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L’effettività come elemento per la definizione del diritto: la determinazione della realtà fattuale e della realtà giuridica

CAPITOLO III – L’effettività della tutela giurisdizionale

4. L’effettività della tutela come principio e diritto fondamentale

3.1. L’effettività come elemento per la definizione del diritto: la determinazione della realtà fattuale e della realtà giuridica

Un primo discorso in cui viene in gioco l’effettività interessa – come si è osservato nel capitolo I – la relazione tra Fatto e Diritto, in cui il riferimento all’effettività rappresenta tanto la realtà fattuale, l’oggetto su cui si esercita la forza del diritto, quanto la realtà giuridica, ovvero il risultato dell’incidenza dell’attività normativa sulla realtà fattuale e il complesso di istituzioni e norme create a tal fine.

Dall’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia svolta fin qui è infatti possibile vedere come alcuni riferimenti all’effettività siano attinenti ai tre momenti in cui si manifesta la tensione normativa, e debbano quindi essere ascritti a questa tipologia di discorso.

Consideriamo il caso Fra.bo, analizzato nel secondo capitolo: la società certificatrice è

sottoposta agli obblighi derivanti dagli artt. 28-37 TFUE perché la sua attività produceva «l’effetto di ostacolare la commercializzazione di prodotti sprovvisti di tale certificato»42.

L’effettività, pur non emergendo come lemma esplicito, è dunque chiaramente presente nella filigrana della decisione: può essere ricavata in via di astrazione dal riferimento all’ «effetto», termine da cui essa è, non a caso, legata da un rapporto di derivazione semantica43.

La Corte di giustizia considera la realtà fattuale qualificandola, ai fini dell’applicazione della norma di diritto europeo, in una maniera non formale ma sostanziale, in base appunto agli effetti che vengono prodotti. Per fare un esempio noto sempre in tema di libertà fondamentali, è incompatibile con il diritto europeo la normativa nazionale o l’attività del soggetto di diritto che impedisca l’«accesso al mercato»: come è stato osservato tale nozione è massimamente vaga e indeterminata, in quanto volutamente destinata a concretizzare la propria portata normativa nell’analisi casistica delle modalità in cui si configurano i rapporti giuridico-economici al di là del dato formale44.

42 Cfr. Cap. I, §4.

43 C-17/111, Fra.Bo Spa co Deutsche Vereinigung des gas- und Wasserfaches eV (DVGW) - Technisch-

Wissenschaftlicher Verein, sentenza del 12.07.2012 (Quarta sezione) [2012] ECLI:EU:C:2012:453, par. 32.

44 SNELL, The Notion of Market Access: a Concept or a Slogan?, in Common Market Law Review, 47, 2010, 437, evidenzia

come la nozione di market access sia un elemento fondamentale nella casistica della CGUE, col tempo divenuta essenziale per definire lo spazio operativo delle quattro libertà fondamentali. Tuttavia, rileva l’Autore, tale nozione rimane fondamentalmente elusiva e di fatto vuota di ogni significato normativo: non solo è intrinsecamente difficile ricostruire cosa significhi «accesso al mercato» ma (proprio come la casistica sull’effettività) la stessa Corte fa un uso incostante del parametro, sia nella sua applicazione (la varietà di formule usate per indicare cosa sia una restrizione alle libertà fondamentali è icasticamente rappresentata da NIC-SCHUIBHNE, The Coherence of EU free Movement Law.

Constitutional Responsibility and the Court of Justice, Oxford, 2013), sia nel determinare quando una determina attività pone

un ostacolo al market access; sarebbe insomma legittimo sostenere che «when pressed, the notion of market access collapses into economic freedom and anti-protectionism, and obscures the need to choose between competing paradigms of free movement law». In senso paragonabile ENCHELMAIER, Always at your service (within limits): The ECJ’S

case law on Article 56 TFUE (2006-11), in European Law Review, 36, 2001, 615, il quale, analizzando la casistica della

CGUE sulla libertà di prestazione di servizi, rileva che l’accesso al mercato costituisce l’obbiettivo ultimo della disciplina sulle libertà fondamentali, e non il test per valutare le normative nazionali a tal fine; se così utilizzata, la nozione di market access finisce piuttosto per oscurare il fatto che l’unico vero elemento dirimente per valutare la

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Un primo significato di effettività da ricondurre al discorso in questione è dunque connesso alla necessità di compiere un’indagine il più possibile orientata al concreto atteggiarsi della realtà giuridico-economica, al fine di individuare le situazioni a cui applicare la norma giuridica di diritto europeo.

In una seconda accezione l’effettività, volta a garantire l’effetto utile delle norme di diritto europeo, rappresenta uno strumento per modulare la realtà giuridica, sub species di

interpretazione funzionale, teleologica e consequenzialistica. In tal senso – comprensivo di tutte le diverse manifestazioni esaminate nei capitoli I e II – essa costituisce una specifica modalità di realizzazione della realtà normativa, del diritto-istituzione, intesa come realtà separata e ulteriore rispetto a quella sociale che si vuole modificare.

Da ultimo, rispetto al momento finale di realizzazione del diritto «con la d maiuscola», l’effettività si manifesta nell’idea – che per esigenze di organizzazione del lavoro si associa al discorso sulla validità (infra §3.2) – per cui il concetto di diritto esige un certo livello di realizzazione, di normatività, per essere considerato tale. Ancora una volta, tutti gli strumenti volti a garantire l’effettività del diritto europeo possono essere apprezzati (anche) in questa prospettiva. Inoltre, cosa più importante, sembra che l’effettività abbia qui un significato ulteriore. Si pensi agli interventi della Corte in materia di remedies and procedures: la

tutela approntata dall’ordinamento nazionale non supera il sindacato della CGUE in sede di rinvio pregiudiziale ove sia giudicata tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto; valutazione che deve essere fatta, tra le altre cose, «tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali», nonché dei «principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento»45.

L’affermazione notoriamente fatta in Van Schijndel è in questo senso espressiva non solo di

una modulazione della Rewe-effectiveness in guisa di un bilanciamento tra effettività e

autonomia procedurale, ma anche – e anzi in via logicamente prioritaria –della necessità che il giudice nazionale chiamato a operare questo giudizio valuti in concreto la situazione fattuale al fine di applicare la norma giuridica in questione.

Mi sia permesso di mutuare le parole di un Autore:

compatibilità delle normative nazionali con il diritto europeo sarebbe il giudizio sulla presenza di «discriminazioni di fatto». Seguendo le orme di Enchelmaier e prendendo l’art. 56 TFUE come esempio, il criterio dell’accesso al mercato è costantemente richiamato in C-110/05, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, sentenza del 10 febbraio 2009 (Grande Sezione) [2009] ECR I-519, ECLI:EU:C:2009:66, parr., 33, 36-7, 52, 56, 58; C-518/06, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, sentenza del 28.04.2009 (Grande Sezione) [2009] ECR I- 3491, ECLI:EU:C:2009:270, parr. 44, 64-5, 67, 70; C-565/08, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana, sentenza del 29.03.2011 (Grande Sezione) [2011] ECR I-2101, ECLI:EU:C:2011:188, parr. 31, 46, 49, 53-5.

45 Cause riunite C-430/93 e C-431/93, Jeroen van Schijndel and Johannes Nicolaas Cornelis van Veen contro Stichting

141 «In verità, l’espressione «diritto comunitario» conserva una sua ambiguità di

fondo perché può essere riferita sia al diritto posto dalla Comunità e destinato ad essere applicato (o recepito) negli Stati membri, sia il diritto di ciascuno di questi Stati assunto e valutato all’esito del necessario processo di integrazione tra le fonti interne e quelle di derivazione comunitaria. Nel primo senso il riferimento all’effettività

avrebbe scarso significato perché non vi può essere un’applicazione (e quindi un riconoscimento) dell’enunciato al di fuori dell’esperienza giuridica dei singoli Stati. La singolarità dell’ordinamento europeo sta proprio qui, nel fatto di porsi come elemento essenziale di un amalgama che ciascuno Stato peraltro realizza nella sintesi con le regole di fonte interna, sintesi che, per la differenza dei vari ordinamenti tenuti a recepirlo è

inevitabile che conduca ad un risultato non necessariamente identico nei vari contesti nazionali»46.

L’effettività è dunque criterio ordinatore anche della realtà giuridica, non solo nel senso,

generico, di momento finale del processo applicativo del diritto, ma in quello, specifico, di commistione tra elementi comunitari e nazionali che, seppure all’insegna dell’armonizzazione, perviene comunque a un risultato unico per ogni Stato membro di riferimento. Questo, come magistralmente evidenziato nel passaggio sopra riportato, è l’unica applicazione sensata del riferimento all’effettività in un diritto – inteso come processo normativo – che non esiste se non nello spazio giuridico plurale in cui è destinato a trovare attuazione. Circostanza questa che, come si avrà modo di vedere nelle pagine immediatamente seguenti, innerva in maniera determinante tutte le questioni attinenti ai diversi discorsi che si instaurano intorno al diritto europeo.

3.2. L’effettività come elemento per il giudizio sulla validità del diritto: la

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