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La portata normativa del principio di effettività europea nel diritto privato nazionale

CAPITOLO III – L’effettività della tutela giurisdizionale

5. La retorica dei diritti fondamentali e della loro tutela Verso un’autonomizzazione dell’art 47 CDFUE nel diritto privato europeo?

3.2.1. La portata normativa del principio di effettività europea nel diritto privato nazionale

significato ha il principio di effettività europeo? (ii) in che misura il giudice è ad esso vincolato? (iii) può egli darvi applicazione diretta nelle dispute tra privati? e infine, (iv) tale vincolo potrebbe avere delle ricadute anche oltre lo stretto ambito operativo del diritto privato europeo «armonizzato?

3.2.1. La portata normativa del principio di effettività europea nel diritto privato nazionale

La prima questione è stata affrontata nel corpo della tesi, appunto dedicato alla ricognizione dei significati dell’effettività e delle loro interazioni, e dal quale è emersa l’essenziale indeterminatezza del concetto.

Quando la Corte di giustizia adotta una soluzione in funzione dell’effettività del diritto europeo fa un’affermazione sotto le spoglie di una giustificazione, e la stessa complessità della casistica in questione dimostra come sia difficile pervenire a una qualche cristallizzazione del significato normativo dell’effettività. Ecco perché l’indeterminatezza non è solo semantica, ma anche e soprattutto pragmatica. Da un lato, è difficile prevedere quale significato dell’effettività verrà utilizzato dalla Corte, che si è dimostrata in più di

99 NAVARRETTA, Costituzione e principi fondamentali, cit., soprattutto 990 ss. Sul punto, già NAVARRETTA, Complessità

dell'argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti di diritto privato, cit. e NAVARRETTA, Diritto civile e diritto

costituzionale, cit. Favorevole ad una applicazione dei principi non limitata ai casi di lacuna, anche LIPARI, Intorno ai

"principi generali del diritto", cit.

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una occasione disposta a riformulare le questioni pregiudiziali sollevate dai giudici nazionali per affiancare o addirittura sostituire parametri diversi da quelli originariamente individuati101; da un altro lato, benché i giudici nazionali siano tenuti a dare applicazione

al principio di effettività, è difficile attribuire a tale strumento un significato normativo concreto, ulteriore rispetto alla necessità di garantire l’effetto utile delle direttive o di operare un bilanciamento case by case tra principi dell’Unione e principi nazionali, nella

casistica in materia di national procedural autonomy.

A fronte di una simile situazione, credo che lo studio sui diversi significati dell’effettività nella giurisprudenza della Corte di giustizia possa fornire un’utile prospettiva per affrontare il problema. Evidenziare come vi siano diversi significati di effettività – lungo uno spettro che scorre dal puro enforcement alla realizzazione

dell’effettività della tutela come diritto fondamentale – permette di riconoscere come l’obbligo di attuazione che grava in capo al giudice nazionale debba essere differenziato in funzione della tipologia di discorso in questione.

La scomposizione semantico-funzionale sviluppata nel corso della ricerca può infatti aiutare a distinguere le situazioni inerenti alla tutela come diritto fondamentale, dalle situazioni in cui il richiamo a una immagine retoricamente efficace della tutela – associare una precisa policy normativa (es. l’art 38 CDFUE) al linguaggio delle carte dei diritti del

secondo dopoguerra (l’art. 47 CDFUE) – costituisce un argomento ad colorandum rispetto

a quello, trainante, dell’obbligo di garantire l’effetto utile delle direttive. La considerazione per cui l’effettività di cui stiamo parlando è, nella maggior parte dei casi, un’effettività oggettiva, su cui è stata passata una «mano di bianco», ha delle ricadute pratiche immediate rispetto alla misura e alla modalità con cui il giudice nazionale sarebbe vincolato al rispetto del diritto europeo. Attribuire il giusto significato all’effettività significa essere nella condizione di capire quando può avere un’efficacia pervasiva nell’ordinamento e quando non la può avere.

La dottrina più attenta allo studio dei principi europei evidenzia da tempo come la categoria dei principi sia massimamente eterogenea, e – in particolare – come al suo interno possano distinguersi principi cd. strutturali, attinenti all’assetto istituzionale dell’Unione (come il principio del primato, dell’effetto diretto, e i principi di effettività ed eguaglianza enucleati in Rewe), e principi cd. assiologici, cioè espressivi dei valori

fondamentali dell’Unione in quanto ordinamento improntato sul rispetto della rule of law,

in gran parte derivanti dai principi costituzionali comuni agli Stati membri (quali il principio di non discriminazione e il principio di effettività della tutela giurisdizionale)102.

Sebbene tale classificazione sia elaborata a scopo meramente orientativo – e sia spesso difficile collocare un dato principio in una o nell’altra categoria – essa può aiutare ad impostare il difficile dialogo tra giudice nazionale e Corte di giustizia in tema di effettività.

101 Cfr. cap. III e IV.

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Sarebbe infatti contrario all’assetto fondamentale della nostra Costituzione riconoscere una forza normativa pari o addirittura superiore a quella dei principi costituzionali a favore di principi strutturali, assiologicamente neutri e dai confini operativi indeterminati come quello dell’effettività della tutela di stampo europeo. Ove l’effettività sia usata in una versione prettamente assiologica, si presenta un problema diverso: conciliare diversi livelli di tutela nell’ordinamento europeo e in quello nazionale. È stato acutamente evidenziato come l’attrazione dei diritti fondamentali nell’area di competenza di trattati internazionali con valore para-costituzionale (come, con le dovute differenze, i Trattati europei e la CEDU) non risolva il problema del diverso livello di tutela dei diritti fondamentali, ma piuttosto crei un fenomeno di competition by convergence,

con uno scontro, diretto o indiretto, tra nozioni di diritti fondamentali e della rispettiva tutela potenzialmente non compatibili. Sicché, sebbene con una diversa connotazione, anche l’uso del principio «assiologico» dell’effettività potrebbe porsi in maniera tale da creare un arretramento del livello di tutela giudicato costituzionalmente normativo nell’ordinamento italiano.

Questo tipo di considerazione si riflette, in primo luogo, nella recezione delle decisioni della Corte che fanno uso dell’effettività come canone decisionale, interpretativo e giustificativo, premesso che queste – ove espressive di un trend giudiziale consolidato –

costituiscono fonti del diritto negli ordinamenti nazionali.

Esempio eclatante di tale contrasto tra principi europei e nazionali è il recente caso

Taricco103 che, sebbene relativo ad un procedimento penale, ben può valere a

rappresentare le tensioni normative tra i due ordinamenti e la necessità di un dialogo costruttivo tra Corti. Come è noto, la CGUE ha giudicato la disciplina nazionale in materia di prescrizione incompatibile con le norme del Trattato che impongono di assicurare un’efficace repressione di gravi frodi fiscali in materia di IVA, nella misura in cui osta alla repressione di comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione «in un numero considerevole di casi», ed è in contrasto con l’obbligo degli Stati membri di assicurare sanzioni effettive contro simili illeciti104. La Corte Costituzionale, ha giudicato

tale soluzione lesiva del principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., interpretato – a differenza di come aveva fatto la CGUE – come istituto di natura sostanziale (causa estintiva di reato) e non meramente processuale. Con un saggio esercizio di diplomazia istituzionale, la Corte ha sollevato essa stessa la questione pregiudiziale, chiedendo alla CGUE di chiarire la sua posizione alla luce del contrasto tra i precedenti dicta e i principi

costituzionali nazionali, in particolare il principio di legalità sub specie di prevedibilità del

trattamento penale, nonché dei principi di rispetto delle tradizioni costituzionali comuni

103 C-105/14, Procedimento penale a carico di Ivo Taricco e a., sentenza del 08.09.2015 (Grande Sezione) [2015]

ECLI:EU:C:2015:555.

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e dell’identità costituzionale105. L’approccio diplomatico si è rivelato vincente: la CGUE

ha infatti risposto con un’applicazione elastica dei principi enucleati nel precedente

Taricco, dichiarando non necessaria la disapplicazione della disciplina sulla prescrizione

nel caso in cui contrasti con il principio di legalità come intesa nel singolo Stato membro106.

Arguably, questo tipo di lesione potrebbe aversi anche in casi di diretta attinenza

privatistica. Come abbiamo avuto modo di evidenziare in precedenza, una lesione del diritto fondamentale alla tutela si potrebbe riconoscere anche qualora l’interpretazione secondo il principio di effettività in controversie orizzontali finirebbe per imporre, come in Dansk Industrii o in Dominguez, un burden ingiustificato alla controparte che, vedendosi

imposti diritti e obblighi sostanziali nuovi rispetto a quelli derivanti dalla normativa nazionale di armonizzazione, finiscono per diventare il capro espiatorio di un private enforcement i cui ultimi destinatari sono gli Stati membri. Lo stesso potrebbe dirsi nella

paventata ipotesi in cui la Corte decidesse, in caso di bisogno, di riconoscere un principio generalizzato di responsabilità del privato per violazione del diritto europeo, o nella complessa vicenda dei mutui spagnoli, in cui la portata innovatrice dell’interpretazione della direttiva 93/13 sarebbe stata tale da richiedere quantomeno una modulazione ex nunc degli effetti della sentenza107.

Acquisire questa consapevolezza non significa istigare un conflitto tra Corti, foriero di una crisi di sistema. Piuttosto, costituisce un campanello d’allarme che deve ricordare ai giudici il proprio compito di mediatori di una giuridicità plurale, in cui serve uno sforzo constante di adeguamento basato su un’attenta selezione delle questioni pregiudiziali e della loro formulazione e sul tentativo di conciliazione tra i principi dei due sistemi, eventualmente attraverso la tecnica del bilanciamento. Getta una luce nuova – in linea

105 Corte cost., ord. 26 gennaio 2017, n. 24, Pres. Grossi, Rel. Lattanzi, pubblicata in Foro it., I, 393.

106 C-42/17, Procedimento penale a carico di M.A.S. e M.B., sentenza del 05.12.2017 (Grande sezione) [2015]

ECLI:EU:C:2017:936: «L’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato», par. 62. Sulla base di siffatta interpretazione pregiudiziale, la Corte Costituzionale, con sentenza del 10 aprile 2018, n. 115, Pres. Lattanzi, Red. Lattanzi, ha stabilito «l’inapplicabilità della “regola Taricco”», derivante appunto «non solo nella Costituzione Repubblicana, ma nello stesso diritto dell’Unione», così che – come ipotizzato dall’ordinanza n. 24 del 2017 – non può essere riconosciuto alcun contrasto tra la legge di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona e gli artt. 3, 11, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione, né si rende necessario il ricorso alla dottrina dei controlimiti.

107Cause riunite C-154/15, C-307/15 e C-308/15, Francisco Gutiérrez Naranjo contro Cajasur Banco SAU, Ana

María Palacios Martínez contro Banco Bilbao Vizcaya Argentaria SA (BBVA), Banco Popular Español SA contro

Emilio Irles López and Teresa Torres Andreu, sentenza del 21.12.2016 (Grande Sezione) [2016]

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con i più recenti sviluppi giurisprudenziali – sul peso dei controlimiti, che possono venire il gioco quando il conflitto, potenzialmente nascosto, tra effettività del diritto comunitario ed effettività della tutela sia tale da creare una compressione inaccettabile ai diritti fondamentali108.

Quanto detto vale per la possibilità di un ruolo forte del giudice nazionale a fronte di un uso eccessivamente disinvolto dell’effettività – capace di riportare il principio a tecnica decisionale e argomento contestabile –, e fornisce dunque una prima risposta al problema della portata normativa dell’effettività nel diritto europeo109.

Un diverso discorso vale riguardo alla possibilità che i giudici nazionali diano applicazione diretta all’effettività, in assenza di una sua concretizzazione da parte della Corte di giustizia oppure oltre i confini del diritto armonizzato.

Qui più che mai è necessario distinguere in funzione della tipologia e del significato dell’effettività in questione.

A ben guardare infatti, lontano dall’irenica convergenza tra ordinamenti alla volta della massima garanzia delle tutele110, così come da una compartimentalizzazione tra principi

incomparabili111, il giudice nazionale sembra intrappolato in un vero e proprio empasse.

Da una parte, i principi di separazione dei poteri, di soggezione del giudice alla legge

108 Su cui, fondamentale, LUCIANI, Il brusco risveglio. I controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, in Rivista

AIC, 2016, 1, che – inter alia – evidenzia come la questione dei controlimiti non sia stata risolta in ragione degli artt.

4.2 e 6.3 del TUE «che avrebbero incorporato i controlimiti nel diritto euro-unitario, trasformandoli da controlimiti esterni in semplici limiti interni (all’ordinamento dell’Unione)», che anzi rappresentano un «maldestro tentativo di neutralizzazione» e uno snaturamento degli stessi «che l’identità nazionale [che l’unione deve rispettare è solo quella che viene dichiarata tale dallo Stato interessato» (7-9).

Nel contributo citato, l’Autore offre un’attenta analisi critica del caso Taricco (esclusivamente focalizzata sull’interesse finanziario dell’Unione, e talmente incurante della dimensione sostanziale della prescrizione – «con buona pace del dialogo tra Corti» – e della certezza del diritto, da non farvi neppure menzione), e costruisce una fine argomentazione sulla necessità di invocare i controlimiti in virtù di una sostanziale estraneità della sentenza all’ordine costituzionale e di un profetico pragmatismo: ché «quello che è troppo e troppo. Tuttavia, se non lo si dice, quel troppo non sarà più una patologia, ma diventerà fatalmente la normalità» (20).

109 L’idea di un possibile ruolo forte del giudice nazionale mi sembra essere l’altra faccia della medaglia di un legal

order basato tanto sulla cornice normativa dei Trattati quanto su una «integrazione silente», teorizzata da

MARTINICO, L'integrazione silente, cit., e qui pienamente condivisa. Secondo l’Autore, caratteristica strutturale dell’Unione è quella di essere una entità «complessa», perché costituita da parti distinte e parzialmente autonome; da cui deriva, come corollario, l’impossibilità di definire a priori il comportamento delle singole parti e, di conseguenza, lo sviluppo complessivo del sistema, che deriva appunto dalla concreta modalità in cui gli apporti normativi delle varie parti si combinano (esemplare il caso dell’implementazione di una direttiva, soprattutto se di armonizzazione minima), in espressione di «sinallagma costituzionale» (23). Se è vero che per raggiungere l’obbiettivo desiderato è necessaria una interazione positiva tra le parti del sistema, ove le scelte sulle modalità, le tempistiche e le forme del raggiungimento di tali obiettivi non siano condivise, è legittimo pensare che possa esserci quella che l’Autore stesso, in un diverso lavoro (relativo ai rapporti tra Corte Costituzionale e Corte EDU, MARTINICO, Corti costituzionali (o supreme) e ‘disobbedienza funzionale’. Critica, dialogo e conflitti nel rapporto fra diritto interno

e diritto delle Convenzioni (CEDU e Convenzione americana sui diritti umani), in Diritto penale contemporaneo, 2, 2015, passim)

ha icasticamente definito «disobbedienza funzionale», ovvero un contrasto di «apertura», perché funzionale a instaurare vere e proprie dinamiche dialogiche, secondo un modello di responsabilizzazione critica dei giudici nazionali).

110 SALVI, Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani: il problema, cit. 111 D'AMICO, Appunti per una dogmatica dei princìpi, cit.

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e di eguaglianza, richiedono che l’intervento creativo del giudice sia limitato ai soli casi di lacuna normativa, mentre escludono che egli sia tenuto a garantire un rimedio effettivo, diverso o ulteriore – per esempio – da quello previsto dalla disciplina di attuazione di una direttiva di armonizzazione minima. In caso contrario, si veicolerebbe un sindacato giudiziale europeo (attraverso la longa manus dei giudici nazionali) sulle scelte

legittimamente rientranti nell’ambito di discrezionalità attribuito al legislatore nazionale, in violazione, oltre che dei principi costituzionali sopra richiamati, anche della ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri nella materia in questione.

Dall’altra parte, gli artt. 4 e 19(1) TUE, e l’art. 47 CDFUE, come interpretati dalla Corte di giustizia, impongono al giudice nazionale di interpretare in maniera conforme al diritto europeo la normativa nazionale che pone un limite all’effettività del diritto comunitario, e finanche di disapplicarla, ove tale interpretazione non sia possibile. La Corte di giustizia ha in più occasioni interpretato le clausole generali contenute nelle direttive in maniera da realizzare un’armonizzazione incrementale, esplicitando che gli Stati membri sono tenuti a fornire una tutela effettiva alle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto europeo. Nel fare ciò, essa si avvale del – e alimenta il – dialogo con i giudici comuni, che sottopongono alla sua attenzione problemi di compatibilità tra diritto europeo e diritto nazionale sotto le spoglie del rinvio pregiudiziale. Se infatti, come ampiamente discusso, dal punto di vista interno, la Corte utilizza l’effettività come canone decisionale, interpretativo e giustificativo, nella prospettiva esterna, l’argomento assume le vesti di un principio che vincola tutti i soggetti coinvolti alla realizzazione del diritto europeo: la Corte, che appunto lo avrebbe utilizzato per ricavare in via interpretativa l’unica right answer, e i giudici nazionali, chiamati a darvi applicazione in via

di disapplicazione o di interpretazione conforme.

Ancora una volta, la questione sembra dover essere risolta in base all’operatività congiunta della distinzione tra diverse tipologie di principi, nonché alla luce dell’indeterminatezza strutturale dell’effettività.

Se infatti l’effettività a cui si vuole dare attuazione è qualificabile come principio strutturale, volta a garantire il massimo effetto utile del diritto comunitario – come avviene, per esempio, richiedendo la massima tutela dei diritti del consumatore – allora il giudice non può attuarla facendosene in qualche modo co-autore.

Posti davanti a una normativa nazionale che ostacola la realizzazione del diritto comunitario, i giudici sono tenuti a sottoporre alla CGUE, salva la presenza di una giurisprudenza costante in materia. Ove la normativa nazionale contestata sia una disciplina di attuazione del diritto europeo, la possibilità di un margine di discrezionalità

in melius si pone esclusivamente a fronte di una direttiva di armonizzazione minima. Ma

poiché la normativa di trasposizione è essa stessa espressione del principio di effettività, inteso come principio di realizzazione del diritto comunitario nei diritti nazionali, questa potrebbe essere contestata solo a fronte di una scorretta trasposizione della direttiva,

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perché la semplice possibilità di avere una soluzione più effettiva rispetto a quella scelta dal legislatore nazionale non impone la normatività di tale interpretazione112. Il che non

significa che il giudice non possa mai fornire un livello maggiore di tutela ai diritti ivi previsti; qualora ritenga opportuno farlo, egli o ella agirà in funzione di un’idea nazionale di effettività, sicché il suo intervento sarà limitato nella misura in cui tale principio possa trovare attuazione nel diritto privato nazionale.

Lo stesso vale per l’ultima questione affrontata, vale a dire, la possibilità di estendere una soluzione adottata dalla Corte in virtù del principio di effettività oltre l’ambito del diritto europeo armonizzato. Ove la soluzione, espressiva di un’effettività primariamente assiologica o idonea a essere declinata in quella direzione, sia in linea con l’idea e il livello di tutela accettata a livello nazionale, allora sarebbe possibile darvi applicazione anche al di fuori del diritto nazionale, purché – ancora una volta – sia chiaro che oltre le colonne d’Ercole della competenza europea, il giudice comune perde il proprio potere di disapplicare la normativa nazionale giudicata inadeguata a garantire una tutela effettiva: a seconda dei casi, potrà interrogare la Corte Costituzionale, oppure sforzarsi di dare esso stesso una interpretazione il più possibile adeguata.

Sembra, in ogni caso, che il giudice sia tenuto a ragionare su due binari distinti, valutando i margini di interazione e di compatibilità tra principi strutturali europei e principi assiologici nazionali e tra diverse concezioni di principi assiologici, da un lato, da un altro lato, nei limiti del possibile, cercare di conciliare l’assetto dell’ordinamento europeo con i valori solidaristici e di giustizia propri del diritto interno.

112 In questo senso, in particolare rispetto alla possibilità di una lettura «alla tedesca» del giudizio di vessatorietà:

PAGLIANTINI, L'armonizzazione minima tra regole e principi (studio preliminare sul diritto contrattuale derivato), in

L'armonizzazione degli ordinamenti dell'Unione europea tra principi e regole. Uno studio, D'AMICO-PAGLIANTINI (a cura di), Torino, 2018, 35. In linea con l’Autore, si vuole ricordare come esempio di non vincolatività del principio di effettività contra la disciplina di attuazione di una normativa di armonizzazione minima il caso C-227/08, Eva Martín Martín contro EDP Editores SL, sentenza del 17.12.2009 (Prima sezione) [2009] I-11939 ECLI:EU:C:2009:792,

dove si legge che «se i giudici nazionali investiti di una controversia fra singoli, devono […], interpretare, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità della direttiva, il complesso delle norme nazionali per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo da essa perseguito […] la nozione di “misure appropriate per la tutela dei

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