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CAPITOLO III – L’effettività della tutela giurisdizionale

3. La conformazione del sistema di rimedi e procedure alla luce degli interventi della Corte di giustizia

3.1. La strategia alternativa: l’effetto utile dell’effetto diretto

Nonostante la formulazione abbastanza risalente dei principi di equivalenza ed effettività, la casistica successiva a Rewe non ha sempre risolto la questione della

compatibilità delle regole nazionali ai sensi del giudizio elaborato nel leading case. L’esempio

più lampante di un giudizio parallelo è riscontrabile in Simmenthal, già considerato nel

capitolo precedente.

Come si ricorderà, una volta affermata l’operatività dell’effetto diretto in Van Gend e Costa, le questioni sottoposte alla CGUE furono risolte riconoscendo in capo al giudice

nazionale l’obbligo di garantire la piena efficacia delle norme di diritto comunitario, anche disapplicando le disposizioni nazionali con esso contrastanti, indipendentemente dal fatto che queste fossero state adottate prima o dopo la ratifica dei Trattati, e senza chiederne la preventiva rimozione legislativa o la dichiarazione giudiziale di incostituzionalità. Sarebbe infatti incompatibile

«con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto comunitario qualsiasi disposizione facente parte dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario per il fatto che sia negato al giudice,

competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale

applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme comunitarie; ciò si verificherebbe

qualora, in caso di conflitto tra una disposizione di diritto comunitario ed una legge nazionale posteriore, la soluzione fosse riservata ad un organo diverso dal giudice cui è affidato il compito di garantire l’applicazione del diritto comunitario, e dotato di un autonomo potere di valutazione, anche se l’ostacolo in tal modo frapposto alla piena efficacia di tale diritto fosse soltanto temporaneo.»57

Questa tipologia di giudizio, basata su uno standard di compatibilità della normativa nazionale particolarmente stringente (da Altri denominato «the full effectiveness approach»58) è rimasto non replicato fino a Factortame59. La questione verte com’è noto sulla

57 C-106/77, Amministrazione delle Finanze dello Stato contro Simmenthal SpA, sentenza del 09.03.1978 [1978] ECR 629,

ECLI:EU:C:1978:49, parr. 22-3 (corsivo aggiunto).

58 LINDHOLM, State Procedure and Union Rights, cit., 128.

59 C-213/89, Factortame, cit. Nel caso di specie, i ricorrenti lamentavano l’illegittimità, ai sensi del diritto comunitario,

dei requisiti di nazionalità per l’esercizio dell’attività di pesca introdotti dal Regno Unito con il preciso fine di contrastare il fenomeno di quota hopping con cui le navi straniere sfruttavano l’immatricolazione inglese per accaparrarsi le quote di

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possibilità per il giudice nazionale di disapplicare la norma – in questo caso la regola di

common law che esclude la possibilità di adottare provvedimenti provvisori nei confronti della

Corona – che ha l’effetto di impedire la piena realizzazione del diritto comunitario. La risposta, affermativa, si basa sul combinato disposto tra la Simmenthal-doctrine e il principio

di cooperazione tra Comunità e Stati membri (art. 5 TCEE)60.

La Corte avrebbe potuto formulare la questione secondo il Rewe-Comet test: si trattava,

tutto sommato, di una norma nazionale di carattere rimediale-procedurale, passibile di ostacolare l’esercizio dei diritti aventi fonte nell’ordinamento europeo, in contrasto con il divieto di discriminazione e il rispetto delle libertà fondamentali. Non a caso, nelle proprie conclusioni, l’A.G. Tesauro richiama esplicitamente in più occasioni la giurisprudenza sul punto61. La Corte tuttavia fa esplicito riferimento solo alla prima parte della formula Rewe-

Comet – il principio per cui è compito dei giudici nazionali garantire la tutela giurisdizionale

spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta – modellando invece il sindacato sulla ratio di Simmenthal. Niente nell’argomentazione sembra

voler suggerire una identità tra le due lines of cases anche se il controllo sull’autonomia

procedurale degli Stati membri espresso dal doppio standard effettività-equivalenza era stato presentato in Rewe proprio come corollario della dottrina degli effetti diretti.

Lo stesso tipo di struttura si può riscontrare anche in Francovich, il leading case sulla

responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario62. Come è noto, nel caso di

specie la Corte era stata chiamata a pronunciarsi relativamente alla possibilità per i ricorrenti di agire contro lo Stato per i danni subiti a causa della mancata trasposizione della direttiva 80/987, alle cui disposizioni non poteva essere riconosciuta efficacia diretta. Muovendo dalla specificità dell’ordinamento comunitario e dall’obbligo, a carico dei giudici nazionali, di garantire la piena efficacia delle sue norme e tutelare i diritti da queste attribuiti ai singoli, la CGUE afferma che «il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli

dell’art. 169 TCE e, nelle more della decisione, i soggetti coinvolti avevano richiesto l’adozione di un provvedimento provvisorio che sospendesse l’applicazione della nuova regolamentazione ai privati.

60 C-213/89, Factortame, parr. 20-1 (corsivo aggiunto): «la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe del pari

ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario».

61 Conclusioni dell’A.G. Tesauro per il caso C-213/89, Factortame, cit., ECLI:EU:C:1990:216 soprattutto parr. 24-30

dove il sindacato di legittimità è risolto in senso negativo a fronte, sia del requisito di equivalenza (la situazione avente fonte nel diritto comunitario sarebbe stata svantaggiata rispetto a un’analoga situazione di diritto interno), sia di effettività (in quanto l’assenza di tutela cautelare renderebbe impossibile l’esercizio dei diritti che i giudici nazionali hanno l’obbligo di tutelare).

Vale la pena sottolineare che l’A.G., seppur senza fare alcun riferimento all’effettività della tutela come principio generale del diritto comunitario, secondo la formula elaborata in Johnston, dedica una parte fondamentale delle proprie

conclusioni all’analisi del valore «assiologico» della tutela cautelare, come imprescindibile componente di un sistema giurisprudenziale volto a dare piena realizzazione ai diritti soggettivi, anche attraverso una significativa analisi comparativa (soprattutto parr. 8-9, 19-24).

62 Cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich, cit. Per tutti, DI MAJO, Responsabilità e danni nelle violazioni comunitarie ad opera dello Stato, in Europa e diritto privato, 1998, 746.

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da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato»63,

perché se non fosse possibile ottenere un risarcimento del danno così subito, «sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti»64. Individuate le condizioni di tale diritto al risarcimento65,

la Corte illustra le modalità concrete di esercizio dell’azione: seguendo la struttura del giudizio Rewe-Comet, spetta all’ordinamento interno designare il giudice competente e

stabilire le modalità procedurali dei ricorsi, tuttavia «le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento»66.

Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come il riferimento all’effettività sia una chiave di lettura fondamentale della decisione, sotto vari profili. Nell’accezione di effettività delle norme e della tutela giurisdizionale, essa rappresenta il motivo fondamentale per determinare l’esito del giudizio, giustificando la creazione di un vero e proprio rimedio ad hoc. Come Rewe-Comet formula, plasma invece la concreta conformazione di tale rimedio,

sottoponendo le regole di diritto nazionale al rispetto dei principi di equivalenza ed effettività.

La configurazione di un nuovo rimedio secondo il giudizio sopra identificato si può riscontrate anche nel caso Courage67, relativo alla possibilità, per un soggetto coinvolto in

una intesa anti-concorrenziale, di ottenere il risarcimento del danno nei confronti della controparte con cui aveva stipulato il contratto vietato. Muovendo dall’idea per cui l’Unione costituisce un «ordinamento giuridico proprio», dalla fondamentale importanza rivestita

63 Ibid., par. 35.

64 Ibid., par. 32.

65 Ibid., par. 40: la direttiva deve implicare l’attribuzione di diritti a favore dei singoli; il contenuto di tali diritti deve

poter essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva; deve configurarsi un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

66 Ibid., parr. 42-3 (corsivo aggiunto). 67 C-453/99, Courage, cit.

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dall’art. 85 TCE68 nell’economia dei Trattati e del progetto comunitario69, nonché

dall’obbligo per i giudici nazionali di garantire la piena efficacia delle norme di diritto comunitario e tutelare i diritti da esse attribuiti ai singoli, la Corte sancì che «la piena efficacia dell’art. 85 del Trattato e, in particolare, l’effetto utile del divieto sancito al n. 1 di detto articolo sarebbero messi in discussione se fosse impossibile per chiunque chiedere il risarcimento del danno causatogli da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza», in quanto «le azioni di risarcimento danni dinanzi ai giudici nazionali possono contribuire sostanzialmente al mantenimento di un’effettiva concorrenza nella Comunità»70. Ancora una volta, le concrete modalità di

esercizio di simili azioni erano lasciate alla competenza degli Stati membri, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività71.

Alla luce delle decisioni sopra analizzate si possono svolgere alcune brevi riflessioni. In tutti e quattro i casi la Corte ha sostanzialmente deciso per la disapplicazione di una normativa nazionale che ostacolava il riconoscimento di uno specifico rimedio: il risarcimento del danno per comportamento anti-concorrenziale, la concessione di rimedi

ad interim contro la Corona, la disapplicazione immediata della normativa nazionale

contrastante e il risarcimento del danno per violazione del diritto comunitario da parte dello Stato. Essa avrebbe potuto formulare i relativi giudizi secondo il modello decisionale e argomentativo di Rewe, arrivando anche a formulare un sindacato massimamente stringente,

in virtù dell’importanza che le questioni rivestivano per l’uniforme ed effettiva applicazione del diritto comunitario. Al contrario, la CGUE ha preferito presentare le soluzioni adottate

68 Art. 85 TCE: «1. Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni

di associazioni d’imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione, b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento, d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, cosi da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza, e) subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi. 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. 3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese; a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni d’imprese; e a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi, b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi».

69 C-453/99, Courage, parr. 19-20. 70 Ibid., parr. 26-7 (corsivo aggiunto).

71 Pertanto non era precluso agli Stati membri disciplinare una simile azione di risarcimento danni prevedendo delle

limitazioni atte a evitare sia un ingiustificato arricchimento del ricorrente, ma il giudice deve comunque valutare se il ricorrente si trovasse in una posizione di una inferiorità nei confronti della controparte, tale da compromettere, nei fatti, la propria libertà di determinare il contenuto contrattuale ed evitare il danno o limitarne l’ammontare (par. 33).

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come immanenti alla struttura dei Trattati, dell’ordinamento giuridico da essi realizzato, e dalla necessità di garantire l’effetto utile dell’effetto diretto, vera e propria colonna portante dell’assetto istituzionale comunitario. Per quel che riguarda gli esiti di tali giudizi, le soluzioni adottate certamente costituiscono «rimedi nuovi», peculiari alla struttura della relazione tra Comunità, Stati membri e cittadini, mentre l’eventuale sfera applicativa del sindacato secondo la Rewe-formula costituisce invece il limite, ulteriore, cui l’autonomia processuale

nazionale è soggetta nell’attuare tali strumenti.

Valutando criticamente le decisioni così adottate, sembra opportuno evidenziare i notevoli vantaggi derivanti da un siffatto legal reasoning. Da un punto di vista di coerenza tra

le decisioni, il fatto che casi come Factortame, Francovich e Courage rispecchino la struttura del

giudizio delineato in Simmenthal permette di conciliare formalmente tali soluzioni con il

principio, formulato pochi anni dopo la sentenze Rewe-Comet, per cui gli Stati membri non

sarebbero tenuti ad adottare nuovi rimedi per soddisfare le esigenze di enforcement

decentrato72. Infine, poiché le soluzioni sono presentate non come rimedi nuovi, ma come

strumenti impliciti nella struttura dei Trattati, la loro applicazione configura la prima eccezione delle regola elaborata in Rewe73: la presenza di una disciplina europea in punto di

remedies and procedures, alla quale, per la parte «non armonizzata», si applica invece il doppio

test di equivalenza ed effettività.

In altri termini, il controllo sull’autonomia procedurale degli Stati membri è duplicato, perché si avvale di due test paralleli e in parte comunicanti: il rimedio è creato attraverso il richiamo a Simmenthal, mentre le regole relative alla sua configurazione nazionale sono

vagliate i principi di equivalenza-effettività.

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