4. I contesti discorsivi dell’effettività
4.4. Il ruolo dell’effettività nella determinazione e nella tutela dei diritt
L’ultima accezione di effettività attiene a un tipo di discorso che potremmo definire assiologico. Anche chi individua nel potere e nella sua affermazione il carattere fondante di
96«Il problema della legittimazione […] non consiste nel cercare in che modo un ordinamento costituzionale diventi
conforme al diritto, ma nell’esaminare quanto esso effettivamente esista»: ROMANO, L'instaurazione di fatto di un
ordinamento costituzionale e la sua legittimazione. Lo Stato moderno e la sua vita (Saggi di diritto costituzionale), Milano, 1969, 154
riportato in PIOVANI, Effettività (principio di), cit., 428, n. 44.
97 Per una ricognizione dello sviluppo del principio di effettività nel diritto internazionale: BOBBIO, Sul principio di legittimità, cit., 421.
98 Ibid.
99 HART, The Concept of Law, cit., 247-68.
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un ordinamento giuridico non può escludere l’esistenza di un rapporto tra fatto e valore. Si può sostenere infatti che un ordinamento sia «giuridico solo se chi detiene il potere non si accontenta del monopolio della forza ma guarda alla giustizia – sia pure con il tramite di una ideologia – [così che] il diritto, insomma, è sempre e comunque qualcosa di più che un insieme di regole fondate sulla forza»101. Oppure – con un ottimismo che non ci si sente di
condividere – si può affermare che solo quegli ordinamenti che garantiscono «la vita, la salute, la libertà e la proprietà» sono idonei a durare nel tempo e imporsi come «effettivi» e quindi «giuridici»102. Alternativamente, si può far leva su un certo livello di
condizionamento tra morale e contenuto necessario del diritto e sostenere che, per essere giuridico, un ordinamento debba avere un contenuto minimo di diritto naturale, «garantendo l’ordine e la convivenza pacifica e rispettando le verità ovvie della natura umana»103.
Accantonando il dibattito sui rapporti tra diritto e morale104, o tra diritto, verità e
giustizia105, preme qui ricordare che i fatti umani sono impregnati di valori e ideologie, e –
dato un ordinamento esistente e valido – l’effettività può essere costruita non come l’espressione del dato fattuale opposto a quello valoriale, ma come criterio di selezione e realizzazione di istanze genericamente riassumibili nel concetto di giustizia fatto proprio da un ordinamento. Mi sembra da intendere in questo senso l’idea – di matrice giusnaturalista – per cui un ordinamento giuridico ha tra le sue funzioni elementari quello di proteggere gli interessi degli individui che ne fanno parte.
In questa tipologia di discorso, l’effettività figura in una duplice accezione: come
101 In questi termini, PAWLOWSKY, Einfügrung in die Juristische Methodenlehre, Heidelberg, 1986, versione it.
MAZZAMUTO-NIVARRA (a cura di), Introduzione alla metodologia giuridica, Milano, 1993, 117.
102 Attraverso questa prospettiva, ripresa proprio dalle considerazioni kelseniane, Piovani critica «coloro che vedono
nell’effettività un’ammodernata, mal camuffata apologia della forza», Effettività (principio di), cit., 431. In senso simile
MENEGHELLI, Il problema dell'effettività nella teoria della validità giuridica, cit., supra.
103 HART, The Concept of Law, cit., 225-32.
104 Con estrema semplificazione, il confronto tra l’idea della separazione tra diritto e morale, tipica del positivismo
giuridico, e quella di una loro (parziale) identificazione, tipica del giusnaturalismo, ha trovato nuovo spunto con il dibattito tra Hart (Il concetto di diritto, cit.; «Positivism and the Separation of Law and Morals», cit.) e Dworkin (Taking Rights seriously, cit.; Law’s Empire, cit.) e ha impegnato gran parte dell’attenzione della filosofia del diritto contemporanea,
a tal punto che è stato suggestivamente suggerito che la soluzione della questione rappresenterebbe una vera e propria «fine della jurisprudence» (HERSCHOVITZ, The End of Jurisprudence, in The Yale Law Journal, 124, 2015, 1160).In materia, senza alcuna pretesa di esausitvità, segnalano: RAZ, Practical Reason and Norms, cit. ; RAZ, The Authority of Law, Oxford, 1979; FINNIS, Natural Law and Natural Rights, Oxford, 1980; GARDNER, Law as a Leap of Faith, in Law as a Leap of Faith.
Essays on Law in General, Oxford, 2012, 1; COLEMAN, Negative and Positive Positivism, in Journal of Legal Studies, 11, 1982, 139; HIMMA, Inclusive Legal Positivism, in Oxford Handbook of Jurisprudence and the Philosophy of Law, COLEMAN-SHAPIRO (a cura di), Oxford, 2002, ; CALDERAI, I valori presi sul serio. Il circolo ermeneutico di argomentazione e interpretazione nelle strategie
di produzione del diritto, cit. Contro l’utilizzo riduttivistico delle categorie «positivism» e «naturalism», soprattutto nella
cultura giuridica anglosassone: DICKSON, Ours is a Broad Church: Indirectly Evaluative Legal Philosophy as a Facet of
Jurisprudential Inquiry, in Jurisprudence, 6, 2015, 207.
105 BRECCIA, Diritto, verità, giustizia, cit., Sul concetto di giustizia, si richiama per tutti CALDERAI, Giustizia contrattuale,
cit., mentre, per una considerazione sulle peculiarità della prospettiva civilistica: BRECCIA, Cosa è “giusto” nella prospettiva
del diritto privato?, in Interrogativi sul diritto giusto, RIPEPE (a cura di), Pisa, 2001, 93; BUSNELLI, Cosa è “giusto” nella prospettiva
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inerente, per un verso, alla determinazione dell’esistenza e del contenuto dei diritti soggettivi, per altro verso, alle modalità sostanziali e procedurali della loro tutela.
Questa affermazione solleva la questione, logicamente preliminare, del rapporto tra la qualificazione di un interesse come giuridicamente rilevante e la sua tutela: si tratta cioè di capire se i due concetti, o momenti di giuridicità, siano necessariamente distinti, oppure se sia riscontrabile un margine di sovrapposizione. Il problema è tutt’altro che agevole, soprattutto se posto a un livello, per così dire, astratto. Esso dipende in gran parte dalle peculiarità del sistema giuridico analizzato, così che le diverse teorie dovranno essere giudicate in funzione della loro idoneità a regolare il rapporto tra le situazioni giuridiche soggettive e i relativi strumenti di realizzazione entro un contesto giuridico determinato106.
Ciò detto, in vista di una rappresentazione dei discorsi giuridici in materia di effettività, è opportuno tratteggiare le alternative essenziali, contrapponendo – con il necessario livello di elasticità – due impostazioni diverse: una tesi per cui la tutela comprenderebbe sia la qualificazione di giuridicità di un interesse, sia la predisposizione di meccanismi per la sua attuazione, e la tesi opposta, per cui la tutela si risolverebbe nella predisposizione di strumenti volti a reagire a una lesione di un interesse del soggetto già ritenuto giuridicamente rilevante107.
In questa sede la contrapposizione verrà risolta adottando una prospettiva mediana, vale a dire, ricollegando a ciascuna impostazione un diverso concetto di tutela, rispettivamente, in senso ampio e in senso tecnico108.
Per quanto riguarda il profilo della determinazione degli interessi meritevoli di tutela e della loro qualificazione in termini giuridici, in un contesto di progressiva perdita di fiducia nell’esistenza di valori assoluti a favore di valori concretizzati e riconoscibili – scrive efficacemente Pawlowski– la questione da risolvere è «se tale concretizzazione abbia luogo grazie a norme di legge ovvero tramite l’effettività»109. L’alternativa ben rispecchia le possibili
ripartizioni di competenze tra potere legislativo e giudiziario: la prima tesi nega che il giudice possa recepire valori che non siano già effettivi, cioè espressi nel diritto positivo; la seconda
106 Si veda, per tutti, il confronto tra tradizioni incentrate sulla nozione di diritto soggettivo e tradizioni basate sulla
nozione di rimedio: DI MAJO, Tutela (dir. priv), in Enciclopedia del diritto, XLV, Milano, 1992, e DI MAJO, Forme e tecniche
di tutela, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti MAZZAMUTO (a cura di), Napoli, 1989, 11, 19 ss. («[d]iritti e rimedi, dunque, si rincorrono nell’ordinamento dato. Si può dire che si tratta di diversi criteri metodici, che possono portare a risultati sostanzialmente non dissimili», 22).
107 Sul punto, estensivamente BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell'autotutela privata, Milano, 1970, 7 ss., 283 ss.;
BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, Diritto civile, Torino, 1989, 270 ss. Per una definizione del concetto di tutela, doveroso il richiamo a DI MAJO, Tutela (dir. priv), cit., e DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003.
108 Di tutela in senso tecnico parla appunto BIGLIAZZI GERI, Profili sistematici dell'autotutela privata, cit., 7 ss.
109 PAWLOWSKY, Einfügrung in die Juristische Methodenlehre, cit., 118: «Nella prima ipotesi si tratterebbe di una gerarchia
di valori che ha trovato la propria espressione concreta nella Costituzione o in singoli atti normativi; la seconda ipotesi invece, presenterebbe una divaricazione tra due possibili alternative: o un ordine di valori estrinsecato nello spirito oggettivo oppure una gerarchia di valori che gode del riconoscimento sociale, ma che, per ciò stesso, non è direttamente accessibile all’interprete; egli dovrà, a tal fine, ricorrere alle indagini di valori di matrice sociologica.».
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apre a una funzione fortemente normativa della giurisprudenza, ove i giudici, improvvisati sociologi, sono chiamati a identificare e giuridicizzare il sentimento di giustizia e morale condiviso del tessuto sociale nel suo continuo evolversi110.
Se nella prima versione effettività è sinonimo di positività, nella seconda rappresenta l’alfa e l’omega dell’impostazione metodologica di fondo, in quanto la legittimità interna della
cd. giurisprudenza dei valori sociologica dipende proprio dalla capacità dei giudici di farsi portatori di una vaga «comune coscienza sociale», dove il successo dell’operazione è espresso da una «rarefazione delle critiche cui andrebbero incontro decisioni giurisprudenziali»111. In questa accezione, in difetto di una protezione legislativa, il giudice
è tenuto a elevare alla soglia della giuridicità interessi ritenuti rilevanti. Così facendo, tutela in senso ampio e tutela in senso tecnico coincidono: la prima si realizza corredando l’interesse di una situazione funzionale al suo soddisfacimento, così che la predisposizione di un meccanismo di tutela assurge a fatto costitutivo della stessa posizione giuridica soggettiva. Ecco perché, paradossalmente, la posizione tipica dei fautori del «diritto libero» non appare troppo distante dalla teoria del diritto soggettivo come protezione dell’interesse (a sua volta inteso come proiezione dinamica e individualizzante del diritto oggettivo): anche in questa seconda accezione, infatti, una situazione giuridica soggettiva può dirsi giuridicamente perfetta solo quando al titolare è accordato il potere di far valere l’inadempimento del dovere giuridico correlato al proprio diritto112, finendo così per
fondere la situazione sostanziale protetta con i mezzi, processuali e non, previsti per la sua attuazione113.
La seconda accezione dell’effettività, inerente non più alla determinazione dell’esistenza e del contenuto dei diritti soggettivi, ma alle modalità sostanziali e procedurali della loro tutela, reagisce proprio alla riduzione del diritto alla propria garanzia come il frutto di una visione iper-dinamica o iper-statica dell’ordinamento giuridico. Tale riduzione è criticata
110 Sembra collocarsi in questa linea di pensiero Bianca: «Gli orientamenti giurisprudenziali non sono l’unico indice
di operatività delle norme, le quali possono essere generalmente applicate secondo determinati significati, ad es. nella prassi contrattuale e in quella amministrativa, senza passare attraverso il vaglio delle sentenze. Quelli giurisprudenziali sono però indici importanti perché la garanzia sociale della norma si manifesta principalmente nella possibilità d’invocarne l’osservanza dinanzi agli organi giudiziari. L’operatività della norma, precisamente, è data dalla possibilità di far valere in via giudiziale i diritti da essa sanciti. Se questa possibilità è generalmente riconosciuta dai tribunali, ciò vuol dire che gli interessi fatti valere sono socialmente tutelati, elevati a contenuti di posizioni giuridiche. La norma è socialmente accettata come norma giuridica se e ne significai in cui essa è generalmente applicata, e questa applicazione è verificabile principalmente sul piano giurisprudenziale, dove le violazioni della norma sono coercitivamente sanzionate […] La giurisprudenza è allora indice di operatività della norma e al tempo stesso un fattore che concorre a formarla. Ciò però ha forza non in virtù di un’autorità normativa ma in forza dell'applicazione generalizzata della norma secondo il significato datole nell’interpretazione consolidata.»: BIANCA, Ex facto oritur ius, cit., 206.
111 PAWLOWSKY, Einfügrung in die Juristische Methodenlehre, cit., 118:
112 KELSEN, Lineamenti di dottrina del diritto, cit., 157-8. Pur con le dovute differenze, l’identificazione del diritto
soggettivo con il dovere ad esso correlato e con la possibilità di agire contro il suo inadempimento sono caratteristici del pensiero di HOHFELD, Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning in Yale Law Journal, 23, 1913, 16; HART, Legal Rights, in Essays on Bentham. Studies in Jurisprudence and Political Theory, HART (a cura di), Oxford, 1982, passim.
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non solo perché finisce per appiattire il significato dell’azione, che consiste appunto nel diritto, generale, di agire a tutela dei propri interessi114. La predisposizione delle garanzie
primarie (obblighi e divieti correlativi all’aspettativa in cui si sostanziano i diritti) e secondarie (obblighi di sanzionare o riparare, in sede giudiziale, le relative lesioni) è espressione dei principia iuris tantum di coerenza e completezza che il diritto, nella sua
dimensione dinamica, deve possedere. Ecco perché – nella prospettiva della teoria della norma e dell’ordinamento giuridico – «la previsione normativa dei corrispondenti doveri e delle relative sanzioni è una condizione dell’effettività (ossia dell’efficacia, nel lessico di Kelsen) sia dei diritti che dei doveri normativamente stabiliti», mentre «la loro assenza è un
vizio dell’ordinamento, che di tali diritti e divieti, certamente, non consente di negare
l’esistenza»115. Dalla prospettiva della teoria dei diritti, invece, la possibilità di agire contro
eventuali lesioni del proprio entitlement rappresenta l’espressione di un diritto fondamentale
di accesso alla giustizia che, seppur necessario, potrebbe in concreto non realizzarsi, per mancanza di norme che prevedono la facoltà di azione, oppure perché la tutela da queste fornita è insufficiente, inadeguata o ineffettiva116. L’importanza riconosciuta alle garanzie
secondarie porta con sé il problema, ulteriore, della loro effettività ed efficacia, perché una garanzia non rispettata, violata, o non idonea al raggiungimento della tutela che si propone di apportare è anch’essa idonea, se non a rendere il diritto un «diritto di carta», quantomeno a farlo rimanere «sulla carta»117.
Tali considerazioni anticipano la questione della configurabilità di un principio di effettività della tutela o di un diritto fondamentale all’effettività della tutela, espressivi – mutuando appunto il linguaggio di Ferrajoli – di tre dei fondamentali principia iuris dello
stato di diritto: il principio di completezza, in base al quale i diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti determinano l’obbligo di introdurre legislativamente le loro garanzie sia primarie che secondarie; e i principi di giurisdizionalità e azionabilità, per cui le violazioni di tali diritti implicano, quali garanzie secondarie, la possibilità di far valere tali diritti davanti agli organi giudiziari118. Più precisamente, i principi di giurisdizionalità e
azionabilità hanno un raggio di azione più ampio rispetto ai soli diritti fondamentali richiamati da Ferrajoli, in linea con il dettato dell’art. 24(1) Cost. secondo cui «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».