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4. Processi di globalizzazione e criminalità trans-nazionale: il diritto comunitario quale strumento complementare alla normazione penale nazionale.

4.2 Segue: La Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente.

Una delle prime testimonianze del passaggio ad una diretta selezione e penalizzazione delle condotte ad opera di un atto normativo comunitario può individuarsi nella Direttiva 2008/99/CE,55 diretta conseguenza dell’annullamento della decisione quadro 2003/80/GAI della Corte di Giustizia nella causa 176/03.56 Tale intervento recepisce le Direttive n . 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell'ambiente e la n. 2009/123/CE57 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che modifica la

nazionali, competenti in via esclusiva ma subordinate alle prime” Così C. Sotis, Le novità in tema di diritto penale europeo, in Bilancia P. e D’Amico M. (a cura di), La nuova Europa dopo il Trattato di Lisbona, Milano, 2009, pag. 137.

55 Provvedimento adottato deliberando secondo la procedura dell’art. 251 del TCE (15), avendo tenuto conto delle

disposizioni a tutela dell’ambiente contenute negli artt. 174 e 175 TCE, sostanzialmente dirette ad elevare i livelli di tutela per l’ambiente in GU L 328/28. Per approfondimenti cfr. A. Merlin, La tutela penale dell’ambiente nella direttiva 2008/99/CE, in Ambiente e sicurezza, 2009, p. 86 e ss.; V. Plantamura, Una nuova frontiera europea per il diritto penale, in Dir. pen. proc., 2009, p. 918 e ss; A. Satta, Gli obblighi comunitari di tutela penale ambientale alla luce della direttiva 2008/99/ce e del trattato di Lisbona, In Rivista Penale, 2010, 12; L. Siracusa, La competenza penale comunitaria al primo banco di prova: la direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2008, p. 877 e ss.; G. M. Vagliasindi, La direttiva 2008/99/CE e il trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano?, in Dir. comm. intern., 2010, p. 458 e ss.; A. L. Vergine, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, in Ambiente e Sviluppo, 2009, p. 5 e ss.

56 Con questa sentenza la Corte ha annullato una decisione quadro adottata dal Consiglio nel 2003, sulla protezione

dell’ambiente mediante il diritto penale, affermando che la Comunità, pur non disponendo di una competenza normativa generale in materia penale, può adottare provvedimenti finalizzati al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia ambientale, laddove ciò risulti necessario a garantire piena efficacia al diritto comunitario, sulla base degli articoli 2 263 , 6 264 , 174, 175, 176 265 TCE.

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24 Direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni.58 Ritenendo particolarmente offensive del bene ambiente le diverse manifestazioni criminali presenti in molti paesi membri, manifestazioni il più delle volte in grado di trascendere i singoli confini nazionali, la comunità ha introdotto, impiegando lo strumento della direttiva, una tutela diretta e sostanzialmente differente da quella amministrativa solitamente riservata al bene ambiente.59 Ad essa va riconosciuto il merito di aver favorito l’inserimento nell’ordinamento penale di fattispecie incriminatrici incentrate non soltanto sulla punizione delle violazioni della normativa extrapenale di settore, ma anche sulla realizzazione di una effettiva situazione di danno o di pericolo concreto per il bene protetto.

La scelta comunitaria si muove in direzione funzionalistica, data l’impossibilità di prevedere incriminazioni legate alla mera inosservanza di prescrizioni di natura comunitaria evidentemente contrastanti con il principio di sussidiarietà dell’azione comunitaria di cui all’Art. 5 TCE e con il principio di proporzione. L’opzione prescelta lascia, inoltre, impregiudicata agli Stati membri la possibilità di scegliere di reprimere le manifestazioni meno gravi attraverso il ricorso alla sanzione amministrativa. Potenzialmente, nella misura in cui la Direttiva in questione obbliga all’introduzione di fattispecie incriminatrici di condotte concretamente lesive del bene ambiente, con correlativa graduazione proporzionale della risposta sanzionatoria in relazione alla gravità dell’offesa, rafforza la risposta nazionale da un punto di vista della repressione penale.

La Direttiva si muove e si sviluppa sotto diversi fronti prevedendo obblighi diretti di penalizzazione a carico degli Stati membri per una serie di fattispecie dannose per il bene ambiente ed introducendo altresì forme di responsabilità per le persone giuridiche; il reale punto di novità consiste nel fatto che è consentito allo Stato membro di poter adottare, in relazione alle singole e specifiche circostanze territoriali, sanzioni maggiormente stringenti, fermo restando

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Come si legge nella Relazione Illustrativa di accompagnamento della Camera dei Deputati n. 9390 ”La Direttiva 2008/99 CE assume a proprio fondamento la disposizione di cui all'art. 174, § 2, del Trattato istitutivo delle Comunità europee (Titolo IV, Ambiente), secondo la quale "La politica della Comunità in materia di ambiente mira a un elevato livello di tutela". Con decisione quadro 2003/80/GAI del 27 gennaio 2003, relativa alla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale, il Consiglio aveva imposto agli Stati membri l'obbligo di incriminare alcuni comportamenti gravemente pericolosi per l'ambiente. con la Direttiva 2008/99/CE il Parlamento europeo e il Consiglio, hanno ritenuto che il ricorso al diritto penale costituisca una misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi e, conseguentemente, hanno vincolato gli Stati membri ad adottare sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive.”

59 Come si legge nel II, III e VII considerando della Direttiva “La Comunità è preoccupata per l’aumento dei reati

ambientali e per le loro conseguenze, che sempre più frequentemente si estendono al di là delle frontiere degli Stati in cui vengono commessi. Questi reati rappresentano una minaccia per l’ambiente ed esigono pertanto una risposta adeguata. L’esperienza dimostra che i sistemi sanzionatori vigenti non sono sufficienti a garantire la piena osservanza della normativa in materia di tutela dell’ambiente. Tale osservanza può e dovrebbe essere rafforzata mediante la disponibilità di sanzioni penali, che sono indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative ai meccanismi risarcitori di diritto civile. Pertanto tali condotte dovrebbero essere perseguibili penalmente in tutto il territorio della Comunità.”

25 che la repressione delle condotte indicate deve avvenire per il tramite dello strumento penale. Riprendendo quanto si legge nella Relazione Illustrativa di accompagnamento la Direttiva richiede “che dovranno essere considerate reati da parte degli Stati membri una serie di

condotte illecite, poste in essere intenzionalmente o con grave negligenza, che generalmente provocano o possono provocare danni alla salute delle persone ovvero un deterioramento significativo alle component i naturali dell'ambiente e, in particolare, alla qualità dell'aria, compresa la stratosfera, del suolo, delle acque, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie. La natura "illecita" di tali condotte discende dal fatto che esse sono poste in essere in violazione di disposizioni di diritto comunitario a tutela dell'ambiente o di atti nazionali che vi danno attuazione” e inoltre che “ le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili dei reati ambientali e possano essere punite con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive quando le condotte illecite siano state commesse a loro vantaggio da qualsiasi soggetto che rivesta una posizione apicale nell'ente basata sul potere di rappresentanza o di controllo dello stesso, o quando siano state commesse da parte di dipendenti dell'ente rispetto ai quali sia emersa la carenza di sorveglianza o controllo da parte di un apicale. Rappresentazione del problema da risolvere e delle esigenze sociali ed economiche considerate, anche con riferimento al contesto internazionale ed europeo”. Questo

obiettivo aprirebbe alla possibilità di sanzionare gli illeciti ambientali derivanti da una più generale prassi aziendale, anche nei casi in cui non sia possibile accertare le singole responsabilità penali individuali, ovvero nei casi in cui gli illeciti siano il risultato di deliberazioni degli organi collegiali. Inoltre, da un punto di vista di prevenzione generale, la predisposizione di sanzioni a carico degli enti - nell’interesse o a vantaggio dei quali il reato viene commesso – consentirebbe di porre un freno alla sconfortante prassi di trasferire sull’impresa il costo della sanzione penale prevista per la persona fisica.60

Volendo analizzare nel dettaglio la Direttiva, senza pretesa di esaustività, ma con particolare riguardo all’oggetto di questo studio, nell’art. 3 si rinvengono una serie di aree di attività illecite che ciascuno stato membro è obbligato ad assurgere a fattispecie penali, a titolo di dolo ovvero di colpa grave ed in violazione della normativa comunitaria in materia ambientale parte integrante dell’atto comunitario.

Le condotte penalizzate sono nello specifico:

60 Si segnala comunque in dottrina una possibile incongruenza tra il requisito della necessità che l’illecito sia

compiuto a vantaggio o nell’interesse dell’ente e la natura colposa della gran parte delle violazioni ambientali; così A. L. Vergine, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, cit., p. 12.

26 - lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora.61

- la raccolta, il trasporto, il recupero o la smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di tali operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura, nonché l’attività effettuata in quanto commerciante o intermediario (gestione dei rifiuti), che provochi o possa provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora;

- la spedizione di rifiuti, qualora tale attività rientri nell’ambito del regolamento n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, e sia effettuata in quantità non trascurabile in un’unica spedizione o in più spedizioni che risultino fra loro connesse.62

Si tratta, come si può agevolmente constatare, di innovazioni nel nostro sistema nazionale il quale non contava espresse condotte illecite né conteneva una compiuta disciplina della responsabilità delle persone giuridiche in materia ambientale; in sostanza la Direttiva 2008/99/CE introduce un modello di crimine ambientale che si caratterizza per i seguenti elementi: gravità oggettiva delle conseguenze reali o potenziali della condotta sull’ambiente o sull’integrità fisica delle persone; gravità dell’elemento soggettivo ovvero dolo o negligenza grave; possibilità che, se realizzato a vantaggio di una persona giuridica, e da soggetti titolari “di una posizione dominante in seno alla stessa” ovvero, in difetto di controllo, da un sottoposto, dell’illecito penale debba rispondere anche la persona giuridica; punibilità dei favoreggiatori e degli istigatori intenzionali del crimine; punibilità anche del comportamento omissivo.

Resta da sottolineare come, tuttavia, la struttura dei reati così come formulati nel provvedimento in oggetto – ovvero la richiesta necessità che, oltre all’infrazione amministrativa, si verifichi il pericolo concreto o il danno – presta il fianco a probabili difficoltà probatorie relative

61 Sul punto le difficoltà maggiori potrebbero rilevarsi nel fornire la prova della colpa in capo al soggetto agente e

del nesso causale tra l’inquinamento ambientale e la lesione alla salute umana. La recente giurisprudenza - Cfr. Cass. pen., Sez. Un. n. 4675/06 - ha risolto il problema facendo confluire nel concetto di prevedibilità del danno cagionato la prova non solo della colpa ma anche, opinando in tal maniera, dello stesso nesso di causalità.

62 Ai punti e) ed h) infine si prevede la necessità di penalizzare la produzione, lavorazione, trattamento, uso,

conservazione, deposito, trasporto, importazione, esportazione e smaltimento di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora, fattispecie di c.d. “inquinamento nucleare”, ove ancora una volta ricorre la tutela precipua della salute umana, e si prevede la necessità di penalizzare qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto, fattispecie di c.d. “disastro ambientale”.

27 all’esistenza di un “nesso causale tra condotta ed evento e, quindi, tra i contegni, ad esempio, di sversamento di o abbandono di rifiuti e danno ambientale”63

, difficoltà che si acuiscono in un settore in cui l’evento è per lo più il “risultato storico di una pluralità di condotte”64

.

Nel nostro ordinamento il mandato per onorare quanto imposto dalle fonti comunitarie è contenuto nella Legge 4 giugno 2010, n. 96 il cui art. 19 recante Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2009 - delega il governo al recepimento delle Direttive 2008/99/CE 2009/123/CE.65 Considerati i limiti di pena di cui all’articolo 2 della Legge Comunitaria, che il legislatore delegante non ha inteso derogare con specifico riguardo ai provvedimenti in esame, il recepimento delle stesse non è stato perseguito attraverso un completo ripensamento del sistema dei reati contro l'ambiente, mediante il loro inserimento sistematico all'interno del codice penale sostanziale e la previsione come delitti delle più gravi forme di aggressione. Esso, invece, si è articolato lungo due distinte direttrici; da un lato, implementando, pur sempre nell'ambito del sistema contravvenzionale, il livello di tutela penale sanzionando le condotte previste dalla direttiva (prevedendole quali reati laddove non previste); dall'altro introducendo una compiuta disciplina della responsabilità delle persone giuridiche.

L’impianto della legge delega preannunciava la sensazione, poi confermata, di una rinuncia del nostro paese a sfruttare l’occasione della Direttiva comunitaria per avviare una seria riforma del diritto penale a protezione dell’ambiente.66

D’altro canto non vanno tuttavia taciute le difficoltà di una sua corretta trasposizione nell’ordinamento interno legate alla vaghezza delle espressioni impiegate dal legislatore comunitario, che non trovano riscontro alcuno nelle classiche categorie dogmatiche interne: ci si riferisce, ad esempio, alle espressioni “danno rilevante” per la qualità dei corpi recettori, o “non trascurabile quantità di rifiuti” oggetto delle condotte illecite di spedizione, o ancora, al restringimento della responsabilità per colpa ai soli casi di “negligenza

63 E. Lo Monte, Uno sguardo sullo Schema di legge delega per la riforma dei reati in materia di ambiente: nuovi

'orchestrali' per vecchi 'spartiti', in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., Vol. 1-2. pag. 97.

64

Così A. L. Vergine , Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, cit., pag. 11.

65 L'ordinamento giuridico nazionale sanziona gran parte delle condotte contemplate dalla direttiva 2008/99/CE

come violazioni formali, ossia come reati di pericolo astratto, punite in via contravvenzionale. Il riferimento è alle disposizioni contenute nel c .d. "Codice dell'ambiente", il quale sanziona le violazioni concernenti gli scarichi di acque all'articolo 137, quelle relative ai rifiuti agli articoli 256 (gestione non autorizzata), 257 (bonifica dei siti), 258 (violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari), 259 (spedizioni transfrontaliere) e 260 (traffico illecito di rifiuti), quelle relative all'esercizio di attività pericolose all'art. 279 (ex art. 25 del d.P.R. 203/1988), nonché quelle relative alla c.d. "autorizzazione ambientale integrata" (che accorpa tutte l e altre) all'articolo 29-quatordecies.

66 Sul punto L. Siracusa, L’attuazione della Direttiva Europea sulla tutela dell’ambiente tramite il diritto penale,

Intervento al Convegno “La riforma del diritto penale dell’ambiente in prospettiva europea”, Associazione Internazionale di Diritto Penale, Gruppo italiano, Roma, 4 febbraio 2010, su Diritto Penale Contemporaneo, 22 febbraio, 2011.

28 grave”. Le difficoltà di tipizzazione correlate all’uso di nozioni vaghe oltre a mettere in crisi il principio di tassatività in una prospettiva di diritto penale interno potrebbe ripercuotersi a livello sovranazionale dando ingresso ad elementi di disomogeneità della risposta penale tra gli Stati membri cui è concessa ampia libertà nella selezione dei contenuti da attribuire alle categorie in questione.67 Si verserebbe, dunque, nel campo del vago, consci che, quanto più le norme sono caratterizzate da indeterminatezza, tanto maggiore è il margine di discrezionalità che deve riconoscersi all’interprete, con il conseguente prevedibile rischio di rilevanti oscillazioni ermeneutiche che vulnerano l’esigenza di certezza dei cittadini, per cui - alla fine - è l’intero sistema repressivo in materia ambientale che risulterà indebolito da questa crisi di legalità.

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