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Sezione IV: Le principali fattispecie sanzionatorie in tema di rifiuti 4.1 Il traffico illecito di rifiuti: cenno e rinvio

3. La genesi della fattispecie nell’art 53 bis del D Lgs 22/

Nato in modo estremamente travagliato l’articolo 53 bis270

del D.Lgs. 22/97 si è rivelato, nel tempo, un formidabile strumento di contrasto delle più pericolose tra le attività illecite in tema di rifiuti.271

Il legislatore ha coniato, per la prima volta, una figura delittuosa innestandola, attraverso la tecnica della novellazione, nel quadro sanzionatorio del D.Lgs 22/1997 costituito, ab origine, esclusivamente dal "tipo" contravvenzionale, solitamente adottato in materia di diritto penale ambientale ma rivelatosi, negli anni, assolutamente inadeguato a contrastare tutte quelle attività organizzative e preparatorie inerenti il traffico illecito di rifiuti.

Basti porre mente alle diverse operazioni di trasporto di rifiuti lungo il territorio nazionale con declassificazione fittizia durante i passaggi intermedi al fine di farli “passare” sotto altri codici aventi un costo di lavorazione particolarmente contenuto e notevolmente inferiore rispetto ai rifiuti pericolosi sì da poterli smaltire illegalmente ma formalmente nella piena legalità.

Introdotto a fine legislatura ad opera dell’articolo 22 della Legge 23 marzo 2001, n. 93 "Disposizioni in campo ambientale", esso rappresenta il primo delitto contro l’ambiente, rubricato “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” all’interno di un complesso e disarticolato corpus normativo caratterizzato esclusivamente da violazioni sanzionate amministrativamente o da reati contravvenzionali272 e dall’emanazione di ben 18 decreti-legge in soli tre anni.

270

“Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32 bis e 32 ter del codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo codice. Il giudice, con la sentenza o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente, e può subordinare ove possibile la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.”

271

Sul tema G. Amendola, Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: introdotto il primo delitto contro l’ambiente, commento alla legge 23 marzo 2001 n. 93, in Dir. Pen. e proc., 2001 pag. 708; P. Fimiani, Quando scatta il delitto per l’illecito smaltimento dei rifiuti, in Il Merito, IlSole24Ore, 2/2005; A. L. Vergine, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, in Ambiente e Sviluppo, 2009, p. 5 e ss.

272

Per un primo commento G. Amendola, Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: introdotto il primo delitto contro l’ambiente, cit. p. 700; A. Natalini, Rifiuti, la gestione e il traffico illecito, in Dir e Giust. 2004, 35,

123 Nella relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e sulle Attività Illecite Connesse del 1997 si legge: «La normativa in materia ambientale varata nel corso degli

ultimi anni ha determinato un quadro interpretativo ed applicativo non omogeneo e spesso mal coordinato, ma in particolare è basata su un criterio di fondo caratterizzante a livello sanzionatorio che limita i reati ad ipotesi contravvenzionali, spesso di modesta portata ed oblazionabili, e che molto spesso prevede solo sanzioni amministrative. L’effetto deterrente e repressivo è dunque scarso. A fronte di episodi ed attività illecite nel contesto delle quali si è inserita, con lucroso profitto, la criminalità organizzata, detto effetto è praticamente nullo giacché le modeste sanzioni delle leggi speciali sono del tutto inadeguate a fronteggiare e scoraggiare i vantaggi economici miliardari che tali illecite pratiche determinano. E, soprattutto, i mezzi procedurali operativi che tale regime sanzionatorio consentono nelle mani delle forze di polizia e della magistratura inquirente sono scarsi ed irrilevanti e dunque la potenzialità investigativa è stressata da tali limitazioni genetiche. (...) Si impone dunque un adeguamento legislativo che, preso atto di tale novità ormai indiscussa, fornisca alla polizia giudiziaria nuovi e più penetranti strumenti investigativi ed alla magistratura più idonei regimi sanzionatori proporzionati alla gravità dei fatti posti in essere. Fatti che, va ribadito, non sono più, in molti casi, semplici infrazioni commesse da privati per isolati casi soggettivi ma diventano il prodotto di un disegno criminoso a vasto respiro e con effetti devastanti per l’ambiente». La Commissione d’inchiesta successiva istituita con legge n. 399 del 31 ottobre

2001,273 cercò di mettere in evidenza e di illustrare in maniera organica i principali fenomeni criminali connessi al ciclo dei rifiuti appurando che nell’anno 2000, periodo in cui si svolse il suo lavoro, 35 milioni di tonnellate di rifiuti venivano smaltiti in modo illecito o criminale e dimostrando, inoltre, che “non è solo la criminalità organizzata ad operare in modo illegale ma

le stesse società commerciali o imprese non legate ad essa, ma che hanno come ragione sociale la gestione illecita dei rifiuti, soprattutto di origine industriale. Nella gestione illecita del ciclo dei rifiuti non si registrano forme di concorrenza o scontri come invece accade in altri settori criminali (traffico degli stupefacenti o controllo del racket): il business è evidentemente talmente consistente da rendere preferibile la collaborazione alla concorrenza spietata.”

Il bene giuridico venne, da subito, individuato nella tutela della pubblica incolumità. Richiamando l’articolo 2 del D.Lv. 22/97 - che riconosce la valenza di attività di pubblico interesse alla gestione di rifiuti da svolgersi in modo da assicurare un’elevata protezione

pag. 27; A. Natalini, Rifiuti, quando il traffico è "organizzato" - I giudici indicano i confini dell'illecito, in Dir. e Giust., 2005, 47, pag. 51.

273 Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, Scalia

124 dell’ambiente e controlli efficaci - e ricordando che la tutela dell’incolumità pubblica deve essere considerata tenendo conto della nozione evolutiva del bene “ambiente”, la lesione del quale incide sulla sicurezza della vita e l’integrità della salute delle persone, si è evidenziato che la plurioffensività del reato inesame riguarda oltre che la pubblica incolumità, anche “la protezione

dell’interesse ad uno svolgimento ordinato, decoroso ed efficace della pubblica amministrazione preposta ai controlli ed all’esercizio delle funzioni attinenti la programmazione e l’organizzazione della gestione dei rifiuti.”

La fattispecie contenuta all’art. 53 bis del D.Lgs. 22/97 ha palesato sin da subito la sua utilità: la formulazione aveva il pregio di consentire un’adeguata tutela dell’ambiente, pur se accompagnata dalla presa di coscienza di una necessaria maggiore professionalità tra gli operatori di polizia giudiziaria onde procedere ad attività investigative complesse che spesso comportavano l’impiego di mezzi, come le intercettazioni, richiedenti apparecchiature ed esperienza nonché per l’esigenza di estendere gli accertamenti in un ambito territoriale assai vasto seguendo i percorsi, spesso tortuosi, dei rifiuti illecitamente gestiti.

Immediatamente dopo l’emanazione della norma vennero sollevate in dottrina alcune riserve critiche con particolare riguardo al riferimento al “traffico illecito di rifiuti” che, nel testo del D.Lgs. 22/97, atteneva a condotte del tutto diverse, al contenuto della circostanza aggravante prevista dal secondo comma relativa ai “rifiuti ad alta radioattività” che non solo riguardava una tipologia di rifiuti espressamente sottratta alla disciplina del D.Lgs. 22/97 dall’articolo 8, comma primo, lettera a) ma non apparteneva neppure a classificazioni scientificamente accettate ed al riferimento al “ripristino dello stato dell’ambiente”, figura altrimenti sconosciuta, il senso e la portata della quale fu difficile individuare.

Ciò nonostante, la struttura della norma, definita giustamente “rudimentale” venne sufficientemente delineata dalla dottrina che ne consentì un’applicazione sostanzialmente uniforme.

L'incriminazione in esame, tuttavia, per il modo approssimativo in cui venne redatta e l'imprecisione dei termini in essa utilizzati, originò complesse questioni interpretativo- applicative: alla sua indubbia estensione punitiva non sarebbe corrisposta una chiara tipizzazione, ponendosi oltretutto nutriti dubbi dogmatici sulla sua presunta natura abituale, permanente o semplicemente istantanea.

Non a caso venne sollevata questione di legittimità costituzionale innanzi alla Consulta per presunta violazione del principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale e asserita violazione del diritto alla difesa. Secondo il giudice a quo, la norma per come strutturata risultava passibile di declaratoria di incostituzionalità relativamente a due profili: l'inesistenza di

125 un minimum riconoscibile di condotta tipica ("ingenti quantitativi") e la palese, quanto inaccettabile, coincidenza del dolo specifico col dolo generico richiesto per la volizione dolosa "minima" ("abusivamente").

Dalla lettura del testo si evidenzia che la condotta descritta nel comma 1 dell'art. 53 bis si configurava come un'attività di carattere imprenditoriale, seppur abusiva, come è agevole desumere dal fatto che le attività dovessero consistere nell'«allestimento di mezzi e attività continuative organizzate» implicanti ex se una specifica organizzazione, anche minima o rudimentale, di capitali e persone che sviluppasse «più operazioni» nell'arco di un'apprezzabile lasso temporale, dotata quindi di una certa stabilità idonea a garantire la perpetrazione del traffico a prescindere dal flusso più o meno continuo dei rifiuti, escludendo l'integrazione del reato in presenza di fatti di carattere episodico od occasionale.

Venivano, inoltre, individuati una serie di contegni alternativamente puniti (si trattava, infatti, di una norma penale mista contenente, in un'unica proposizione, più previsioni incriminatrici diverse) quali la cessione, la ricezione, il trasporto, l'esportazione e la gestione di rifiuti. Tali condotte dovevano informarsi ad un criterio organizzativo prestabilito e permanente che, da un lato, richiedeva "più operazioni", non essendo sufficiente, dunque, un singolo, occasionale episodio antigiuridico; dall'altro, doveva qualificarsi attraverso l'allestimento di mezzi ed attività "continuative e organizzate".

Il tutto attuato, poi, "abusivamente", cioè contra legem, senza la preventiva autorizzazione amministrativa ovvero con fittizie documentazioni (rilasciate da compiacenti amministratori o da periti corrotti) e, nelle più gravi ed inquinanti delle ipotesi, clandestinamente, ossia facendo sparire i rifiuti "nel nulla" come se questi non fossero mai esistiti.

Conformemente a quanto è stato poi trasfuso nel successivo art. 260 TUA veniva sostenuta la configurazione del reato anche in difformità delle autorizzazioni concesse: la nozione giuridica di condotta abusiva, secondo gli arresti della Cassazione, comprendeva anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui si esplicavano, risultavano totalmente difformi da quanto autorizzato, sì da non essere giuridicamente riconducibili ai titoli rilasciati dall’autorità amministrativa; allo stesso modo veniva riconosciuto che l’ingiusto profitto poteva dirsi integrato anche da un rilevante risparmio di costi di produzione per l’azienda.274

Si trattava, inoltre, di un reato comune, in quanto la violazione era ascrivibile a «chiunque», mentre la condotta si riferiva al compimento di più operazioni, allestimento di mezzi e attività

274

Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 40828 del 06/10/2005 Cc. (dep. 10/11/2005 ) in Ced Cass. Rv. 232350 con nota di M. Medugno, Traffico illecito rifiuti: ingiusto profitto e ingenti quantitativi cit. p. 440.

126 continuative organizzate finalizzate alla cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti.

Detti rifiuti dovevano essere in quantitativi definiti «ingenti » e l’attività doveva avere come scopo il conseguimento di un ingiusto profitto (dolo specifico).

La genericità dei termini utilizzati nella descrizione della condotta ha permesso di ampliare notevolmente l’ambito di operatività della fattispecie originando, talvolta, le difficoltà interpretative di cui si è detto.

Nessun dubbio, invece, per l’elemento soggettivo del reato, trattandosi di illecito punito a titolo di dolo specifico consistente nel fine di conseguire un ingiusto profitto (cioè un vantaggio anche non patrimoniale). Si rendeva, ergo, necessaria una verifica che la realizzazione della condotta tenuta contra legem fosse accompagnata dal perseguimento di un profitto ingiusto ovvero sine

iure, sì che l'arricchimento ottenuto risultasse realizzato sine causa, per l'assenza di un titolo

giuridico che lo giustificasse. Di conseguenza, la fattispecie non poteva configurarsi in presenza di una finalità conforme al diritto sia pure nell’ambito di una condotta abusiva.

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