4. I contesti discorsivi dell’effettività
4.2. Il giudizio sulla validità del diritto
Se il primo discorso riflette una prospettiva ontologica (il diritto come fenomeno sociale), il secondo si proietta invece su un piano epistemologico, in cui l’effettività evoca il ruolo del fatto nella determinazione del diritto «con la minuscola»: l’effettività è qui un potenziale criterio del giudizio di validità, lungo un piano ove l’incidenza della prima sulla seconda diminuisce progressivamente.
Il problema del rapporto tra effettività-efficacia (spesso i termini vengono usati come sinonimi)79 e validità si è sviluppato intorno due filoni di indagine – connessi ma
concettualmente autonomi – relativi all’entità giuridica di cui tale realizzazione fattuale è predicata: la singola norma e l’ordinamento nel suo complesso.
La tesi per cui l’effettività sarebbe condizione necessaria e sufficiente per la validità sia di una singola norma sia dell’ordinamento giuridico è uno dei cardini della dottrina sociologica del diritto e del cosiddetto realismo giuridico americano e scandinavo. Erlich e Kantorowicz considerano normativi fatti privi della qualificazione formale di fonte del diritto, formulando l’idea secondo cui la scienza giuridica dovrebbe concentrare la propria attenzione sul diritto vivente, inteso come «il diritto che, non formulato in proposizione giuridiche, regola tuttavia la vita sociale»80. Nella stessa linea di pensiero, Olivecrona e Ross
78 In questo senso: CATANIA, Effettività e modelli di diritto, in Effettività e modelli normativi. Studi di filosofia del diritto,
GIORDANO (a cura di), Torino, 2013, 5370, 64: «L’intreccio strutturale dell’effettiva accettazione che lega i fatti, la fattualità dei comportamenti con la pretesa normativa che quei fatti vede, nella persona delle istituzioni ma anche e soprattutto dei consociati stessi, indirizzare, organizzare, anche cambiare: questo è il diritto; tensione tra fattualità e validità che vede l’effettività sociale all’origine del processo normativo e alla fine dello stesso: non però allo stesso punto. Gli agenti sociali,
utilizzandolo, modificano la realtà facendovi valere le proprie istanze, i propri progetti.» (corsivo aggiunto).
79 Nota correttamente Pino che l’efficacia – anch’essa termine polisenso – sia spesso utilizzata come sinonimo di
effettività, quando riferita ad una singola norma, mentre il lemma effettività sarebbe più comunemente usato quale attributo dell’ordinamento giuridico. In ogni caso, questo peculiare significato di efficacia dovrebbe essere inteso come espressivo del «dato empirico che la norma sia effettivamente osservata dai suoi destinatari»: PINO, Sul concetto di efficacia, cit., 183-4. Sul concetto di efficacia giuridica, fondamentale è: FALZEA, Efficacia giuridica, in Enciclopedia del diritto, XIV, Milano, 1989, 432 ora in Id., Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, vol. II, Dogmatica giuridica, Milano,
1997, 3 (su cui, di recente, SIRENA, La teoria dell'efficacia giuridica nel pensiero di Angelo Falzea, in Rivista del diritto civile, 2017, 999). Distinguono invece tra efficacia ed effettività (infra) BOBBIO, Sul principio di legittimità, cit., e MENEGHELLI, Il
problema dell'effettività nella teoria della validità giuridica, Padova, 1964.
80 ERLICH, I fondamenti della sociologia del diritto, Milano, 1976; KANTOROWICZ, Der Kampf um die Rechtswissenschaft,
35
espungono la dimensione metafisica della validità, affermando che il diritto è un fenomeno psichico collettivo e che una norma giuridica non è altro che la formulazione in forma prescrittiva di un giudizio probabilistico relativo al comportamento dei giudici nella risoluzione delle controversie. Né per l’ordinamento giuridico, né per la singola norma si pone dunque un problema di validità distinto da quello della sua effettiva esistenza81.
Muovendo qualche passo lungo lo spettro, Jellinek considera l’effettività, da un lato, come condizione necessaria e sufficiente per la validità dell’ordinamento, dall’altro, come condizione necessaria ma non sufficiente per la validità della singola norma giuridica. Anticipando le considerazioni kelseniane sulla validità formale della Stufenbau e sulla validità
fattuale dell’ordinamento, egli sostiene che, come un ordinamento esiste ed è giuridico solo in quanto capace di imporsi concretamente, così «una norma è parte integrante dell’ordinamento giuridico solo quando è effettivamente valida», cioè quando è concretamente applicata: «un diritto che non ha più valore non è più un diritto nel vero significato della parola»82. A questa linea di pensiero si ricollega anche la tesi di un Civilista,
secondo cui «[i]l diritto effettivo […] deve piuttosto essere colto nel fatto obbiettivo che la norma viene socialmente accettata come norma giuridica secondo determinati significati e contenuti, cioè nel fatto della sua reale operatività. L’accettazione sociale della norma è il fatto dal quale scaturisce il diritto»83.
Una maggiore indipendenza tra questi concetti si ha nella formulazione classica della
Reine Rechtslehre: poiché l’ordinamento è concepito come un sistema statico e dinamico di
norme giuridiche gerarchicamente ordinate e ultimamente fondate su una Grundnorm, queste
ultime sono legittime solo se valide, ovvero formalmente corrispondenti alla norma giuridica superiore dalla quale dipendono. Per Kelsen l’effettività non ha alcuna implicazione per la validità e la legittimità della singola norma84. La validità
dell’ordinamento, al contrario, dipende proprio dalla sua efficacia, «cioè dal fatto che la realtà a cui si riferisce col suo contenuto l’ordinamento giuridico come totalità corrisponda
81 ROSS, Diritto e giustizia, cit.; OLIVECRONA, Law as Fact, cit., 33 e passim.
82 JELLINEK, Allegmeine Staatlehre, Heidelberg, 1893, trad. it. Petrozziello, La dottrina generale dello Stato, Milano, 1921. 83 BIANCA, Ex facto oritur ius, cit. 205.
84 KELSEN, Lineamenti di dottrina del diritto, cit., 52, 68, 83-5, 93-104. Pare opportuno segnalare che lo stesso Kelsen ha
col tempo parzialmente rivisto la sua posizione sul punto: se nel 1934 egli sostiene fortemente l’assenza di qualsiasi relazione tra validità ed efficacia della singola norma giuridica (che «rimane valida perché e in quanto si trova inserita nella concatenazione produttiva di un ordinamento valido», ivi, 103), nella seconda edizione del 1960 ammette
l’esistenza di una relazione di condizionamento tra i due profili, in quanto «una norma può perdere la sua validità per il fatto che costantemente non la si applica né la si segue, cioè per desuetudine» (242). In sintesi, potremmo dire che il pensiero di Kelsen sembra tendere, non senza alcune problematicità, a identificare l’effettività come condizione necessaria ma non sufficiente per la validità della singola norma. Per una critica sul punto, si rimanda a COLLOCA, Il
rapporto tra validità ed efficacia nel principio di effettività, in Metabasis, 11, 2001, 2, che a sua volta riprende le considerazioni
sul valore dell’efficacia come criterio di validità espresse da HART, The Concept of Law, cit., 122. Per una critica del latente realismo di Kelsen, FERRAJOLI, La logica del diritto. Dieci aporie nell'opera di Hans Kelsen, cit..
36
in generale a questo ordinamento»85, così che il principio di effettività come rapporto di
corrispondenza tra fatto e diritto «funge da norma fondamentale dei diversi ordinamenti giuridici dei singoli stati»86.
Muovendo da una rivalutazione della normatività del diritto, ma sviluppando alcune delle suggestioni della scuola antiformalistica, Hart segue Kelsen nel ritenere che l’efficacia sia configurabile come condizione di validità rispetto all’ordinamento ma non alla singola norma87. Nel pensiero di Hart, tuttavia, l’effettività dell’ordinamento consiste non tanto
nell’osservanza abituale degli ordini del potere costituito, quanto nella «situazione sociale più complessa in cui una norma di riconoscimento viene accettata e usata per l’individuazione delle norme primarie che impongono obblighi»88, ovvero come criterio per
stabilire cosa sia il diritto in una data comunità, «realmente accettata e usata nel generale funzionamento dell’ordinamento»89.
In un certo senso sincretica è la posizione di Bobbio, che considera la norma fondamentale come un vero e proprio artificio finalizzato a legittimare giuridicamente il potere supremo, così incorporando normativismo kelseniano, tradizione realista hobbesiana e apertura prassistica hartiana: «quando ci si domanda quale sia il fondamento della norma fondamentale […] ci si sente rispondere […] che il fondamento di questa norma ultima, non potendo essere un’altra norma superiore, è la sua efficacia, cioè il fatto, il mero fatto, storicamente e sociologicamente accertabile, che gli obblighi da essa derivati sono abitualmente osservati o, correlativamente, il potere da essa istituito, che è per l’appunto il potere ultimo […] è effettivamente ubbidito»90. Per Bobbio, infatti,
bisognerebbe distinguere efficacia ed effettività: la prima è attributo del potere, la seconda
85 KELSEN, Lineamenti di dottrina del diritto, cit., 103. Nello stesso senso: «la validità di un ordinamento giuridico, che
regola il comportamento di determinati uomini, si trova in un sicuro rapporto di dipendenza col fatto che il comportamento reale di questi uomini corrisponde all’ordinamento giuridico o anche, come si suol dire, alla sua efficacia» (77); «[o]gni norma perde la sua validità quando l’ordinamento a cui essa appartiene perde, nel suo complesso, la sua efficacia. L’efficacia dell’intero ordinamento giuridico è una condizione necessaria per la validità di ogni norma dell’ordinamento. È una conditio sine qua non, ma non una conditio per quam. L’efficacia dell’ordinamento giuridico totale
è condizione, non fondamento della validità delle norme che la compongono. Queste sono valide non perché l’ordinamento giuridico totale sia efficace, bensì solo perché sono state create in un modo costituzionale. Esse sono valide, tuttavia, soltanto a condizione che l’ordinamento giuridico totale sia efficace e cessano di essere valide non soltanto quando vengono abrogate in un modo costituzionale, ma anche quando l’ordinamento totale cessa di essere efficace. Non si può quindi sostenere che, giuridicamente, gli uomini devono comportarsi in conformità ad una data norma se l’ordinamento giuridico totale, di cui quella norma è parte integrale, ha perduto la sua efficacia. Il principio di legittimità è quindi limitato al principio di effettività» (Id., Teoria generale del diritto e dello stato, cit., 120).
86 KELSEN, Lineamenti di dottrina del diritto, cit., 102.
87 HART, The Concept of Law, cit., 118-46, e in particolare 122-3. Diversamente sia da Kelsen che da Hart, per
MENEGHELLI, Il problema dell'effettività nella teoria della validità giuridica, cit., l’effettività e l’efficacia rappresentano qualità diverse della giuridicità: efficace è l’ordinamento le cui norme sono rispettate, mentre effettivo è l’ordinamento obbedito perché il potere stesso è accettato. Solo in quest’ultimo caso, secondo l’Autore, l’ordinamento è valido e destinato a durare nel tempo.
88 HART, The Concept of Law, cit., 118 (corsivo aggiunto). 89 HART, The Concept of Law, cit., 119.
37
della norma, sì che effettivo è il potere che riesce a ottenere il risultato preposto, mentre efficace è la norma osservata e seguita. Poiché dunque l’efficacia delle norme dipende dall’effettività del potere, e questo dipende dal fatto che le norme sono efficaci, i due indici finiscono necessariamente per richiamarsi a vicenda91.
Da ultimo, in questo breve excursus, l’effettività – intesa anche come accettazione –
innerva profondamente il pensiero di Catania, secondo il quale il diritto è «tensione tra fattualità e validità che vede l’effettività sociale all’origine del processo normativo e alla fine dello stesso»92, e in quello di Meneghelli, che cerca di sintetizzare normativismo e teorie
sociologiche attraverso il criterio ibrido di «validità effettiva», qualità che caratterizza l’ordinamento capace di durare, perché idoneo a generare adesione interna, e la norma accettabile perché conforme alle esigenze e alle condizioni generali della società93.
Se queste considerazioni si apprezzano su un piano generale, il problema del rapporto tra validità ed effettività si riflette e innerva questioni complementari quali, per quello che qui maggiormente interessa, la possibilità di qualificare la giurisprudenza come fonte del diritto. Ancora una volta con la massima brevità, è fondamentale ricordare lo studio sul diritto giurisprudenziale di Lombardi Vallauri, il quale – oltre a distinguere icasticamente tra diverse tipologie di giurisprudenza94– individua due diverse modalità in cui questa, anche
sub species di Richterrecht, esplica una funzione normativa: il «momento giurisprudenziale»,
ovvero il necessario apporto interpretativo della giurisprudenza nella creazione della norma a partire dalla disposizione, e la «fonte giurisprudenziale», che può essere tale perché un atto autoritativo del potere centrale riconosce o delega la giurisprudenza come fonte, o perché tale norma di produzione è considerata legittima, e le norme giurisprudenziali sono trattate come vincolanti. Sebbene in forme diverse dunque, anche in un ordinamento che nega il potere normativo della giurisprudenza, si dovrà ammettere che la giurisprudenza è sempre fonte di diritto positivo: per le norme valide, perché essa contribuisce, da un lato, a rendere appunto «norme» gli atti prodotti da altri poteri, e, dall’altro, a renderle vincolanti; per le norme non valide ma effettive, perché essa rappresenta la fonte reale della loro vincolatività95.