• Non ci sono risultati.

Finanziamento pubblico delle attività di lobbying e divieto di uso di fondi pubblici per finanziare attività di lobbying

La giurisprudenza americana in materia di lobbying (e finanziamento elettorale)

4. La giurisprudenza rilevante in materia di Primo Emendamento e dintorn

4.7. Finanziamento pubblico delle attività di lobbying e divieto di uso di fondi pubblici per finanziare attività di lobbying

Una questione di rilevante importanza sia teorica sia pratica con riferimento alla materia che stiamo considerando è poi quella della possibilità o meno di impiegare risorse pubbliche, in via diretta o indiretta, per far fronte a spese di lobbying. Il legi- slatore americano intende infatti evitare che denaro di provenienza pubblica venga impiegato per pagare attività di lobbying.

La questione che si pone qui è che si rischia di determinare un circolo vizioso, con lo Stato che finanzia determinati soggetti i quali usano i soldi così ricevuti per ottenere dallo Stato ulteriori misure di favore. La disciplina vigente negli Usa tiene conto di questa possibile degenerazione, e ha tentato di porvi rimedio con diversi strumenti: alcune disposizioni settoriali; il già citato Anti-Lobbying Act; il Federal

Acquisition Regulation (FAR); e il c.d. Byrd Amendment.

52 347 U.S. 620.

53 J. Maskell, nel suo report per il CRS, Grassroots Lobbying: Constitutionality of

Disclosure Requirements, aggiornato al 26 febbraio 2008.

Come già ricordato, almeno dal 191355 il Congresso ha iniziato ad introdur-

re in molte leggi di spesa il divieto per le agenzie dell’esecutivo di usare i fondi ricevuti per effetto di quelle leggi (c.d. appropriated funds) per pagare attività di

lobbying. Tuttavia, si tratta di disposizioni largamente disapplicate, anche perché la

giurisprudenza56 ha riconosciuto in via generale il diritto delle agenzie di spendere

denaro a sostegno delle proprie posizioni, anche su temi controversi57.

Parimenti disapplicate sono le disposizioni dell’Anti-Lobbying Act58, che vieta

in via generale alle agenzie e ai funzionari dell’esecutivo di impiegare, direttamen- te o indirettamente, fondi di provenienza pubblica (appropriated funds) per pagare attività di lobbying nei confronti di membri del Congresso e – a seguito di un emen- damento del 200259 a 18 USC 1913 – di qualunque funzionario di qualunque go-

verno o amministrazione. Tuttavia una serie di elementi, tra cui la necessità di tener conto del ruolo costituzionale del Presidente nel procedimento legislativo60 e del

suo obbligo costituzionale di curare la fedele esecuzione delle leggi61, hanno con-

dotto ad interpretare restrittivamente questa disposizione, in modo da comprendere sostanzialmente solo le attività di grassroots lobbying da parte dell’esecutivo62.

IL FAR è invece un regolamento emanato congiuntamente dalla General Services

Administration, dal Dipartimento della Difesa e dalla National Aeronautics and Space Administration (NASA), e si applica a tutti i dipartimenti e le agenzie sog-

getti all’autorità di uno di questi organi; esso è periodicamente aggiornato e modi- ficato, sotto la supervisione dell’Office of Federal Procurement Policy, dal Defense

Acquisition Regulatory Council e dal Civilian Agency Acquisition Council. È co-

dificato al titolo 48 del Code of Federal Regulations, e disciplina sostanzialmente la materia degli appalti pubblici, occupandosi dei vari momenti in cui si articola la stipulazione dei contratti tra agenzie governative e imprese private.

In particolare, la disposizione che ci interessa maggiormente è la Section 31.205- 22 (2003), Lobbying and political activity costs, che prevede limiti al rimborso del- 55 63° Congresso, C. 32, Oct. 22, 1913, 38 Stat. 208, 212.

56 Joyner v. Whiting, 477 F.2d 456, 461 (4th Cir. 1973); Arrington v. Taylor, 380 F. Supp. 1348, 1364 (M.D.N.C. 1974).

57 T.M. Susman, Lobbying by Executive Branch Officials, cit., p. 340. 58 66° Congresso, C. 6, § 6, Jul. 11, 1919, 41 Stat. 68, 18 USC 1913.

59 Pub. L. 107-273, § 205(b), Nov. 2, 2002, 116 Stat. 1758, 1778, An Act to authorize

appropriations for the Department of Justice for fiscal year 2002, and for other purposes.

60 In particolare, mi riferisco qui al suo potere di raccomandare al Congresso l’adozione delle misure che ritiene necessarie e opportune, e più in generale a quello di informare il Congresso sullo State of the Union (entrambi previsti dalla prima clausola della Section 3 dell’articolo II).

61 Ultima clausola della Section 3 dell’articolo II.

le spese per lobbying sostenute dagli appaltatori. Il FAR non vieta di esercitare at- tività di lobbying relative ad un appalto pubblico, il che – si osserva – solleverebbe immediati problemi di compatibilità con il Primo Emendamento, per cui esse sono ammesse se pagate con risorse proprie; né disciplina attività di lobbying finanziate con fondi diversi da quelli federali. Semplicemente, la Section 48 CFR 31.205-22 si limita a vietare il rimborso agli appaltatori che lavorino per o vendano a un’agenzia governativa di una serie di spese di lobbying da loro effettuate in connessione ad un appalto pubblico.

Infine, il c.d. Byrd Amendment è una disposizione aggiunta al Department of the Interior and Related Agencies Appropriations Act del 199063 per volontà del

Senatore Byrd; esso fu codificato come 31 USC 1352, Limitation on use of appro- priated funds to influence certain Federal contracting and financial transactions, e fu poi modificato dall’LDA.

Il Byrd Amendment si occupa delle attività di lobbying riferite a qualunque tipo di assegnazione di fondi federali. I suoi contenuti principali sono un divieto e un obbligo di disclosure. Da un lato, esso vieta a tutti coloro che abbiano ricevuto dei fondi federali (designati anche qui come «fondi appropriati») di usarli per pagare attività di lobbying con cui cercare di ottenere dal Congresso o da un’agenzia go- vernativa una qualunque assegnazione di fondi federali (sia essa in forma di appalto pubblico, o di finanziamento, di prestito, o di accordo di cooperazione), salve le eccezioni previste dalla stessa Section, che qui non consideriamo. Va precisato che il Byrd Amendment non definisce cosa si debba intendere per appropriated funds, e ciò determina rilevanti problemi applicativi; in ogni caso, per ciò che viene in rilie- vo ai nostri fini, si tratta dei fondi pubblici che una legge ha autorizzato a spendere per un determinato scopo.

Quanto alla previsione sulla disclosure, essa consiste nell’obbligo, per chi ri- ceva fondi federali (o anche solo «initiates agency consideration»), di comunicare all’agenzia che glieli ha concessi (o da cui cerca di ottenerli) le spese di lobbying fatte per influenzarne la concessione, anche in questo caso con le eccezioni previste nel prosieguo della disposizione (naturalmente, visto il divieto appena ricordato, tali spese potranno essere effettuate solo con nonappropriated funds).

Si aggiunga soltanto che il Byrd Amendment copre alcune condotte considerate anche dal FAR, così sovrapponendosi ad esso, ma a differenza di questo si estende anche al lobbying nei confronti dell’esecutivo; la disposizione non parla mai di lob-

byists o lobbying, pur riferendosi chiaramente a questo fenomeno, designato come

«influenzare o tentare di influenzare» la concessione di fondi federali; in ogni caso, almeno sino ad ora si è trattato di una disposizione scarsamente efficace e in larga misura disapplicata64.

63 Pub. L. 101-121, Oct. 23, 1989, 103 Stat. 701 (1989). Il Byrd Amendment era la Section 319 (103 Stat. 750).

Il Byrd Amendment fu oggetto alcuni anni fa di una censura di incostituziona- lità on its face, per violazione del Primo Emendamento, nel caso United States v.

National Training and Information Center65. In questa vicenda, il governo federale

aveva citato l’associazione National Training and Information Center sostenendo che avesse utilizzato dei fondi pubblici ricevuti in precedenza per svolgere attività di lobbying, in violazione del Byrd Amendment (l’associazione avrebbe poi dichia- rato il falso nel rendicontare le proprie spese, sostenendo che non avevano coperto attività di lobbying), e chiedendone quindi il rimborso.

L’associazione convenuta si difese sostenendo, tra le altre cose, che «l’emen- damento Byrd è incostituzionalmente vago e troppo ampio, ed è pertanto a prima vista incostituzionale sulla base del Primo Emendamento»66, ma il giudice Moran,

della District Court federale dell’Illinois, respinse sia la censura di overbreadth sia quella di vagueness.

Il giudice ritenne infatti in primo luogo infondata l’affermazione di NTIC per cui «l’emendamento Byrd implica il Primo Emendamento». Naturalmente il lobbying in generale è protetto dal Primo Emendamento; se la legge in questione regolasse direttamente l’attività di lobbying di NTIC, dovrebbe venire analizzata secondo lo standard dello strict scrutiny. Tuttavia, il Byrd Amendment regola soltanto l’attività di coloro cui siano stati attribuiti dei fondi federali, non è una disciplina applicabile al general public; ma la Corte Suprema ha riconosciuto che leggi di quest’ultimo tipo «non violano alcuna attività protetta, perché non c’è alcun diritto a vedere la propria manifestazione del pensiero sussidiata dal governo»67.

La pronuncia prosegue citando la giurisprudenza, di cui dirò tra un attimo, sulla non deducibilità delle spese di lobbying (in particolare Regan e Cammarano), af- fermando che, nel vietare il pagamento di spese di lobbying con fondi federali, il «Congresso non ha violato alcun diritto tutelato dal Primo Emendamento o regolato alcuna attività coperta dal Primo Emendamento»68. Ma mancando l’infringement di

un diritto costituzionale, cioè la sua limitazione, viene meno la legittimazione del ricorrente a sollevare una censura di illegittimità on its face della legge.

In ogni caso, la Corte prende comunque in considerazione le facial challenges di NTIC, e conclude che, quand’anche NTIC dovesse essere ritenuta legittimata a sollevarle, comunque esse sono infondate. Da un lato, NTIC lamentava la eccessi- va ampiezza (overbreadth) della legge, dovuta al fatto che non definiva il termine

lobbying, ma cercava di vietare tutte le comunicazioni tra chi riceve federal funds

contenute in The Lobbying Manual, in particolare ai capitoli 15, The Byrd Amendment, e 16, Federal Acquisition Regulation Governing Lobbying, entrambi opera di T.M. Susman. 65 532 F.Supp.2d 946 (2007) (United States District Court, N. D. Illinois Eastern Division). 66 532 F. Supp. 2d 946, 950-951 (2007).

67 MCFL, 479 U.S. 238, 256 n. 9. 68 Regan, 461 U.S. 540, 546.

e il Congresso: il giudice osservò però che il testo della legge limita specificamente il tipo di comunicazioni che rientrano nel suo ambito di applicazione, e cioè solo quelle fatte “in connessione con” una “covered Federal action”, e a sua volta le azioni federali coperte dalla legge sono solo quelle di attribuzione sotto qualunque forma di fondi federali.

NTIC avanzò anche una censura di vagueness della legge, per il fatto che non permetteva di capire quale condotta fosse vietata, limitandosi a fare riferimento alle azioni di “influencing or attempting to influence” la concessione di fondi federali. La Corte respinse però anche questa prospettazione, ritenendo la clausola in que- stione non illegittimamente vaga, e aggiungendo che peraltro «qualsiasi opacità che possa derivare […] può essere chiarita caso per caso»69.

Infine, la questione dell’impiego di fondi di provenienza pubblica per attività di lobbying si è posta anche con riferimento alla possibilità o meno per un sog- getto contribuente di dedurre dal proprio reddito le lobbying expenses. Sulla base dell’equiparazione, contestabile sul piano teorico ma comunissima sul piano del diritto positivo, tra erogazione diretta di fondi pubblici per una determinata attività e rinuncia all’esercizio di una pretesa fiscale per pari importo in relazione allo svol- gimento di quella stessa attività, è stata prevista in varie disposizioni l’esclusione dalle deduzioni per attività di lobbying; tale esclusione fu oggetto di censure di ille- gittimità costituzionale, e ricorderò qui tre decisioni della Corte Suprema federale al riguardo.

Nella prima, Textile Mills Sec. Corp. v. Comm’r of IRS, relativa al divieto conte- nuto nell’art. 262 delle Treasury Regulations 74, riferite al Revenue Act of 192870, la

Corte chiarì che non vi era nulla di incostituzionale nell’escludere la deducibilità di contratti volti ad esercitare «insidiose influenze attraverso le stanze delle assemblee legislative», e che per questo erano stati da tempo censurati71.

Nella seconda, Cammarano v. United States, riferita a successive Treasury

Regulations ma attinente a questione analoga, la Corte ebbe modo di specificare

ulteriormente che ai ricorrenti non veniva negata una deduzione perché esercitava- no attività costituzionalmente protette, ma era semplicemente richiesto di sostenere 69 Cfr. anche T.M. Susman, The Byrd Amendment, capitolo 15 di The Lobbying

Manual, 349-364, 360.

70 70° Congresso, C. 852, May 29, 1928, 45 Stat. 791. In particolare, l’art. 262 delle

Regulations in questione chiariva che la Section 23(a) del Revenue Act of 1928, la quale sta-

biliva in via generale la deducibilità di «tutte le spese ordinarie e necessarie pagate o soste- nute durante l’anno fiscale nello svolgere qualsiasi commercio o attività», non poteva essere interpretata in modo da includere le spese di lobbying. Le regulations definivano le spese di lobbying come «somme di denaro spese per scopi di lobbying, l’approvazione o il rigetto di proposte di legge, l’uso della propaganda politica, e i contributi per le spese elettorali». 71 314 U.S. 326, 338 (1941). La sentenza richiama a questo proposito Trist v. Child, 88 U.S. 441 (1874), e Hazelton v. Sheckels, 202 U.S. 71 (1906), su cui v. supra, § 4.4..

personalmente tutti i costi di quelle attività, come l’Internal Revenue Code richiede a chiunque altro eserciti simili attività. Pertanto, negare la deduzione non era discri- minatorio e non limitava la loro libertà di manifestare il proprio pensiero tentando di influenzare il procedimento legislativo, ma anzi era frutto della condivisibile convinzione del Congresso che, «dato che la pubblicità acquistata può influenzare il destino della legislazione, la quale avrà effetto, direttamente o indirettamente, su tutta la comunità, ognuno nella comunità dovrebbe stare dalla stessa parte con riferimento al suo acquisto per quanto riguarda il Tesoro degli Stati Uniti»72.

Merita anche richiamare il concurrence del giudice Douglas, che aggiunge che una soluzione diversa da quella adottata dalla Corte implicherebbe l’accoglimen- to della tesi secondo cui le libertà protette dal Primo Emendamento richiedevano esenzioni fiscali per essere protette. Tale tesi, però, sottintende che i diritti garantiti dal Primo Emendamento non sono completamente realizzati a meno che essi non vengano sovvenzionati dallo Stato, ed in effetti era già stata respinta dalla Corte in diverse occasioni73.

Infine, il terzo caso, Regan v. Taxation With Representation (TWR)74, riguar-

dava una questione in parte diversa. In questo caso, l’Internal Revenue Service (IRS), l’agenzia federale competente per tutte le questioni fiscali, aveva negato all’associazione TWR la qualifica di c.d. 501(c)(3) organization, con conseguente sua esclusione dai benefici che ne conseguono. L’Internal Revenue Code (IRC) stabilisce infatti che gli enti compresi nella definizione di cui appunto alla Section 501(c)(3) (26 USC 501(c)(3)) sono esenti da imposte federali sul reddito, e possono inoltre offrire il beneficio della deduzione fiscale a quanti effettuano donazioni a loro favore (ai sensi della Section 170(c)(2), che rinvia alla 501(c)(3)).

La decisione dell’IRS si basava sul fatto che la Section 501(c)(3) escludeva espressamente dal proprio ambito di applicazione le associazioni «la cui parte so- stanziale delle attività è fare propaganda o provare altrimenti ad influenzare la legi- slazione» (c.d. substantial lobbying), e risultava invece che una parte significativa delle attività di TWR consistesse proprio nel tentate di influenzare la legislazione.

TWR impugnò quindi la decisione dell’IRS, sostenendo l’illegittimità della

Section 501(c)(3) sotto due diversi profili: da un lato, esso avrebbe violato i suoi First Amendment rights, imponendole, per ottenere dei benefici fiscali, di astenersi

dallo svolgere un’attività costituzionalmente protetta; dall’altro lato, esso avrebbe violato anche il Quinto Emendamento, con riferimento alla “equal protection com-

ponent” della due process clause, perché avrebbe irragionevolmente distinto gruppi

come TWR da quelli dei veterani, che invece, alla luce della Section 501(c)(19), 72 358 U.S. 498, 513 (1959).

73 358 U.S. 515 (1959). Douglas richiama i seguenti casi: Grosjean v. American Press

Co., 297 U.S. 233, 250 (1936); Murdock v. Commonwealth of Pennsylvania, 319 U.S. 105,

112 (1943); Follett v. Town of McCormick, 321 U.S. 573, 578 (1944). 74 462 U.S. 540 (1983).

potevano concedere ai propri finanziatori la deducibilità dei contributi anche se li impiegavano per attività di lobbying.

Ma la Corte Suprema respinse entrambe le censure di TWR. Quanto alla prima, essa ribadì il precedente di Cammarano, chiarendo che anche in questo caso il Congresso si era semplicemente limitato a non concedere fondi pubblici per finan- ziare attività di lobbying, e lo aveva fatto del tutto legittimamente: il fatto che un’at- tività sia costituzionalmente protetta non implica che il Congresso debba finanziar- ne l’esercizio. In sintesi, «il Congresso non è obbligato dal Primo Emendamento a sussidiare il lobbying»75.

Quanto alla censura relativa al Quinto Emendamento, la Corte confermò anche in questo caso un proprio precedente76, affermando che in materia di concessione

di benefici fiscali il legislatore gode di una discrezionalità molto ampia, che deter- mina una presunzione di costituzionalità delle distinzioni da esso effettuate; sotto altro punto di vista, «nonostante il governo non possa mettere ostacoli sul percorso dell’esercizio della [...] libertà [di espressione] [da parte di una persona], non deve rimuovere quelli che non sono di sua creazione»77. Pertanto, anche se è molto pro-

babile che TWR potrebbe effettivamente perseguire in modo più efficace i propri scopi altruistici se potesse effettuare substantial lobbying, rientra nella discreziona- lità del Congresso decidere se essa debba ricevere o meno un finanziamento pub- blico a questo scopo78. Ebbene, se il Congresso decide di non concederlo, la sua

scelta non è irragionevole: anche se TWR non ha sufficiente denaro per esercitare la propria libertà di espressione nella misura in cui vorrebbe, la Costituzione non dà diritto a ottenere i fondi necessari a conseguire tutti i vantaggi di quella libertà79.

E se quei fondi sono stati invece concessi ai veterani, ciò rientra in una consolidata politica a loro favore, sempre ritenuta legittima.

La conclusione è quindi che la forte protezione del lobbying in terra americana non si spinge però fino all’affermazione della sussistenza di una sorta di diritto so- ciale al lobbying, ma anzi eventuali attribuzioni patrimoniali da parte del soggetto pubblico per sostenere attività di lobbying non solo non sono richieste, ma neppure ammissibili (la richiamata equiparazione teorica tra attribuzione patrimoniale diret- ta e possibilità di deduzione conduce inevitabilmente ad estendere tale conclusione con riferimento alle deduzioni per attività di lobbying, un diritto alle quali si ritiene 75 461 U.S. 540, 546 (1983).

76 Madden v. Kentucky, 309 U.S. 83, 87-88 (1940). 77 Harris v. McRae, 448 U.S. 297, 316 (1980).

78 Il ragionamento della Corte è in effetti tutto basato sull’equiparazione tra risparmio consistente nell’esenzione da un tributo, o nella riduzione dell’imponibile per effetto della deduzione, da un lato, e concessione diretta di un finanziamento pubblico, dall’altro, su cui v. quanto osservato infra, Capitolo IV, § 3.

insussistente, com’è inevitabile date le premesse); paradossalmente, alla luce di quel che si dirà, l’Europa potrebbe seguire un’impostazione diversa al riguardo.

4.8. Una questione di dettaglio: l’illegittimità del divieto di ricevere hono-

Outline

Documenti correlati