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Sezione I: la “materia” rifiuti nell’ordinamento interno

1.2 La disciplina interna della gestione dei rifiuti: principi ispiratori e classificazione

A livello interno il tema dei rifiuti è disciplinato dalla parte IV del D.Lgs 152/2006 dedicato altresì alla bonifica dei siti inquinati:143 si tratta, evidentemente, di una materia in continua evoluzione vuoi per l’adeguamento ai dettati comunitari che per l’interferenza degli orientamenti giurisprudenziali, impegnati, soprattutto, a differenziare i rifiuti dai sottoprodotti.

Nella relazione illustrativa al testo unico si evidenzia l’intento di accorpare le disposizioni concernenti settori omogenei di disciplina e di raccogliere, unificandole, le disposizioni successive al Decreto Ronchi. Si sottolineano, inoltre, le difficoltà operative riscontrate dagli addetti al settore manifestando al contempo la volontà di inserire nel nuovo testo chiarimenti e precisazioni volte a fornire certezze comportamentali e limitare il ricorso all’Autorità giudiziaria. Non mancano, infine, i richiami ai tormentatissimi rapporti con la normativa comunitaria la cui Corte di Giustizia ha spesso affrontato questioni riguardanti i rifiuti nel nostro paese: in una nota ufficiale veniva precisato che “in sei casi l’Italia non si è conformata alla decisioni adottate nei

suoi confronti dalla Corte di Giustizia europea. Un altro caso contesta la pratica adottata sistematicamente negli ultimi tempi dall’Italia volta a definire i rifiuti in modo più restrittivo rispetto al diritto comunitario, di modo che alcuni tipi di rifiuti, non più considerati tali, non rientrino più nell’ambito di applicazione delle norme europee”. Trattando delle condanne del

nostro paese da parte delle istituzioni comunitarie non si può non ricordare come con una prima sentenza, nel 2007144, la Corte di Giustizia dichiarò che l’Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti. Nel 2013, la Commissione ha constatato come il nostro paese non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti» (dal che si poteva desumere che fossero in esercizio discariche prive di autorizzazione); inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l’Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di

143 Per una completa disamina, L. Ramacci, Rifiuti: la gestione e le sanzioni, Piacenza, 2014. 144

62 rifiuti». Di conseguenza , il 2 dicembre 2014, l’Italia è stata condannata a pagare una somma forfettaria di EUR 40 milioni.145

Tornando ad occuparci della parte IV queste, in sintesi, le direttrici principali: integrazione della disciplina contenuta nell’articolato nonché coordinamento con i provvedimenti di recepimento delle direttive comunitarie in materia; abrogazione delle disposizioni incompatibili e definizione di una disciplina transitoria; revisione della materia delle bonifiche e ridefinizione delle priorità nella gestione dei rifiuti; rideterminazione del deposito temporaneo e introduzione di una normativa specifica su terre e rocce da scavo nonché materiali edilizi inerti non inquinanti; revisione del catasto dei rifiuti e di trasporto; aggiornamento e rivisitazione del quadro sanzionatorio.146

Il c.d. codice Ambientale si occupa, tra le altre cose, di individuare una vera e propria gerarchia di principi nella gestione dei rifiuti; a tal proposito uno dei massimi canoni ispiratori è quello di prevenzione147 per rafforzare il quale il nuovo art. 178 bis del TUA, ottemperando ai dettami della Direttiva 2008/99/CE, introduce la c.d. responsabilità estesa del produttore coinvolgendo in tal modo in misura maggiore tutti gli attori coinvolti nella catena della gestione del rifiuto. In rapida successione si trovano il riutilizzo (oggetto di trattazione in seguito) ed il riciclaggio per la cui definizione occorre rifarsi alle riscritture operate dal D.Lgs 205/2010. La definizione attuale

145 Sentenza Corte di Giustizia UE Sez. Grande, sentenza 02.12.2014 n. C-196/13; inoltre l’Italia dovrà versare

altresì una penalità semestrale a far data dalla sentenza e fino all’esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di EUR 42.800.000. Da tale importo saranno detratti EUR 400.000 per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma ed EUR 200.000 per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall’importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre.

146

Si segnala, per completezza, l’emanazione della Direttiva 2006/12/CEE intervenuta il 5 aprile 2006 quindi a pochissimi giorni dall’entrata in vigore del tua con la quale si è proceduto ad una codificazione della Direttiva 75/422/CEE che veniva quindi abrogata. Vanno inoltre citati i provvedimenti interni di modifica al D.Lgs 152/2006: Legge 12 luglio 2006, n. 228, in materia di VIA VAS e ICCP; D.Lgs 16 gennaio 2008, n.4 che apportava modifiche sostanziali in materia di acque e rifiuti.

147 Si veda in proposito l’art. 179 TUA comma 5 “Le pubbliche amministrazioni perseguono, nell'esercizio delle

rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti di cui al comma 1 in particolare mediante: a) la promozione dello sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali; b) la promozione della messa a punto tecnica e dell'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento; c) la promozione dello sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero; d) la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti e di sostanze e oggetti prodotti, anche solo in parte, con materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi; e) l'impiego dei rifiuti per la produzione di combustibili e il successivo utilizzo e, più in generale, l'impiego dei rifiuti come altro mezzo per produrre energia”, nonché l’art. 180 TUA comma 1 bis introdotto dal comma 1 dell’art. 5, Decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205. “Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adotta entro il 12 dicembre 2013, a norma degli articoli 177, 178, 178-bis e 179, un programma nazionale di prevenzione dei rifiuti ed elabora indicazioni affinché tale programma sia integrato nei piani di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199. In caso di integrazione nel piano di gestione, sono chiaramente identificate le misure di prevenzione dei rifiuti.”

63 del lemma è infatti richiamata all’art. 183 comma 1 lett. u) così come sostituito dal Decreto citato “«riciclaggio»: qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per

ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. Include il trattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento”148.

Si intuisce come lo smaltimento - definito dal TUA come qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia - costituisca una opzione residuale da effettuare solo laddove non sia possibile alcun altro intervento di recupero; di esso si occupa l’art. 182 TUA che stabilisce come i rifiuti avviati a tale destinazione debbano essere il più possibile ridotti (in massa e volume) e posti in assolute condizioni di sicurezza, ricorrendo a tal fine ad una rete adeguata ed attrezzata di impianti ad hoc al fine di ridurre il più possibile i movimenti dei rifiuti. 149

Altro tema preminente nella materia riveste la disciplina della loro classificazione,150 contenuta nell’art. 184 del D.Lgs 152/2006 il quale opera una distinzione basata sulla loro origine nonché sul grado di pericolosità, individuando quindi le categorie dei rifiuti urbani e speciali151 e dei

148Sempre in tema di riciclaggio l’art. 181 TUA come modificato dal D.Lgs 205/2010 stabilisce che “1. Al fine di

promuovere il riciclaggio di alta qualità e di soddisfare i necessari criteri qualitativi per i diversi settori del riciclaggio, sulla base delle indicazioni fornite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, le regioni stabiliscono i criteri con i quali i comuni provvedono a realizzare la raccolta differenziata in conformità a quanto previsto dall’articolo 205. Le autorità competenti realizzano, altresì, entro il 2015 la raccolta differenziata almeno per la carta, metalli, plastica e vetro, e ove possibile, per il legno, nonché adottano le misure necessarie per conseguire i seguenti obiettivi: a) entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50% in termini di peso; b) entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 dell’elenco dei rifiuti, sarà aumentata almeno al 70 per cento in termini di peso.”

149 A tal proposito l’art. 182 co. 3 stabilisce che “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse

da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano.”

150 Sul punto cfr R. Bertuzzi, La classificazione dei rifiuti: i rifiuti pericolosi nel sistema del T.U. ambiente - Codici

a specchio, articolo del 3 giugno 2014 disponibile sul sito www.lexambiente.it.

151 Art. 184. Classificazione “1. Ai fini dell'attuazione della parte quarta del presente decreto i rifiuti sono

classificati, secondo l'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi. 2. Sono rifiuti urbani: a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell'art. 198, comma 2, lettera g); c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua; e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), e) ed e). 3. Sono rifiuti speciali: a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2135 c.c.; b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto

64 rifiuti pericolosi e non dalla cui distinzione originano una serie di riflessi in tema di autorizzazioni e regime gestionale e sanzionatorio.152 Ovviamente il passaggio che impegna maggiormente i tecnici attiene alla definizione di “pericolosità”, per la cui chiarificazione la disposizione rimanda all’allegato I della parte IV dello stesso codice dell’Ambiente che riporta un elenco delle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti.

La normativa penale italiana fa riferimento sia ai rifiuti pericolosi che a quelli non pericolosi: scelta quest’ultima discutibile e non in linea con l’extrema ratio che dovrebbe guidare le scelte di incriminazione, ritenendo invero sufficienti a contrastare la gestione illecita dei rifiuti non pericolosi l’arsenale di sanzioni amministrative.

L’impianto classificatorio è risalente alla Direttiva 75/442/CEE “Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti” che, all'art. 1 lett. a) secondo capoverso, attribuiva alla Commissione il compito di predisporre un elenco di rifiuti rientranti nelle categorie elencate all'Allegato I della stessa direttiva. In ottemperanza a quanto disposto la Commissione con Decisione 94/3/CEE istituì l'elenco dei rifiuti, meglio conosciuto come Catalogo Europeo dei Rifiuti, acronimo CER.

disposto dall'articolo 184-bis; c) i rifiuti da lavorazioni industriali; d) i rifiuti da lavorazioni artigianali; e) i rifiuti da attività commerciali; f) i rifiuti da attività di servizio; g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acquee dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi; h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie”.

152

Dalla parte IV sono espressamente sottratte alcune tipologie o sostanze elencate dall’art. 185 TUA

Articolo 185 Esclusioni dall'ambito di applicazione 1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera e il biossido di carbonio catturato e trasportato ai fini dello stoccaggio geologico e stoccato in formazioni geologiche prive di scambio di fluidi con altre formazioni a norma del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2009/31/CE in materia di stoccaggio geologico di biossido di carbonio; b) il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati; c) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato; d) i rifiuti radioattivi; e) i materiali esplosivi in disuso; f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana. 2. Sono esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento: a) le acque di scarico; b) i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio; c) le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione, compresi gli animali abbattuti per eradicare epizoozie, e smaltite in conformità del regolamento (CE) n. 1774/2002; d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave, di cui al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117; 3. Fatti salvi gli obblighi derivanti dalle normative comunitarie specifiche, sono esclusi dall'ambito di applicazione della Parte Quarta del presente decreto i sedimenti spostati all'interno di acque superficiali ai fini della gestione delle acque e dei corsi d'acqua o della prevenzione di inondazioni o della riduzione degli effetti di inondazioni o siccità o ripristino dei suoli se è provato che i sedimenti non sono pericolosi ai sensi della decisione 2000/532/CE della Commissione del 3 maggio 2000, e successive modificazioni. 4. Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell'ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter.

65 Con riferimento ai rifiuti pericolosi, la Direttiva 91/689/CEE “Direttiva del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi” all'art. 1 quarto comma attribuiva alla Commissione il compito di predisporre un elenco di rifiuti pericolosi rientranti nelle categorie elencate all'Allegato II della stessa direttiva. L'elenco fu istituito dalla relativa Commissione con la Decisione 94/904/CEE.

In ultimo l'attuale catalogo dei rifiuti è quello adottato con la Decisione della Commissione 2000/532/CE che sostituisce la Decisione 94/3/CEE entrata in vigore a partire dal primo gennaio 2002 comprensivo di quelli pericolosi e non pericolosi.

I rifiuti, la cui definizione come si è visto è data dall’art. 183 TUA, sono puntualmente elencati nell’allegato D del medesimo testo153

che tuttavia non rappresenta affatto un numerus clausus giacché, come si precisa nell’allegato, “Una sostanza o un oggetto è considerato rifiuto solo se

rientra nella definizione di cui all’3 punto I della Direttiva 2008/98/CE”;154

tocca ammettere come, tuttavia, un elenco esaustivo di tuti i rifiuti rappresenti un obiettivo difficilmente raggiungibile, vuoi per la universalità degli oggetti e delle sostanze esistenti ma soprattutto in ossequio a quei canoni di legalità e colpevolezza che vincolano il legislatore a delineare con sufficiente chiarezza una nozione di rifiuto in grado da consentine una agevole applicazione. La catalogazione dei rifiuti si basa essenzialmente, ma non esclusivamente, sulla base del prodotto da cui essi traggono origine. Novità al T.U.A. sono state introdotte, specie in tema di rifiuti pericolosi dal D.lgs 205/2010.155 Il Decreto in questione introduce il concetto di “preparazione per il riutilizzo”156ovvero tutte quelle manovre descritte all’art. 183 comma 1 lett. q) di “controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di

153

I due elenchi sono oggi ricompresi e armonizzati nell'allegato D alla parte quarta del Dlgs. 152/2006. Ad ogni tipologia di rifiuto è attribuito un codice CER, quelli pericolosi sono contrassegnati da un asterisco finale. l'identificazione di una qualsivoglia tipologia di rifiuto, mediante l'attribuzione del CER, è così riassumibile: a) identificazione della fonte che genera il rifiuto consultando i Titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20; b) se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto; c) se nessuno di questi ultimi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16; d) se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99 (rifiuti non specificati altrimenti) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all'attività identificata al punto a).

154 Nello stesso senso si esprime l’art. 184 TUA co. 5” l’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non

significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all’art. 183”.

155 L’origine e la composizione non sempre sono decisivi per la qualificazione del rifiuto come pericoloso.

Sicuramente sono tali quelli di cui al punto 3.4. della Parte introduttiva dell'allegato D alla parte IV del Dlgs. 152/2006, che così recita: «i rifiuti contrassegnati nell'elenco con un asterisco sono rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva 2008/98/CE e ad essi si applicano le disposizioni della medesima direttiva». I rifiuti sono classificati pericolosi in quanto per espressa valutazione della stessa disposizione presentano una o più caratteristiche di quelle indicate nell'Allegato III della Direttiva 2008/98/CE e, in riferimento ai codici da H3 a H8, H10 e H11 del medesimo allegato, una o più delle caratteristiche specificate successivamente nella stessa disposizione.

156 La definizione di riutilizzo è contenuta nell’art. 183 comma 1 lett. r TUA “«riutilizzo»: qualsiasi operazione

attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti.”

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prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”.

La caratteristica di pericolosità è individuata dallo stesso testo unico all’art. 183 lett. b) che definisce il rifiuto pericoloso come quello “che presenta una o più caratteristiche di cui

all’allegato I della parte quarta”.157

La qualifica di pericoloso viene attribuita altresì, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 98/2008/CEE (recepita nel D.Lgs. 205/2010) a quei rifiuti nella cui composizione si possano rinvenire sostanze in concentrazione maggiore rispetto alle soglie individuate.158 Da questo assunto deriva la categoria delle c.d. voci a specchio, ovvero ipotesi di rifiuti che ex se non avrebbero le caratteristiche per potersi definire pericolosi e che lo divengono in virtù di determinati elementi o sostanze contenute al loro interno.159

Rispetto alla prima categoria, in cui il rifiuto è considerato aprioristicamente pericoloso proprio per le sue caratteristiche e componenti il catalogo delle voci a specchio comporta non pochi problemi legati al fatto che la pericolosità va accertata di volta in volta sulla base di analisi che dimostrino (o meno) la concentrazione in misura superiore alla soglia consentita di una particolare sostanza in grado di attrarre il rifiuto tra quelli pericolosi. In tali situazioni la eventuale diluizione ovvero miscelazione della sostanza pericolosa con altre in grado di diminuirne il grado di concentrazione della pericolosità non comporterà la declassificazione del rifiuto da pericoloso a non pericoloso (art. 184 co. 5 ter TUA). Si tratta di un problema di non poco momento dato che la qualificazione della pericolosità di un rifiuto incide sulle sue modalità

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