per comprendere come il funzionamento dei Collegi di probiviri nella composizione dei conflitti collettivi sia stato pressoché nullo”; cfr. E. Redenti, Origine e ordinamento
delle magistrature industriali, cit., pp. 93-94.
seguire la procedura prevista per l’arbitrato nel codice di rito – e così opinava appunto Redenti –, tuttavia esso ha assunto nella prassi delle giurie i caratteri tipici della procedura conciliativa dinanzi ai collegi.
In conclusione, anticipando quanto verrà descritto nel capitolo successivo, lo strumento dell’arbitrato è stato utilizzato per ampliare la competenza dei collegi a controversie che ne erano originariamente e necessariamente, stante i principi consolidati e vigenti del diritto civile, escluse, sebbene tale esclusione fosse stata ampiamente discussa e motivata durante i lavori parlamentari.