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CAPITOLO II – L’effettività delle norme di diritto europeo

2. L’affermazione della dottrina degli effetti diretti e del primato del diritto comunitario

2.1. Van Gend en Loos

In Van Gend en Loos16, le autorità olandesi avevano imposto alla società ricorrente il

pagamento di una tariffa per l’importazione dell’urea-formaldeide dalla Germania, in violazione del divieto di cui all’art. 12 del Trattato di Roma17. Nonostante le argomentazioni

secondo cui la questione di pregiudizialità doveva essere dichiarata inammissibile perché relativa all’applicazione – non all’interpretazione – dei Trattati18, la Corte decise a favore

della propria giurisdizione. La determinazione degli effetti dell’art. 12 Trattato CEE era una questione attinente all’interpretazione dei Trattati, e, negando la propria competenza, la Corte avrebbe lasciato i diritti dei singoli senza protezione in caso di infrazione del diritto europeo da parte degli Stati Membri, mentre tale protezione era necessaria proprio per il

14 Si segnalano, in particolare: STEIN, Lawyers, Judges and the Making of a European Constitution, in The American Journal of International Law, 75, 1981, e i vari contributi raccolti nel volume MADURO-AZOULAI (a cura di), The Past and Future of

EU Law. The Classic of EU Law Revisited on the 50th Anniversary of the Rome Treaty, Portland, 2010: PESCATORE, Van Gend

en Loos, 3 February 1963 - A View from Within, 3; DE WITTE, The Continuous Significance of Van Gend en Loos, cit.; MAYER,

Van Gend en Loos: The Foundation of a Community Law, 16; HALBERSTAM, Pluralism in Marbury and Van Gend, 26. Ancora: DE WITTE, Direct Effect, Primacy, and the Nature of the Legal Order, cit.; CHALMERS-BARROSO, What Van Gend en Loos

stands for in International Journal of Constitutional Law, 2014, 104; REESTMAN-CLAES, For History’s Sake: On Costa v. ENEL,

André Donner and the Eternal Secret of the Court of Justice’s Deliberations, in European Constitutional Law Review, 2014, 191;

BOERGER-RASSMUSSEN, Transforming European Law: The Establishment of the Constitutional Discourse from 1950 to 1993, in

European Common Law Review, 10, 2014, 199.

15 Parla di una «fundamental alteration of how the system works in ways unintended by the founders» STONE SWEET, The Juridical Coup d’État and the Problem of Authority: CILFT and Foto-Frost, in The Past and Future of EU law The Past and Future of EU Law, MADURO-AZOULAI (a cura di), Portland, 2010, 201. Poiché la tesi di Stone Sweet è strettamente connessa all’imposizione di una visione monistica dei rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, l’immagine del juridical coup d’État pare molto evocativa ma, almeno parzialmente, incorretta, in quanto non tiene in

debita considerazione la circostanza per cui la maggior parte degli Stati membri abbiano accolto una visione dualistica del rapporto (DE WITTE, Direct Effect, Primacy, and the Nature of the Legal Order, cit., 351; POLLICINO-MARTINICO, The

Interaction between Europe’s Legal Systems: Judicial Dialogue and the Creation of Supranational Laws, cit., 57-127). Dal punto di

vista dell’affermazione di un’ideologia politico-ordinamentale, si potrebbe anzi dire che il colpo di stato è stato certamente tentato, ma non del tutto riuscito.

16 C-26/62, NV Algemene Transport- en Expeditie Onderneming van Gend & Loos contro Amministrazione olandese delle imposte,

sentenza del 5.02. 1963 [1963] Racc. It. 3, ECLI:EU:C:1963:1;

17 Art. 12 Trattato CEE: «Gli Stati membri si astengono dall’introdurre tra loro nuovi dazi doganali all’importazione

e all’esportazione o tasse di effetto equivalente e dall’aumentare quelli che applicano nei loro rapporti commerciali reciproci».

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corretto enforcement del diritto comunitario19.

Passata dunque alle questioni di merito, essa rigettò tanto le eccezioni dei Governi nazionali intervenuti quanto le conclusioni dell’A.G. Roemer20, ed accolse invece la

soluzione proposta dalla Commissione, per cui le disposizioni del Trattato di Roma dovevano essere interpretate secondo lo «spirito, la struttura e il tenore del Trattato», secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati21.

«Lo scopo del Trattato CEE, cioè l’instaurazione di un mercato comune il cui funzionamento incide direttamente sui soggetti della Comunità, implica che esso va al di là di un accordo che si limitasse a creare degli obblighi reciproci fra gli Stati contraenti. […]

[S]i deve concludere che la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro citta- dini.

Pertanto il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emananti dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi.»22

Per quanto centrale nella costruzione dell’ordinamento europeo, Van Gend presenta dei

seri deficit a livello di coerenza e chiarezza dell’argomentazione23: i pochi paragrafi con cui

la questione è risolta sono lo specchio di una decisione tormentata, passata per una

19 L’importanza di questa auto-attribuzione di competenza è segnalata in particolare da DE WITTE, The Continuous

Significance of Van Gend en Loos, cit., 10, e MAYER, Van Gend en Loos: The Foundation of a Community Law, cit., 23, che giustamente definisce questo meccanismo (col tempo divenuto strutturale), «a way of interpreting national law without interpreting national law».

20 I Governi nazionali intervenuti (Olanda, Belgio e Germania) sostenevano che il Trattato di Roma non era differente

da un qualsiasi altro Trattato di diritto internazionale, per cui l’efficacia diretta dell’art. 12 poteva essere riconosciuta solo in quanto rispondente all’ «intenzione delle parti»; soluzione che, nel caso di specie, doveva essere esclusa (ibid., 8, 19), Al contrario, l’A.G. Roemer, pur concordando con il sopra detto criterio di interpretazione «volontaristico», riteneva che alcune disposizioni del Trattato potessero, avere effetti diretti, ma che tra queste non vi fosse l’art. 12, in quanto esplicitamente indirizzato solo agli Stati membri (conclusioni dell’A.G. K. Roemer, ECLI:EU:C:1963:1, specialmente 20-5). Sul punto: STEIN, Lawyers, Judges and the Making of a European Constitution, cit., 5; PESCATORE, A

View form Within, cit., 4; MAYER, Van Gend en Loos: The Foundation of a Community Law, cit., 18.

21 Art. 31 Convenzione di Vienna del diritto dei Trattati — Regola generale di interpretazione: «1. Un trattato deve

essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo. 2. Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, il preambolo e gli allegati ivi compresi: ogni accordo in rapporto col trattato e che è stato concluso fra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato; ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato dalle parti come strumento in connessione col trattato. 3. Si terrà conto, oltre che del contesto: di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato o della applicazione delle sue disposizioni; di qualsiasi prassi successivamente seguita nell’applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo; di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti. 4. Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l'intenzione delle parti».

22 C-26/62, Van Gend en Loos, cit., 12.

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maggioranza minima, nascosta sotto il velo dello stile francese di redazione giudiziale. Schematizzando al massimo l’analisi, possiamo dire che l’effetto diretto di cui all’art. 12 TCEE è presentato come la conseguenza di tre argomenti.

Primo: la natura di divieto. In quanto obbligo negativo, chiaro e incondizionato, l’art. 12

TCEE non necessita alcun intervento legislativo per la sua implementazione24. Ciò tuttavia

pare essere una condizione per l’operatività degli effetti diretti, non la giustificazione per la formulazione della relativa dottrina. Secondo: la necessità di rendere tale divieto effettivo. Come già evidenziato nel capitolo precedente, non è scontato che l’effettività rappresenti

un elemento costitutivo per l’esistenza, la validità o la legittimità di una norma (in quanto espressione ed elemento di una specifica Rechtsanschauung), mentre essa è pacificamente

qualificata come la misura, graduabile, di attuazione del diritto; l’art. 12 TCEE sarebbe stato effettivo anche se la sua implementazione fosse stata rimessa alla procedure di cui agli artt. 169 e 170 TCEE (come puntualizzato dai Governi intervenuti in giudizio). Decidendo per l’effetto diretto, la Corte si è assicurata che il divieto di introduzione di nuovi dazi doganali fosse realizzato nel modo più effettivo possibile, il che rappresenta non una base per imporre come logicamente necessaria l’applicazione generalizzata degli effetti diretti del diritto europeo, quanto piuttosto una scelta (discrezionale) circa il livello di realizzazione da garantire alle previsioni del Trattato. Terzo: il fatto che la Comunità europea sia «un ordinamento giuridico di nuovo genere nel capo del diritto internazionale» istituito per la creazione un mercato comune, i cui soggetti sono non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. Questo però non è abbastanza per sostenere la tesi della necessità logica dell’efficacia diretta, ponendosi sul diverso piano della congruità e opportunità degli strumenti adottati rispetto al fine perseguito. L’implicatura pratica di questo assunto è che la EC sarebbe un «un ordinamento giuridico di nuovo genere nel capo del diritto internazionale» perché interessa direttamente i singoli, in quanto caratterizzato dall’efficacia diretta delle sue norme. Tuttavia, così come tra la qualifica in termini di «new legal order» e l’operabilità degli effetti diretti non vi è alcun nesso di consequenzialità logica, allo stesso modo la correlazione difetta in senso inverso; in altre parole, non è vero l’ordinamento europeo è di nuovo genere perché le sue norme vantano di efficacia diretta. L’effetto diretto dell’art. 12 TCEE – ancora una volta – si sarebbe potuto ottenere senza alcun riferimento alla natura della comunità europea in costruzione: il diritto internazionale non era nuovo alla possibilità che norme pattizie avessero effetti diretti, ma vi era una sorta di «presumption against direct effect, […] rebuttable by explicit evidence of contrary intention

24 «Il disposto dell’articolo 12 pone un divieto chiaro e incondizionato che si concreta in un obbligo non già di fare,

bensì di non fare. A questo obbligo non fa riscontro alcuna facoltà degli Stati di subordinarne l’efficacia all’emanazione di un provvedimento di diritto interno. Il divieto dell’articolo 12 è per sua natura perfettamente atto a produrre direttamente degli effetti sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri ed i loro amministrati» (C-26/62, Van Gend en Loos, cit., 13).

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of the parties»25. Come si avrà modo di vedere a breve, non è il semplice riconoscimento

degli effetti diretti, quanto piuttosto lo specifico significato e la peculiare portata attribuitagli nella giurisprudenza della Corte a determinare la natura sui generis dell’ordinamento

comunitario26.

2.2. Costa

Se sostenere che i diritti e gli obblighi aventi fonte nel diritto comunitario debbano essere riconosciuti dalle corti nazionali e che il loro contenuto crei pretese che i singoli possono far valere nei confronti degli Stati membri è una cosa, stabilire quale forza giuridica essi vantino – ovvero in quale posizione nella gerarchia delle fonti del diritto debbano essere collocati – è un’altra. La questione, non affrontata in Van Gend per un saggio esercizio di judicial restrain27, è stata oggetto di specifica trattazione nel secondo caso oggetto della

presente trattazione.

In Costa28 ,un cittadino italiano contestò la nazionalizzazione del settore energetico

perché adottata in violazione della Costituzione e del Trattato di Roma. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte Costituzionale rispose che la limitazione di sovranità autorizzata dall’art. 11 Cost. non giustificava l’automatica prevalenza del diritto sovranazionale su quello interno, per cui la legge contestata sarebbe rimasta valida e applicabile, anche se adottata successivamente alla legge di ratificazione del Trattato di Roma. Come è noto, la Corte di giustizia contestò la soluzione italiana e affermò il primato del diritto comunitario su quello nazionale, anche successivo. Rigettando ancora una volta le eccezioni di inammissibilità della questione giurisdizionale per asserita incompetenza, la Corte statuì nel merito che, avendo la Comunità un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri:

«Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un

25 STEIN, I fondamenti del diritto europeo. Profili sostanziali e processuali dell'evoluzione dei sistemi giuridici, 1995, 9 e letteratura

ivi citata (n. 28); DE WITTE, Direct Effect, Primacy, and the Nature of the Legal Order, cit., 10.

26 Il linguaggio giudiziale, ancora una volta, si dimostra specchio di una ideologia: per l’evoluzione del lessico della

Corte («from “a new legal order of international law” (1963), followed by the formula “own legal system” (1964), and the concept of the treaty as the basic constitutional character (1986) towards the “constitutional Charter of the community based on the rule of law”»). Sul punto, si veda MAYER, Van Gend en Loos: The Foundation of a Community

Law, cit. (il quale analizzando la decisione in comment, nota proprio la «reticenza» nelle formule volte a descrivere il

rapporto tra Stati Membri e Comunità: i primi non avrebbero consentito a «una cessione di sovranità», ma a una – forse non differente, ma di certo meno espressivamente aggressiva – «limitazione dei propri diritti sovrani».

27 Ibid., 11-2.

56 provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere

opponibile all’ordine comune. Se l’efficacia del diritto comunitario variasse da uno Stato all’altro in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l’attuazione degli scopi del Trattato contemplata nell’art. 5, secondo comma, e causerebbe una discriminazione vietata dall’art. 7»29

In altri termini, la necessità di dare prevalenza alla norma comunitarie dotate di efficacia diretta e di assicurare l’effettività del diritto comunitario evitando una compromissione degli

obbiettivi fissati nei Trattati, fa sì che, in caso di conflitto, siano le norme dei Trattati a prevalere sulla legislazione nazionale. Emerge di nuovo la stessa circolarità argomentativa già riscontrata in Van Gend en Loos, a cui la pronuncia in questione risulta logicamente

agganciata. La creazione di un ordinamento sovranazionale non implica necessariamente la superiorità gerarchica delle sue norme su quelle nazionali, poiché la questione della loro natura giuridica è definita dall’assetto costituzionale dei singoli Stati interessati. Né tale carattere potrebbe essere derivato dalla dottrina degli effetti diretti, come la Corte sembra giustificare, perché nel passaggio tra asserire che «la norma comunitaria ha effetti diretti perché il diritto comunitario è speciale rispetto al diritto internazionale», che è «esso è speciale perché ha effetti diretti», e affermare che «in quanto speciale è superiore», si ripropone il famigerato paradosso del Barone di Münchausen, capace di salvarsi dalle sabbie mobili tirandosi su per il codino. Né, ancora una volta, è sufficiente l’appello all’effettività, per cui sarebbe lo stesso spirito e struttura del Trattato a richiedere la superiorità della norma di diritto comunitario.

2.3. Simmenthal

Le cd. dottrine del primato e dell’effetto diretto sono state confermate in Simmenthal30,

ove la Corte di giustizia fu chiamata appunto a specificarne le modalità di concreta realizzazione. Il giudice a quo aveva infatti chiesto se le corti nazionali non titolari di un

potere di controllo diffuso di costituzionalità dovessero denunciare l’incompatibilità tra le norme nazionali e quelle comunitarie munite di effetto diretto davanti alla corte nazionale competente a invalidarle, oppure se dovessero applicare direttamente quelle sovranazionali, in quanto superiori. Come è noto, la Corte di giustizia rispose affermando il primato della norma comunitaria e insistendo che le corti nazionali dovevano immediatamente

29 Ibid., 1114 (corsivo aggiunto). Sottolinea tuttavia HARTKAMP, European Law and National Private Law, cit., 10, che

in Van Gend en Loos, la questione del primato del diritto comunitario non aveva ragione di porsi perché, la questione

di pregiudizialità era stata rimessa da un giudice avente giurisdizione in uno paese – l’Olanda – che attribuiva precedenza immediata alle disposizioni dei Trattati munite di efficacia diretta (artt. 93 e 94 Costituzione olandese). Sul punto, anche POLLICINO-MARTINICO, The Interaction between Europe’s Legal Systems: Judicial Dialogue and the Creation of Supranational Laws, cit., 42-3.

30 C-106/78, Amministrazione delle Finanze dello Stato co Simmenthal SpA, sentenza del 09.03.1978 [1978] ECR 629,

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disapplicare la legge nazionale contestata, specificando che:

«è quindi incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario qualsiasi disposizione facente parte dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro […] la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme comunitarie […]»31

La soluzione è adottata per un duplice ordine di ragioni, entrambe improntate sull’effettività. In primo luogo, riconoscere una qualsiasi efficacia giuridica ad atti legislativi

nazionali incompatibili col diritto comunitario, equivarrebbe a negare il carattere reale degli impegni incondizionatamente ed irrevocabilmente assunti dagli Stati Membri in forza del Trattato, mettendo così in pericolo le basi stesse della Comunità32. Ciò si verificherebbe

qualora, in caso di contrasto tra una disposizione di diritto comunitario e una legge nazionale posteriore, la soluzione del conflitto fosse riservata ad un organo diverso dal giudice cui è affidato il compito di garantire l’applicazione del diritto comunitario secondo un autonomo potere di valutazione, anche se l’ostacolo in tal modo frapposto alla piena efficacia di tale diritto fosse soltanto temporaneo33. In secondo luogo, la struttura dello

stesso rinvio pregiudiziale implica il primato del diritto comunitario e «l’effetto utile di tale disposizione verrebbe ridotto, se il giudice non potesse applicare immediatamente il diritto comunitario in modo conforme ad una pronunzia o alla giurisprudenza della Corte»34. Il

che, di fatto, significava estendere la competenza della Corte fino ai margini estremi che la dividevano dalla competenza, prettamente nazionale, di interpretare il diritto interno.

È chiaro come l’effettività rappresenti un passaggio fondamentale dell’argomentazione in tutte e tre le decisioni. La rottura dell’assetto pre-coup è infatti determinata dall’esigenza di

garantire un’efficacia piena e integrale della norma comunitaria nell’intero territorio della nascente comunità europea, a scapito dell’autonomia istituzionale degli Stati membri. Come si è evidenziato nell’analisi dei singoli casi, l’operazione argomentativa portata avanti dalla Corte si risolve tuttavia in un circolo vizioso influenzato da una chiara pre-comprensione: l’effettività è considerata come un requisito necessario per la realizzazione dell’ordinamento comunitario, e come tale è presentata. Nonostante vi fossero alcuni indici testuali che avrebbero potuto far propendere per una visione dualistica35, la Corte di giustizia ha

prontamente dimostrato di aderire a una concezione monistica di tipo kelseniano, secondo

31 Ibid., parr. 21-2 (corsivo aggiunto). 32 Ibid., par. 18.

33 Ibid., par. 23. 34 Ibid., parr. 19-20.

35 In particolare i meccanismi di ratificazione e modifica dei Trattati, nonché la caratteristica struttura a pilastri, ove

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la quale il diritto comunitario e diritto nazionale costituiscono due livelli di un unico ordinamento giuridico, gerarchicamente organizzato, ove l’ακμή è solidamente incardinata a

livello europeo. La conformazione dell’efficacia e della forza della norma di diritto europeo risponde alla esigenza di affermare la Comunità come ordinamento autonomo e sovraordinato rispetto ai singoli Stati che la compongono: l’effettività delle norme comunitarie è allo stesso tempo corollario di una visione monistica dei rapporti tra l’Unione e gli Stati membri e giustificazione teorica per la loro applicazione piena e integrale all’interno del territorio nazionale.

3. «The Triple Expansion of Direct Effect»

L’effettività – intesa come necessità che l norma giuridica trovi concreta attuazione per tramite, in assenza o anche contro la regolamentazione nazionale – non solo è stata il motore principale nell’affermazione dei principi del primato e degli effetti diretti, ma ha anche contribuito a plasmarne la successiva evoluzione: essa ha infatti inciso sia nella costruzione del diritto europeo come «ordinamento giuridico di nuovo genere», sia – in virtù della speciale natura progressivamente riconosciuta alle norme di diritto comunitario – nella concreta conformazione delle relazioni giuridiche di attinenza privatistica che si

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